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Sull'ipotesi scissione prime crepe nei finiani

• da La stampa del 26 luglio 2010

di FABIO MARTINI

La corrente «finiana» non è mai stata un monolite, ma l'esplosione della mina - Granata in queste ore - la sta di nuovo frammentando ed è eloquente a tal riguardo l'ironia di Andrea Augello, «capogruppo» dei senatori vicini al Presidente della Camera: «Il Pdl è il partito che guida il Paese e che si faccia una scissione per Granata mi pare una cosa poco probabile». Eppure, il 25 luglio del 2010 (anniversario numero 67 del Gran Consiglio che decapitò Mussolini), passerà alla cronaca come una delle giornate più calde, forse la più calda, nella pur breve storia del Popolo della libertà. Tanto è vero che l'ipotesi di una scissione, per quanto corrisponda ad un riflesso condizionato del sistema politico-mediatico, ha ripreso a galoppare e nelle segrete stanze si sono ricominciati a fare i conti: su quante truppe può contare Fini in caso di rottura? Certo, un calcolo complicato perché, la storia delle scissioni dimostra che la contabilità delle truppe va fatta sempre allo scattare dell'«ora x», mai prima. Dunque, calcolo complicato ma decisivo per le sorti del governo in caso di una rottura tra Berlusconi e Fini. A bocce ferme i numeri sono ad alto rischio per il governo. Alla Camera il centrodestra può contare su 344 deputati su 630 e dunque vanta un margine di 28 voti rispetto alla maggioranza. Surplus pericoloso in caso di scissione: i finiani dichiarano di poter contare su 33 deputati, anche se sottovoce riconoscono che la quota potrebbe fermarsi a 28, cifra in ogni caso insidiosa per la maggioranza. Al Senato, il centrodestra può contare su 176 senatori su 315 e dunque vanta un margine di 19 voti rispetto alla maggioranza, che è di 157. A Palazzo Madama i "finiani" sono 14 e dunque in numero insufficiente, in caso di frattura, a mandar sotto la maggioranza. Ma sono calcoli che anche nella calda giornata di ieri si sono squagliati davanti ad una realtà più complessa: i "finiani" sono divisi sul da farsi. Un'incertezza che riguarda anche Fini? Fabio Granata sin dalla prima mattina ha raccontato a tutti che Fini era con lui e che il mandato era quello di insistere. Il Presidente della Camera - invitato a far sentire la sua voce da diverse parti («Come può - gli ha chiesto Osvaldo Napoli - restare muto rispetto allo spettacolo indecoroso di chi gli dichiara devozione?») - si è limitato a far trapelare il suo fastidio per «i toni eccessivi» usati da Granata, ma anche la sua irritazione per il clima di «caccia alle streghe» creato dai berlusconiani. La stessa posizione ecumenica espressa ufficialmente da Italo Bocchino, l'uomo più vicino a Fini. Ma come fa notare Augello, «in un caso come questo è difficile stare con Granata e anche con Mantovano» e infatti, mai come stavolta, i finiani "moderati" - Adolfo Urso, Pasquale Viespoli, Silvano Moffa, lo stesso Augello - ci hanno tenuto a far sapere, attraverso comunicati ufficiali, il loro dissenso rispetto alla linea della rottura impersonata da Granata. Certo, nella polemica di queste ore giocano anche fattori personali. Fini, che considerava Mantovano una sua "creatura", non ha mai perdonato all'attuale sottosegretario i duri attacchi ai tempi del referendum sulla procreazione assistita. Eppure - come sussurra un finiano - «a nessuno di noi può sfuggire un dettaglio decisivo: i maggiori tifosi della scissione sono gli ex colonnelli di An e sarebbe un errore imperdonabile dargli ragione».



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