Cominciamo dai fatti: sono le 22 di lunedì; e all’improvviso dei potenti fari illuminano il motopesca “Ariete”. Dalla motovedetta libica viene intimato l’ordine di consegnarsi. L’equipaggio del peschereccio non se ne dà per inteso, e si allontana a tutta forza. A questo punto i libici cominciano a sparare e parte l’inseguimento. A bordo dell’unità libica risono a bordo anche dei militari italiani della Guardia di Finanza. Cosa ci fanno. La loro funzione è quella di “osservatori”, consulenti tecnici. La motovedetta è una delle sei unità che il Governo italiano ha donato al dittatore libico Gheddafi, nell’ambito degli accordi di amicizia per fermare l’immigrazione clandestina. Il peschereccio italiano è riuscito a sottrarsi alla cattura ed è rientrato a Lampedusa. Per fortuna nessuno dei dieci uomini dell’equipaggio ha patito conseguenze. Il problema però c’è tutto. L’assalto libico è avvenuto a circa trenta miglia dalle coste libiche, al confine con la Tunisia, all’interno del golfo della Sirte: una zona di mare controversa: le norme del diritto marittimo internazionale, che parla di dodici miglia dalla costa, danno ragione agli italiani: è una zona di mare libera. Tripoli però sostiene che è di competenza libica.
Per riassumere: in una zona di mare che la comunità internazionale ritiene libera, un motopeschereccio italiano viene attaccato e mitragliato da una motovedetta libica donata dagli italiani nel quadro di un accordo di amicizia tra Italia e Libia, e a bordo della motonave ci sono dei militari italiani.
A questo punto si comprende bene come mai il loquacissimo presidente del Consiglio questa volta taccia; e sì che non più di qualche giorno fa aveva accolto con calore il “caro amico Gheddafi”, accettando con serena condiscendenza ogni sua sguaiata stravaganza. Tace anche Massimo D’Alema, che ha fatto votare il PD assieme alla maggioranza a favore dell’infame trattato; dalle parti del PD si leva solo una flebile richiesta, attraverso la coordinatrice delle Commissioni istituzionali del gruppo alla Camera Sesa Amici, che il Governo riferisca in Aula, e “chiarisca tutti gli aspetti dell’accordo siglato con la Libia”. Questa richiesta sugli aspetti da chiarire perché è stata fatta due anni fa, quando c’è stato il dibattito parlamentare, e invano i deputati radicali, Furio Colombo e un altro paio di deputati del PD invano si sono opposti a che venisse firmato quello che tutto il resto del PD ha approvato? Da chiarire indubbiamente c’è molto. Anche, per esempio, perché D’Alema ha preso la posizione che ha preso, e perché l’intero PD l’ha supinamente accettata.
Tacciono, e si capisce. E come definire se non patetico un ministro degli Esteri che fa sapere di aver attivato "l'ambasciata d'Italia a Tripoli per acquisire in raccordo con le competenti autorità libiche, dettagliati elementi sulla vicenda e per accertare l’esatta dinamica dei fatti, alla luce dello stretto rapporto di collaborazione fra i due paesi"? Non meno patetico il ministro dell’Interno Maroni che dispone un’inchiesta “per accertare se nella vicenda emerga un’utilizzazione dei mezzi donati dall'Italia per potenziare il contrasto all’immigrazione clandestina non coerente con le previsioni del trattato firmato nel 2007”, ha cura di sottolineare, dall’allora ministro dell’Interno Giuliano Amato. Ma come? Se fino a ieri con orgoglio rivendicava in comunicati, conferenze stampa, comizi, il fatto che grazie a quel trattato di amicizia non arrivavano più clandestini in Italia, che Lampedusa era vuota e non più terra di sbarco, e che tutto ciò era dovuto al fatto che la Lega era intervenuta possente e con decisione? Ora che i libici, in virtù di quel trattato, mitragliano un peschereccio italiano come fosse un barcone carico di extracomunitari clandestini, ecco che ci si ricorda che il trattato è del 2007 e porta la firma di Amato?
La verità è che si dovrebbero tutti vergognare. Quel trattato di amicizia tra Italia e Libia è stato votato da PdL, Lega e PD nel suo complesso; un trattato che vìola Costituzione, la Carta dei Diritti dell’Uomo e la Carta dell’ONU. Ed è una grave macchia sul PD, quel voto dato per ragioni inspiegate per ordine di D’Alema, un trattato anche militare con Gheddafi che cambia la politica estera italiana.
Come dice il detto popolare: hanno seminato vento. Ora si raccoglie tempesta.
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