In un editoriale di Ernesto Galli della Loggia del 20 settembre, dal titolo “La solitudine dei numeri due” sul “Corriere della Sera”, il nostro professore tirava in ballo il "vero vantaggio strategico della destra italiana sulla sinistra": la destra ha un capo, la sinistra no. Chissà a cosa pensava quando ha dovuto stabilire il titolo dell’editoriale, l’evidente assonanza con il primo romanzo di Paolo Giordano “La solitudine dei numeri primi” è palese, tuttavia non c’entra assolutamente nulla. Nel romanzo i numeri primi hanno proprio il significato matematico, cioè quei numeri un po’ solitari che sono divisibili solo per 1 e per sé stessi. Numeri “sospettosi e solitari” come afferma Giordano a riguardo di uno dei protagonisti del romanzo.
Invece, Galli della Loggia interpreta evidentemente quel “primi” come se fosse un aggettivo, cioè quelli che in una serie occupano il posto numero uno, che precede tutti gli altri in ordine di tempo o di spazio. In sostanza si riferisce ai capi, a quelli che fanno la storia, mentre i numeri due (che dà il titolo al suo editoriale nonostante il numero due sia anch’esso numero primo ma evidentemente il prof. è poco ferrato in matematica) sarebbero quelli che non fanno la storia. Perciò passa subito a dimostrare la sua tesi: Silvio Berlusconi (numero primo in senso aggettivale di capo della destra) è il capo indiscutibile sia perché non è disposto a transigere, sia perché nessuno ha mai pensato di prenderne il posto. Lo dimostrerebbe il fatto che “non appena Gianfranco Fini ha esercitato una libertà di critica è stato cacciato dal Pdl su due piedi”. In verità questo non dimostra proprio un bel niente ma solo che l’anima del potente di turno, diventa prepotente e di conseguenza anche impotente come ben dice Marco Pannella nella sua lucida analisi del potere di Silvio. Infatti, quello che vediamo è che la destra si sta disgregando sotto gli occhi di tutti, e non è affatto vero, come afferma Galli della Loggia, che “il candidato della destra è il suo capo effettivo conosciuto e riconosciuto come tale”.
Quando poi il prof. passa a spiegare perché la sinistra non riesce ad avere un capo, ne enuncia tre motivi che appaiono anche molto deboli: il primo è perché dopo la fine dell’Unione Sovietica non ha scelto l’identità socialdemocratica preferendo quella furbastra e più ampia dei “democratici”. Anche questa tesi non appare condivisibile. E’ fin troppo evidente che il problema della sinistra non è la sua presunta identità democratica o socialdemocratica quanto piuttosto la mancanza di coraggio nelle proprie idee e quindi la mancanza di identità tout court. Gli unici con un po’ di sale in zucca che si battono mantenendo ferma la barra del timone sono i radicali. Bisognerebbe fare loro un monumento perché ogni volta tirano le castagne dal fuoco del PD, e perché si sono mostrati e dimostrati sempre leali fino in fondo; invece ancora adesso vengono inspiegabilmente visti con sospetto. Quousque tandem abuteris PD patientia nostra...
L’altro motivo per il quale la sinistra non riesce ad avere un capo secondo il professore è la divisione ideologica della sinistra (Rifondazione, IdV, Grillini, Verdi, ecc.). Questa divisione farebbe che il principale interesse politico non sia la vittoria sulla destra ma il mantenimento in vita delle proprie sub identità . Anche qui, non si capisce perché le tante sub identità debbano essere qualcosa di negativo: non possono essere viste come correnti del partito? Il problema è piuttosto che fatta la conta, la corrente che vince non porta avanti il suo programma perché le primarie non sono mai state metabolizzate nel PD. Sono fatte sapendo già chi vincerà . Le primarie sono l’introduzione di un metodo democratico in un ingranaggio che non è preparato per riceverlo. Non sono le diverse anime della sinistra il problema ma la mancanza di democrazia e di confronto dentro il partito, come del resto hanno denunciato più volte i radicali.
Infine, il terzo motivo sarebbe il forte elemento antigerarchico presente nella cultura della sinistra: l’ostilità che ci sia uno che comanda e gli altri che obbediscono. Ma anche questa è una conseguenza del problema precedente: l’incapacità di aprire un gioco al buio nel quale vince chi più convince. Chi se ne frega che possa essere Beppe Grillo, o Nichi Vendola. Se ha convinto, ha i numeri per fare il capo e soprattutto ne è legittimato. Punto e basta. Sbaglia il professore quando pensa che ci sia un forte elemento antigerarchico nella sinistra, quello che c'è, invece, è un forte elemento antidemocratico. Non permettendo ai Radicali di partecipare alle primarie, come accadde a Pannella, non si risolve il problema del PD, piuttosto si acuisce la solitudine dei numeri primi. Intesi come aggettivo.