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Trent’anni dopo, la storia si ripete
Una legge truffa contro il referendum. Vogliono tutelare l’impianto illiberale del testo. L’apertura del diessino Chiti ci sconcerta.

• da Il Riformista del 26 agosto 2004, pag. 2

di Daniele Capezzone

No, non ci siamo. La leggina ammazza-referendum di Forza Italia, che ha iniziato l’altro ieri il suo iter parlamentare dinanzi a due soli senatori presenti (incluso il presidente di turno Fisichella…) è un "pacco", una truffa, un Rolex falso, un tappeto persiano "made in Caserta".

Intendiamoci, la storia è piena di questi espedienti. Nel 1973-74, per evitare che i cittadini potessero pronunciarsi sul divorzio, si escogitarono altri papocchi del genere, dalla "legge Bozzi" alla "legge Carrettoni". Come Pannella ha buon gioco a ricordare, ognuno aveva il suo "sarchiapone" da proporre: chi tirava fuori il "divorzio polacco", chi si accontentava di limitarlo ai soli matrimoni civili (cioè, allora, a circa al 2% delle unioni…). Insomma, qualunque escogitazione sembrava andar bene a chi (in genere, per una malcelata volontà di preservare il disegno del "compromesso storico") voleva evitare la celebrazione del referendum. Ma i radicali, i socialisti, i laici tennero duro, ebbero al proprio fianco parte consistente dell’elettorato cattolico, e soprattutto poterono contare sul grande appoggio del popolo di sinistra, che alla fine (ma proprio alla fine: ancora a 40 giorni dal voto, "L’Unità" di allora bollava il referendum come una "jattura"…) trascinò anche Berlinguer e il Pci.

Oggi, l’obiettivo della leggina-truffa è assolutamente analogo. Da una parte, quello di lasciare in piedi l’impianto illiberale della legge sulla fecondazione, modificandone solo aspetti marginali; e dall’altro, quello di sfilare dalle mani degli italiani quelle schede referendarie che tanto faticosamente stiamo cercando di consegnar loro.

La strategia della Casa della libertà (libertà provvisoria?) è chiara. Prima (con l’avallo della Margherita di Rutelli, ansiosa di competere nella gara di ossequio alle gerarchie vaticane) si è votata la legge-burqa sotto il pungolo della Cei di Camillo Ruini (indimenticabile la sequenza delle sue lettere ai capigruppo di Palazzo Madama per un’approvazione della legge a tamburo battente); poi si è imbavagliato tutto l’imbavagliabile (a cominciare da Mediaset) per impedire ogni dibattito; e ora, quando neanche tutto questo sembra bastare, si ricorre alla leggina scippa-quesiti.

Adesso, resta da capire come si comporterà l’opposizione. E’ noto che per mesi abbiamo denunciato l’atteggiamento dei Ds, e in particolare di Piero Fassino, che ci è parso di fatto complice con la liquidazione dei referendum. Due giorni fa, invece, a cominciare da Pannella, abbiamo salutato con grande favore l’iniziativa corale di tanta parte del gruppo dirigente diessino, che ha chiesto a tutti i suoi Consiglieri comunali e provinciali di mobilitarsi. Ci era parso finalmente che i tanti diessini impegnati da molto tempo (uno per tutti, e con particolare generosità, Lanfranco Turci) non fossero più soli. Detto questo, e ribadito il buon auspicio, confesso però di aver letto con qualche sconcerto la prima dichiarazione del coordinatore della segreteria Ds Vannino Chiti sull’iniziativa di Forza Italia: una sorta di "apertura", di disponibilità a riaprire le danze (o i balletti) parlamentari per truffare il referendum.

Mi auguro che le parole abbiano tradito il pensiero di Chiti, che è persona prudente e ragionevole. E per questo, da una parte spero che Forza Italia voglia rimettere nel cassetto la sua proposta, e dall’altra che anche a sinistra nessuno si culli nell'illusione di trattare le firme referendarie come una merce di scambio da sacrificare in nuove "bicamerali" (con la Cei, in questo caso, più che con Berlusconi...).

Non c'è -quindi- da "scongiurare" il referendum; anzi, non c'è da "scongiurare" proprio nulla. Quando si dà la parola ai cittadini, non si tratta di un evento negativo, da temere, ma della massima espressione democratica prevista dall'ordinamento repubblicano. E il referendum -voglio dirlo anche a Massimo D’Alema- non è uno "stimolo" affinché poi in Parlamento "si tratti". Con la raccolta delle firme, 500mila elettori convocano il "sovrano", cioè l’elettorato tutto, cui andrà la decisione definitiva.

Perciò, è l’ora di stare uniti. Vi sono cinque quesiti, l’uno per cancellare tutta la legge, gli altri per abrogarne singole parti. I radicali li sostengono tutti, e sono lieti che tante personalità abbiano deciso, con noi, la strada della raccolta congiunta. Adesso, dobbiamo portare a casa le firme (anche sbloccando le ostruzioni che continuano a verificarsi in troppi Comuni), e subito dopo bisogna prepararsi a difenderle dalla mannaia della Consulta. Sapendo bene che anche lì tutto dipenderà dal livello di informazione e coinvolgimento che sapremo creare: se cioè la Corte sentirà o no di avere addosso gli occhi e l’attenzione del Paese.

Andiamo a firmare, allora, e non fasciamoci la testa (neanche con una bandana) prima di essercela rotta.



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