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Onu, inutile raccomandarsi a Bush
Bonino, invece di pietire uno scranno, Berlusconi si faccia portatore di una politica più autorevole.

• da L'Unità del 27 agosto 2004, pag. 6

di Umberto De Giovannangeli

"Invece di aiutare l’aiuto di George W. Bush o di essere tormentato dall’incubo tedesco". Silvio Berlusconi farebbe bene a rilanciare l’iniziativa per un seggio al Consiglio di Sicurezza aggiuntivo a quelli di Francia e Gran Bretagna e, soprattutto, farebbe ancora meglio a schierare l’Italia per le riforme possibili, e più utili, delle agenzie Onu. Il presidente del Consiglio provi ad essere il leader di una politica piuttosto che della richiesta di uno scranno". A sostenerlo è Emma Bonino, europarlamentare radicale, già Commissaria europea per gli aiuti umanitari.

E’ con la "diplomazia delle lettere" che l’Italia può conquistare un "posto al sole"?

"Due premesse sono d’obbligo. La prima: non credo affatto che la riforma del Consiglio di Sicurezza abbia tempi brevi, al contrario penso che invecchieremo prima di vedere questo faticoso "parto". Seconda questione: mi sembra difficile che possa passare senza colpo ferire l’ingresso di un terzo Paese europeo con poteri di veto. Fatte queste premesse ne traggo due conseguenze: in primo luogo, in attesa dei tempi biblici di una riforma del Consiglio di Sicurezza, sarebbe bene occuparsi di cose che si possono fare da subito per migliorare il sistema delle Nazioni Unite, cosa che invece mi sembra di scarsa priorità per tutti quanti. Secondo: non ho particolari obiezioni all’utilizzo di lettere o altri sistemi "tradizionali" del fare diplomazia, basta non credere o illudersi e illudere che una lettera possa essere risolutoria o avere effetti miracolistici".

Al di là del metodo, su cosa dovrebbe attestarsi l’iniziativa diplomatica dell’Italia nella "partita Onu"?

"Nella difficoltà di avere un altro Paese europeo con potere di veto all’interno del Consiglio di Sicurezza, farei la battaglia sul seggio europeo. Difficile per difficile, ma almeno rappresenta una visione, un progetto che parte dall’Europa, con un grande valore simbolico, ma che prefigurare una futura, possibile composizione del Consiglio di Sicurezza in cui siedano a turno i rappresentanti delle varie associazioni regionali che si stanno creando nel mondo, ognuna ognuna con le proprie specificità. Come ipotesi futura vedo un Consiglio di Sicurezza di cui facciano parte i responsabili delle varie associazioni regionali".

Da più parti si paventa il rischio di un declassamento, di una emarginazione dell’Italia dai centri decisionali delle Nazioni Unite. Questo rischio a suo avviso esiste e da cosa nasce?

"Sinceramente non riesco a capire la certezza, quasi l’ossessione del governo italiano sull’ingresso della Germania nel nuovo Consiglio di Sicurezza. Non la comprendo perché non vedo a che titolo e per quali ragioni gli altri Paesi delle Nazioni Unite dovrebbero una tale sovrarappresentazione europea. Questa ipotesi non mi pare così certa né così immediata. A Berlusconi consiglierei invece di provare ad essere il leader di una politica invece che della richiesta di un posto, impegnando l’Italia in riforme importantissime da attuare nel breve periodo. La forza e l’autorevolezza di un Paese si misurano anche dalla politica che persegue con più o meno determinazione."

Una determinazione per fare cosa?

"Mentre tutti si focalizzano sul Consiglio di Sicurezza, ritengo che tutte le agenzie che rappresentano la parte "costruers" non militare – quella che da nonviolenta penso essere la parte che va più rafforzata – se ne occupa poca gente. Un esempio da segiore ed estendere è rappresentato dalla rivoluzione silenziosa così efficace che è avvenuta all’interno dell’Undp, la più grande agenzia Onu che si occupa di aiuto allo sviluppo. Il suo direttore, Mark Malloch Brown, ha fatto sua la tesi si Amartya Sen che non c’è sviluppo senza libertà e questa agenzia è divenuta oggi l’agenzia di sostegno alle elezioni, di osservazione elettorale, di promozione della democrazia. Ebbene, senza mettere in discussione la rappresentanza regionale nel "board" di agenzie e commissioni Onu, è possibile prendere l’iniziativa per dire che non basta essere membri di un’associazione regionale per far parte degli organismi dirigenti di queste agenzie se poi non si rispettano standard minimi di democrazia, per cui poi ci ritroviamo la Libia che presiede la Commissione diritti umani. Per una riforma progressiva delle Nazioni Unite non bastano i criteri regionali ma devono essere inseriti altri criteri, il primo dei quali deve essere il rispetto dei diritti umani, civili e politici, individuali e collettivi. Oggi, altro esempio, in Assemblea Generale i Paesi che non pagano lequote perdono il diritto di voto. Potrebbero anche perderlo per violazione sistematica dei trattati fondamentali ratificati. La democrazia, nei suoi principi fondamentali, deve essere un criterio-guida per definire gli assi portanti di una Onu realmente e positivamente riformata. Da anni stiamo predicamdo l’organizzazione della Comunità delle democrazie all’interno delle Nazioni Unite e questo per rafforzare la pesenza di una politica che abbia come metro comune Stato di diritto e democrazia. Tutto questo si potrebbe fare da subito senza bloccarci tutto in attesa di una riforma del Consiglio di Sicurezza che a me sembra lontana da venire. Un discorso che mi sento di fare a Berlusconi ma anche agli amici tedeschi, dediti anche loro alla scrittura di lettere o a tour elettorali per un seggio al Consiglio. E’ più utile per il mondo intero essere leader di una politica piuttosto che di uno scranno, sia pure prestigioso, al Palazzo di vetro. Il ministro degli Esteri Franco Frattini, e con lui molti altri esprimono una frustrazione. Ma una frustrazione non fa politica. E’ vero che l’Italia è sottorappresentata a livello delle Nazioni Unite, ma questo è un altro problema. Sono altre le battaglie in cui l’Italia dovrebbe cimentarsi e non lo fa..."

Ad esempio?

"Ad esempio una politica mediterranea. Io ho chiesto fino all’ultimo che l’Italia si battesse perché all’interno dell’Unione Europea, nella nuova Commissione, ci fosse un commissario al Mediterraneo, come segnale di una priorità politica. Non mi pare né che ci si sia provato né che si sia ottenuto un qualche risultato".



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