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La Turchia entri nella Ue senza altri tentennamenti
E l’Europa non si comporti da cittadella cristiana fortificata. O sarà veramente scontro di civiltà

• da L'Opinione del 7 ottobre 2004, pag. 1

di Dimitri Buffa

Dimostra soddisfazione e ottimismo l’eurodeputata radicale Emma Bonino, già commissario Ue, per il parere favorevole all’entrata in Europa della Turchia espresso ieri dalla Commissione europea che fino a fine ottobre sarà presieduta da Romano Prodi. Un sì condizionato, forse, “ma comunque un primo importante passo per evitare un disastroso scontro di civiltà alle nostre porte qualora prevalessero i pregiudizi sfavorevoli di alcuni commissari europei”.

Tutto bene allora?

La raccomandazione adottata oggi dalla Commissione europea è chiara: i criteri politici di Copenaghen sono rispettati a sufficienza per aprire i negoziati di adesione con la Turchia. Sicché non sussistono più motivi per ritardare questo processo essenziale per l’Europa e per lo sviluppo democratico turco.

Cosa non va allora?

Quelle ambiguità che mettono a rischio la decisione finale che dovrà essere presa dai capi di stato e di governo il 17 dicembre prossimo a Bruxelles. Quelle voci, secondo cui alcuni Stati membri, vorrebbero rimandare il “dossier Turchia” ad un periodo successivo ai referendum sul Trattato costituzionale europeo, confermano lo scenario contrario agli impegni assunti dal Consiglio europeo del dicembre 2002. All’epoca, i governi avevano chiaramente affermato che, se la Commissione avesse constatato il rispetto dei criteri politici di Copenaghen, i negoziati con la Turchia si sarebbero dovuti aprire senza ritardi.

Ma non sono troppi dieci o quindici anni per pensarci su?

No, perché sono gli stessi che ci vollero a portare la Spagna o la Romania dentro l’Europa. Il problema non è il tempo ma l’atteggiamento sincero di chi vuole veramente risolvere questo problema.

La Turchia soddisfa tutti i parametri richiesti?

Il grande sforzo fatto con l’approvazione del nuovo codice penale darà i suoi frutti pratici entro dieci anni e questo tutti gli esperti turchi lo sanno benissimo. Dieci anni è esattamente il periodo previsto prima che i negoziati entrino nella fase finale. L’importante è che i tempi coincidano.

Che succederà adesso?

Entro i primi di dicembre il relatore, un giovane deputato olandese, farà un rapporto non vincolante che verrà poi votato e il 17 ci sarà la decisione dei capi di stato e di governo. Nel frattempo noi radicali e liberali europei stiamo facendo la nostra opera di persuasione. Io per esempio la prossima settimana avrò un’audizione al Parlamento francese che non si annuncia affatto facile, ma non c’è scelta: ci si deve mettere in testa che tutti in Europa abbiamo bisogno di un apporto fresco come quello della Turchia. Non possiamo arroccarci dietro pregiudizi miserabili. E dobbiamo anche ricordare che la Turchia sta diventando un piccolo gigante economico con crescite annue del 6% che qui in Europa attualmente ci sogniamo. Cosa che risolverebbe anche le obiezioni di chi crede che ci sarebbe un aumento dell’immigrazione turca verso il vecchio continente.

Cioè?

Per me potrebbe essere vero il contrario, se continua così i 4 milioni di turchi che oggi popolano l’Europa potrebbero tornarsene a casa se la Turchia continuasse questa crescita enorme e se contemporaneamente si emancipasse anche dal punto di vista dei diritti civili.

Che rischi ci sarebbero invece se la trattativa si rompesse definitivamente?

Daremmo un segnale preoccupante a tutta la comunità araba e islamica laica e moderata che guarda all’Europa come un esempio di democrazia e laicità dello stato, non come a una diffidente cittadella cristiana arroccata sulle proprie radici. Questo provocherebbe altra instabilità a due passi dalle nostre frontiere orientali, e il rischio che ci sia un’involuzione autoritaria e teocratica anche ad Ankara diventerebbe tutt’altro che remoto.




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