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La battaglia per far votare le donne in Arabia Saudita

• da Corriere della Sera del 17 ottobre 2004, pag. 35

di Emma Bonino

Il suo giornale, caro Mieli, in questi giorni ha dato risalto a due notizie sulle donne nel mondo islamico, l’una relativa alla mobilitazione delle donne turche che si stanno organizzando per promuovere l’ingresso del proprio Paese nell’Unione Europea, l’altra, invece, riguardo alle recenti dichiarazioni di un membro autorevole della famiglia reale saudita per escludere la partecipazione delle donne alle elezioni municipali dell’anno prossimo. Se da un lato mi rallegro di quanto avviene in Turchia - e nel mio piccolo, da eletta radicale al Parlamento europeo, mi batto esattamente nella stessa direzione - dall’altro ritengo particolarmente grave la notizia sulla possibile esclusione delle donne dal voto in Arabia Saudita. Se questo venisse confermato, infatti, rappresenterebbe uno stop al processo di democratizzazione del mondo arabo che, anche attraverso la Conferenza di Sana’a, noi radicali abbiamo contribuito a intraprendere.



Risponde Paolo Mieli

Cara Bonino,

in una parte della sua lettera che (la legge è uguale per tutti) ho dovuto tagliare per ragioni di spazio, lei mette in rilievo che questa decisione, per di più, contraddice quanto scritto nella stessa Dichiarazione di Sana’a, sottoscritta anche dai membri del governo saudita presenti alla Conferenza, che stabiliva, tra l’altro, la necessità di un effettivo rispetto dei diritti civili e politici, senza distinzione tra sessi. Alla base dell’esclusione delle donne dal processo elettorale sarebbero state avanzate - per assurdo - delle ragioni di ordine... logistico, come la mancanza di scrutatrici per i seggi femminili o il fatto che molte donne non sarebbero in possesso di un documento d’identità valido. A questo punto devo ricordare che lei come parlamentare europea ha partecipato a diverse missioni di osservazione elettorale, anche nello stesso mondo arabo, e in particolare ricorderà la sua esperienza proprio in Yemen, due anni fa, dove invece si fece uno sforzo e i problemi logistici vennero risolti, permettendo un’ampia partecipazione al voto anche per le donne.

Per fortuna, trattandosi ancora di dichiarazioni, voi radicali - e lei in particolare - non vi date per vinti, e anzi state operando perché questo annuncio non si trasformi in realtà. Proprio per questo siete impegnati, sempre con l’associazione «Non c’è Pace senza Giustizia», in questi stessi giorni a definire, con il governo yemenita e le rappresentanze dei Paesi europei e del sistema delle Nazioni Unite presenti a Sana’a, l’organizzazione di una Conferenza sul ruolo e i diritti della donna nella penisola arabica che si terrà con ogni probabilità, sempre a Sana’a, il 20 e 21 dicembre prossimi, con la partecipazione di governi e attiviste dei Paesi della regione, (Kuwait, Bahrain, Qatar, Emirati Arabi, Oman, Arabia Saudita) nonché di Stati «simbolo», come da un lato la Turchia e dall’altro l’Afghanistan e l’Iraq.

«Sarà questa», lei mi scrive, «un’occasione anche di mobilitazione e di pressione politica da parte delle donne di quei Paesi che hanno già ottenuto almeno il diritto di voto, sperando che questo esercizio, che deve molto alla determinazione del governo yemenita e in particolare della ministra dei diritti umani, possa contribuire concretamente alla promozione dei diritti e del ruolo della donna, fattore essenziale per la promozione della democrazia nell’intero Medio Oriente». Come ho scritto più volte, cara Bonino, tra le tante meritorie battaglie da voi condotte anche su questioni di politica interna - meritorie tutte, anche quelle sulle quali ho qualche perplessità (si può?) - questa per rimuovere gli ostacoli a che i Paesi arabi conoscano la democrazia, è, a parer mio, particolarmente importante dal momento che costituisce l’unica concreta alternativa all’uso delle armi. E mi stupisco che tra gli amanti delle vie pacifiche alla democratizzazione di quei regimi autoritari, siano così in pochi a darvi una mano. Al punto da far sorgere il sospetto che - ai sedicenti costruttori di pace - della democratizzazione di quei Paesi non gliene importi un fico secco.



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