"Ah, Il Foglio... Leggendovi apprendo cose fantastiche sul mio partito, roba da collezione Urania. Giulianooooooooooo! Se ti occorrono altre balle - mini o maxi (e non mi riferisco certo al contributo dell’amico Benedetto) - da raccontare sul nostro congresso, posso indicarti informatori più attendibili o meno incredibili: mi pare che ce ne sia bisogno". Insomma, al gossip precongressuale di queste ore Daniele Capezzone preferisce di gran lunga il ragionamento sui fatti della politica. Ad esempio il cappotto elettorale appena subìto dalla maggioranza, che gli appare come la brutale conferma delle analisi che da tempo circolano in via di Torre Argentina. “Volevano le mezze porzioni? Sono stati accontentati. In questo risultato c’è tutto: il rifiuto tetragono di fare i conti con l’esistenza di Pannella e Bonino, la scelta dell’asse Bossi-Tremonti, il suicidio della ‘riforma’ Calderoli e infine la sequenza talebana degli ultimi mesi: no al divorzio breve (intanto loro sono tutti divorziati), promessa di carcere per chi ha sei spinelli in tasca, attacco all’aborto e legge proibizionista sulla fecondazione”. A colpire il segretario radicale è la sottovalutazione degli effetti di queste politiche sul voto degli italiani. “L’altra sera immalinconiva sentir dire da Cicchitto che tutto va bene, che si è trattato di un test poco o nulla significativo. Mi ha ricordato il ministro dell’informazione di Saddam, quello che sosteneva che la situazione era sotto controllo anche quando gli americani erano ormai entrati nel suo ufficio”. E quindi? “E quindi Berlusconi dovrebbe fare un primo bilancio di una legislatura in cui dispone di una maggioranza di cento deputati e di cinquanta senatori. E’ stato un buon affare non abolire il proporzionale, non fare vere riforme dell’economia e della giustizia, rifiutarci intese perfino in politica internazionale?”.
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Se Sparta trattiene le lacrime, Atene può permettersi al massimo qualche sorriso di circostanza. Capezzone non dimentica come sia presto evaporata l’offerta di dialogo con l'Ulivo raccolta con clamore - ma si era alla vigilia delle europee - da quel Giuliano Amato che oggi lavora di buona lena a modifiche della legge 40 che possano vanificare i referendum sulla fecondazione assistita. “Una volta si definì Eta Beta. Adesso non vorrei che sia venuto a patti con i tanti Gambadilegno in circolazione e che dalla sua capiente tasca sia pronto a estrarre solo attrezzi da scasso, piedi di porco e altra roba utile ai rapinatori. Capisco che la corsa al Quirinale abbia le sue esigenze, però un qualche limite andrebbe trovato…”. Il segretario non risparmia stoccate neppure a quanti vogliono invece irrobustire le ragioni del No, mobilitando rinunciatari e astensionisti. “L’amico Giuliano vuole (come tutti) sconfiggere Al Zarqawi ma per riuscirci non credo serva intraprendere crociate alla Goffredo di Buglione, riscoprire Carlo Martello a Poitiers oppure riesumare la battaglia di Lepanto. Né, per venire all’oggi, essere più ratzingeriani di Ratzinger. Semmai il problema è capire quale Occidente deve affermarsi. Se vincerà il nostro, quello liberale, allora sarà l’Oriente ad assomigliarci (e a produrre chissà quali altre fecondazioni assistite e Almodovar). Se invece a prevalere sarà quello di Giuliano, così corrusco e guerresco, pagheremo il prezzo per me insostenibile di essere divenuti troppo simili all’attuale Oriente”.
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Ripristinata la regola storica del congresso annuale durante il ponte di Ognissanti, il partito che venerdì si riunisce all'Ergife gode di buona salute: tremila iscritti, nuovi nuclei militanti e un bilancio economico meno drammatico che altre volte in passato. “Ora però ci attendono mesi complicati. Con la raccolta estiva di oltre un milione di firme (di cui 550mila firme da soli) abbiamo vinto solo il primo tempo della partita referendaria. Adesso ci attende una ripresa pesantissima, tra leggine truffa e mannaia della Consulta. E’ la storia di sempre e per capirla non serve un politologo, basta Totò: da una parte gli uomini, dall’altra i caporali. Tanto gli elettori di centrodestra quanto quelli di centrosinistra sarebbero ultrafelici di plebiscitare riforme liberali, dall’economia ai diritti civili. Il problema vero sono le rispettive leadership: se il Polo ha scelto quella che Pannella definisce la linea Fanfani-Almirante, i vertici dell’Ulivo sono se possibile ancor più terrorizzati dal voto (esattamente come quelli del Pci che nel 1974 fu trascinato dalla sua base alla vittoria sul divorzio). Ecco perché in queste condizioni è del tutto astratto e politicistico chiederci se e come ci presenteremo alle prossime regionali: noi non facciamo politica per le elezioni, semmai partecipiamo alle elezioni per costruire nuove occasioni di iniziativa e di battaglia civile”.
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