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Caro Capezzone, ti scrivo

• da L'Opinione del 5 novembre 2004, pag. 1

di Carlo Romeo

Poche righe per amicizia e affetto, nonchè se permetti anche con certa solidarietà per chi come te ha la ventura quotidiana di essere inseguito e inseguitore al tempo stesso di Marco, condizione peraltro - al tempo stesso e indiscutibilmente - molto e molto poco invidiabile. Poche righe insomma per confrontare con te alcune personali antiche e non risolte perplessità che barcollano fra il politico e il personale.

Leggo con soddisfazione sui giornali del congresso dei giorni scorsi che hai segnato il punto o se vuoi hai ripiantato ben ferma la bandiera radicale, non so se un po' come il Generale Custer al Little Big Horn o Compagnoni e Lacedelli sul K2. Bello dunque e utile, anzi determinante, per questo Paese oggi come ieri. Ma senza farsi più di tante illusioni perché, come sai benissimo, merito e conseguenza da soli pagano, anche in politica, male e raramente. Non si tratta di ingenuità, intendiamoci bene. Intelligenti ma non furbi né ingenui, i radicali hanno usato da sempre e sapientemente, per vivere la propria politica, rigore, fantasia e pazienza, acquisendo forza proprio grazie a questi strumenti. Ma i risultati e i bilanci al di là della generosità e della ragione, restano da sempre quelli che sono.

...La conventio ad excludendum che esiste e di cui Emma rappresenta esempio internazionale e risibile se non fosse drammatico, ci fa corteggiare la disperazione. Per non parlare poi dell'antico excludendum per Marco, che sarà pure un rompicoglioni (come lo liquida sovente chi a Palazzo lo teme) e che sono certo avrà uno splendido funerale affollatissimo ma francamente non vale proprio la pena morire per sentirsi dare ragione da certa gente. Tornando al Congresso, leggo i giornali e mi sembra di rileggere cose già lette decine e decine di volte. Copioni stravecchi. Spariscono ancora una volta magari dopo un invito alla mensa reale, i grandi precedenti entusiasmi di Pannella di fronte a personaggi che magari in quei contesti non sbagliano le posate del pesce ma che alla lunga restano quel che erano e che spesso cercano di andarsene, senza neppure dire grazie.

Andrea Tamburi, per fare un nome di un amico con cui mi è capitato di passare - non per festeggiare — gli ultimi due capodanni della sua vita, per esempio, le posate da pesce certamente le sbagliava però diffidava di certi inviti pranzo più o meno sollecitati. Fanno poi parte del copione i certi giornalisti esperti solo nel cogliere i dettagli marginali o banali e quindi più a portata di mano, del dibattito politico, riducendo il tutto allo scontro di poteri e dimenticando che nei congressi radicali di potere vero ne è sempre girato pochino. E ancora possiamo mettere nel copione gli interventi cronici inesorabili e impietosi di radicali che, un tempo almeno, Marco stesso riusciva a prevedere e anticipare a bassa voce persino negli incipit. Il tutto condito con nuvole di fumo irrespiabile, tale da demotivare persino Adriano Sofri. Eccetera eccetera. Dunque, solita solfa, richiedo? Segnali concreti che non arriveranno mai perché se arrivassero il compito radicale di trasformare una cultura politica sarebbe compiuto e si volterebbe pagina.

E poi, nel codice genetico radicale, a volte sembra quasi essere impresso un marchio che ha fatto la fortuna di tanto cinema americano in cui l'eroe è spaccato in due fra la tendenza all'integrazione e quella alla solitudine. Il che funziona al cinema ma nella vita può invece portare talvolta alla paranoia. Alla fine della storia, Emma non farà il commissario europeo come non lo ha fatto a suo tempo Marco per lasciare il posto al marito della Ripa di Meana. I radicali continueranno a essere, in tutti i contesti, non una risorsa ma un problema per la classe dirigente di questo Paese che divide i politici, come diceva Nietzsche, in servi o nemici. Se questo però è il quadro, alternative non ce ne sono e non ce ne saranno a breve. Per l'ennesima volta i referendum saranno serviti da sfogo al malessere e da pretesto per l'intelligenza dei singoli firmatari che su essi si trovano prima con la firma (e poi con un voto che facilmente verrà tradito o ignorato) ad approfondire e scegliere su temi nobili, per come e per quanto possibile. Basta comunque saperlo e saperselo dire. Verrebbe da salutarti con quel Garryowen che le comparse che accompagnavano Errol Flynn gridavano quando il Settimo Cavalleggeri caricava davanti alle cineprese di Hollywood. Solo che (a parte il fatto poi che i buoni in quel caso erano gli indiani), non è un film, come sappiamo bene, chi più chi meno sulla propria pelle. Con amicizia mentre un Montagne ci sussurra discreto che - comunque e alla fin fine - ciò che vien fatto con coraggio, è sempre fatto con onore, in tempi in cui la giustizia è morta. Va bene così. Un abbraccio



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