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Il regime dell'ex Birmania vuole nascondere la verità

• da La Stampa del 30 dicembre 2004, pag. 2

SEGRETARIO Capezzone, il ministro Fini ha raccolto il suo appello, condividendo la denuncia sui silenzi del regime birmano. Soddisfatto?

«Sono molto lieto che il ministro degli Esteri si associ alla denuncia dei Radicali italiani. Ma Fini può fare di più, avendo gli strumenti per esigere qualcosa da quel regime dittatoriale-militare» .

 

L'ex Birmania denuncia poche vittime. Perché sospetta che bari sui numeri?

«Basta consultare una carta geografica per rendersi conto che l'ex Birmania si trova al centro della catastrofe, del caos. Ha mille chilometri di costa: non è possibile che gli altri paesi denuncino decine di migliaia di vittime mentre il regime birmano soltanto alcune decine di morti. Possiamo tranquillamente ipotizzare che, in realtà anche nella ex Birmania le vittime siano decine di migliaia».

 

Cosa dovrebbe fare, dunque, il ministro degli Esteri?

«L'Italia è uno dei paesi più impegnati negli aiuti umanitari: deve pretendere che il regime birmano si comporti in modo diverso. Temo che in prima battuta, pur avendo danni e vittime addirittura maggiori rispetto agli altri paesi devastati dal maremoto, cercherà di sfuggire ai riflettori. Una volta che questi saranno spenti, i militari birmani saranno famelici al tavolo degli aiuti, per accaparrarsene il più possibile. I generali birmani sono degli autentici infami, sono riusciti, come i Talebani in Afghanistan, a farsi finanziare, dal programma antidroga delle Nazioni Unite, la riconversione delle colture di droga. Non hanno riconvertito nulla, si sono intascati solo i soldi».

 

Segretario Capezzone, qual è la sua proposta, anzi la richiesta che voi radicali rivolgete al governo italiano e alla comunità internazionale?

«Di riaprire, sia come singoli paesi l'Italia - che come Unione europea, la partita complessiva degli accordi di cooperazione con i paesi in via di sviluppo, e quindi anche con la ex Birmania. Accordi impeccabili, che prevedono splendide clausole sul rispetto dei diritti umani che alla prova dei fatti si rivelano solo carta straccia ma i finanziamenti comunque arrivano a destinazione. I vicini di casa dell'ex Birmania, il Laos, dal 1986 ad oggi ha ricevuto 126 milioni di euro che, ovvimente, non sono andati alla popolazione ma al regime laotiano. Dobbiamo avere il coraggio di ammettere che il fiume di aiuti occidentali serve a far fiorire dittature e a far appassire le speranze di libertà».

 

Cosa si deve fare?

«Mi auguro che dal grande male di questa tragedia, si imponga il caso birmano. Intanto, bisogna costringere quel regime dittatoriale-militare a dire la verità, a far vedere al mondo quanto sia stato devastante il maremoto. Il governo italiano ha il potere di pretendere che la comunità internazionale esiga dal regime birmano comportamenti diversi. Si deve affermare il principio del ricatto democratico: nessun euro o dollaro deve finire nelle tasche di chi non garantisce che queste risorse saranno destinate alla popolazione. Di più: questi paesi devono dimostrare di voler compiere passi in avanti nella direzione della libertà, della democrazia, del rispetto dei diritti umani».

 

"Sono lieto che il ministro Fini sia associato alla denuncia dei radicali. Ma deve fare di più per esigere qualcosa da quel Paese a dittatura militare"



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