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A proposito del nostro compagno Bruno De Finetti…

5 luglio 2006

di Gualtiero Vecellio

Molto belle le due pagine che il supplemento culturale del Sole 24 Ore domenica scorsa ha dedicato a Bruno De Finetti, in occasione del centenario della nascita. “Una vita contro l’imbecillocrazia” è l’azzeccata sintesi. Un genio matematico, De Finetti: “ampiamente riconosciuto negli Stati Uniti. Da noi per il suo spirito riformatore è stato spesso relegato nel ruolo del rompiscatole. Autore di teoremi fondamentali della statistica, coltivava il gusto delle applicazioni utili all’economia e alla società. Lo guidava il sogno concreto di un mondo più civile e meno ingiusto. Per descrivere la ‘dissennata disfunzione dell’inqualificabile pseudoapparato dello Stato’ coniò termini come ‘giuridicolaggine’, ‘brurofrenia’, ‘burosadismo…”. E, appunto, “imbecillocrazia”.

 

Riformatore, relegato nel ruolo di rompiscatole, sognatore concreto…in una parola: radicale. Come effettivamente De Finetti era: radicale iscritto al Partito Radicale, per lungo tempo accettò di essere – lui che non era iscritto ad alcun albo giornalistico, né professionistico né pubblicistico – di essere direttore responsabile di Notizie Radicali. In quella veste si trovò ad essere protagonista di una vicenda con il senno di poi, gustosa e di un qualche significato. Che merita di essere ricordata: perché “descrive” l’uomo; e perché di quella vicenda, emblematica di come anche allora poteva funzionare la macchina della giustizia, si va smarrendo la memoria; e anche tra noi radicali.

 

Aveva la non più verdissima età di 71 anni, quando De Finetti rischiò di finire in una cella del carcere romano di Regina Coeli. Dopo aver militato nel Movimento Politico dei Lavoratori, l’effimera organizzazione che Livio Labor aveva costituito fuoriuscendo dalle ACLI, De Finetti, che già era doppia tessera, sempre più si trovò coinvolto nelle battaglie per l’affermazione dei diritti civili. Come s’è detto, pur senza essere iscritto agli albi della corporazione giornalistica, e in dichiarata polemica con le leggi sulla stampa, accettò di assumere la direzione responsabile di NR, ne fu direttore per anni senza che le autorità osassero fiatare.

 

Un giorno il giudice romano Antonio Alibrandi, noto per le sue simpatie di estrema destra, diede il via a un’inchiesta su un’ottantina di persone accusate di far parte di un’organizzazione collaterale all’allora Lotta Continua, i Proletari in Divisa. A dar credito ai capi di imputazione, si trattava di cose gravissime: istigazione a disobbedire rivolta ai militari, associazione sovversiva e una sfilza di altri reati solitamente contestati a chi si macchiava di terrorismo. Per tutti era stato disposto l’arresto immediato, e la accurata perquisizione domiciliare, alla ricerca (e sequestro) di tutto il materiale che comprovasse l’attività politica. Un mandato così ampio che consentiva il sequestro di qualsiasi cosa, volantino, libro, giornale che fosse. Quasi tutti i colpiti dal provvedimento erano militanti di Lotta Continua (tra gli altri, un paio di direttori dell’omonimo giornale, e i figli del senatore Paolo Emilio Taviani), e chissà perché, un pugno di militanti radicali: l’allora segretario Roberto Cicciomessere, De Finetti appunto, ed altri tre militanti: Giancarlo Cancellieri, Andrea Tosa e chi scrive. Secondo l’ordine di arresto, eravamo colpevoli di aver distribuito materiale sovversivo all’interno di caserme (dove peraltro mai avevamo messo piede) per conto di un’organizzazione di cui mai avevamo fatto parte; di aver organizzato scioperi del rancio e altre simili manifestazioni. Accuse che, almeno per quel che riguarda i radicali, non avevano fondamento; ci si batteva per l’affermazione dell’obiezione di coscienza, altro che per la “proletarizzazione delle forze armate! Per quel che riguarda De Finetti si ipotizzava tra le altre cose, la distribuzione di volantini dentro una caserma di Orvieto, città, mi disse, dove da almeno trent’anni non metteva piede. Ma il giudice Alibrandi era un perfetto giudice della giustizia italiana di allora (e anche di ora, a ben vedere).

 

De Finetti e i radicali decisero di stare al gioco del magistrato. Se aveva spiccato mandato di cattura, ebbene ci saremmo consegnati. La polizia venne convocata una prima volta, e Cicciomessere arrestato davanti a Montecitorio. Per De Finetti e noi l’ “appuntamento” venne spostato di qualche giorno. In coincidenza con la cerimonia di apertura dell’Accademia dei Lincei di cui De Finetti era autorevolissimo membro, e alla presenza dell’allora presidente della Repubblica, Giovanni Leone. Non so se sia possibile immaginare la scena di quel giorno: da una parte i solenni cattedratici convenuti alla cerimonia, e per l’occasione tutti solidali con De Finetti; e poco discosti una torma di radicali con i loro eterni cartelloni al collo. Al centro lui, De Finetti, più vitale e allegro che mai, certo molto più giovanotto di noi che lo seguivamo verso il cellulare in fondo alla strada, accompagnati da agenti di polizia molto cerimoniosi e per nulla convinti di arrestarci. A un certo punto anzi dovevamo sembrare un po’ abbattuti, Giancarlo e io, se De Finetti e un altro “giovanotto”, il senatore Umberto Terracini (accorso quella mattina e che a tutti costi volle assumere la nostra difesa) si sentirono in dovere di rincuorarci, e raccontarci storielle spiritose.

 

Fummo portati in questura, sommariamente interrogati; la scena a pensarci oggi, una comica: chiaramente volevano perder tempo, non avevano nessuna voglia di portarci in carcere. Ci chiesero se avevamo mangiato, e osservando che saremmo arrivati in cella quando il pranzo già era stato distribuito, vollero a tutti costi che si mangiasse qualcosa, e fecero portare panini, birra e caffè. Poi, dopo aver esaurito tutti i motivi per ritardare l’ “esecuzione”, finalmente ci fecero salire sulle volanti direzione Regina Coeli. Solo che sbagliarono più volte la strada, e per un percorso che solitamente si fa in pochi minuti, fu impiegata quasi un’ora. Alla fine, si arrivò. Avevamo già varcata la soglia del carcere, stavano per prelevarci le impronte digitali di rito, ed ecco arrivare da palazzo di Giustizia la revoca dell’ordine di arresto. Ci fecero subito uscire, non so se più noi o loro sollevati. Era accaduto che il capo della procura aveva trovato il marchingegno per sottrarre noi quattro al suo sostituto e disinnescare la “bomba” che l’arresto di De Finetti minacciava di far esplodere; noi radicali beneficiammo dello “scudo” della popolarità e dell’autorevolezza di De Finetti, e la nostra posizione fu stralciata; per qualche mese ci venne appioppato formalmente un più consistente reato di terrorismo, che consentì di affidare quella parte di inchiesta a un magistrato che di quelle cose si stava occupando; e poi tutto finì archiviato.

 

L’episodio, ad ogni modo, rivela di che pasta era fatto De Finetti. Lo ricordo bene, mentre stavamo varcando la soglia del carcere: lo sguardo da eterno fanciullo, rideva con gli occhi, era molto divertito. Deve essere stato buffo per i passanti di quel giorno, vedere quel vecchio-giovane, che si reggeva aiutandosi con un bastone, circondato da poliziotti ossequienti, mentre rideva e scherzava con Terracini, e noi che di trascorrere un soggiorno in carcere non eravamo per niente entusiasti.

 

Su Prova Radicale, nel 1972, venne pubblicato un suo lungo scritto. Ancor oggi attuale, come dimostra lo stralcio che segue:

 

“…Diritti civili e chiesa: Non meno importante è la battaglia per i diritti civili, così tenacemente avversata dalle autorità e gerarchie di ogni risma (e in particolare da tutte quelle che si fanno tutelare dalle leggi sul vilipendio per potersi tranquillamente comportare in modo da meritarsi il vilipendio). Particolarmente importante, in Italia, è il problema della chiesa e della smania che spesso la assale di intromettersi in faccende che non la riguardano (o tutt’al più, riguardo alle quali potrebbe dare privatamente consigli ai suoi fedeli) E soprattutto la questione è scottante oggi, perché tale smania si esplica in forme dissennate e virulente, e tanto più difficili da comprendere e tollerare dopo che la chiesa – sotto l’illuminata guida di papa Giovanni, indimenticabile autore della “Pacem in Terris” – aveva mostrato di poter ancora riabilitarsi e riuscire a dire una parola di saggezza e di conforto, al di fuori di ogni meschino confessionalismo, “a tutti gli uomini di buona volontà”.

Perciò la ricaduta della chiesa in deliri medievali e sanfedisti (o stalinisti, come è stato scritto da le Monde) non può non essere doppiamente deplorata (cioè: anche dal punto di vista religioso, oltre che da quello politico), da quanti aderiscono sinceramente ad essa (alle sue idealità, non alle sue malefatte), e da quanti comunque si sentono partecipi di quei valori di amore e di giustizia che hanno avuto accenti mirabilmente sublimi nel messaggio evangelico.

Mostruosa è poi la vera e propria persecuzione, attuata dalle gerarchie e da autorità ad esse succubi, contro molti veri cristiani (basti menzionare i dignitari come i cardinali Lercaro, Suenens, Alfrink, l’abate Franzoni e mons. Capovilla, sacerdoti e religiosi come don Milani, don Mazzi, padre Balducci, parroci e preti delle borgate romane, teologi come Kung e Schillebeeck, laici come Raniero La Valle e Franco Cordero…)…”.

       

Quando si parla del Partito Radicale e della “magia” di cui è dotato: ecco, è una “magia” che si spiega perché in questo partito accade di trovare persone straordinarie e fantastiche come Bruno De Finetti.



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