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Cerrone: “Gli altri laici? Radicali con le pantofole”
VIAGGIO NEL MONDO RADICALE / 9 – Il dirigente napoletano rivendica la storica supplenza pannelliana alla Casa Laica

• da L'Opinione del 29 luglio 2004

di Vittorio Pezzuto

Si fa presto a dirsi laici. E a sostenere che occorre riunirsi in un unico soggetto politico per cogliere finalmente le potenzialitĂ  - in termini di consenso elettorale e di reale incidenza sulla qualitĂ  della vita dei cittadini - di una vasta e prestigiosa area di pensiero che nel tempo si è andata liofilizzando. Poi però succede che alla prova dei fatti emergano le prime difficoltĂ  tecnico-organizzative e che l’entusiasmo iniziale ceda il passo a qualche perplessitĂ . Prendiamo il caso dei referendum contro la legge sulla fecondazione medicalmente assistita, da molti considerati un primo banco di prova per la costituzione della Casa Laica. Per mesi socialisti, repubblicani e liberali sparsi hanno spiegato ai Radicali che il successo della campagna passava solo attraverso l’unione di tutte le forze laiche. Ma una volta costituitisi in comitato promotore unitario su quattro quesiti di abrogazione parziale, i laici sembrano per il momento sopraffatti dal "generale estate". A due mesi scarsi dai termini fissati per il loro deposito in Cassazione, i moduli carbonati non sono ancora stati stampati e distribuiti. Non solo. Resta tuttora da decidere chi (e in quale misura) dovrĂ  accollarsi i costi della raccolta firme e soprattutto all’orizzonte non si scorgono le promesse legioni di militanti laici pronti ad aprire, penne alla mano, migliaia di tavolini in tutta Italia.

Pessimismo ingiustificato? Forse, e ce lo auguriamo. Resta il fatto che in occasioni del genere non si può non notare una - appunto - radicale differenza tra gli aderenti alle altre famiglie laiche (che si armano con lentezza) e i militanti pannelliani (che invece sono giĂ  partiti da mesi sul loro quesito interamente abolizionista). "E’ la storia di sempre: i liberali e i laici in genere sono sempre stati i radicali con le pantofole" osserva Antonio Cerrone, membro della direzione del partito. Un giudizio piĂą che autorevole il suo: iscritto al PR dal 1976, quando il simbolo era ancora quello del berretto frigio, questo napoletano incarna da decenni il prototipo del militante pannelliano che non esita a informare la sua esistenza allo lotta quotidiana per le battaglie nonviolente che di volta in volta vengono decise. Fantasia, determinazione e capacitĂ  di adattamento inesauribili lo hanno ben presto trasformato in un personaggio di spicco della politica napoletana. A tal punto che anni or sono una studentessa della FacoltĂ  di Scienze Politiche dell’UniversitĂ  di Napoli si è potuta laureare con una tesi su "Antonio Cerrone: fenomenologia di una militanza radicale". Quando gli chiediamo un giudizio sul progetto di Casa Laica ci risponde che "non vi è dubbio che manchi e che finora alla sua assenza abbiano supplito per decenni i Radicali. Purtroppo in Italia una vera rivoluzione liberale e militante non c’è mai stata. Sono quindi favorevole a un serio tentativo in tal senso anche se ho qualche dubbio su cosa intendano fare i nostri interlocutori. Non dimentico infatti che molti di loro sono proporzionalisti convinti, indifferenti alla politica proibizionista e poco inclini a mobilitarsi nelle piazze per incarnare principi e valori".

Sulla spinta di istanze anarchiche, liberali e libertarie lei è arrivato al Partito Radicale quando questo era ancora una forza extraparlamentare. Trent’anni dopo il rischio per voi è proprio quello di restare definitivamente fuori dalle istituzioni. Ve lo potete permettere?

Il partito senz’altro, anche perchĂ© da sempre la sua organizzazione poggia sulla militanza e sull’autofinanziamento. Quanto invece alla possibilitĂ  di incidere dalla strada sulla politica del Palazzo… beh, questo dipende solo dall’informazione radiotelevisiva. Se si riesce a strapparla si ottengono significative vittorie e pure quella forza parlamentare che al momento ci manca. Altrimenti è tutto inutile: la partita resta truccata.

I Radicali hanno legato gran parte della loro storia allo strumento referendario. La considera un’arma ancora praticabile?

Ne sono certo e lo prova indirettamente la reazione dei cittadini in queste calde giornate estive. Sta infatti accadendo quello che è sempre successo: appena un minimo di informazione comincia a circolare nel paese la gente accorre ai nostri tavoli e firma entusiasta. Si rinnova così il miracolo laico della fiducia popolare nel referendum e in noi svanisce la fatica accumulata nelle prime difficili settimane di raccolta.

Diversi suoi compagni si sono detti favorevoli a un eventuale accordo elettorale con il centrodestra, sia pure stipulato su obbiettivi limitati e ben precisi. Cosa ne pensa?

Credo che abbiamo sempre trovato ascolto nella componente liberale di entrambi gli schieramenti. E che non abbiamo mai rifiutato le offerte di alleanza da parte di entrambi i poli, se non altro perché non ce ne sono mai giunte. Guardi, la si può vedere come si vuole ma è indubbio che nessuno finora ci abbia proposto un contratto elettorale complessivo o parziale. Al massimo si sono limitati di volta in volta ad aderire a una nostra iniziativa. Pochino, è vero. Ma addirittura quasi nulla se poi alle adesioni formali non seguono neppure i fatti.



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