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«Il burqa? Fanno bene a vietarlo»
Intervista alla leader radicale dopo l’ordinanza del sindaco leghista di proibire caschi, veli e chador

Emma Bonino: alcune tradizioni culturali sono accettabili, altre no

• da Il Messaggero del 5 agosto 2004, pag. 7

di Mario Ajello

ROMA Emma Bonino sta, come quasi ogni pomeriggio, al suo corso di arabo in una scuola del Cairo, in Egitto, dove vive.

Onorevole Bonino, come giudica l’ordinanza del sindaco friulano che dice "vietato coprirsi il viso, anche col velo" delle donne musulmane?

"Dipende da che tipo di velo si vuole vietare. Se un velo integrale o parziale".

Il sindaco leghista Bortolotti, di Azzano Decimo, provincia di Pordenone, non si inerpica nelle differenze. Dice che non bisogna coprirsi la faccia con un casco o con un burqa o con altro. Giusto o sbagliato?

"Giusto. Io sono d’accordissimo. Non si va nei luoghi pubblici in maniera irriconoscibile".

Anche se l’irriconoscibilitĂ  è legata a una tradizione culturale o religiosa?

"C’è un limite ben preciso, che non c’entra nulla con l’Islam o con altro: in una societĂ  libera vige l’obbligo della riconoscibilitĂ  personale e fisica del cittadino".

Ma questi non sono discorsi liberticidi o di repressione culturale?

"Macché, è un discorso assolutamente liberale. Uno che entra in un negozio mascherato non va bene".

Ma proprio lei ha criticato la legge francese che mette fuori legge i simboli religiosi...

"E che cosa c’entra? Questo è un altro discorso. Quella legge è sbagliatissima, perchè se si cominciano a vietare la croce cattolica, la kippah ebraica o altri segni e indumenti della cultura araba, si potrĂ  arrivare a bandire - per esempio - il ciondolo con l’immagine di Gandhi o il gagliardetto della pace. I talebani hanno imposto il burqa e non vorrei vivere in un Paese che, alla maniera talebana, vieta altre espressioni culturali".

Però il sindaco leghista fa bene a prendersela col burqua?

"Quello, ripeto, nasconde la faccia. Insomma, bisogna distinguere fra segni e segni delle varie culture. Come si fa, per esempio, ad ammettere le mutilazioni genitali femminili? Bisognerebbe accettarle perché appartengono a una cultura? Neanche per sogno".

E’ giusto che le donne islamiche in Italia vengano visitate solo da ginecologi femmine, perchè così vuole la religione?

"Per loro, deve valere la stessa regola che vale per me. Io preferisco andare da una ginecologa donna, ma se non è possibile, vado da un maschio. Il relativismo culturale è una stupidaggine. Non si può accettare tutto, di una cultura, solo perché è una cultura".

Burqa compreso?

"Il velo, spesso, non è un simbolo religioso. Ma solo una moda, o un segno di appartenenza e di identitĂ , o addirittura altro. Come ad esempio per una mia amica qui del Cairo. L’altro giorno mi ha detto: lo sai perchĂ© porto il velo? PerchĂ© così non mi si vede la faccia struccata e i capelli spettinati che avrebbero bisogno di un parrucchiere ma non ho i soldi per andarci".

Solo questo?

"Ovviamente, no. Ma c’è anche del conformismo nell’uso del velo: è come quando noi eravamo ragazzi. Chi non aveva loden e sciarpa rossa non era degno di stare nel gruppo".

Sacrificare il burqa in nome dell’ordine pubblico?

"Vedo indiane che vanno in giro con addosso il saari, africane che portano tuniche e turbanti bellissimi: questo va bene".

Saari sì, burqa no?

"I veli sono tanti e diversi. C’è quello islamico, un po’ tristanzuolo, generalmente beige, che copre i capelli, lascia scoperto il viso, si poggia sulle spalle e arriva all’altezza della vita. Poi c’è quello che usano molte mie amiche qui in Egitto, ed è una specie di turbante che copre solo i capelli. Oppure c’è il vero e proprio burqa, afghano, lungo fino ai piedi, che copre tutto e ha solo una finestrella a rete per gli occhi. Questo va vietato. E anche il niqab, velo tutto nero che lascia aperti solo gli occhi, ed è tipico dell’Arabia Saudita e dei paesi del Golfo Persico".

Da vietare anche questo?

"Credo di sì. Non sarebbe un attentato alla cultura islamica. Ma una garanzia di tipo liberale: io so chi sei, tu sai chi sono".



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