(Unione Europea Federalista)25 marzo 1995 (Milano)
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SOMMARIO. Emma Bonino riconferma il suo impegno federalista e si impegna perché la CIG del 1996 non sia affrontata con un approccio "minimalista". Afferma che, a questo fine, occorre mobilitare l'opinione pubblica, e deplora che il governo italiano sia assente in questo campo. Polemizza però anche con i federalisti che vogliono difendere a tutti i costi il calendario fissato a Maastricht, nonostante non ve ne siano più le condizioni (nemmeno il bilancio comunitario è adeguato). Indica quali siano i problemi aperti: rafforzare il ruolo di governo della Commissione; superare il deficit democratico; superare i problemi che sono posti dall'ampliamento della Comunità; eliminare la struttura a pilastri dell'Unione; superare il Trattato di Roma. Sottolinea che sono già possibili alcune modifiche di atteggiamento; ritiene sia necessario superare l'art. N. Per arrivare a questi obiettivi, bisogna spingere il governo italiano perché avanzi valide proposte e attivare gli interessi" favorevoli alla riforma federalista.
1. RICONFERMA DELL'IMPEGNO FEDERALISTA
Mi pare opportuno ricordare che nella mia storia politica, nel mio impegno in seno al PR e nelle mie diverse funzioni l'adesione al progetto federalista è stata costante; voglio riconfermare che questo rimane anche oggi il mio impegno e spero che per tutta la durata del processo di riforma la collaborazione con i federalisti possa essere proficua ed efficace.
L'intera Commissione é impegnata nella preparazione del 1996; il 20 aprile ci sarà un seminario interno, durante il quale il commissario competente Oreja presenterà al collegio le sue proposte in vista dell'adozione, nel mese di maggio, del contributo della Commissione ai lavori del Gruppo di Riflessione. E' mia intenzione partecipare attivamente a questo processo e mi pare che fin d'ora sia importante fare il punto su quali questioni di fondo dovranno essere secondo chiarite in vista della CIG del 1996.
Il nostro obbiettivo deve essere quello di fare del 1996 un'occasione seria di rilancio dell'integrazione europea in senso democratico e federalista: no quindi ad un approccio minimalista e burocratico della riforma del Trattato di Maastricht; ma perché questo sia possibile é indispensabile il coinvolgimento e la mobilitazione delle forze politiche e dell'opinione pubblica: purtroppo, a differenza di paesi come la Francia - dove la campagna presidenziale si gioca anche sull'Europa- o la Gran Bretagna, nel nostro paese non c'é alcuno spazio per il dibattito europeo; il governo non pare peraltro interessarsi seriamente alla preparazione della CIG, come dimostra anche la sua recente decisione di nominare un diplomatico di carriera al Gruppo di Riflessione, cui partecipano per altri paesi ministri in carica o sottosegretari con un peso evidentemente ben maggiore. E allora vediamo quali sono i "punti caldi" cui dovremo dare una risposta.
2. UNIONE MONETARIA VERSUS UNIONE ECONOMICA E POLITICA
Caro Mario e cari amici federalisti, vi pare possibile continuare a difendere a spada tratta il calendario fissato a Maastricht per giungere alla moneta unica nel 1997 o nel 1999 senza che siano poste davvero le condizioni
(a) per una reale Unione Economica,
(b) senza dire chiaramente che é necessario un robusto aumento del bilancio comunitario,
(c) senza dare un'indicazione concreta su come deve essere strutturato il "governo" economico dell'Unione, e cioé
(d) in definitiva senza l'unione politica ?
Come possiamo pensare che 15 politiche economiche diverse possano per miracolo uniformarsi entro meno di due anni in modo da permettere la realizzazione dell'Unione monetaria ed il rispetto dei rigidi criteri di convergenza fissati a Maastricht? Possiamo dire che esiste una volontà politica in questo senso, quando, tanto per fare un esempio, é ad oggi lettera morta il Libro Bianco di Delors, che indicava appunto quale strada fosse necessario percorrere per avere una politica economica realmente comune (pur se con un metodo basato su suggerimenti agli stati membri invece che su atti normativi - più consono all'OCSE che ad un'Unione) ?
Già nel 1977 un rapporto di Sir McDougall (economista inglese presidente di un gruppo di economisti messo su dalla Commissione) diceva che per realizzare l'Unione Monetaria sarebbe stato necessario un aumento del bilancio comunitario fino al 2,5% del PIL (oggi é l'1,21%) - escluse le spese per la PESC e i contributi sociali - e un'organizzazione "prefederale" dello stesso. E' importante cominciare a riflettere in modo concreto sull'adeguamento del bilancio comunitario e dei suoi meccanismi (primi fra tutti il sistema delle risorse proprie e l'introduzione di un sistema di perequazione fra regioni ricche e povere simile al "Finanz-ausgleich" tedesco) alla scadenza ormai vicinissima dell'unione monetaria.
Ma come ben dimostra l'esempio della Bundesbank nel suo dialettico rapporto con il governo tedesco e come sostiene lo stesso documento CDU/CSU, un'unione monetaria non é fattibile senza un'unione politica: quello che Delors ha chiamato il "governo economico" dell'Europa non puo' essere assicurato dal Consiglio ECOFIN; questo ruolo deve essere assunto secondo me dalla Commissione, in un quadro istituzionale dell'Unione profondamente diverso da quello attuale. La governabilità dell'Unione assume in questo senso un significato centrale nella riforma del 1996.
Il rafforzamento del ruolo di governo della Commissione, oggi al centro delle critiche degli anti-europei ma anche di coloro che temono gli effetti di un potere diverso e autonomo dai governi nazionali, deve invece restare per noi un punto fermo; il superamento del deficit democratico dell'Unione non sta solo nel conferimento di maggiori poteri legislativi e di controllo al PE, ma anche nell'attribuzione alla Commissione di un esplicito carattere di governo democratico e responsabile. E' ancora Spinelli che ci ricorda che potremo avere un PE forte solo se ci sara un governo europeo forte.
3. ALLARGAMENTO VERSUS APPROFONDIMENTO
L'allargamento dell'Unione ad est é diventata una priorità politica per la quale é già stata fissata una scadenza piuttosto ravvicinata (inizio del prossimo secolo). E siamo convinti che, per evidenti ragioni legate al necessario rafforzamento di un sistema di sicurezza europeo e al consolidamento dei processi democratici, questo processo deve essere realizzato rapidamente. Ma deve essere anche chiaro che non si può fare finta di non vedere che istituzioni e meccanismi decisionali creati per sei Stati membri non possono funzionare a trenta e che non tutti hanno la stessa idea su quale deve essere la prossima tappa dell'integrazione europea.
La Commissione sta approntando degli studi a questo proposito che dovranno essere attentamente presi in considerazione; non si puo' eternamente e un po' ipocritamente "tirare" il trattato di Roma a coprire la grande Europa.
Per fare sì che l'ampliamento ai paesi dell'Europa centrale e dell'Est possa effettivamente avere luogo in tempi relativamente brevi, bisogna darsi da oggi gli strumenti per evitare che l'entrata di nuovi membri porti ad un blocco del funzionamento dell'Unione: già le procedure decisionali attuali sono particolarmente complesse, opache e poco democratiche: tutte sono poco efficaci. Ed in questo contesto è facile, fin troppo facile che l'intero meccanismo si inceppi. Finora si é evitato il blocco totale grazie a continui compromessi spesso sui principi costitutivi stessi, a degli opting-out, a delle eccezioni che stanno però progressivamente e silenziosamente conducendo ad una rinazionalizzazione delle politiche comunitarie in nome di un' applicazione distorta del principio di sussidiarietà. Ma non basta: la scelta fatta a Maastricht di non dare all'Unione una struttura istituzionale coerente e unitaria per tutti i settori di intervento, lasciando deliberatamente la politica estera e gli affari interni ad una
gestione totalmente intergovernativa, si è tradotta nel completo fallimento della ambizione di dare all'Europa un peso e un ruolo autonomo sulla scena internazionale e di farne uno spazio senza frontiere interne per i suoi cittadini.
Lo stesso errore non deve ripetersi nel 1996: tra i temi fondamentali della riforma (e sarà da queste scelte cruciali che emergerà con chiarezza chi vuole fare parte di una Unione politica che funzioni e chi no) saranno quelli dell'eliminazione della struttura a "pilastri" dell'Unione e della semplificazione e democratizzazione delle procedure decisionali e dei testi normativi.
4. PESC
L'eliminazione della struttura a pilastri dell'Unione appare particolarmente urgente se si considera che la tanto celebrata PESC non ha in realtà ottenuto risultati molto più importanti che la Cooperazione Politica europea iscritta nell'Atto Unico; non esistono oggi gli strumenti e le procedure che permettano all'Unione di prendere iniziative forti e unitarie.
Ma se tutti concordano su un giudizio negativo sul funzionamento della PESC sono pochi quelli che, soprattutto fra i governi, propendono per una comunitarizzazione immediata di tutti gli aspetti della politica estera. Da parte mia, io ritengo che ad almeno due settori si possano applicare modifiche strutturali: la gestione degli aiuti umanitari deve diventare una politica comune e dunque rientrare nelle competenze esclusive dell'Unione (dato che oggi non ha diritto di menzione nel Trattato); i rapporti diplomatici con un primo nucleo di paesi nei quali già oggi non tutti gli Stati membri sono rappresentati singolarmente dovrebbe essere assicurata dall'Unione inquanto tale.
Questa riforma potrebbe dare luogo ad un primo nucleo di diplomazia europea e creare progressivamente una politica unitaria dell'Unione nei loro confronti.
5. METODO RIFORMA 1996
E' necessario fin d'ora porre il problema del metodo secondo il quale la revisione del Trattato di Unione avrà luogo; non si può più - le esperienze dell'Atto Unico e di Maastricht lo hanno dimostrato in modo lampante - lasciare le sorti dell'Unione nelle sole mani di una conferenza di diplomatici obbligati a raggiungere un consenso, magari di basso profilo e pieno di ambiguità e contraddizioni, come è successo a Maastricht: in concreto, bisogna andare oltre lo stretto quadro giuridico definito per questa riforma dal Trattato di Maastricht, con l'articolo N: il negoziato tra gli stati deve essere aperto e condotto su scelte chiare; il PE, espressione della legittimità democratica a livello europeo deve esservi associato, attraverso una procedura che potremmo definire di "co-decisione costituzionale"; da parte loro, già da ora gli stati membri devono aprire il dibattito in vista di un accordo sul modo più adeguato per evitare che l'unanimità richiesta dall'art. N costringa tutti ad uniformarsi a dei compromes
si mediocri o porti all'impasse.
Sarebbe molto bello, ma sto forse sognando, se il governo italiano potesse farsi promotore, insieme al governo tedesco e al Benelux, di un memorandum da presentare agli altri stati membri come fecero il Belgio, l'Olanda e il Lussemburgo nel 1955, contenente delle proposte che possano orientare in un senso fortemente europeista la CIG.
6. A CHI INTERESSA UN'UNIONE EUROPEA FORTE?
Una delle condizioni indispensabili perché la riforma del 1996 vada nella direzione da noi desiderata sta nella nostra capacità, a partire dalle nostre differenti funzioni - siano esse di governanti, di parlamentari o di esponenti di organizzazioni come voi federalisti - di mobilitare degli interessi concreti: gli ideali non bastano. Dopo il lancio del Mercato Unico nel 1987 furono le pressioni dei settori economici che accellerarono il processo di unione monetaria e fecero diventare una sorta di mito il 1992, data che doveva coincidere con la caduta di tutte le barriere intraeuropee.
Nei prossimi due anni, dovremo essere capaci di mobilitare e portare dala nostra parte tutte quelle "schegge" di società europea che da punti di vista diversi, sociali, economici, culturali, politici misurano ogni giorno, tanto per rispolverare un vecchio slogan sempre efficace, il costo dell'assenza di Europa.
Solo così, con un impegno "politico" chiaro da parte di coloro che vogliono proseguire comunque sulla via dell'integrazione federale dell'Europa è possibile fare davvero dell'Unione europea un affare di tutti i cittadini, un progetto capace di affrontare, armati di ragionevolezza, il ventunesimo secolo.