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Il Mondo - 26 marzo 1995
Inchiesta/Pesca: Perchè tutti sono contro tutti
STRASCICO PERICOLOSO

E' solo l'ultimo caso. L'Unione europea è in guerra con il Canada. Ma gli scontri coinvolgono decine di paesi, migliaia di imprese e milioni di pescatori

di Enzo d'Antona

C'è una guerra che si svolge nei quattro angoli del mondo e alla quale partecipano attivamente 15 milioni di persone. Solo raramente si combatte con armi che sembrano ferrivecchi: per lo più si tratta di attrezzature molto sofisticate. Talvolta, di notte, entrano in ballo persino i satelliti che da 500 mila metri d'altezza controllano il bersaglio da colpire. E poi, dai sonar direzionali ai mezzi d'appoggio, quanto di meglio possa offrire oggi la tecnologia.

Queste macchine da guerra non sono in realtà altro che pescherecci, anche se qualcuno ormai preferisce definirle fattorie del mare, visto che ogni battello del tipo più moderno può trainare quattro reti invece di una e lavorare in alto mare centinaia di tonnellate di pesce. Le battaglie più cruente, poi, si svolgono in superficie e non certo nei fondali, dove il patrimonio ittico si va depauperando anno dopo anno [la Fao, agenzia dell'Onu per l'alimentazione, ha calcolato che il 70% delle risorse è sovrasfruttato, se non esaurito, o in via di ricostituzione].

Teatro delle operazioni sono spesso le ambasciate, le cancellerie o i palazzi di Bruxelles. Così è successo nell'ultima guerra del pesce. quella che ha visto fronteggiarsi l'Unione europea e il Canada a causa del peschereccio spagnolo Estai sequestrato [e poi rilasciato] al largo dell'isola di Terranova: episodio che si è chiuso solo formalmente, mentre nella sostanza sarà tema di discussione da mercoledì 22 a venerdì 24 marzo a Bruxelles in occasione della riunione dell'Organizzazione della pesca del Nord Atlantico. Tutto questo mentre altri pescherecci spagnoli rischiano il sequestro e mentre l'Ue, su richiesta del commissario comunitario alla pesca, Emma Bonino, ha allo studio possibili sanzioni commerciali nei confronti del Canada.

Quello che la stampa spagnola con grande risalto definisce il "conflicio pesquero" del momento non è in realtà che una delle tante guerre in corso: anche l'Italia, per esempio, ha dei contenziosi aperti sia all'interno della comunità, che con altri paesi. Ma quali sono gli interessi in gioco? Chi la spunterà in questo conflitto in cui tutti sono contro tutti? E, soprattutto, riuscirà l'habitat marino a sopravvivere fino a quando gli accordi non siano stati stipulati?

Fra alcuni mesi circa 350 spadare [battelli attrezzati per la pesca del pescespada] dell'Adriatico potrebbero cambiare bandiera. Ammainare quella italiana e fregiarsi di quella dell'Albania. Non è un'ipotesi campata in aria, una provocazione. Può succedere veramente, sostiene Ettore Ianni, presidente della Lega Pesca [della Lega delle cooperative], organizzazione che raccoglie il 40% delle 700 spadare italiane e che appunto vanta dal 1992 accordi con l'Albania e la Croazia: il passaggio alla bandiera albanese si verificherà se l'Unione europea non porrà rimedio ad alcune storture normative che penalizzano la marineria italiana. »ll fatto è che quello che è vietato a noi non è vietato agli altri , dice Ianni. »Ci impongono la rete selettiva per le spadare, che non possono superare i 2,5 chilometri, e addirittura vogliono abolire nel Mediterraneo la pesca del pescespada nel 1997, facendo saltare 5 mila posti di lavoro, mentre nel Baltico le spadare arrivano a 21 chilometri. I paesi extracomunitari, poi, vengon

o a pescare liberamente, senza nessun controllo .

Quello sulle spadare e un contenzioso aperto già da tempo. Il ministro dell'Agricoltura del penultimo governo, Adriana Poli Bortone, aveva appena manifestato l'intenzione di legalizzare l'aumento delle reti da 2,5 a 9 chilometri e subito dall'ambasciata statunitense a Roma era giunta la minaccia di un embargo su tutti i prodotti della pesca italiana per un valore di 1.600 miliardi di lire: da allora [era il giugno del 1994] il settore è stato in realtà una vera giungla, perché la maggior parte dei pescherecci non rispetta i limiti previsti. Secondo Greenpeace, molti utilizzano reti alte 20 metri e lunghe 20 chilometri, pescando di tutto: solo il 18%, secondo le valutazioni dell'organizzazione, è pescespada; nell'82% dei casi si tratta di fauna marina che viene ributtata in mare morta o agonizzante.

Il conflitto con l'Ue non riguarda soltanto le norme sulle spadare, che del resto rappresentano solo una piccola parte della pesca italiana. La flotta è una delle maggiori d'Europa, con i suoi 17 mila pescherecci. Gli addetti sono 45 mila, dei quali il 28% nella sola Sicilia: a questi vanno aggiunti i 7 mila addetti dell'industria di trasformazione e i 13 mila della commercializzazione e distribuzione. Il fatturato della produzione è di 4.659 miliardi di lire, quello della trasformazione di oltre 2 mila miliardi.

Questo settore rischia continuamente di trovarsi in difficoltà. Gli imprenditori lamentano una politica comunitaria ritagliata sulle esigenze dei paesi che pescano nei mari del Nord, dove i prodotti principali sono due: merluzzo e salmone. Nel Mediterraneo le specie principali sono una ventina, ma questa differenza morfologica viene sottovalutata. Quando si cercava di armonizzare le tecniche di pesca, i rappresentanti italiani hanno dovuto faticare molto per impedire l'abolizione della tecnica turbo-soffiante per la pesca delle vongole e delle volanti per il pesce azzurro. Mentre è ancora aperta la vertenza sugli strumenti di cattura [I'Ue vorrebbe imporre reti da 40 millimetri] e sulle taglie minime pescabili: tanto per fare un esempio significativo, I'Unione vorrebbe che si pescassero naselli [specie non sottoposta a sforzo di pesca, ovvero a overfishing] non inferiori a 20 centimetri, mentre gli italiani pressano per ridurre la misura a 12 centimetri. Dopo i conflitti per la pesca in acque internazionali

scoppiati negli anni passati con la Tunisia, oggi la minaccia nel Mediterraneo si chiama Giappone. I pescherecci del Sol levante, assieme a quelli russi, canadesi e statunitensi, sono i più avanzati del mondo. Ma in più sono considerati veri e propri predatori del mare. Per alimentare un mercato interno in crescita continua praticano una pesca selvaggia negli oceani e, da ultimo, anche all'interno del Mediterraneo. L'arrivo di una flotta di 60 pescherecci giapponesi al largo della Sicilia ha provocato alcuni mesi fa la protesta delle marinerie locali, le quali sono già in parte impegnate in altri conflitti di pesca. Soprattutto con i pescatori dell'Adriatico, che si sono autoregolamentati, pescando solo tre giorni a settimana.

Dopo una serie di scontri [anche fisici] nel porto di Pescara e stato sottoscritto un accordo per la campagna di pesca del 1995, con il quale i pescatori siciliani si impegnano a non uscire dai porti adriatici dopo le 19,30. Ma certo la grande partita si svolge altrove, negli oceani.

In sede Onu, dove periodicamente si svolgono le conferenze sulle popolazioni ittiche, gli schieramenti sono due. Da una parte ci sono le Nazioni della pesca d'altura [Npa], cioè quelle che prevalentemente pescano in acque internazionali: Giappone in testa, ma anche Corea, Cina, Stati Uniti e la stessa Italia, come tutti i paesi dell'Unione europea. Dall'altra, gli stati costieri, in particolare Canada, Russia, Irlanda, Argentina, che pescano nelle cosiddette Zee [zone economiche esclusive], entro 200 miglia dalla costa. I due gruppi si lanciano accuse reciproche, e lo stesso conflitto tra Canada e Spagna si inserisce in questa contrapposizione irrisolta; La guerra dell'ippoglosso, alias della sogliola limanda, è scoppiata perché ogni anno gli europei [soprattutto spagnoli e portoghesi] pescano 50 mila tonnellate di pesce al largo del Canada, che ha chiesto all'Organizzazione della pesca del Nord Atlantico la limitazione a 27 mila tonnellate di catture globali. In questo caso agli europei ne toccherebbero sol

tanto 3.400, mentre allo stesso Canada 16.300. Ed è proprio questa ripartizione che viene contestata dall'Ue.

Alla base di tutto c'e l'impoverimento del mare. Poche settimane fa, in preparazione del suo comitato della pesca, che riunisce funzionari di 100 paesi e si svolge ogni due anni, la Fao ha tirato le somme. Tenendo conto del crescente aumento demografico, soltanto per mantenere gli attuali livelli di consumo, la pesca mondiale dovrà produrre 91 milioni di tonnellate di pesce rispetto ai 72,3 milioni attuali.

La Fao ha individuato anche le aree di particolare depauperamento, dal Baltico centrale al Pacifico centro-occidentale.

Ancora più allarmate le considerazioni contenute in uno studio del Worldwatch institute, organismo che si occupa dei problemi del mare. In 13 delle 15 maggiori zone di pesca del mondo la produzione sta scendendo, e in quattro casi il calo è del 30%. Questa situazione acuisce la concorrenza e costringe a mezzi sempre più sofisticati. Secondo l'istituto, le 250 mila grandi imprese che in tutto il globo operano in questo settore rischiano di cancellare i 20 milioni di pescatori che ancora esercitano l'attività in maniera artigianale.

Con questa corsa allo sfruttamento, accoppiata al declino delle risorse, tutte le controversie diventano spiegabili. Per cominciare dall'Europa, la Gran Bretagna, che già nel 1993 s'era scontrata con la Francia in una delle tante guerre del merluzzo, è ancora alle prese con l'Argentina nel conflitto dei calamari: materia del contendere la piattaforma della Patagonia, che si estende oltre le isole Falkland, zona nella quale i pescherecci di sua maestà pensano di avere ogni diritto.

Il governo francese, dal canto suo, ha dovuto gestire, non più tardi di sei mesi fa, la battaglia del tonno contro il governo spagnolo. Una vecchia storia, cominciata nel 1990 e non ancora risolta. Gli spagnoli per pescare il tonno usano lenze singole, i francesi reti molto lunghe che non rispettano il limite dei 2,5 chilometri. 1 700 pescherecci spagnoli pescano in una stagione 24 mila tonnellate, i francesi 6 mila tonnellate con soltanto 60 barche molto più piccole: gli scontri nel golfo di Biscaglia sono ricorrenti. Attualmente sono in piena controversia anche l'Islanda e la Norvegia per lo sfruttamento del tratto di mare a sud delle isole Svalbard.

E altrove? I giochi sono aperti. Nell'Asia sudorientale la Cina, il Vietnam, la Malaysia, Taiwan, Filippine e Brunei non riescono a trovare un accordo per il mare della Cina meridionale. Intanto la Russia protesta per la presenza dei pescherecci cinesi e coreani nella regione del mare di Okhotsh. In Africa, la Namibia ha ridotto le quote per le flotte straniere, che intanto stanno invadendo la costa africana occidentale. Con buona pace dei molto discussi e poco rispettati regolamenti degli organismi internazionali.

 
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