SOMMARIO: La rivendicazione all'identità nazionale è lo strumento con il quale i popoli dell'Est oppressi dalla dittatura sovietica rivendicano la piena democrazia. Ma quando concide con la richiesta di autonomia statale, al di fuori di un progetto federativo, rischia di far naufragare le legittime aspirazioni allo sviluppo. La necessità di accelerare i tempi per l'allargamento della comunità europea ai paesi dell'est europeo. L'urgenza di rafforzare il Partito radicale in Jugoslavia perchè posizioni politiche autenticamente federaliste e democratiche possano esprimersi compiutamente. (Articolo apparso su "Vjesnik" - quotidiano della Lega dei comunisti jugoslavi - 20 febbraio 1990)
Una cosa è chiara: il nazionalismo è oggi il veicolo attraverso il quale s'intendono affermare, non solo nella Jugoslavia ma anche nei paesi del'ex impero sovietico, le legittime spinte alla piena democrazia politica, all'affrancamento da apparati centrali oppressivi e burocratici. Dove infatti non si è riusciti ad imprimere un'accelerazione significativa e soddisfacente al processo di democratizzazione dello Stato federale, la domanda di totale autonomia politica e perfino la secessione è parsa la via naturale e più diretta per giungere alla edificazione di istituzioni democratiche e pluraliste. Accade nei paesi baltici, accade in Jugoslavia. Con questo non voglio sottovalutare o rimuovere le legittime aspirazioni alla tutela della cultura, della storia, delle tradizioni e della lingua delle diverse nazionalità. Solo rilevare che la tutela di questi valori si esprime forzatamente attraverso la richiesta di autonomia statale solo quando non appaiono praticabili altre strade. Ebbene, senza paura di muovermi c
ontrocorrente, devo affermare a chiare lettere che questa spinta, il nazionalismo, mi sembra una tentazione e un errore gravissimo che tutti i democratici devono tentare di contrastare e correggere innanzitutto sapendo proporre altri percorsi che garantiscano più efficacemente la tutela dei valori che sono alla base di quelle spinte. E' nostro dovere avvertire che la via nazionale per lo sviluppo e la democrazia è semplicemente una tragica illusione, non è più proponibile neppure per grandi paesi come la Germania o la Francia. Scriveva Altiero Spinelli, l'antifascista e federalista a cui si deve la concezione più moderna e scientifica degli Stati Uniti d'Europa come comunità politica e non solo economica, che non c'è oggi alcun grande problema concernente l'economia, la moneta, il collegamento solidale del nostro sviluppo con quello dei paesi più poveri del mondo, la difesa, l'ecologia, lo sviluppo scientifico e tecnologico, l'universalità della cultura che possa essere ancora affrontato seriamente con crite
ri e con strumenti nazionali. Con queste parole respingeva quella che chiamava "l'aria fritta del nazionalismo". Non c'è, bisogna aggiungere, alcun grande problema di democrazia che possa essere affrontato con strumenti nazionali. Oggi forse i Parlamenti nazionali dei paesi della comunità europea, quelli con la più lunga tradizione democratica, possono ancora decidere autonomamente qualcosa? Qualcuno pensa che queste solidissime istituzioni parlamentari oggi siano in grado di legiferare autonomamente su qualcosa di più delle feste nazionali (e non è neppur detto!)? Già tutto quello che riguarda l'agricoltura, la politica dei trasporti, l'industria dell'acciaio, gli standard dei prodotti industriali, la circolazione dei beni e dei capitali e presto la stessa politica monetaria è sottratto alle loro competenze. Si può oggi parlare, senza cadere nel ridicolo, di difesa nazionale? Può qualcuno pretendere di risolvere il problema ecologico o occupazionale a livello strettamente nazionale? Passando ad altre aree g
eopolitiche, si può forse affermare onestamente che lo Zaire o il Messico o gli altri paesi produttori di materie prime del sud del mondo decidono autonomamente del loro futuro economico e politico o invece bisogna prendere atto che altrove viene deciso il prezzo alle quali potranno venderle e quindi la sorte della loro democrazia? Può oggi resistere sul mercato una industria che non abbia una dimensione sovranazionale? La risposta a tutte queste domande è inequivocabilmente NO! La scelta quindi non è fra dimensione nazionale o sovranazionale. La prima è semplicemente interdetta dalla realtà politica ed economica del nostro pianeta. Si tratta solo di decidere se le sedi del potere sovranazionale, quello politico ed economico, debbano essere lasciate senza controllo alcuno, se si debba consentire che sul diritto prevalga la legge della giungla, la legge del più forte oppure se questi poteri multinazionali immensi debbano essere governati, controllati, controbilanciati da un potere politico sovranazionale demo
cratico che possa rappresentare gli interessi dei popoli. Una entità nazionale come la Croazia, la Slovenia può sperare di esistere come Stato autonomo in questa situazione? Come pensa di contrastare la forza dei grandi gruppi economici che in sua vece decideranno quale ruolo produttivo deve avere nel mercato internazionale ? Voler far coincidere l'identità nazionale con una struttura statuale è una pericolosa tentazione che non porta maggiore autonomia ma maggiore dipedenza. Certo la scorciatoia nazionalista sembra la più facilmente praticabile: con parole d'ordine semplici ed efficaci si può mobilitare la popolazione, facendo leva sui vecchi e mai sopiti rancori nazionali od etnici si può sollecitare la rivolta contro lo Stato centralistico e oppressivo; ma tutto questo rischia di scatenare odi e conflitti che poi non sarà più possibile fermare. I mezzi devono essere adeguati ai fini. Non si può pensare di costruire vera democrazia stimolando l'intolleranza etnica e nazionalistica. Qual'è quindi la soluzio
ne alternativa? Dare soddisfazione in altro modo alle ragioni che spingono a cavalcare strumentalmente il nazionalismo. L'unione, prima politica che economica, alla Comunità europea è la condizione irrinunciabile, non l'obiettivo finale e lontano, per risolvere i problemi di democrazia e di giustizia sociale dei paesi usciti dal "socialismo reale". Se non vogliamo che una dopo l'altra scoppiano, in modo irreparabile, i nazionalismi da troppo tempo repressi, dobbiamo subito, prima ancora di risolvere i problemi dell'integrazione fra economie così diverse, far sì che paesi come la Jugoslavia, l'Ungheria facciano parte a pieno titolo della Comunità europea. In qualche modo mi sembra che sia il metodo adottato dalle due Germanie: prima ancora di affrontare i problemi derivanti dall'enorme squilibrio economico fra le due Germanie, deve essere creata una unica autorità politica in grado di gestirli. Giustamente in secondo piano sono stati posti i problemi e le difficoltà derivanti dall'integrazione di due struttur
e economiche così diverse, Ma proprio per risolverli bisogna creare un fatto politico compiuto. Ecco perché le posizioni di chi parla, in Yugoslavia, dell'integrazione europea come obiettivo finale di un lungo processo di modificazione della società e dell'economia sono altrettanto utopistiche di chi teorizza la possibilità d'esistenza di micro realtà statuali autonome e autosufficienti. A questi ultimi bisogna rispondere che solo il modello albanese, non più quello rumeno, possono garantire la realizzazione e l'esistenza di simili realtà statuali. Ai primi invece, che è illusorio pensare che i drammatici problemi economici della jugoslavia possano trovare una soluzione positiva al di fuori del mercato europeo e della stretta integrazione politica con le istituzioni europee. Non sarà certo con gli "aiuti" esterni della Cee o con le draconiane misure del Fondo Monetario Internazionale che si potrà curare una economia malata. La politica delle grandi multinazionali della produzione è infatti chiara: utilizzare
i paesi dell'europa dell'est, come del resto è stato fatto per i paesi del sud-est asiatico, come fornitori di forza lavoro a basso costo. I computer o le componenti automobilistiche non più solo "made in Taiwan" ma "made in Jugoslavia", "made in Polonia". Sono proprio questi interessi che spingono verso la creazione di entità nazionali piccole e quindi esposte ai ricatti e ai condizionamenti economici. Ma non deve trattarsi di una adesione passiva alla Comunità europea. Credo che paesi come la Jugoslavia, l'Ungheria, abbiano il diritto di chiedere di più. La Comunità europea infatti rischia di non avere un vero governo democratico. Tutte le decisioni che, come abbiamo visto incidono profondamente sull'autonomia nazionale, sono prese da strutture politiche, a Bruxelles, tutt'altro che democratiche. Il Parlamento europeo, cioè il vero rappresentante degli interessi dei popoli europei continua, nonostante sia eletto a suffragio universale, a non aver alcun potere. Non bisogna quindi pensare, o meglio illuders
i, che sia sufficiente entrare nel grande mercato europeo, eliminare ogni barriera alla esportazione dei propri prodotti per aver risolto tutti i problemi. I potenti gruppi finanziari e industriali europeo faranno da padroni, anche in Jugoslavia come già nel resto dell'Europa, senza un vero potere politico sovranazionale democratico. Non si tratta quindi solo di aderire a quello che c'è ma di avviare, subito, una vera fase costituente dei nuovi Stati Uniti d'Europa in cui i paesi come la Jugoslavia, in cui la ricchezza delle sue diverse culture, possa avere un peso pari a quelle delle vecchie democrazie occidentali. Ma come arrivare a queste scelte ? La strada che sembra prevalere in Jugoslavia come in altri paesi dell'est europeo è quella del pluralismo partitico, del sistema elettorale proporzionale. Si dice: dopo anni di partito unico come possiamo impedire che tutte le nuove istanze della società possano presentarsi alle elezioni? Non si tratta di questo, ma solo di far sì che l'elettorato possa effettiv
amente decidere sul futuro del suo paese. Votare per dieci o quindici partiti significa non decidere nulla ma lasciare al gioco delle alleanze fra i partiti le decisioni finali. C'è un unico sistema che consente effettivamente al popolo di esercitare, con le elezioni, la sua sovranità: il sistema elettorale uninominale, maggioritario. Due posizioni si confrontano, due proposte sul come costruire l'avvenire della Jugoslavia, una sola vince perché votata dalla maggioranza. Questo non significa che si debba impedire la formazione di dieci, quindici partiti. Solo che questi debbono presentarsi con chiarezza all'elettorato sotto una bandiera certa, intellegibile. La caratteristica essenziale della democrazia, diversamente dal totalitarismo, non è solo quella di consentire "libere elezioni" ma di consentire al popolo con "libere elezioni" di cambiare il governo senza dover essere costretto all'insurrezione armata. Il sistema elettorale e la democrazia proporzionalista consegnano ai partiti questa decisione, quello
uninominalistico, maggioritario l'affida invece al popolo sovrano. Per il futuro della Jugoslavia individuo quindi due scelte e due schieramenti possibili: da una parte chi vuole continuare a coltivare l'illusione della cosiddetta politica del non allineamento, chi vuole imbrogliare la gente vendendo "l'aria fritta" del nazionalismo. Dall'altra invece chi vuole allinearsi pienamente alla democrazia, allo stato di diritto, chi vuole che a pieno titolo tutte le nazionalità jugoslave possano entrare ed essere tutelate in una comunità politica europea. Su queste ed altre scelte i partiti iugoslavi dovrebbero formare due schieramenti elettorali per consentire al popolo di decidere. Ma oggi non mi sembra che nel dibattito politico che si sta sviluppando in Jugoslavia ci sia traccia di queste riflessioni. I vecchi rancori nazionali sembrano prevalere sulla ragione, sullo stesso interesse delle culture nazionali. E' dunque urgente, indispensabile che la Jugoslavia guadagni, attraverso la crescita e il rafforzamento
del Partito radicale trasnazionale e transpartitico, queste posizioni di teoria e di lotta democratica. E' urgente e indispensabile che il Partito radicale divenga un punto di riferimento politico, non elettorale, in jugoslavia perché il dibattito possa aprirsi su quei temi e su quelle posizioni che qui ho potuto enunciare. E' urgente e necessario che migliaia di cittadini jugoslavi, dei diversi stati jugoslavi, senza discriminazione alcuna, s'iscrivano a questa nuova internazionale federalista e nonviolenta della democrazia e del diritto. E' urgente è necessario che i cittadini jugoslavi possano sapere che esiste anche questa posizione politica e quindi possano giudicarla. Chi condivide queste urgenze e queste necessità sa cosa deve fare: entrare a far parte del Partito radicale. @lingua inglese
NATIONALISM AND DEMOCRACY
by Sergio Stanzani
(Radical Party First Secretary)
Published 20 February 1990 in the Croatian daily "Vjesnik".
One thing is clear: nationalism today is the vehicle, not only in Yugoslavia but also in the countries of the ex-Soviet empire, for the affirmation of the legitimate incentive to full political democracy and the release from a central apparatus which is both opressive and bureaucratic. Wherever in fact a significant and satisfactory acceleration of the Federal State's democratization process has not been recorded, the demand for total political autonomy and even secession has seemed the most natural and direct way to establish democratic and pluralist institutions. It is going on in the Baltic countries, it is going on in Yugoslavia. By these remarks, I do not want to underestimate or do away with legitimate aspirations to preserve the culture, the history, the traditions or the languages of the different nationalities. I merely want to point out that the preservation of these values is forced to be expressed through the request for state autonomy only when there are no other practicable ways.
A very bad mistake
Well, unafraid of swimming against the tide, I must affirm quite clearly that I think this incentive, nationalism, is a temptation and a very serious mistake. All democrats should try to oppose and correct this error, first and foremost by proposing alternative ways which are a more efficient guarantee of the preservation of the values on which this incentive is based.
It is our duty to realize that the national way to development and democracy is just a tragic illusion; it is no longer worth proposing, not even for large countries like Germany or France. Altiero Spinelli, the anti-fascist federalist reponsible for the most modern and scientific concept of the United States of Europe (and not merely on the financial level), wrote that today there is no great problem concerning the economy, currency, the link of solidarity of our development with that of the poorest countries in the world, defence, ecology, scientific and technological development, or the universality of culture, which can still be seriously solved by the use of national criteria and methods. With these words he rejected what he called "the hot air of nationalism".
What can our States still decide?
We must add that there is no great problem of democracy which can be solved by national methods. Perhaps today the national parliaments of the EEC countries, those with the longest democratic tradition, can still autonomously decide on something? Does anyone think that these very solid parliamentary institutions are able today to legislate autonomously on anything more important than national feast days (this is not even certain!)? Already everything concerning agriculture, transport policies, the steel industry, the standards of industrial products, the circulation of property and capital and thus the monetary policy itself, is outside their range. Today, is it possible, without being ridiculous, to talk about national defence? Can any one pretend to resolve the ecological or unemployment problem on a strictly national level? Passing to other geographical and political areas, it can perhaps be honestly said that Zaire or Mexico or other countries which produce raw materials in the south of the world de
cide autonomously on their economic and political future; but instead, is it necessary to note that the price at which they can sell them and therefore the fate of their democracy is decided elsewhere? Today, is there a single industry without a supra-national dimension which can remain on the market? The reply to all these questions in unequivocally "NO!"
So the choice does not lie between the national or the supra-national dimension.
The first is merely forbidden by the political and economic situation of our planet. It is a decision of whether the centres of supra-national power, both political and economic, should be left without any control, whether the law of the jungle should be allowed to prevail on justice, the law of the strongest, or whether these immense multinationals should be governed, controlled and counterbalanced by a democratic supra-national political power which represents people's interests. Can a national entity like Croatia or Slovenia hope to exist as an autonomous state in this situation? How could it presume to oppose the force of the great economic groups which will decide in its stead on the productive role it will play on the international market?
A Dangerous Temptation
The wish to associate national identity with a state structure is a dangerous temptation which leads not to greater autonomy but to greater dependance. Certainly the nationalist short cut seems the easiest: with simple efficient passwords the population can be mobilized; playing on old and unappeased national or ethnic grudges can incite revolt against the centralist and oppressive State, but all this risks sowing the seeds of hatred and conflict which it will later be impossible to uproot. The means must be adequate to meet the ends. It is inconceivable to consider building real democracy through the provocation of ethnic and nationalist intolerance.
So what is the alternative solution?
To satisfy the reasons which are the incentive to adopting nationalism. Membership, political rather than economic, of the European Community, is the irrevocable condition and not the final, distant objective, of the solution to the problems of democracy and social justice in the countries which have emerged from "real socialism". If we do not want nationalisms which have been too long repressed to burst one by one causing irreparable harm, even before solving the problems of integration between such different economies countries such as Yugoslavia, Hungary, and Czechoslovakia should have full membership in the European Community. I think the method adopted by the two Germany's was something like this: before facing the problems deriving the enormous economic imbalance between the two Germanies, a political authority must have been created capable of governing them. The problems and difficulties deriving from the integration of the two so very different economic sructures came rightly second, but precisely t
o resolve them it was necessary to creat an accomplished political fact. This is why in Yugoslavia, the position of whoever is talking about European integration as the final objective of a long process of the modification of society and the economy, are just as Utopian as those who theorize about the possibility of the existence of micro-state realities which are autonomous and self-sufficient. To the latter we must answer that only the Albanian example and no longer Rumania can guarantee the implementation and the existance of similar state realities. To the former on the contrary, we can reply that it is an illusion to think that Yugoslavia's dramatic problems can be positively solved outside the European Market and close political integration with the European institutions. A sick economy will certainly not be cured by the external "assistance" of the EEC or the draconian measures of the International Monetary Fund. The policy of the great multi-national producers is clear: exploit the East European c
ountries in the same way as the countries of South-West Asia have been exploited, to supply forced labour at a low cost. Computer or car components are no longer "made in Taiwan" only, but also "made in Yugoslavia" and "made in Poland". It is precisely these interests that are an incentive to create national entities which are small, and thus exposed to blackmail and financial conditioning.
Not passive membership of the European Community
But this must not be a passive membership of the European Community. I believe that countries like Yugoslavia, Hungary, and Czechoslovakia, have the right to ask more. The European Community in fact risks not haveing a true democratic government. all the decisions that, as we have seen, are taken by political structures, in Brussels, are quite other than democratic. The European Parliament, the real representative of the interests of European peoples continues, in psite of being elected on universal suffrage, and has no power. Thus there is no need to think or rather delude oneself, that it is enough to join the great European market, to eliminate any barrier to the export of one's own products, in order to resolve al the problems. The powerful European financial and industrial groups will behave as the boss, both in Yugoslavia as in the rest of Europe, without true supra-national democratic political power.
A constitutive phase
Thus it is not only a question of joining what exists already but of immediately starting a real constitutive phase of the new United States of Europe where countries like Yugoslavia, with the richness of the various cultures can have as much influence as the old western democracies. But how can these choices be reached? In Yugoslavia, as in other East European countries the prevalent trend seems to be towards a multi-party system, a proportional electoral system. It is being said that after years of a single party system how can we prevent all the new requirements of society from being represented at the elections?
Which electoral system?
This is not the issue, but only to ensure that the elector can effectively decide on the future of his country. Voting for ten or fifteen parties means not deciding anything but leaving final decisions up to playing on coalitions between parties. A single system effectively permits the people to excercise its sovereignty through elections: the uninominal electoral system by majority. Two positions arejuxtaposed, two proposals on how to run the future o Yugoslavia, a single one wins because it is voted by the majority. This does not mean that the formation of ten or fifteen parties should be prevented: It only means that they stand clearly in the elections under an intelligible flag. The essential feature of democracym differently than totalitarianism, isnot only that of allowing "free elections" but of permitting the people through "free elecitons" to change the government without being constrained to using armed force. The electoral system and proportionalistic democracy leave the parties this decisio
n to the parties, the uninominal, majoritarian decision is on the other hand entrusted to the sovreign people. For the future of Yugoslavia, I thus identify two options and two possible formations: on the one hand, those who wish to continue to cultivate the illusion of the so-called policy of non-alignment, which cheats people by selling them "the hot air" of nationalism. On the other, whoever wants to be fully in line with democracy, the state of rights, which implies the preservation of the Yugoslav nationalities in a single European community. The Yugoslav parties should form two electoral ranks to allow the people to decide on this and other options. But today I don't think there is a trace of this frame of mind in the political debate which is developing in Yugoslavia. The old national bitterness seems to be prevaling over reason, and over the interests themselves of the national cultures.
To reinforce the Radical Party.
Thus it is urgent and indispensable for Yugoslavia to gain these positions of democratic theory and confrontation through the growth and reinforcement of the transnational and transpartite Radical Party. It is urgent and indispensable for the Radical Party to become a political and not an electoral, reference point in Yugoslavia. This will enable the debate to open on these themes and positions to which I have referred. It is urgent and necessary for thousands of Yugoslav citizens, from the various Yugoslav states, without discrimination, to join this new federalist, nonviolent international association for democracy and justice. It is urgent and necessary for Yugoslav citizens to know that this political position exists too and in this way they can judge it. Whoever shares this urgency and this necessity knows what he must do: come and join the Radical Party.