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Partito radicale - 14 giugno 1958
Relazione della Giunta Esecutiva
CONSIGLIO NAZIONALE DEL PARTITO RADICALE

ROMA 14 - 15 GIUGNO 1958

SOMMARIO: Dopo l'insuccesso delle elezioni del 25 maggio 1958, alle quali il partito si era presentato in liste unitarie con il PRI, il Consiglio nazionale del partito radicale si riunisce per fare una analisi dei risultati. "Per noi radicali - sostiene il documento della Giunta Esecutiva introduttivo dei lavori - la sostanza politica di questa alleanza è sempre stata considerata preminente sul calcolo puramente elettoralistico". Purtroppo, però, essa ha portato a risultati deludenti: "non solo noi radicali, da soli, non avremmo probabilmente raggiunto in sede nazionale i 300.000 voti, ma è certo che anche il PRI da solo non li avrebbe raggiunti". L'alleanza ha riportato complessivamente 405.072 voti, cioè 32.916 voti di meno del PRI nel 1953.

Segue una analisi puntuale dei risultati disaggregati, dai quali risulta che l'apporto radicale è stato positivo nelle grandi città, mentre ha fatto scemare i voti repubblicani nelle provincie. Ciò comunque dice che può essere individuato uno specifico elettorato radicale.

A determinare il risultato negativo hanno contribuito certamente vari fattori: dalla campagna ostile della DC e del clero alle vicende francesi, abilmente sfruttate a ingenerare una diffusa paura contro risultati che determinassero "instabilità" nel governo. Alcuni hanno accusato i radicali di aver fatto una campagna sbilanciata in pro dei socialisti, campagna che avrebbe favorito il riflusso di voti direttamente sul PSI. Va ricordato infine che la campagna ha potuto usufruire di mezzi finanziari scarsissimi, per lo più provenienti da sacrifici personali degli iscritti, dei candidati, ecc.

Cosa fare, dopo questa esperienza elettorale? Il documento afferma che "più che mai oggi è necessaria" la presenza di una forza che richiami tutti alle prime responsabilità in problemi come quello dei rapporti tra Stato e Chiesa e quello di dare al paese un programma economico e sociale davvero moderno. Tali indicazioni possono venire solo da un partito radicale, che guardi con simpatia al PSI e al suo sforzo di liberarsi dell'ipoteca marxista e classista ma con esso non si confonda, mantenendo la propria peculiare fisionomia laica. Da queste considerazioni, l'invito della Giunta esecutiva ad andare avanti "pur con la consapevolezza di dover affrontare altri sacrifici".

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Cari amici,

quando il Consiglio Nazionale del 14-15 dicembre 1957 approvò l'alleanza radicale-repubblicana per le elezioni politiche del 25 maggio 1958, noi sapevano di avere con ciò compiuto una duplice azione: un atto politico coerente con il nostro programma che ha per obiettivo la creazione di uno schieramento laico di sinistra democratica, reso possibile dal fatto che il Partito Repubblicano Italiano aveva assunto il nostro atteggiamento contro la formula quadripartitica determinandone la caduta; ed un atto elettoralistico tendente a superare le difficoltà del meccanismo elettorale. Aritmeticamente parlando il nostro calcolo e la conseguente operazione sono risultati giustificati.

Per noi radicali la sostanza politica di questa alleanza è sempre stata considerata preminente sul calcolo puramente elettoralistico, anche perché le nostre previsioni, per noi radicali che partecipavamo per la prima volta ad una competizione elettorale su piano nazionale, sono sempre state estremamente caute, particolarmente perché avevamo al nostro fianco un partito organizzato seppure in costante declino dal 1946 in poi. Avevamo quindi la giustificata speranza di riconquistare e di affiancare al nostro quell'elettorato che il P.R.I. era andato perdendo negli anni della sua collaborazione al governo e nel contempo offrire all'elettorato radicale un formazione più vasta per vincere il complesso della paura di disperdere i voti che coglie gli italiani di fronte ai partiti minori, particolarmente quando questi sono all'opposizione.

I risultati elettorali ci hanno rivelato che le nostre previsioni erano giuste ma in un senso inaspettato: non solo noi radicali, da soli, non avremmo probabilmente raggiunto in sede nazionale i 300.000 voti, ma è certo che il P.R.I. da solo non li avrebbe raggiunti.

E' doveroso tentare un'analisi delle cause che hanno portato ad un risultato non certo rispondente alle aspettative: l'alleanza radicale-repubblicana ha riportato nelle elezioni del 25 maggio 1958, complessivamente 405.072, cioè 32.916 voti di meno di quanti il P.R.I. aveva da solo ottenuto nel 1953; queste cifre ci obbligano ad alcune osservazioni fatte con la massima franchezza e senza recriminazioni.

Possiamo con sufficiente obiettività, in base ai calcoli statistici comparati con quelli delle elezioni del 1953, affermare che l'apporto di voti radicali è stato in questa nostra campagna elettorale notevole, e certamente superiore alle prudenti previsioni che parlavano di un contributo nostro di 100-120 voti.

Le variazioni di voti (rispetto a quelli riportati dal PRI nel 1953) che si sono avute nelle città capoluogo di provincia, e le variazioni di voti nella provincia, danno chiaramente la misura del nostro concreto apporto. Su 91 città capoluogo di provincia, dove ovviamente la battaglia elettorale radicale aveva avuto la possibilità di maggiore penetrazione e dove l'elettorato è più maturo e qualificato, in 58 si è avuto un aumento di voti, in 33 una perdita. Crediamo opportuno darvi qualche esemplificazione. I voti sono aumentati: a Torino da 3.205 a 9.467; a Milano da 11.016 a 16.254; Venezia da 1.732 a 3.665; Verona da 613 a 1.300; Padova da 856 a 1.810; Bologna da 3.362 a 4.680; Firenze da 3.273 a 5.305; Roma da 20.865 a 28.619; Napoli da 2.055 a 3.089, ecc..

Invece i voti sono diminuiti a: Forlì da 12.600 a 11.900; Livorno da 4.105 a 3.500; ad Ancona da 5.668 a 4.617; Teramo da 478 a 226; Enna da 2.081 a 80, ecc..

Era a tutti noto che il maggior apporto radicale si sarebbe avuto nelle città e che scarso seguito avremmo potuto avere nella provincia che ritenevamo meglio organizzata dagli amici repubblicani. E' soprattutto per la provincia che i dati elettorali parlano chiaro: su 91 provincie (esclusi i voti dei capoluoghi) in 56 vi è stata una diminuzione di voti, in 35 un aumento: è capitato l'inverso che nelle città. E anche qui tra le 56 provincie che hanno perduto voti vi sono proprio le zone dove in passato il PRI aveva sempre ottenuto un alto numero di suffragi. Aggiungiamo qualche esempio: nella provincia di Ravenna da 13.458 voti si è scesi a 12.045; Forlì da 25.171 a 22.048; Grosseto da 9.352 a 7.789; Lucca da 5.014 a 3.924; Pisa da 2.403 a 1.603; Ancona da 15.056 a 11.324; Perugia da 6.936 a 4.586; Terni da 4.741 a 3.102; Latina da 5.211 a 2.718; Chieti da 7.925 a 2.200; Cosenza da 5.496 a 1.165; Catanzaro da 7.693 a 2.413; Enna da 2.085 a 428.

Quanto alle preferenze date ai candidati radicali va segnalato che su 23 circoscrizioni di cui possediamo i dati definitivi, in 7 è risultato primo un candidato radicale e in 10 i candidati radicali hanno preso il 2· o il 3· posto.

Tutto questo sta a significare che esiste in Italia un elettorato radicale che ha approvato la nostra impostazione politica e l'ha confortata del suo consenso. Dobbiamo anche riconoscere che i rapporti tra radicali e repubblicani, nel loro complesso, durante la campagna elettorale sono stati soddisfacenti particolarmente al vertice. Voi sapete quanti problemi difficili e delicati si creino con la confluenza nelle stesse liste di candidati provenienti da formazioni diverse. Ma non possiamo non rilevare che non dappertutto. le cose si sono svolte come ci ripromettevamo.

L'esito delle elezioni ha dimostrato che noi oggi ci troviamo di fronte ad un partito repubblicano che è assai meno vitale che non nel 1953 ed in seno al quale le forze rinnovatrici, che hanno voluto e sostenuto l'alleanza con noi, sono ancora impegnate in dura battaglia. Noi diciamo che resteremo sulle posizioni politiche che hanno portato all'alleanza: se cederanno, ad esse la scelta della strada da seguire; per noi la via è segnata ed è quella dell'opposizione intransigente.

L'analisi dei risultati elettorali non può certo arrestarsi qui poiché non vi è dubbio che altri fattori hanno giocato a nostro sfavore. Non ho bisogno di insistere sull'aspetto profondamente incivile della campagna mossa contro di noi da parte della DC e del clero, campagna che ha assunto le fosche tinte del più oscuro medio evo, della caccia alle streghe, della diffamazione più volgare, del richiamo primitivo della superstizione: e non dobbiamo sottovalutare l'effetto di una simile campagna soprattutto in provincia tra l'elettorato meno provveduto e tra le donne. E su questo argomento riteniamo di dover respingere il rimprovero che ci è stato da qualche parte rivolto e cioè di aver avuto la mano troppo pesante nella nostra campagna contro l'ingerenza clericale: dobbiamo anzi riconfermare la giustezza della nostra impostazione del problema dei rapporti tra Stato e Chiesa, problema che noi abbiamo imposto alla Nazione come quello centrale della campagna elettorale.

E' anche fuori dubbio che i fatti di Francia hanno avuto una influenza sulle nostre elezioni convogliando alla DC una messe di voti che, senza lo spauracchio di un governo "instabile" abilmente inserito dai democristiani sulla tragedia francese, sarebbero andati ad altri.

Vi è un altro aspetto che merita un attento esame da parte nostra e che dobbiamo ritenere assai importante nell'analisi dei risultati della campagna elettorale. Ci riferiamo all'accusa che ci viene mossa di aver fatto una campagna che in pratica ha giovato in parte ai socialisti. Non vi è dubbio che il PSI ha attinto voti in settori che erano tendenzialmente radicali. Ancora una volta ha giocato la perenne tendenza dell'elettorato di rafforzare il più forte, la solita paura di "sprecare" voti, il timore che un partito numericamente debole come il nostro ed una formazione minore come quella radicale-repubblicana non avrebbero avuto la forza di realizzare quei programmi che l'elettore approvava.

Nei confronti del PSI fu sempre da noi chiaramente illustrato all'elettorato che non siamo socialisti: ma non potevamo tuttavia non tener conto della realtà politica e modificare il nostro pensiero politico. Noi non possiamo e non intendiamo negare che consideriamo di importanza fondamentale lo sganciamento del PSI dal PCI come contributo decisivo per sbloccare la situazione politica italiana e per adeguarla al livello europeo.

Se questa valutazione positiva dei risultati che si potrebbero raggiungere attraverso la evoluzione democratica dei socialisti ha contribuito a spostare parte dei voti degli italiani dal Partito Radicale al Partito Socialista, noi ne possiamo trarre un unico ammonimento: di raddoppiare cioè i nostri sforzi per far comprendere agli italiani il valore e l'importanza delle minoranze politiche, liberarli dal timore reverenziale verso i partiti di massa, convincerli che il voto va dato al programma che si approva e che solo l'apporto del voto può dare ai partiti minori la forza di attuare quei programmi che l'elettore nel suo intimo predilige.

Ora è forse opportuno un rapido cenno ai mezzi finanziari di cui abbiamo potuto disporre.

La Giunta Esecutiva si rende perfettamente conto della modestia dei mezzi messi a disposizione per le elezioni nelle varie circoscrizioni, mezzi raccolti esclusivamente con personale sacrificio dei nostri iscritti. Ma gli ammirevoli sacrifici da tutti sostenuti hanno permesso al Partito Radicale una presenza su scala nazionale non certamente spettacolosa, ma tuttavia sufficiente per attestare la nostra vitalità.

La nostra presenza su scala nazionale ha rappresentato la prima occasione per farci conoscere da tutta l'opinione pubblica italiana al fine di rompere la congiura del silenzio che ci circondava e per proporre all'elettorato i nostri temi. La battaglia per l'affermazione delle nostre idee non poteva essere circoscritta a qualche collegio elettorale, ma andava fatta, come è stata fatta, in tutte le circoscrizioni, impegnando ovunque tutti gli iscritti a parteciparvi. E riteniamo che, davanti agli inqualificabili spettacoli di spreco, di corruzione, di irresponsabilità, che con i loro larghi mezzi finanziari hanno dato alcuni partiti e movimenti, sia un vanto ed un onore sapere che la nostra vivace presenza elettorale è stata ottenuta con spese assai limitate e tutte sopportate, come ci piace ripetere, con spirito di sacrificio dai nostri iscritti. Questi mezzi sono stati destinati per aiutare finanziariamente, purtroppo in misura inadeguata, l'organizzazione delle varie circoscrizioni elettorali,

a provvedere alla stampa ed alla distribuzione di opuscoli programmatici e manifesti, ad organizzare numerosi comizi, ad avere a disposizione qualche mezzo automobilistico, ecc.. Ma il contributo più notevole è stato indubbiamente quello dei nostri candidati, degli esponenti delle organizzazioni provinciali e dei nostri iscritti che hanno provveduto alle organizzazioni circoscrizionali, ed ai quali siamo lieti di rivolgere il più caloroso plauso e ringraziamento.

Dobbiamo ora esaminare la situazione nella quale oggi ci troviamo come partito politico che è uscito da queste elezioni senza alcuna rappresentanza in Parlamento. Dobbiamo, cioè, chiederci se i motivi che ci hanno indotto a fondare il nostro partito, a partecipare alla lotta elettorale, siano tuttora validi: a noi sembra che nulla sia mutato dopo le elezioni. Anzi, l'esame dei risultati ci conferma come sia diventato più attuale il pericolo che la DC si trasformi in regime sotto la pressione e la guida delle più retrive ed intransigenti forze clericali. Pretendere di condizionare la DC offrendo la propria collaborazione, come qualche partito della sinistra democratica dimostra di voler fare, è una pura illusione. Oggi collaborare con la DC significa solo accrescerne il potere. L'invadenza clericale si può frenare soltanto con una opposizione intransigente e tenace. Più che mai oggi è necessaria la presenza di una forza che richiami l'opinione pubblica alle sue responsabilità e la ponga di fronte

a quei problemi che sono pregiudiziali per la libertà e la vita stessa della nazione:

1) nei rapporti tra Stato e Chiesa, lo Stato italiano deve riconquistare la sua libertà e sovranità respingendo risolutamente ogni invadenza di forze estranee;

2) il programma economico sociale ed amministrativo con il quale il Partito Radicale è sorto è impegnativo per una vera sinistra democratica e costituzionale. Nel quadro della costituzione è indispensabile restaurare lo stato di diritto, esigere una chiara separazione dei poteri, difendere il cittadino dagli abusi dell'esecutivo. Attuare profonde riforme di struttura particolarmente per quanto riguarda la scuola; ridurre il prepotere dei monopoli, difendere una vera economia di mercato ed impedire ogni collusione nel settore economico tra pubblico e privato, risolvere il problema della massiccia disoccupazione con una politica di pieno impiego, sono inderogabili esigenze del programma radicale. Tutte queste nostre istanze debbono essere oggi ancora più energicamente affermate perché i risultati elettorali ci dicono che ci troviamo di fronte al pericolo immediato di un governo clericale che ricerca affannosamente un avallo di centro-sinistra per mascherare la realtà reazionaria del regime.

L'unica posizione di chiarezza è: nessuna collaborazione con la DC fino a che sarà lo strumento del Vaticano; non crediamo ai governi democristiani perché non sanno essere autonomi di fronte alla Chiesa. Come abbiamo sempre chiesto al PSI di essere autonomo dal PCI, così dobbiamo chiedere alla DC di essere autonoma dalla Santa Sede.

Non è col piccolo riformismo paternalistico, con i programmi di lavori pubblici, con i finanziamenti ai vari organismi statali e parastatali, con gli Enti di riforma che sono poi armi elettoralistiche per la DC, che si attua una politica di sinistra. La sinistra che noi vogliamo non deve essere una sinistra corporativa integralista e clericale.

Se facciamo un rapido esame delle varie formazioni politiche esistenti in Italia, dobbiamo constatare obiettivamente che non ve n'è alcuna che possiede un patrimonio ideale così omogeneo, coerente e moderno come la nostra. Nell'ambito dei partiti che si considerano costituzionali troviamo sulla destra un partito di maggioranza che si oppone a tutte le nostre istanze; un partito liberale che ha dato ancora una volta la prova di impostare tutta la propria politica sul metro degli interessi economici che esso rappresenta. Sulla sinistra un Partito socialista democratico che nei molti anni che è stato al governo ha sempre avallato la politica immobilista e qualche volta reazionaria della DC, posponendo i reali interessi del paese a quelli di parte; ed un Partito socialista che negli ultimi tempi ha dato prova di volersi allineare su posizioni sinceramente democratiche. Noi abbiamo notato con simpatia come questo partito si sia allontanato sempre più dal suo passato: proprio i maggiori consensi otten

uti in queste elezioni lo impegnano a mantenersi sul terreno liberamente scelto. Oggi il PSI è un elemento insostituibile per una stabile democrazia.

Conseguentemente i rapporti tra sinistra laica e PSI non possono che essere cordiali. Va però ricordato come il Partito Radicale sia lontano dalle posizioni marxiste e classiste del PSI e come questo partito appaia ancora scarsamente sensibile alla sostanza del drammatico conflitto che oppone lo Stato alla Chiesa, non sufficientemente preoccupato dei problemi generali dello Stato e dei rapporti di libertà fra i singoli e la collettività.

In queste condizioni la difesa del laicismo intesa nel senso più lato e più impegnativo e la impostazione rigorosa dei problemi di una moderna democrazia, rimangono affidate a noi radicali. La nostra presenza, in una società modernamente organizzata, non può manifestarsi ed agire se non come formazione politica di un partito. Noi riteniamo pertanto doveroso continuare la nostra battaglia, assumerci in pieno le responsabilità e gli oneri che pesano su un partito di elite e di avanguardia. Non è un impegno lieve quello che noi indichiamo e per il cui adempimento noi chiediamo il conforto della consapevole adesione di tutti coloro che sino ad oggi hanno aderito al nostro partito.

Crediamo che questo sia essenzialmente il tema del nostro odierno dibattito.

Riassumendo, cari amici, la Giunta Esecutiva ritiene che il Partito Radicale ha validi motivi per intensificare la sua opera politica. Noi dobbiamo continuare a presentare al paese i programmi e le soluzioni che riteniamo validi ed essenziali per trasformare l'Italia in una democrazia veramente moderna. I nostri temi che da oggi sono diventati patrimonio comune di tutti coloro che sinceramente lavorano per rendere più civili le nostre condizioni di vita, vanno approfonditi, proposti e riproposti senza compromissioni, senza cedimenti, senza concessioni e senza tatticismi estranei al nostro costume; mantenendo in pieno il nostro obiettivo che mira ad uno schieramento più vasto tra le forze affini, obiettivo che ci impone la funzione di partito di avanguardia, pienamente autonomo, disposto se necessario ad affrontare ancora per lungo tempo il destino storico di tutte le minoranze. Ma fino a quando noi crediamo nella verità e nella saggezza delle nostre idee, non abbiamo né il diritto, né la giustif

icazione per disertare dalla battaglia; ma dobbiamo continuare il nostro cammino pur con la consapevolezza di dover affrontare altri sacrifici.

E se, come confidiamo, questo Consiglio Nazionale confermerà al decisione di rafforzare l'azione di partito, nessuno mancherà al dovere di approfondire ed allargare i nostri temi programmatici e di fornire ai giovani, che in misura crescente e confortante continuano ad affluire nel nostro partito anche dopo l'insuccesso elettorale, gli strumenti per la lotta politica che si annuncia sempre più difficile ed aspra sul piano nazionale ed internazionale.

Il nostro è il programma di tutti coloro che ancora non hanno rinunciato alla speranza di vedere finalmente attuarsi nel nostro paese i congiunti ideali del Risorgimento e della Resistenza; cioè una moderna democrazia saldamente ancorata alla costituzione, sovrana ed autonoma nel suo ambito, capace di dare alle nuove generazioni la forza e l'entusiasmo per inserirsi, a parità di diritto e di merito, tra le nazioni moderne.

 
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