di Guido CalogeroSOMMARIO: Il filosofo del "dialogo" informa che l'Associazione per la libertà religiosa e l'Associazione per la libertà della cultura hanno costituito un Comitato per il "riconoscimento giuridico dell'obiezione di coscienza". "Si tratta di un diritto - sostiene profeticamente - che nella società futura non avrà neppure il bisogno di essere sancito per legge, perché la crescente tecnicizzazione delle armi rende ormai sempre meno necessarie le coscrizioni obbligatorie. E quando non esisteranno al mondo altre forze armate che quelle dell'ONU, ci saranno senza dubbio sufficienti volontari disposti ad assumersi tale nobile comnpito".
Calogero esamina quindi le condizioni cui dovrà attenersi la legge di riconoscimento. Sì ad un servizio più lungo e più duro "se non altro per dimostrare a chiunque che (l'obiettore) è un serio combattente per un remoto ideale e non un pigro...", no invece a qualsiasi forma di "inquisizione" sulle motivazioni dell'obiezione, come pure no alla pretesa di certe Chiese di veder riconosciuti come obiettori di coscienza tutti i propri fedeli.
[Si tratta di uno dei bellissimi "Quaderni" che Guido Calogero scrisse per qualche tempo sul "Mondo" e che furono poi raccolti in un volume di Laterza].
(IL MONDO, 12 dicembre 1961)
L'associazione per la libertà religiosa e l'Associazione per la libertà della cultura hanno costituito un comitato per il riconoscimento giuridico dell'obiezione di coscienza. Si vuole che i legislatori modifichino le norme vigenti, cosicché chiunque non vuole impegnarsi ad uccidere altri non debba restare in prigione indefinitamente, dal momento che la stessa espiazione della condanna non è sostitutiva del servizio militare, e quindi si ripete ad ogni rinnovato rifiuto di prestarlo.
Si tratta di un diritto che nella società futura non avrà neppure il bisogno di essere sancito per legge, perché la crescente tecnicizzazione delle armi rende ormai sempre meno necessarie le coscrizioni obbligatorie. E quando non esisteranno al mondo altre forze armate che quelle dell'ONU, ci saranno senza dubbio sufficienti volontari disposti ad assumersi tale nobile compito. Comunque, già adesso l'obiezione di coscienza è legalmente riconosciuta, con maggiore o minore larghezza, in tutte le nazioni più civili. E non si vede perché gli Italiani debbano difendere la loro tradizione nazionale rifiutandosi di imparare dagli altri.
Né chi (come p. es. il sottoscritto) ritiene che non si possa con coerenza ammettere, oltre al dovere di obbedire alle leggi dello stato accettato come proprio in quanto democratico e di insorgere contro lo stato condannato e respinto in quanto tirannico, anche un incongruo diritto di resistenza e di insubordinazione civile, si contraddice quando chiede il riconoscimento del diritto di essere esonerato dall'obbligo del servizio militare. Qui si tratta, infatti, del solo obbligo giuridico, il quale abiti in una zona ambigua, al margine dello stato, là dove ormai comincia il regno della guerra, in cui la voce del diritto subentra quella eslege della potenza. E come a nessuno dovrebbe mai essere rifiutato di abbandonare uno stato e di andarsene altrove (donde l'arcaica barbarie di ogni superstite legislazione sulle cittadinanze, sui passaporti e sui visti, ostacolante la libera scelta delle nazioni da parte degli individui), così a nessuno può essere mai imposto per legge l'uccidere, che è la tipica negazione d
i ogni convivenza legale con altri.
Ma, beninteso, l'eccezione finisce qui. E il giorno che un obiettore di coscienza rifiutasse p. es. di fare, come servizio alternativo, il poliziotto disarmato, o armato soltanto di buona tecnica di pugilato e di lotta giapponese, io gli direi di studiarsi meglio i necessari rapporti fra persuasione e coercizione in ogni società civile, e di non pretendere che altri lo difendano con la loro forza dai ladri mentre egli si compiace del suo sogno di non violenza. Il servizio alternativo che ogni obiettore di coscienza è venuto a compiere dev'essere duro e lungo, non foss'altro per dimostrare a chiunque che egli è un serio combattente per un remoto ideale, e non un pigro desideroso soltanto di schivare la caserma o il fronte. Né si dica che così s'infligge, agli obiettori di coscienza, una condanna. La realtà è che li si libera non solo da un maggior rischio di essere uccisi (che è già qualcosa) ma anche dal dovere di uccidere (che è molto di più). Non debbono dunque, per questo, offrire un congruo compenso agli
altri, che invece continuano a non sottrarsi a quel penoso dovere?
Si acceda quindi pure alle richieste di rendere gravoso il servizio alternativo, per evitare che l'obiezione di coscienza diventi un comodo pretesto per i pigri o per i neutralisti. Viceversa, si respinga qualunque forma di inquisizione sui motivi, per cui un individuo chieda di valersi del diritto di opposizione per il servizio civile in luogo del servizio militare. E che si dovrebbe domandargli? Forse quali sono le ragioni religiose o ideologiche per cui egli si presenta come obiettore di coscienza? Ma tanto vale stabilire che alcune ragioni sono valide ed altre no, cioè trasformare in stato autoritario lo stato democratico, il quale non può discriminare gli individui a causa delle loro opinioni.
Oppure si vorrà accertare se egli è sincero o no? Ma tutti sono sinceri, in questo senso. Anche il baro è sincero nel suo desiderio di truffare gli altri. E se Caio intende esercitare il suo diritto di voto, non occorre il previo accertamento che egli voti per sincera adesione all'ordine costituzionale e non soltanto perché il candidato Sempronio gli ha promesso la scarpa destra dopo avergli anticipato la sinistra. Figuriamoci poi che cosa succederebbe nella composizione della Commissione, e negli esami di fronte ad essa! Da un lato, l'amico Aldo Capitini sarebbe assediato dalle richieste di lezioni private di aspiranti alla preparazione per sostenere l'esame. Dall'altro, generali e ammiragli tempesterebbero per partecipare alla Commissione e "schiaffare" in prigione tutti i candidati più timidi e onesti, che all'esame s'impappinassero nonostante lo studio a memoria delle dispense.
Il guaio è che certe chiese possono soggiacere alla tentazione di vedere, viceversa, riconosciuti come legittimi obiettori di coscienza tutti i propri fedeli, data la loro esiguità numerica, e magari addirittura con l'esenzione da ogni servizio alternativo. Qui si avrebbe una sorta di razzismo alla rovescia, specie qualora (per evitare che tutto si riducesse ad un goffo metodo di accrescimento delle chiese così privilegiate) si richiedesse la dimostrazione dell'esserne stati membri per molti anni, o addirittura di essere nati da genitori appartenenti alla stessa chiesa. Insomma, i ruoli di anzianità applicati alla fede religiosa! Questi sono i pericoli di quell'egoismo di gruppo, a cui spesso si riduce lo spirito ecclesiastico.