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Bandinelli Angiolo - 21 settembre 1971
Antimilitaristi (1): cronache di 25 anni
di Angiolo Bandinelli

SOMMARIO: L'antimilitarismo, tema essenziale del socialismo prefascista, viene accantonato dalla sinistra dopo la guerra. La Resistenza ha esaltato la rivoluzione popolare armata, e il partigiano è un modello di militanza politica esaltante. Resistanza e realismo liquidano le posizioni libertarie. Togliatti giacobino e il Pci "non demagogico" nella Costituente. Bocciati gli emendamenti per l'obiezione di coscienza, con il mondo cattolico che condanna l'eresia della coscienza e relega gli obiettori nel mondo delle sette; il Pci contribuisce invece a respingere un emendamento firmato da Pertini tra gli altri, che stabilisce che "nel bilancio dello stato, le spese militari non potranno superare le spese della Pubblica Istruzione, salvo legge del Parlamento di durata non superiore ad un anno". Poi l'opportunismo frontista. I Testimoni emarginati; la disobbedienza civile cattolica tra profetismo, radicalismo, integrismo. La marcia Perugia-Assisi. Il Comitato per il disarmo nucleare (CND): nasce un'Internazionale?

No alla diplomazia della distensione: nell'una e nell'altra società, le struttura militari costituiscono uno dei principali fondameneti dello Stato autoritario. Convertire queste strutture in strutture di pace è la necessità per il progresso dei singoli popoli e della comunità internazionale. Da questa prima importante acquisizione di obiettivi e di metodi, analisi e storia dell'antimilitarismo libertario e nonviolento radicale negli anni Sessanta, attraverso le lotte per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza.

(LA PROVA RADICALE N.1 - AUTUNNO 1971)

Sul tema dell'antimilitarismo, così essenziale al socialismo prefascista, così radicato nella tradizione popolare libertaria, la sinistra si ripresentava, alla caduta del fascismo, decisa ad accantonare ogni motivo di scontro e di polemica. La Resistenza ed il CLN avevano esaltato la rivoluzione popolare ed armata, il partigiano rappresentava un modello di militanza politica eccitante, gli eserciti democratici e gli eserciti rossi erano stati necessari per abbattere, contro gli eserciti neri, il fascismo e restituire la libertà; in fondo, i grandi assenti della lotta antifascista apparivano essere proprio i socialisti libertari, mentre il nuovo realismo e lealismo dei cattolici impediva loro il ritorno a posizioni che ne avevano caratterizzato l'impegno politico all'epoca della prima guerra mondiale. Motivi diplomatici e di potere, relativi al ruolo della sinistra all'interno e alla sua collocazione internazionale, impedirono una riflessione di fondo sul peso delle strutture militari nella cronaca recente e

sulla storia più lontana e sulla loro influenza nella società e nello stato.

La storia dell'abbandono di questa battaglia può però cominciare con la registrazione di alcuni interventi, a carattere pacifista o più nettamente antimilitarista, segnalatisi durante i lavori della Assemblea Costituente, e della loro sconfitta.

In sede di sottocommissione (Iª, »diritti e doveri dei cittadini , presidente Tupini, segretario Grassi, membri Amadei, Basso, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Angela Gotelli, Leonilde Jotti, La Pira, Lucifero, Mancini, Marchesi, Mastrojanni, Umberto Merlin, Moro, Togliatti), discutendosi di quello che poi, nella redazione definitiva, sarebbe divenuto l'art. 52 della legge fondamentale della Repubblica, l'on. Basso propose il seguente testo: »Tutti i cittadini sono tenuti alle prestazioni personali allo Stato per servizio militare e di lavoro . La proposta non venne nemmeno presa in considerazione.

Ma subito, in commissione, il PCI, per bocca del suo più autorevole esponente, Palmiro Togliatti, indicò (si discuteva sempre l'articolo sugli obblighi militari del cittadino) la direzione nella quale d'allora in poi sempre e senza esitazioni, si sarebbe mosso su questo terreno. L'on. De Vita aveva proposto che la nuova Repubblica adottasse, invece della coscrizione obbligatoria, il sistema del volontariato. Era una tesi che, se traeva dall'esperienza dei paesi anglosassoni qualche conforto, arrivava tuttavia in discussione non sufficientemente documentata sul piano dei possibili sviluppi in Italia. Ma in questa occasione Togliatti assumeva, a spiegazione e motivazione del suo rifiuto della proposta De Vita, un atteggiamento che avrebbe avuto riflessi e conseguenze rilevanti. Disse Togliatti che, adottandosi il sistema del volontariato, »non si avrebbe più il "popolo intero che si arma" ed è pronto a difendere il suolo della patria, ma una categoria di professionisti... tendenzialmente pericolosa alle stess

e istituzioni.

Il 22 maggio venne in discussione in aula il testo dell'articolo 52 elaborato in commissione. Nel dibattito emerse una notevole presenza antimilitarista, con netta preminenza PSI e PSLI. Nessuno degli emendamenti o commi aggiuntivi proposti in tale direzione venne accettato. Il primo emendamento fu presentato dagli on.li Cairo (PSLI), Chiaramello (PSLI), Calosso (PSI) ed altri, e suonava così: »Il servizio militare non e obbligatorio. La Repubblica, nell'ambito delle convenzioni internazionali, attuerà la neutralità perpetua . Nei suoi interventi, l'on. Cairo si pronunciò dichiaratamente »pacifista . Fu poi la volta dell'on. Caporali (PSLI) a proporre un'aggiunta al secondo comma dell'articolo, che avrebbe introdotto se accolta, il principio dell'obiezione di coscienza (»sono esenti dal portare le armi coloro i quali vi obiettino ragioni filosofiche e religiose di coscienza . Era una dizione antiquata, nella formulazione e nella sostanza, ma rispondeva al livello generale della consapevolezza registrabile, s

u questo argomento, anche in campo internazionale. Ma l'on. Merlin (DC) dichiarò di non poter accettare l'aggiunta in quanto, egli disse, »in Italia una setta di obiettori di coscienza... non esiste (1). Con questo tipo di affermazione il mondo cattolico ufficiale italiano faceva così subito una delle sue scelte fondamentali, da una parte impedendo che si introducesse nelle istituzioni repubblicane il diritto all'»eresia di coscienza, dall'altra relegando il mondo protestante (dal quale proveniva allora, in massima parte, in campo internazionale, l'obiezione al servizio militare armato) nel ghetto delle »sette . L'assemblea votava contro, tra i votanti a favore c'era, e lo ricordiamo, l'on. Paolo Rossi. Ancor più nettamente - nel dibattito che precedette il voto - venne respinto il comma aggiuntivo proposto da Calosso, Chiaramello, Pertini, M. Matteotti ed altri, nel quale si stabiliva che »nel bilancio dello Stato le spese per le forze armate non potranno superare le spese della pubblica istruzione, salvo

legge del Parlamento di durata non superiore ad un anno . La proposta, seppellita nell'ironia, venne definita »demagogica dall'on. Laconi, e il gruppo comunista si univa al fronte dei contrari. Il servizio militare venne infine sancito come obbligatorio, anche se esso doveva essere prestato »nei limiti e nei modi stabiliti dalla legge .

Un'ultima occasione di affermare e istituzionalizzare nuovi diritti civili e nuove forme di rapporti tra cittadini e stato che avrebbero costituito un avanzato terreno di lotta anche antimilitarista, la nuova Repubblica lasciò cadere rifiutando che nel successivo articolo della Costituzione venisse introdotto il principio che »quando i pubblici poteri violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla costituzione, la resistenza all'oppressione è diritto e dovere del cittadino .

Difficile ricostruire, al di fuori di questo dibattito, quali forze politiche o culturali avessero già avviato in quel momento nella società, un confronto sul tema del militarismo e del pacifismo. Si ampliava certamente l'iniziativa di Capitini, come aperta esplicazione delle riflessioni di quel libro, "Elementi di una esperienza religiosa" (2) che, uscito sotto il fascismo per interessamento di Benedetto Croce (Laterza, 1937) aveva affermato una alternativa civile di non-violenza, di »religione aperta e quindi, sostanzialmente, di "dissenso" antiautoritario ed antimilitarista alla ideologia e alla prassi autoritaria, militarista e classista della società e delle istituzioni, »liberali e fasciste insieme, che reggevano il paese. Nel 1946-7, il »Movimento di Religione di Capitini (ed altri), si proclamava impegnato in »una azione contro la guerra, in un insegnamento e una pratica di non-violenza... . Nel 1947, scriveva Capitini, »abbiamo formato il primo nucleo di una larga associazione italiana di resiste

nti alla guerra... che si proponeva l'impegno attivo per l'»obiezione di coscienza contro la guerra e per il suo riconoscimento. E' probabile che attorno a questo nucleo si sia ritrovato fin da allora anche il vecchio Ezio Bartalini; nei primi decenni del secolo, Bartalini aveva esercitato all'interno del mondo socialista una forte influenza, facendovi emergere, con le sue battaglie e la sua pubblicistica (»La Pace ) ampie posizioni di intransigente e caratterizzato pacifismo, come documentano abbondantemente gli archivi di polizia dell'epoca.

Insieme, deve essere ricordato don Mazzolari, contrario, ancora in epoca fascista, al nazionalismo della chiesa, al suo appoggio sostanziale al fascismo, alla sua ideologia della »guerra e favorevole ad una sostanziale »disobbedienza civile in nome di quel radicalismo cristiano, che fuori d'Italia specialmente cominciava ad investire anche il mondo cattolico (cattolico, se non andiamo errati, era anche Claudio Baglietto, esule a Ginevra, durante il fascismo per non prestare servizio militare). Ma in generale, il confuso, radicale, fermento e dibattito religioso ed antiautoritario promosso in quegli anni dai Capitini (e dai Tartaglia) venne soffocato sia dalla imperante cultura idealistica (Croce: »La guerra... è nel seno della realtà, inconcepibile senza guerra... ) sia dal »realismo della sinistra.

Intanto, dopo la crisi dell'immediato dopoguerra, la reazione militarista riprendeva corpo e voce, anche per la stretta rappresentata dal clima di guerra fredda e dalla ricostituzione dei blocchi militari contrapposti. Con l'adesione alla NATO, riprendeva il riarmo del paese, e la stessa ideologia dell'»esercito democratico si vanificava, per quella dell'esercito baluardo di civiltà e così via. La non violenza capitiniana non riuscì a liberarsi dal ricatto sollevato nei suoi confronti, di rappresentare solo l'utopia di una setta ed esclusiva colorazione religiosa. L'iniziativa sulla »pace divenne presto strumento propagandistico del frontismo, attraverso le campagne promosse dai Partigiani della Pace. Il movimento, tipicamente frontista, in tutte le sue campagne si guardò bene, peraltro, di riprendere la stessa formulazione togliattiana dell'»esercito democratico o del »popolo in armi . Questa indicazione, pur propria del mondo comunista e rispolverata, come si è visto, in sede di Assemblea Costituente, n

on nutrì alcun dibattito o iniziativa della sinistra. Essa, assunto un volto »nazionale , abbandonò in realtà anche la polemica, e praticamente accettò che le destre monopolizzassero il settore.

Per anni, i »testimoni di Jehova hanno fornito alle carceri militari e ai tribunali abbondante materiale di esercitazione e di impiego, quasi gratis. L'obiezione di coscienza era la »protesta , il segno di »dissenso e di rifiuto totale della società terrena e delle sue leggi, di questa minoranza religiosa, localizzata, forse geograficamente ma più probabilmente culturalmente, nella società contadina, eversiva e tradizionalmente antistatuale dei revivals religiosi alla David Lazzaretti o del neogiudaismo del Gargano. Minoranza estrema, chiusa a qualunque confronto e dibattito sul piano della storia e delle istituzioni, essa affidava a questa protesta totale, il rifiuto di portare le armi, il massimo del suo scontro con le strutture associate e dello stato. Indifferenza e intolleranza provava per essi il cappellanato militare, che non ha mai speso un soldo di carità o una parola di comprensione per l'aborrita setta, indifferenza, se non intolleranza, dimostrava nei confronti di questi sconosciuti la sinistra

, occupata in ben altri problemi. Gaeta e Peschiera hanno così ospitato, per anni, decine o centinaia di tali obiettori, prima che qualche voce cominciasse a levarsi in loro difesa. Eppure si deve a loro se l'obiezione di coscienza è divenuta un problema rilevante, e politico. Al di là delle motivazioni, certamente non »politiche , importante fu, nella cronaca, il dato costituito da un gruppo di »emarginati riottoso a scendere a compromessi su un problema di coscienza e capace di rischiare, su di esso, un serio e, in termini personali, costoso scontro con l'autorità costituita, il potere, leggi autoritarie, strutture conservatrici solo per il fatto di non ammettere eccezioni, di non tollerare infrazioni o proteste. Nel periodo in cui, attorno ad un modesto libro, l'»Armata s'Agapò , si accendeva una virulenta polemica in occasione della quale i settori più reazionari si arroccavano nell'esaltazione dell'ideologia militare, i »testimoni di Jehova hanno rappresentato quasi l'unico dato antimilitarista di una

certa consistenza.

Nel 1948-1950 si aveva però anche l'obiezione di coscienza di Pietro Pinna. Questi vedeva muoversi in sua difesa 33 parlamentari laburisti inglesi, con una petizione che incontrava la secca, negativa risposta dello stesso presidente del consiglio De Gasperi. Con Pinna riprendeva voce la matrice antimilitarista libertaria, in veste gandhiana o radicale cristiana. Nel proporre, insieme con Umberto Calosso, una legge per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza proprio dopo la condanna di Pinna, l'on. Igino Giordani (D.C.) coglieva il significato politico esplosivo di questo isolato gesto. »Il caso - egli spiegava - è nato con l'istituzione del servizio obbligatorio in Europa e dalle correnti socialiste; è nato dallo stesso socialismo: i primi obiettori di coscienza sono stati quei socialisti che già nel secolo scorso si rifiutavano di prestar servizio militare in grazia del loro internazionalismo . E il tribunale di Torino affermava che questa obiezione di coscienza con le sue motivazioni pacifiste, aveva

dato luogo »a vasta eco ed a deleteria azione di disgregazione nell'ambito militare, con evidente pericolosità del ripetersi di fatti consimili . Si sommava alle reazioni più conservatrici la voce di padre Messineo, che attaccava duramente la stessa ipotesi dell'obiezione di coscienza, come contraria all'ideologia, gerarchica ed autoritaria, della Chiesa. Due progetti di legge, uno messo a punto da Capitini e Jemolo per incarico della Lega Italiana per i Diritti dell'Uomo, un secondo presentato dagli on. Basso, Targetti, Paolicchi ed altri deputati del PSI, segnavano, in questi anni, l'insufficiente punto di arrivo della battaglia. Ambedue i progetti fallivano però, innanzitutto, l'obiettivo di indicare alla coscienza politica e all'opinione pubblica i punti fermi essenziali per fare, dell'impegno pacifista e del dissenso, un momento essenziale di conquista di più ampie, nuove libertà civili in uno stato che, mentre cominciava a porsi alcuni obiettivi »sociali attraverso le nuove forme del capitalismo di s

tato, manteneva però intatte, anche dopo la caduta del fascismo, le sue strutture autoritarie e clericali, profondamente illiberali. Forti residui di discrezionalità venivano infatti riservati, nei due progetti (più in quello di Basso che in quello di Capitini-Jemolo) alle commissioni ed ai tribunali militari competenti. Il progetto Capitini-Jemolo aveva il merito di rivendicare, per primo, la tesi della costituzione di un servizio civile alternativo, sostitutivo di quello militare. L'innovazione apriva la porta ad una più avanzata battaglia, che però solo forze autenticamente antimilitariste avrebbe in un successivo momento nuovamente ripreso e portato avanti. Un servizio civile alternativo, che potesse essere punto di riferimento per quanti, indipendentemente dalle loro convinzioni e dalle motivazioni addotte, richiedessero "automaticamente" il riconoscimento all'obiezione, avrebbe potuto e dovuto essere la risposta storicamente adeguata di una seria battaglia di sinistra mirante a ridurre, e in prospettiv

a abolire, l'enorme presa delle strutture militari sulle strutture civili e di pace. L'indicazione di Capitini era giusta, ma l'iniziativa politica per sostenerla fu nulla. Tutte le successive formulazioni legislative per il riconoscimento di una qualche specie di obiezione di coscienza preferirono invece »mediare con le ovvie esigenze del mondo conservatore, circoscrivendo l'obiezione di coscienza ai soli casi riconosciuti da commissioni più o meno militarizzate attraverso un meccanismo inquisitorio, illiberale e sostanzialmente limitativo, o comunque facendo assumere al servizio disarmato sostitutivo un carattere nettamente punitivo: esso veniva infatti prolungato fino al doppio del tempo del servizio militare armato. La sinistra italiana, in sostanza, mostrò in questa occasione limiti e carenze di coraggio e di chiarezza, impegnandosi esclusivamente per migliorare una legislazione che non riusciva ad impedire che centinaia di giovani riempissero assurdamente le carceri.

Nel 1962 si apriva il caso di Giuseppe Gozzini, che motivava il rifiuto alle armi con le tesi del radicalismo evangelico e sollevava quindi una violenta discussione all'interno del mondo cattolico. Gozzini rifiutava l'obiezione di coscienza. Essa era a suo avviso espressione di »profetismo , o di »astratto pacifismo, segno a sua avviso solo di un individualismo da condannare. La sua era, disse, la protesta contro la fame e l'ingiustizia dei poveri e degli sfruttati, in Italia e nel mondo. Un anno dopo, in un articolo apparso su »Il Giornale del Mattino , commentando la condanna inflitta a Gozzini, padre Balducci, attivo in quella chiesa fiorentina che già ospitava nel suo seno don Milani e la crisi dell'»Isolotto , appoggiò Gozzini, attaccando la teoria cattolica della »guerra giusta . Inoltre, appigliandosi a più recenti affermazioni della gerarchia, secondo la quale una guerra totale avrebbe presentato i caratteri di una guerra »ingiusta , Balducci conseguenzialmente dedusse che in tale caso i cattolici a

vrebbero avuto non solo il diritto, ma il »dovere di disertare. Balducci venne, per queste sue dichiarazioni, condannato a otto mesi per apologia di reato.

Il manifestarsi di questa »eresia presentava già elementi che avrebbero nutrito gran parte del »dissenso cattolico degli anni successivi. Giustamente W. Dorigo, su »Questitalia , ne metteva in luce componenti integriste (»la tentazione - come scrisse - all'integrismo evangelico di sinistra ), ma il problema evidentemente non andava posto in questi termini. L'obiezione di coscienza di Gozzini costringeva ancora una volta le autorità civili e militari (per quelle religiose il dilemma non si pose neppure, ovviamente (3)) a scelte e decisioni rilevanti "sul terreno istituzionale". La condanna di Gozzini, dei Balducci sollevava problemi - così come, in anni di poco precedenti, il caso dei coniugi Bellandi, denunciati all'opinione pubblica dal vescovo di Prato che la magistratura italiana non volle condannare - che avrebbero dovuto sollecitare a un aperto confronto di libertà la sinistra italiana. Questa avrebbe dovuto avvertire che, appoggiando questi dissidenti cattolici, avrebbe assolto ad un compito fondamen

tale per la crescita della coscienza e delle istituzioni civili. Quanto fosse grave questo problema, ed urgente la necessità di un fermo impegno, lo mostrò l'atteggiamento assunto nell'occasione dalla magistratura, dalle autorità civili. Le condanne a Balducci e Gozzini vennero mantenute, ma al primo venne concessa la sospensione condizionale della pena e per il secondo intervenne la solita, provvida amnistia su misura. Si evitava in tal modo che questi e quello potessero divenire in qualche misura »martiri di una eresia ideale, di un dissenso civile. Un avvenimento che rischiava, insomma, di creare uno scontro, un confronto nel paese e al livello delle istituzioni, fu così evitato.

Nonostante gli »applausi comunisti per Gozzini e Balducci, denunciati dalla stampa conservatrice, questa iniziativa ebbe come sola eco e conseguenza politica la presentazione di nuovi progetti per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza, da parte di singoli deputati e di forze circoscritte e limitate (Pistelli, DC; Basso, PSI; Paolicchi, PSI; ed altri), destinati anche essi ad un rapido naufragio. Si noterà come, in realtà, l'applauso comunista agli obiettori fosse privo di serie e concrete conseguenze politiche, i progetti non portavano la firma di nessun deputato del PCI; importante è invece sottolineare che in alcuni ambienti cattolici si cominciava a sentire la necessità di dirottare la spinta dell'obiezione cattolica entro alvei controllabili, per evitare rotture e lacerazioni all'interno del mondo dei credenti. Sarà poi infatti del democristiano Pedini l'unico progetto approvato, un progetto che consentirà solamente ad alcuni privilegiati (per cultura, »moralità , conformismo) di scambiare il se

rvizio militare con un periodo di »assistenza sociale nei paesi sottosviluppati. Si pensò così di disinnescare il malcontento di alcuni quadri »intellettuali , convinti come si era che l'obiezione di coscienza fosse esigenza di élites culturali e politicizzate.

Al Consiglio nazionale del Partito Radicale del novembre 1960, la corrente di sinistra proponeva un progetto di risoluzione nel quale, »dinanzi ai problemi di pace che oggi rappresentano la legittimazione stessa della politica estera, nel mondo , si invitava il partito e le forze della sinistra ad una iniziativa che promuovesse »"il disarmo atomico e convenzionale dell'intera area continentale europea, con la conseguente abolizione degli eserciti nei paesi di quest'area" , la »denuncia del patto militare NATO [il non rinnovo, alla scadenza del 1961] e dell'UEO e »la proclamazione del diritto all'insubordinazione ed alla disobbedienza civile di tutti i cittadini che non accettano la politica di riarmo, di guerra, di divisione e di concorrenza di stati nazionali che appartengono ai loro nemici di classe e che perseguono necessariamente obiettivi contrastanti con l'unità internazionale delle classi lavoratrici e democratiche... Lo schema di dichiarazione su la politica estera, su »il disarmo atomico e convenz

ionale, la politica per la pace della sinistra radicale conteneva anche un appello per la »federazione o comunque la comune organizzazione di tutti i movimenti socialisti, popolari e rivoluzionari che combattono per l'instaurazione di un regime di libertà nell'Europa occidentale . L'antimilitarismo, da riconquistarsi attraverso una concreta politica del le istituzioni per il disarmo »atomico e convenzionale , e attraverso una seria indicazione di unilateralismo veniva così proposto alla sinistra, come obiettivo comune e unificante. Nella storia (o nella cronaca) della sinistra italiana questa posizione risultava nuova rappresentava una rottura con il passato.

Non è nostro compito fare un'analisi delle posizioni della sinistra sui problemi della politica estera. Brevemente, accenniamo ad alcune, allora preminenti e significative. Da una parte si aveva il PCI, che, avendo rifiutato la »via greca alla conquista del potere, non poté o volle fornire, in quegli anni, altre indicazioni che non fossero il consenso alla politica dell'URSS, sia nella fase della guerra fredda, che in quella dell'avvio della coesistenza: quindi, attacco alla NATO sul piano »diplomatico , ma nessuna alternativa rispetto al riarmo italiano. A questa posizione si contrapponeva, come opposta »scelta di civiltà , l'atlantismo della gran parte della c.d. »sinistra democratica , filoamericana con punte reazionarie (contrarie ad esempio alla guerra di liberazione algerina e sostanzialmente vicine a Francia ed Inghilterra all'epoca della avventura di Suez). In terzo luogo, ebbe un certo credito la posizione »neutralista (Pietro Nenni, o più tardi Ernesto Rossi ad es.) che chiedeva il distacco dell'

Italia dal blocco atlantico, su posizioni di »equidistanza che erano fatte proprie da alcuni paesi, appunto i »non-allineati (Jugoslavia, ad es.). Ognuna di queste posizioni faceva appello in sostanza a considerazioni di »realismo e di convenienza, dandosi per scontata l'impotenza effettiva delle forze democratiche italiane a qualsiasi iniziativa o proposta più avanzata ed innovatrice.

Di fronte ad esse - e con forti accenti polemici nei loro confronti - la sinistra radicale abbozzava un avvio di riflessione critica e obiettivi a più ampio respiro, tali - secondo la sinistra radicale - da costituire un necessario ed improrogabile momento nella riconquista di una nuova autonomia della sinistra storica nel suo complesso. Gli anni a cavallo tra 1960 e 1964 furono comunque anni di dibattiti, nel corso dei quali si affrontarono temi di notevole ampiezza, con un confronto politico che investiva problemi quali quello del disarmo europeo e della uscita dalla NATO, la questione tedesca, la politica dei blocchi, considerata ancora come un dato di equilibrio instabile e quindi oggetto di possibili iniziative politiche, l'atteggiamento di fronte al gollismo, al nasserismo, eccetera. Uno dei temi dello scontro fu l'adesione o meno dell'Italia alla »forza multilaterale , il progetto di esercito europeo »convenzionale suggerito dall'America ai paesi europei. Sulla »multinazionale , o »multilaterale si

impegnò in specie la c.d. sinistra democratica, la quale, ostile al riarmo atomico, per preoccupazioni anche moralistiche, ritenne di poter difendere con coscienza pulita un progetto che assegnava ai paesi europei il compito di approntare forze di »primo contenimento , basate esclusivamente sulle armi e sugli eserciti convenzionali, impossibilitati, secondo la tesi dei loro fautori, a promuovere una vera e moderna »politica di potenza .

Su questi temi, la tesi della sinistra radicale sulla lotta agli eserciti e al militarismo trovò spazio di confronto. Ancora nel 1964, ad un convegno del Movimento Gaetano Salvemini nel quale la tesi della possibilità e della validità del progetto di »forza multilaterale venne sostenuta appunto da esponenti delle »sinistre democratiche , i radicali sostennero invece l'illusorietà e i limiti di una simile impostazione; sotto il realismo della accettazione di un »meno peggio , di una »linea di riserva di fronte alla minaccia della proliferazione delle armi nucleari, in realtà la »multilaterale avrebbe servito a potenziare e riarmare gli eserciti francese, tedesco e spagnolo, di paesi cioè caratterizzati da governi di destra o reazionari; e, d'altra parte, doveva essere evidente che questi stessi eserciti non avrebbero potuto restare chiusi e indifferenti dinanzi al progresso tecnologico, al rinnovamento del potenziale in senso ed in direzione nucleare. Condivisero questa impostazione, con diverse argomentaz

ioni, Ernesto Rossi e il socialista Benzoni.

L'appello dei radicali perché il dibattito sulla politica estera, uscendo dall'astrattezza di certe impostazioni e dal verticismo dei ristretti gruppi di potere, burocratici, degli apparati, divenisse invece un momento di scontro ideale nella società si incontrava obiettivamente con il lento, insufficiente, faticoso rinascere di posizioni dichiaratamente pacifiste, che in quegli anni cominciavano a dare segni di maggiore attività e vitalità.

Nel 1962 vi erano in Italia almeno tre centri di iniziativa »pacifista , una sezione italiana della War Resisters International, una sezione italiana della Fellowship of Reconciliation ed il Centro per la non-violenza costituito e diretto a Perugia, da Capitini. Quest'ultimo era, dei tre, il più forte ed originale. Il 24 settembre 1961 si svolgeva infatti, promossa da Capitini, la prima manifestazione pacifista italiana la »Marcia della Pace Perugia-Assisi. L'iniziativa capitiniana assumeva in questo momento la effettiva "leadership" di un movimento composito, nel quale si ritrovavano e si confrontavano le strutture della sinistra tradizionale, in specie quella comunista (Partigiani della pace e così via), i gruppi pacifisti e religiosi (minoranze protestanti, sopratutto) i nuovi obiettori di coscienza, i radicali della sinistra e presenze libertarie. Era la spinta di queste varie forze che portava le burocrazie delle sinistre tradizionali ad aderire e partecipare, per impedire il formarsi di un nucleo poli

tico autonomo, in un settore così delicato. Ernesto Rossi, prendendo la parola alla manifestazione di Assisi, sostenne che i democratici italiani dovevano finalmente affrontare in modo deciso il problema delle basi americane in Italia. La mozione conclusiva si esprimeva, oltre che contro la guerra fredda e la politica dei blocchi, anche in favore del rafforzamento dell'ONU, del disarmo totale e controllato (»deve procedere parallelamente lo sviluppo progressivo del disarmo e del controllo ). La stampa dava una informazione deformata e riduttiva della marcia, che invece aveva ottenuto un notevole successo di partecipazione, sottolineando aspetti che invece furono abbastanza marginali, come l'antiamericanismo, e la massiccia presenza comunista: per ovvi motivi, legati alla situazione di guerra fredda, ogni posizione men che atlantica appariva, o era fatta apparire come legata al PCI. Dopo la marcia di Assisi (4), molte altre ne vennero organizzate e si svolsero, con partecipazione sovente ampia, in parecchie c

ittà e Paesi: Cagliari, Bologna, Modena, Ferrara, Marzabotto, Pesaro, Milano, eccetera.

Ma, già durante la seconda, Camucia-Cortona, caratterizzata dalla adesione di rappresentanze di amministrazioni comunali (Marcia dei 100 comuni), fu facile constatare l'affievolimento della carica di rinnovamento e dell'impegno politico, dirottati l'uno e l'altro verso più innocue forme di pacifismo genericamente unitario, propagandistico, sempre meno, in sostanza, attuali rispetto ai problemi politici sui quali esse erano state promosse. Apparati e burocrazie di partito mescolavano trionfalismo ed opportunismo, cosicché ben presto queste iniziative apparvero e divennero inutili.

In generale, il formarsi dei nuclei pacifisti corrispondeva alla nuova creatività sviluppatasi tra i movimenti internazionali, vecchi e nuovi: la War Resisters International, che da decenni, nelle sue numerose e spesso efficaci ramificazioni nazionali, portava avanti la battaglia per il riconoscimento dell'odc, la Fellowship of Reconciliation, il Committe for Nuclear Disarmament (CND) e il Committee of 100 (nato da una scissione »radicale del CND, e che aveva come suo leader Bertrand Russell) o, in America, il SANE ed i primi gruppi di iniziativa negra (Bayard Rustin, ecc.). Ed era per iniziativa della Federazione Europea contro le Armi Nucleari che veniva convocata ad Oxford, in Inghilterra nel gennaio 1963, una conferenza internazionale dei vari gruppi. L'obiettivo dell'inglese Collins, uno dei presidenti della Federazione, era di ampliare l'organizzazione per la campagna antinucleare su scala mondiale. L'appello per la adesione venne rivolto anche ai movimenti pacifisti e agli antimilitaristi rigorosi, m

a evidentemente Collins si riprometteva di contenerne la spinta, per mantenere alla costituenda Internazionale un carattere moderato e limitato all'obbiettivo specifico. Il molteplice e vigoroso movimento contro la guerra doveva cioè essere indirizzato verso le iniziative ritenute più opportune a sostenere una campagna di pressione sui governi, quelle stesse che erano proprie della maggioranza del CND e ne avevano informato le pur imponenti manifestazioni pubbliche (Easter Marches, ecc.). Problema essenziale per gli antinucleari del CND era anche in quel momento, quello di stringere rapporti regolari, da una posizione forte, con il Movimento Mondiale della Pace, ispirato e diretto dai partiti comunisti a sostegno della politica dell'URSS, e che l'anno prima aveva convocato il Convegno Mondiale della Pace di Mosca (5).

Parteciparono alla Conferenza di Oxford rappresentanti di movimenti antinucleari, pacifisti ed antimilitaristi internazionali (Tony Smythe e Devi Prasad per la WRI, la International Fellowship of Reconciliation, ecc.) e nazionali (A. J. Muste, Committee for non violent action, USA; Homer Jack, SANE USA; Bayard Rustin, War Resisters League, USA; Student Peace Union, USA; Linus Pauling, Society for Social Responsibility in Science, USA; Ritchie Calder, CND, GB; Peter Cadogan, Committee of 100, GB; Colleges and Universities Campaign for nuclear disarmament, GB; Claude Bourdet, PSU, Francia; Gregory Lambrakis, Comitato per la Pace, Grecia; Gunther Anders, Comitato Hiroshima Austria; abbe' Paul Carrette, Fellowship of Reconciliation, Belgio; SDS, Germania Federale; Frank Boaten, Comitato Continuatore dell'Assemblea di Accra; Sarva Seva Sangh, India; Irlanda, Svezia, Danimarca, Olanda, Svizzera, ecc.).

La rappresentativa italiana era una delle più forti, organizzata e rappresentativa della Consulta Italiana della Pace; oltre ad Andrea Gaggero, Ernesto Treccani (PCI), Aldo Putelli (Ass. It. Resistenti alla guerra), parteciparono quattro radicali, Marco Pannella, Ida Sacchetti, Giuliano Rendi e Angiolo Bandinelli. La linea della delegazione sotto la determinante spinta radicale, fu di cercare di aggregare una effettiva solida internazionale, »aperta alla volontà dei movimenti di base e di aprirne la politica, al di là e superando le note posizioni moderate ed antinucleari, a quelle pacifiste ed antimilitariste. Solo così, fu la tesi della delegazione »sarebbe stato possibile dirigere il movimento in senso nettamente antimilitarista e dargli il vigore necessario perché divenga pericoloso per i suoi avversari e perda il carattere genericamente umanitario che esso, in molte delle sue componenti, indubbiamente aveva. La conferenza elesse un comitato continuatore fino alla successiva assemblea, comitato nel qua

le erano presenti i gruppi più attivi del pacifismo inglese, americano, scandinavo, italiano e tedesco. Un risultato importante del dibattito fu che nonostante la pressione di alcuni degli americani la conferenza non pose alcun limite all'ingresso di altre forze della nuova internazionale, rifiutandosi nella sostanza di definire, in termini inaccettabili e discriminatori, la qualità di »non allineato , richiesta inizialmente alle diverse associazioni.

La delegazione italiana presentò un suo documento politico che solo in minima parte, e con sostanziale stravolgimento di significato, venne accettato ed incorporato nel documento finale della conferenza. Il documento della delegazione affermava: »La creazione di una organizzazione internazionale comune dei movimenti pacifisti ed antinucleari risponde ad una necessità storica, che i più recenti avvenimenti e tendenze internazionali hanno contribuito a rendere più evidente ed urgente. Superata la guerra fredda e sconfitte le posizioni dottrinarie e gli interessi che la determinarono, le due principali potenze mondiali sembrano unirsi nel tentativo di negoziare pacificamente e di condurre una azione comune per limitare al massimo la proliferazione delle armi atomiche nazionali, e per isolare e vincere nel mondo ogni oltranzismo, quale che sia la sua origine. E' nostro compito secondare con ogni nostra forza questa politica, e tutelarla da ogni pericolo di abbandono.

"Ma la pace non può essere solo il prodotto di contingenti accordi diplomatici. I movimenti pacifisti ed antinucleari ritengono superata una rivendicazione solo o sopratutto protestataria e moralistica della pace. La nuova organizzazione internazionale nella quale si uniscono intende promuovere e condurre una battaglia costruttiva e dinamica perché le cause stesse della guerra, le istituzioni e le strutture statuali a questo scopo specificamente destinate vengano progressivamente rimosse. La pace deve conquistare in ogni paese nel mondo il carattere di istituzione e la concretezza di precise strutture".

Rispetto a questo compito ed a questo ideale, le due società fino a ieri apparse radicalmente e mortalmente opposte, la comunista e quella borghese, si trovano a dover affrontare un problema comune, che noi auspichiamo venga affrontato con comune fraterna coscienza dei suoi dati fondamentali. "Nell'una e nell'altra società, infatti, le strutture militari costituiscono uno dei principali fondamenti dello stato". Convertire queste in strutture di pace, il servizio militare in servizio civile, è una necessità per il progresso dei singoli popoli e della comunità internazionale.

... La campagna antinucleare, inoltre, non può che mettere in luce la contraddizione fondamentale di quanti, governanti o uomini politici, tentano di sostituire all'armamento atomico un potenziamento delle armi convenzionali o, comunque, il mantenimento e l'ammodernamento degli eserciti nazionali o integrati. Il progresso scientifico non può essere arrestato purtroppo alle porte degli eserciti finché questi esisteranno: spesso, anzi, anche i progressi della ricerca atomica a fini pacifici vengono attualmente amministrati dagli eserciti... . Nonostante la conclusione, a suo avviso non soddisfacente, della conferenza, la delegazione italiana decideva l'astensione e non il voto contrario.

Il problema essenziale, per i radicali, era infatti quello dello sviluppo della battaglia antimilitarista sul piano internazionale ed il riconoscimento del suo carattere internazionalista. La Conferenza Internazionale per il Disarmo e la Pace nata ad Oxford rappresentava per loro un passo avanti importante. Con diverse motivazioni, furono d'accordo nel sostenere la Confederazione anche gli altri membri della delegazione italiana.

La conferenza di Oxford, che in campo internazionale sottolineava un momento di espansione e di lotta di forze che allora - e proprio sul problema del disarmo e della pace - cominciavano a definirsi componente essenziale di quella che poi venne identificata come »new left , corrispose, come si è visto, ad un periodo di intense iniziative anche in Italia. Le forze pacifiste ed antimilitariste italiane cercarono anche esse di darsi una struttura, o una articolazione, unitaria. La Consulta Italiana della Pace (gennaio 1962) fu il tentativo per realizzare questo obiettivo. Il risultato raggiunto non fu però né così efficace come avrebbe potuto, né duraturo. Proprio nel momento in cui cominciavano a formarsi nel paese strutture locali, capaci di promuovere iniziative, anche di rilievo come le marce della pace dirette contro installazioni della NATO, l'esperimento fu troncato. Nel 1962 si era anche costituito il Movimento Italiano della Pace, che nella sua maggioranza sosteneva le posizioni del PCI e generalmente

la linea diplomatica sovietica (segretario ne era l'on. Velio Spano). Il Movimento Italiano della Pace era nato dopo un convegno nazionale sui problemi del disarmo, tenutosi a Firenze e aperto da relazioni di Lucio Libertini, Velio Spano, Aldo Capitini, Giuliano Rendi, Paolo Vittorelli e Giovanni Favilli.

La situazione in cui il convegno si apriva era caratterizzata dal dibattito internazionale sul problema del disarmo. Era in corso la Conferenza di Ginevra nella quale si verificava il fatto nuovo della presenza dei neutrali e di alcune potenze minori dei due blocchi. »Ma proprio per questo - disse il radicale Giuliano Rendi nella sua relazione - fissare come obiettivo di una azione pacifista europea il disarmo generale (fare del disarmo generale l'obiettivo delle rivendicazioni e dell'azione pacifista) è estremamente generico ed inefficace. Le forze politiche che svolgono questo tipo di azione... finiscono inevitabilmente per fare affidamento esclusivo sulla volontà di pace dell'una e dell'altra grande potenza... La soluzione politica per cui noi dovremmo impegnarci è quella di un piano bilaterale, atomico e convenzionale, dell'area europea, dai confini dell'Unione Sovietica all'Atlantico... Le sinistre europee, e in particolare la sinistra comunista, con la quale è aperta non soltanto la possibilità di un d

ibattito, ma anche di una collaborazione sui motivi di fondo dell'azione pacifista e democratica in Europa occidentale, deve rendersi conto che... la logica e le esigenze della politica di potenza dell'Unione Sovietica non coincidono con le ragioni dello sviluppo della democrazia e della pace nell'Europa Occidentale... Bisogna dare un obiettivo efficace ed unitario alle forze pacifiste, democratiche e di sinistra dell'Europa occidentale. L'impegno immediato che noi suggeriamo è che l'Italia prenda posizione contro l'armamento atomico della NATO; che il governo della repubblica italiana non favorisca nelle riunioni dei sei l'egemonia gollista nell'Europa delle patrie...; che venga denunciato l'accordo con gli Stati Uniti per le basi missilistiche in Italia... Questi obiettivi specifici della battaglia pacifista non possono però essere inquadrati in una prospettiva di neutralismo nazionale. Crediamo veramente che la dimensione effettiva in cui si svolge oggi la lotta politica per la democrazia e per la pace si

a quella europea (6).

Il movimento pacifista che confluì nella Consulta Italiana della pace offriva un quadro composito di interessi e di forze. Tuttavia le iniziative locali furono numerose e specie all'inizio, di rilievo, tali cioè da poter rappresentare un avvio promettente ad un movimento che avesse avuto la forza di caratterizzarsi in modo autonomo e di assumersi responsabilità politiche. Un esempio, tratto da una esperienza locale, può fornire un'idea delle difficoltà e delle lacerazioni interne presenti nell'organismo. Nell'aprile del 1963 si svolse a Roma, promossa dal »Comitato per il disarmo atomico e convenzionale dell'Europa , organismo nel quale operavano radicali e non radicali (7), e attraverso il quale essi parteciparono alla Consulta nazionale (e a quella romana) della pace, una »marcia della pace che, sebbene riservata ai soli quadri, vedeva sfilare per le vie della città un corteo di più di mille persone, con la presenza anche di altri gruppi organizzati; alla manifestazione non perveniva l'adesione del Movime

nto Italiano della Pace, in quanto, in sede di preparazione dell'iniziativa, non si raggiunse un accordo, essenzialmente sulle modalità di partecipazione dei diversi gruppi, esigendo i radicali la massima libertà di presenza e di indicazioni politiche, mentre il Movimento Italiano della Pace chiedeva un preventivo controllo delle indicazioni politiche e degli slogans. La Consulta della Pace ebbe una vita breve. In una riunione del Comitato Centrale tenutasi a Firenze nel maggio 1964, si dovette già constatare che l'organismo unitario non riusciva a funzionare efficacemente. In parte, queste difficoltà provenivano da obiettive mancanze ed incertezze della leadership di Capitini, il quale affidava ad una mediazione sancita dall'unanimità del voto le possibilità di effettivo sviluppo dell'organismo (8).

Sullo scoglio dell'unanimità nelle decisioni politiche fondamentali naufragò in sostanza - mentre le iniziative locali si sviluppano e avrebbero richiesto obiettivi sempre più avanzati - ogni possibilità per la Consulta di esprimersi e pronunciarsi su un qualsiasi problema. Ci si trovò così di fronte ad una struttura »frontista di fatto, nelle strutture, nei metodi, nella stessa atmosfera. Nell'agosto, il Partito Radicale, dopo una polemica, durata un anno almeno, con il gruppo che faceva capo a Capitini e al Movimento Italiano della Pace (Velio Spano e Mencaraglia), si ritirava dalla Consulta, decidendo di partecipare in forma autonoma alla Confederazione Internazionale della Pace e del Disarmo. Capitini si era del resto già dimesso da presidente.

La linea tenuta dalla Consulta nell'anno precedente favoriva ovviamente il Movimento Italiano della Pace, il quale non gradiva che la Consulta esprimesse una volontà politica autonoma; ma, se questo obiettivo era comprensibile per il movimento controllato dal PCI, l'errore commesso dalle altre componenti, di accettare un tale sabotaggio, fu grave e rappresentò il motivo essenziale della fine del tentativo. Ancora nell'ottobre di quell'anno, sulla questione della atomica cinese, la consulta Italiana non prendeva posizione, mentre sempre negli anni precedenti, i pacifisti si erano espressi duramente e univocamente contro di essa, come contro le esplosioni atomiche francesi nel Pacifico.

I dibattiti, gli scontri, le iniziative di questi anni si concludevano con le crisi del movimento, ma anche con l'affossamento delle posizioni conservatrici della sinistra tradizionale, ed in specie del P.C.I. Le stesse marce della pace avevano dimostrato, attraverso la mobilitazione, l'interessamento mostrato da vasti strati di popolazione, che l'impegno delle masse democratiche contro la guerra era possibile, attendeva solo obiettivi seri e costanti di lotta, rappresentava un momento unificante. Ma, man mano che questa tensione popolare venne deviata verso obiettivi meramente propagandistici, essa venne declinando, insoddisfatta della vuotezza degli slogans generici, dell'assenza di dibattito, della incapacità delle classi dirigenti di raccogliere e dare uno sbocco politico all'impegno popolare.

Le forze che avevano arricchito di contributi politici seri ed avanzati queste iniziative vennero emarginate, qualificate come »settarie . Per giungere alla definitiva emarginazione di queste esperienze, si giunse a liquidare le esperienze autonome, le consulte, i comitati locali, ogni espressione diversificata. L'antimilitarismo era denunciato come motivo di distacco dalle »masse , »settarismo , e via di seguito. Ancora nell'aprile 1965 si doveva svolgere a Roma una »Marcia per la Pace ed il Vietnam . Il comitato promotore vedeva presenti, oltre ad altri gruppi, il Movimento della Pace ed il Comitato per il Disarmo Atomico e Convenzionale. Questo chiese, nel corso di una assemblea: 1) che la responsabilità del contenuto politico della manifestazione fosse il risultato delle decisioni di un apposito, ampio comitato, rappresentativo di tutti i gruppi aderenti; 2) che la manifestazione esprimesse in eguale misura e con identiche motivazioni l'aggressione al Vietnam e quella a S. Domingo. Le due proposte venner

o bocciate, soprattutto per l'opposizione del Movimento Italiano per la Pace; il Comitato per il Disarmo Atomico dovette ritirarsi dalla manifestazione. Un analogo episodio di intolleranza si verificò, ancora nel giugno 1967, a Milano, nei confronti dell'»antimilitarismo dei radicali, che uscirono quindi dalla »Consulta Milanese .

Ciò che era considerato »settario era, in sostanza: 1) la decisa opposizione al riarmo e agli eserciti, atomici e convenzionali; 2) la promozione di una lotta unitaria contro il militarismo, dovunque esso si manifestasse; 3) la ferma opposizione alla proliferazione atomica, promossa sia da paesi socialisti come da quelli capitalisti.

Tuttavia, ripetiamo, il movimento per la pace, nelle due diverse componenti, aveva acquisito una certa forza e capacità di mobilitazione. Fu a questo punto che l'inizio della "escalation" americana in Indocina offrì la possibilità di dirottare la lotta pacifista in funzione di mero segno di solidarietà alla guerra di liberazione del Nord-Vietnam. Se l'obiettivo era di per sé accettabile, le modalità della mobilitazione escogitate dagli apparati e dai vertici di partito furono tali da costituire un arretramento nella lotta e nei suoi obiettivi specifici e prossimi. Non si parlò più neppure di lotta agli armamenti, non diciamo convenzionali, ma atomici. L'impegno anti-NATO scomparve dagli slogans, dopo essere scomparso dal dibattito politico.

Nel momento in cui si apriva il confronto tra sovietici e cinesi sulla strategia della lotta di indipendenza nazionale nei paesi del Terzo Mondo e dell'America Latina, le strutture propagandistiche di tipo frontista restarono senza una linea né indicazioni credibili. Vuoti scheletri, persero ogni credito sia presso le cosiddette »avanguardie , sia presso le grandi masse popolari. Nelle ceneri di questa esperienza contraddittoria e composita, che non aveva saputo - per la resistenza delle diplomazie degli apparati - trasformarsi in vasto, autentico movimento popolare antimilitarista, veniva naturalmente travolto anche il pacifismo umanitario, più o meno »mondialista , non ancorato a serie battaglie politiche. Le avanguardie irrisero sia alle messe in scena propagandistiche delle sinistre tradizionali, sia a questa presenza, »umanitaria e inoffensiva. Fuori d'Italia, Luther King e il suo movimento poterono lasciare una eredità di lotte e di impegno civile che poté efficacemente confrontarsi con le nuove indic

azioni di violenza rivoluzionaria ricalcate sulla esperienza delle guerriglie in specie quella vietnamita; in Italia il pacifismo tradizionale non ebbe la forza di sostenere un così grosso scontro.

L'iniziativa antimilitarista restava così affidata a gruppi minoritari, ad extraparlamentari, ad isolati. E tuttavia, proprio in questi anni, essa si è radicalizzata, ha assunto più forte autonomia, ha aperto, nel suo interno e con altre forze, un dibattito notevole, è progredita verso posizioni politicamente più precise, si è fatta conoscere presso l'opinione pubblica, sia nel suo significato, che nei sacrifici che richiedeva e richiede a quanti la privilegiano. Autorità militari e civili, magistratura, si sono trovati di fronte a gruppi capaci di elaborazione politica ed ideale, di attività incisiva, spesso di un certo respiro. Si deve a questi gruppi se ormai, oggi, pacifismo ed antimilitarismo non vengono più confusi con gli atteggiamenti propagandistici del PCI, o di un rinnovato o persistente frontismo. Lo stesso filone programmaticamente non-violento, »gandhiano o radicale-cristiano, del resto, ha mostrato capacità di maturazione politica, come hanno dimostrato negli ultimi anni le dichiarazioni di o

biezione di coscienza di parecchi cattolici; i quali hanno investito con il loro atteggiamento problemi essenziali di diritti civili, ed attaccato duramente il sistema e la società di classe e questa sua espressione repressiva, le strutture militari.

Anche quando hanno radicalmente politicizzato le motivazioni delle loro iniziative, la maggior parte dei gruppi antimilitaristi formatisi ed operanti in questi anni sono restati legati ad una "prassi", ad un "metodo" sostanzialmente non-violento: di una non-violenza non programmatica ed »ideologica , cioè in definitiva »umanitaria , ma scaltra ed attiva creatrice di scontri diretti con le istituzioni, strumento adeguato ad imporre loro, ogni giorno, qualcosa in termini di conquista. Ogni processo affrontato, ogni sit-in o manifestazione, ogni dichiarazione di coscienza ha attaccato abitudini, comportamenti, certezze autoritarie, repressive, profondamente radicate in polizia, magistratura, strutture militari. Ci è impossibile seguire dettagliatamente l'attività di tutti i gruppi. Daremo perciò solamente alcune »cartelle anagrafiche , di quelli sui quali è stato possibile raccogliere la documentazione.

Una intensa, seria attività - che ne ha fatto per qualche tempo forse il più forte gruppo politico organizzato della città - ha impegnato a Bergamo il »Comitato Pacifista , denominatosi in un secondo momento »Collettivo Antimilitarista . Oltre a pubblicare due bollettini ciclostilati di notevole diffusione, »We shall overcome e »Signornò (quest'ultimo strumento di collegamento dei gruppi antimilitaristi), il collettivo ha promosso iniziative e manifestazioni, tra le quali ricordiamo una assemblea popolare in un teatro cittadino (novembre 1969), nel corso della quale Lino Taschini si dichiarava obiettore dinanzi a circa 600 persone. Appartenevano al gruppo bergamasco anche gli obiettori Antonio Riva e Sergio Cremaschi.

A Mestre l'iniziativa antimilitarista è presente attraverso il »Movimento Non-Violento , che assieme ad altri gruppi veneti aderenti alla Lega per l'Obiezione di Coscienza (Padova, Verona, Conegliano, Venezia) promuove la raccolta delle 50.000 firme necessarie alla presentazione di un disegno di legge di iniziativa popolare per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza. In uno dei documenti che il gruppo ha ciclostilato e diffuso viene ripreso anche il filone antimilitarista ed antimperialista luxemburghiano. A Venezia, ricordiamo il »Circolo di Cultura Internazionale , a Verona, dove ha obiettato il cattolico Enzo Melegari, svolge attività il »Movimento Laici per l'America latina del C.E.I.A.L. . Recentemente, ha diffuso un pamphlet sull'obiezione di coscienza, di ispirazione ecclesiale (»obiezione di coscienza anche alle leggi della Chiesa? ) e non-violenta (»si potrebbe dunque vedere se le varie forme della non-violenza, come lo sciopero, la disobbedienza civile, la resistenza morale non siano »armi i

nvincibili nelle mani dei poveri, dal momento che nessuno può governare se la gente non obbedisce. "La non-violenza è l'arma dei poveri perché la può usare chiunque, donne, vecchi, bambini, in quanto fa uso delle forze morali dell'uomo più che delle capacità fisiche, tecniche o finanziarie" ), che solleva rilievi sulla giustizia e la repressione della protesta antimilitarista.

Afferma il documento: »Ci pare che i Tribunali Militari, nell'ambito della discrezionalità dei poteri attuino delle scelte repressive, infatti: 1) rifiutano di inviare gli atti processuali che riguardano gli obiettori alla corte costituzionale (9), per l'esame e la decisione che a tale organo compete circa la legittimità costituzionale o meno della legge ordinaria sulla leva e il reclutamento che non riconosce la libertà di coscienza; 2) quando condannano gli obiettori, negano loro sempre l'attenuante prevista dall'articolo 62 n. 1, e cioè di aver agito »per motivi di particolare valore morale e sociale ; 3) arrestano e incarcerano gli obiettori prima ancora di processarli e condannarli; infatti non appena giunge alla Procura Militare la denuncia del rifiuto ad impugnare le armi, per prassi costante, viene emesso il mandato di cattura anche se esso è tutt'altro che obbligatorio . Una »lettera aperta ai parlamentari, ai consiglieri comunali e provinciali di Verona (che si sono pronunciati per l'odc) è stata

diffusa in volantino, firmato anche dai seguenti gruppi: Centro di Cultura di S. Bonifacio, Centro di Cultura della Valpolicella, Gruppo Don Milani, Gruppo Terzo Mondo, Gruppo aderenti FUCI, Lega Missionaria, Movimento Emmaus, Movimento Pax Christi, FGCI, Fed. Giov. PSI, GLI, Mov. Giov. D.C. (10).

A Torino agisce dal 1968 il Corpo Europeo della Pace, nato dalla confluenza di esperienze diverse e, dall'ottobre 1970, una sezione del movimento non-violento. Il primo gruppo ha lavorato, nel 1969 per fornire appoggio all'odc di Antonio Riva, di Sergio Cremaschi, e successivamente di Sergio Zardoni. Il 14 aprile, riusciva a portare in piazza circa 500 persone. Il 30 gennaio 1970 il Corpo Europeo organizzava una manifestazione per pubblicizzare la campagna per bruciare la cartolina precetto dinanzi agli uffici del distretto militare; altre, in occasione del processo a Nando Paganoni e Valerio Minnella (8 denunce per vilipendio e incitamento dei militari a disobbedire alle leggi) o per il 4 novembre. Ultimamente si è mobilitato per l'obiettore di coscienza Giuseppe Peila, di Rivarolo. Fa circolare »quaderni di documentazione antimilitarista. Appartengono al gruppo gli obiettori Alberto Clerico, Gianni Pistoi, Stefano Brusasco. Il secondo gruppo, di recente costituzione, impegnato a promuovere la »presenza no

n-violenta , pubblica un bollettino quindicinale, »Satyagraha , e organizza soprattutto gruppi di studio ed iniziative su nonviolenza e antimilitarismo. A Condove, in provincia di Torino, è attivo il »Gruppo valsusino di azione non-violenta , costituito da operai, che ha portato il dibattito all'interno di una fabbrica, le officine Moncenisio di Condove, i cui operai, circa 800, hanno firmato una dichiarazione di rifiuto a costruire armi o materiale bellico (le officine Moncenisio hanno saltuariamente commesse di questo tipo).

A Bologna vi sono i »Gruppi Non-Violenti , con un ciclostilato che utilizza una testata del MPL, a Loreto (Ancona) si è di recente formato un »Collettivo Antimilitarista . Napoli ha visto crescere negli ultimi mesi il lavoro del »Movimento Antimilitarista Napoletano , libertario. Uno dei suoi membri, l'anarchico (FAI) Ciro Cozzo, ha obiettato con motivazioni fortemente politiche (è stato denunciato per »vilipendio alle forze armate ), la sua attività gli ha assicurato l'adesione di circa cento militanti. Svolge le sue iniziative specialmente nei quartieri popolari, con dibattiti, distribuzione di volantini, manifestazioni, che hanno fruttato al gruppo parecchie denunce della polizia.

A Sulmona, nel febbraio 1967, nasceva il »Gruppo di azione Pacifista . Manifestazioni, volantinaggi e denunce, come il solito, hanno caratterizzato la lunga attività del gruppo. Uno dei suoi membri più attivi, Mario Pizzola, ha preparato e diffuso due documenti uno sui regolamenti militari, uno sull'industria delle armi in Italia, e recentemente ha fatto dichiarazione di obiezione di coscienza. Nel gennaio 1971, il gruppo ha promosso, insieme al Movimento Antimilitarista Internazionale, un »I· Convegno nazionale di studio sul militarismo al quale hanno partecipato rappresentanze di quasi tutti i gruppi pacifisti ed antimilitaristi italiani, ciclostila un bollettino, »GAP . Episodi legati all'iniziativa antimilitarista si sono avuti, in vari momenti, a Pisa (gruppo Ernesto Rossi), a Bologna (Andrea Accolti, Gianfranco Gamberini, Antonio Ghibellini, denunciati per »istigazione di militari a disobbedire alle leggi , Vegetti, Pesce, Secciani, Valerio e Mauro Minnella, per i reati di istigazione e vilipendio), a

Brescia (Movimento Non-Violento), Peschiera, Gaeta, Pescara, Imperia, ecc.

Obiettivamente, la iniziativa di questi gruppi ha contribuito fortemente a che, nell'interno delle forze politiche tradizionali, il tema dell'antimilitarismo riprendesse forza. In questi ultimi due anni, ad esempio, posizioni ed iniziative antimilitariste sono state portate avanti dalle sezioni della Federazione Giovanile del PRI. Al suo 27· Congresso nazionale, Rimini 1969, essa approvò il seguente ordine del giorno: »La FGR, aderendo alla coraggiosa e coerente battaglia che da anni è condotta col sacrificio e la dedizione personale dai gruppi antimilitaristi anarchici, radicali e non violenti contro il potere militare, si dichiara pienamente favorevole al riconoscimento e alla propaganda dell'obiezione di coscienza ed al progressivo cambiamento delle strutture militari in strutture civili realmente al servizio del popolo. La FGR inoltre si dichiara pronta, ad ogni livello (nazionale, regionale, locale) ad un'azione continua e costante per conseguire gli obiettivi suddetti, attraverso la collaborazione di t

utti i gruppi antimilitaristi e pacifisti . In quasi ogni città dove vi è una presenza FGR si sono avute manifestazioni o prese di posizioni su questa linea, autonome o promosse insieme ad altri gruppi.

Legata alla storia del pacifismo programmatico è l'attività di Pietro Pinna e del movimento non-violento, di tradizione copitiniana. Il movimento ha avuto larga parte nel dibattito sull'obiezione di coscienza ed ha promosso iniziative specifiche. Il periodico »Azione non-violenta è divenuto recentemente l'organo di collegamento ed informazione di tutti i movimenti non-violenti. L'iniziativa più recente di Pinna e del gruppo, per un »allargamento del fronte dell'obiezione di coscienza al servizio militare è l'appello per la restituzione del congedo militare. »Annunceremo all'opinione pubblica in una manifestazione di massa - è l'indicazione operativa - questo nuovo passo del l'opposizione antimilitarista . La raccolta dei fogli di congedo è tutt'ora in corso, presso il Movimento, a Perugia (11).

Struttura articolata in gruppi locali ha anche il MIR, di ispirazione religiosa, pluriconfessionale. Mantiene collegamenti esteri, rappresenta, quale sezione italiana, la »International Fellowship of Reconciliation . Negli anni scorsi, ha concentrato la sua azione sui seguenti temi: 1) scuola di non-violenza; 2) formazione di un centro di documentazione sulla non-violenza, le cause e gli effetti della guerra, ecc.; 3) manifestazioni, sit-ins volantinaggi, ecc.; 4) lotta per il riconoscimento giuridico dell'odc. All'assemblea annuale del 1971, il comitato nazionale eletto risulta così composto: Fabrizio Fabbrini, presidente; Hedi Vaccaro, segretaria; Franco Onorati, tesoriere; Domenico Sereno Regis, Piemonte; Luigi Rosadoni, Firenze; Simonetta Salacone Roma; Tonino Drago, Napoli; Vincenzo Rizzitiello, Lucania; Beatrice Borne, »Servizio Cristiano , Riesi e Sicilia; Massimo Bernardini, Milano; Alfonso Apostolico, Battipaglia; Valdo Benecchi, Bologna. Nel corso di questa assemblea si è discussa la dichiarazione

di »obiezione di coscienza alle tasse militari dei coniugi Mansueti, di Sarzana, che per questa iniziativa hanno già subito una condanna.

La maggior parte di questi gruppi ed esperienze hanno avuto in più occasioni la possibilità di lavorare insieme, su progetti comuni, o mobilitandosi su iniziative promosse dall'uno o dall'altro: una rete assai fitta (considerando la povertà dei mezzi) di reciproca informazione consente in buona sostanza di superare le difficoltà e di moltiplicare le energie. Un tentativo per organizzare un nucleo unitario di collegamenti è stato anche avviato, con la costituzione del »Movimento Antimilitarista Internazionale (MAI), una sigla nella quale l'aggettivo rappresenta ovviamente una indicazione politica e non una realtà strutturale. Il MAI è nato a Bologna nel settembre 1969, sulle indicazioni »no agli eserciti e »riconoscimento dell'obiezione di coscienza , e vi partecipavano anarchici, credenti, non-violenti, radicali e pacifisti. Il ciclostilato »Signornò doveva essere lo strumento di collegamento comune. La sua prima iniziativa fu la diffusione, per il 4 novembre, di un manifesto approvato da tutti i gruppi,

di protesta contro le celebrazioni militari effettuate in quella data e di lotta alle strutture militari. Il MAI non è però riuscito a superare e a far superare le esistenti divergenze di impostazione e a sostituire la realtà di una efficace infrastruttura di servizi ad un dibattito interno i cui risultati erano scontati in partenza.

Si colloca al di fuori di queste esperienze ed attività il rifiuto di presentarsi alla leva opposto dai giovani della Valle del Belice. Dopo il terremoto del 1968, i comitati popolari che per anni avevano condotto una dura lotta per lo sviluppo locale (progetto della diga sul fiume Belice), aprono una campagna per la ricostruzione delle zone terremotate. Alla fine del 1969, assemblee popolari decidono di non pagare più »luce, acqua, radio e televisione come protesta contro l'inerzia e l'indifferenza mostrate nei confronti dei terremotati dallo »stato fuorilegge . La campagna di disobbedienza successivamente si inasprisce, e il 31 gennaio 1970 due ragazzi di Partanna si pongono il problema se sia giusto fare il servizio militare per uno stato così incapace di adempiere ai suoi doveri. Il movimento antileva si diffonde nei paesi della valle, e il 4 gennaio i giovani raccolgono 1.000 firme di solidarietà. Nel marzo dello stesso anno veniva votato all'unanimità dall'assemblea popolare intercomunale del Belice,

tenutasi a S. Ninfa, un documento in cui i giovani si consideravano »esonerati dal servizio militare .

Questa »"protesta non violenta" intendeva essere una »sfida aperta ai governi di Roma e un modo efficace per »sollevare l'opinione pubblica contro »l'attuale politica di devastazione che mentre spreca 2.000 miliardi di lire e oltre 130 milioni di giornate lavorative all'anno per le strutture militari , non riesce a promuovere un efficace sviluppo civile del paese, e in specie delle zone depresse. I sottoscrittori si dichiaravano pronti »ad affrontare le sanzioni previste dalle leggi . Nell'aprile il »Comitato antileva diffondeva una lettera »alle organizzazioni e gruppi impegnati contro la violenza e lo sfruttamento nella quale si ribadiva che il rifiuto del servizio militare non nasceva da »motivi morali o religiosi , ma dalla »necessità di combattere per la sopravvivenza. Manifestazioni venivano, successivamente, sciolte dalla polizia, che cominciava una dura opera di intimidazione nei confronti dei firmatari o dei più attivi tra loro, e di persuasione nei confronti delle famiglie. Tra le attestazion

i di solidarietà con questa iniziativa, interessante era quella degli emigrati siciliani in Svizzera, del maggio 1970. Una manifestazione, il primo giugno, raccoglieva circa 400 persone.

Tra i giovani del comitato, Vito Accardo veniva arrestato l'11 giugno, e condotto al carcere militare di Bracciano, dove rifiutava di indossare la divisa. Era quindi denunciato per disobbedienza. L'iniziativa della valle del Belice muoveva, crediamo per la prima volta, i sindacati a prendere una prima posizione sul problema. La FlM-ClSL, nella sua III assemblea organizzativa (30-6-1970), solidarizzava con il movimento e invitava le strutture provinciali a discutere in fabbrica sulla »disobbedienza civile . La FIOM-CGIL manifestava, quasi contemporaneamente un suo, più generico, appoggio. 19 sono stati i denunciati, complessivamente del Movimento Antileva.

Organizzato dal Gruppo di Azione Pacifista e dal Movimento Antimilitarista Internazionale si teneva a Sulmona, nei primi tre giorni di gennaio 1971 (12), un convegno di studi sul militarismo e sulle »implicazioni politiche dell'antimilitarismo . I problemi su cui si intendeva sollevare il dibattito erano piuttosto ampi: »1) Cosa si intende per antimilitarismo; 2) Lotta antimilitarista e lotta al sistema (connessione tra l'esercito e le altre strutture della società, militarismo, capitalismo, e lotta di classe, ecc.; 3) Situazione militare e politica militare in Italia, funzioni dell'E.I.; 4) Abolizione e democratizzazione dell'esercito (questo argomento include tra gli altri, quelli riguardanti l'esercito di mestiere, la lotta all'interno delle caserme, il rapporto tra antimilitarismo, obiezione di coscienza e servizio civile); 5) Rapporti tra il movimento antimilitarista e le forze della sinistra extraparlamentare ed antiparlamentare; 6) Il problema del disarmo e del disarmo unilaterale; 7) Conversione dell

e strutture militari in strutture civili; 8) Programma di azione . Partecipavano rappresentanti di una ventina di gruppi (Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia-Romagna, Veneto, Toscana, Umbria, Marche, Abruzzo, Lazio, Puglia, Campania, Lucania, Sicilia). I risultati del convegno saranno presto diffusi; è importante comunque sottolineare alcuni punti emersi nella discussione: 1) Il rifiuto della legge per il riconoscimento dell'odc quale si veniva già prefigurando nel corso del dibattito nella commissione senatoriale (legge su cui ritorneremo più avanti); 2) Il pressoché unanime riconoscimento che l'antimilitarismo costituisce una posizione essenzialmente politica, che non significa unicamente lotta contro le »degenerazioni del potere militare; 3) Una aperta discussione sul valore »antimilitarista di quelle posizioni che rivendicano nello scontro di classe e contro il sistema, anche le necessità della lotta »nell'esercito , nel confronto di quanti invece ritengono che la battaglia per l'obiezione di coscienz

a ed una metodologia non violenta siano ancora gli strumenti più efficaci, anche se non i soli, della lotta antimilitarista »agli eserciti .

Nel corso del dibattito su questo ultimo punto si è in sostanza discussa la posizione dei militanti di »Lotta Continua che diffondono il supplemento »Proletari in divisa . Si tratta delle posizioni e delle iniziative di una delle componenti del Movimento Studentesco che, dopo la crisi del movimento, ha dato vita al gruppo politico in questione.

»Proletari in divisa , supplemento di »Lotta Continua ha aperto, all'interno della diaspora studentesca, un dibattito e una iniziativa di lotta specifica »contro l'esercito e »nelle caserme che si affianca a quelle condotte nella scuola, nella fabbrica e nella città: »L'esercito è l'ultimo baluardo del padrone per far fronte alle lotte degli sfruttati: già oggi è impiegato per presidiare la Sardegna (13), per occupare la Calabria, per fare il crumiraggio durante gli scioperi, per intervenire nelle calamità naturali non con funzioni di aiuto, ma di controllo delle popolazioni incazzate, come nel biellese e nella Valle del Belice. Proletari con la divisa addosso contro altri proletari, una trovata dei padroni che funziona da sempre e non deve funzionare più... Compito della lotta »nelle caserme è dunque »l'unificazione del proletariato, contro le divisioni e le contrapposizioni (categorie, divise, diplomi, ecc)...

Oltre a condurre una polemica con i »revisionisti (14), perché tradiscono questo fronte di lotta, »Lotta Continua ha anche duramente attaccato pacifisti ed antimilitaristi per l'iniziativa dell'obiezione di coscienza. Si è aperto in tal modo un importante confronto che ha già avuto, ed avrà ancora più, conseguenze sugli sviluppi della lotta antimilitarista.

L'indicazione di »proletari in divisa non è, dichiaratamente, una indicazione antimilitarista, così come questa lotta viene invece concepita dagli altri gruppi, nella loro larga maggioranza. Si tratta, infatti, di un »antimilitarismo tattico, non strategico; che, pur avvertendo la necessità contingente di lottare »negli o contro gli eserciti (e non contro le »strutture militari ) dei regimi e dei »sistemi capitalistici , non pone la questione dei condizionamenti degli eserciti, anche rivoluzionari sulle strutture civili. La collezione di »Proletari in divisa costituisce, comunque, il primo tentativo di una microsociologia della »società militare , quale punto di partenza per la lotta e la iniziativa politica. L'esemplificazione di fonte diretta (lettere dalle caserme, ecc.), della condizione umana e civile del soldato, della repressione esistente nelle caserme, rappresenta una conquista per tutto il movimento democratico e operaio: »Caserma Salomone - Quartier Generale di Padova. Sabato 16 gennaio tutti

gli autieri hanno rifiutato il rancio serale: l'obiettivo immediato di questo sciopero della fame era il miglioramento del rancio... ; »Novembre Trapani. Al CAR l'acqua potabile arriva solo dalle 21,30 alle 22... Alla sera del quarto giorno, i soldati della 7ª compagnia, parte della 3ª e di un'altra buttano dalla finestra i piatti nel cortile... . »Rolando Nardi, operaio di Milano, geniere della Spaccamela, I· BTG, Iª Comp., è stato arrestato perché scoperto mentre faceva delle scritte sul muro durante il suo turno di guardia... . »Palermo. Scrivo per mezzo di Lotta Continua a tutti i compagni, militari e non. L'8 febbraio è morto di meningite il soldato Andrea Salerno... A questo punto soltanto per l'insistenza dei colleghi, cioè di noialtri, il dr. Di Giorgio ha fatto ricoverare Salerno all'ospedale militare di Palermo, dove è morto di meningite un giorno dopo... . »Oggi mi hanno punito con venti giorni di C.P.R. perché comprai un libro sul Che Guevara che secondo loro portava scompigli politici... . Si m

escolano a questi dati altri, caratterizzati da forte impronta politica: »Napoli. Ai primi giorni di novembre gli studenti dell'Ist. Professionale Bernini occupavano per il rinvio della leva la scuola e invadevano il distretto militare, con scritte contro l'esercito... . »Pavia. (Alla caserma Rossani) un nostro commilitone... rischia sei anni di carcere duro per aver... mancato di ``rispetto'' ad un maresciallo. Domenica 10 gennaio, posto dinanzi all'alternativa di andare a messa o spalare la neve, rifiutava di prestarsi a simile ricatto... .

La denuncia più grave e clamorosa, intorno alla quale non è impossibile che si possa sviluppare una più larga iniziativa è quella relativa al militare Beck Peccoz, condannato per aver letto in caserma e distribuito a tre commilitoni »Lotta Continua (15). »Dobbiamo - è la tesi di Lotta Continua - anche costruire intorno alla lotta dei soldati un retroterra, una struttura di autodifesa... Dobbiamo usare di questi processi come momenti di chiarificazione e di attacco all'esercito... »...Siamo in grado di assicurare a questi soldati un'assistenza legale efficiente... . E quindi: »Già assistiamo ad una convergenza nelle lotte che si esprime nel rifiuto della gerarchia, nella lotta contro la ``nocività'', nella richiesta della libertà di stampa, della libertà di riunione e di espressione, nella lotta contro la segregazione in caserma... .

E' una tematica, questa, che obiettivamente rafforza la lotta antimilitarista in quegli aspetti che partecipano della battaglia dei »diritti civili , quale indicazione necessaria verso quel »deperimento del »potere che appartiene storicamente alle nuove sinistre (16).

Il panorama che abbiamo cercato di tracciare, per quanto incompleto ed insufficiente, può servire tuttavia a dare una indicazione abbastanza valida dell'estensione che ha assunto, in notevoli settori di militanti, l'impegno antimilitarista, e del tipo di problemi, di dibattito, di analisi che esso ha sollevato. Se si avverte - come cercheremo di illustrare più avanti - il rilievo assunto in questi ultimi tempi dalla questione dell'obiezione di coscienza, e dalla spinta provocata dalla nuova, inaspettata politicizzazione di un problema che sembrava dovesse restare invece circoscritto alla sola sfera degli interessi »religiosi e morali, dalla nuova mobilitazione di militanti attivi e decisi, si dovrà riconoscere che forse il tentativo ventennale della sinistra, delle burocrazie di partito delle forze moderate e reazionarie, di negare persino la stessa esistenza di una spinta antimilitarista nel paese è sostanzialmente fallito. Ed è fallito ad opera proprio di questi nuclei, di questi gruppi, apparentemente is

olati e in realtà ogni giorno più capaci di coinvolgere nelle loro iniziative strati sempre più forti di cittadini, di operai e democratici.

Limite di questi gruppi è la precarietà nella loro durata, legata indubbiamente, oltreché alla obiettiva durezza di una iniziativa che sempre più si scontra, nei processi e nelle condanne, con l'apparato repressivo, alla difficoltà di condurre con rigore e profondità una analisi del fenomeno del militarismo nella società moderna, industriale; difficoltà che a volte induce alcuni dei militanti a modificare il proprio impegno, ad abbandonare l'obiettivo specifico - la lotta antimilitarista - per altri fronti, ritenuti più soddisfacenti, più »avanzati , nella lotta che si vuole condurre, »al sistema . E' il caso del »Collettivo Antimilitarista di Bergamo. Agli inizi del 1971, il Collettivo si scioglieva. Antonio Riva rifiutava l'iniziativa della obiezione di coscienza, che pure aveva in precedenza attivamente promosso, e, nell'ambito del Servizio Civile Internazionale , promuoveva anzi una campagna di opposizione, facendo proprie, nella sostanza, le argomentazioni di »Lotta Continua . A Bergamo la battaglia an

timilitarista cessava del tutto.

 
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