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Spadaccia Gianfranco - 21 settembre 1971
Divorzio e concordato (1) Il comportamento dei laici: Lid, Liac, Pr e partiti democratici
di Gianfranco Spadaccia

SOMMARIO: Un'accurata analisi del comportamento dei laici e delle sinistre su divorzio e concordato. La paura di aver vinto, e quella di affrontare il referendum appoggiato dai vescovi. Per Enrico Brlinguer, le posizioni dei radicali e della Lid sono provocazioni, e "costruttivo è solo il dialogo con la Chiesa". La Cei "lancia" il referendum. La Lid contro le inframettenze del clero: una diffida all'Azione cattolica e alle autorità ecclesiastiche a non violare la legge dello Stato in materia di raccolta delle firme. Liberali, repubblicani, laici, le sinistre hanno paura del confronto con i clericali. Un documento radicale sull'art.7 della Costituzione e sul Concordato. Il vero oggetto del baratto tra Chiesa e Stato è l'articolo 34 sugli effetti civili del matrimonio concordatario. Ma in gioco è tutto il potere della Chiesa, e tutti i suoi feudi. Il dibattito alla Camera sulla revisione della legge Fortuna, da accordare alla Chiesa in cambio della rinuncia al referendum. La questione dell'istruzione religios

a: un servizio? Cappellani scolastici dopo quelli militari e sanitari? La LID interviene perché siano approvati provvedimenti legislativi per i pieni diritti civili ai preti. Nella battaglia contro il divorzio, l'arma finale del Vaticano: promulgato l'annullamto rapido rotale del matrimonio religioso.

(LA PROVA RADICALE N.1 - AUTUNNO 1971)

Al momento dell'approvazione della legge Fortuna, è preoccupazione di tutti i vertici dei partiti laici dello schieramento parlamentare operare in modo di superare e chiudere i gravi contrasti che il divorzio ha aperto con la Chiesa e con la Democrazia Cristiana. Per raggiungere questo obiettivo le classi dirigenti di quei partiti, nei mesi successivi all'approvazione dei divorzio, uniformeranno il loro comportamento su queste tre scelte: 1) rinuncia a qualsiasi scontro e a qualsiasi polemica con la Chiesa, abbandono di qualsiasi azione di mobilitazione e di propaganda nel paese; 2) netta distinzione delle responsabilità della Chiesa e della classe dirigente democristiana da quelle dei gruppi »estremisti promotori del referendum abrogativo del divorzio; 3) disponibilità pressoché incondizionata alla trattativa e al compromesso con la DC e con il Vaticano sulla riforma del diritto di famiglia e soprattutto sulla revisione del Concordato.

Questa linea, che accomunerà le classi dirigenti comunista e liberale, socialista, socialdemocratica e repubblicana, non si afferma senza incontrare resistenze e opposizioni. All'esterno dello schieramento parlamentare, essa sarà decisamente contrastata dalle forze che nei cinque anni di lotta divorzista sono state nel paese le protagoniste dell'azione extraparlamentare di mobilitazione popolare dell'opinione pubblica laica, in primo luogo il Partito Radicale e la Lega italiana per il Divorzio. Resistenze ed opposizioni si manifesteranno anche all'interno dei partiti parlamentari: la Federazione Giovanile Repubblicana nel PRI e la sinistra liberale nel PLI si muoveranno all'unisono con la LID e il Partito Radicale; alcuni deputati socialisti (Loris Fortuna, Eugenio Scalfari, Carlo Mussa Ivaldi) rifiuteranno di sottoscrivere alla Camera il primo compromesso concordatario; in momenti decisivi, due interi gruppi parlamentari della sinistra - quello della sinistra indipendente al Senato e quello del PSIUP alla C

amera - assumeranno posizioni autonome e diverse; su posizioni nettamente anticlericali e anticoncordatarie si schierano per la prima volta anche i cinque deputati comunisti del "Manifesto". Sembrerà ad un certo momento, quando più manifeste si faranno, nonostante ogni finzione dialettica, le responsabilità della Chiesa nella raccolta delle firme per il referendum, che perfino il Partito Comunista si disponga a correggere questa linea, e a prendere valide contromisure. Vedremo però come opposizioni e resistenze, interne ed esterne, non siano sufficienti a incrinare questa politica e come essa resista, contro ogni logica, anche quando i clericali italiani avranno gettato sul piatto della bilancia il peso di un milione e trecentomila firme raccolte per il referendum.

Le scelte che caratterizzano questa politica - tenacemente rivolta a raggiungere a tutti i costi un compromesso e che proprio per questo rischia costantemente di trasformarsi in un cedimento alle pretese clericali - sono del resto già tutte presenti nella fase finale del dibattito di Montecitorio sulla legge Fortuna. L'ombra del referendum si proietta minacciosa sulla grande vittoria parlamentare del divorzio che sta per essere conseguita. A renderla tale non sono però i deputati del partito clericale - per la prima volta ridotti in minoranza accanto ai fascisti di Almirante - ma proprio coloro che avrebbero il potere, solo che lo volessero, di diradarla e di fugarla. La paura di aver vinto pervade le file della maggioranza parlamentare divorzista. Nella lunga notte fra il 30 novembre e il 1º dicembre, le dichiarazioni di voto dei partiti laici sono un susseguirsi di riconoscimenti all'avversario sconfitto per il comportamento tenuto durante la vicenda del divorzio, e di assicurazioni per l'avvenire. Così al

partito, che solo due mesi avanti, al Senato, non aveva esitato a ricorrere all'arma del ricatto e della corruzione per erodere la maggioranza divorzista, vengono ora riconosciuti alto senso di responsabilità, lealtà repubblicana, spirito democratico. Per il futuro tutti si preoccupano di dissuadere la DC e la Chiesa dal coltivare sogni di rivincita e dal canto loro assicurano che il divorzio non sarà seguito da ulteriori battaglie e rivendicazioni laiche.

Chi meglio esprime questo comune desiderio di circoscrivere nei limiti di un episodio la vittoria parlamentare del divorzio è il socialista Renato Ballardini, che pure è stato in passato un onorevole protagonista di questa battaglia. Il divorzio - egli dice - è una "mina vagante" nella vita politica italiana, che deve essere prontamente disinnescata. In altre parole: il divorzio costituisce un motivo così grave di divisione fra le forze politiche del paese che è suscettibile, se non è prontamente accantonato, di turbare e di sconvolgere tutti gli equilibri politici esistenti. Per il deputato del PSI l'accento cade naturalmente sulla »necessaria collaborazione fra DC e partiti laici; per la on. Nilde Jotti del PCI cade invece sulla pace religiosa assicurata con l'art. 7 e sui rapporti che uniscono tutti i partiti che si riconoscono nella Carta costituzionale, facciano parte del governo o della opposizione. Le differenti motivazioni non intaccano però il comune atteggiamento politico, condiviso anche da liber

ali, socialdemocratici e repubblicani. Fin da ora perciò i partiti laici depongono ogni proposito di ulteriore battaglia laica, affidandosi alla speranza o alla illusione che la Chiesa e la DC rinuncino spontaneamente ad ogni disegno di rivincita clericale.

Fuori di Montecitorio la macchina del referendum è già pronta. Per l'indomani è annunciata una conferenza stampa dei suoi promotori. Un appello di personalità cattoliche è già stato diffuso alla stampa e milioni di manifesti escono dalle tipografie per inondare l'Italia. L'iniziativa ha l'avallo esplicito della gerarchia ecclesiastica: »i Vescovi - aveva proclamato pochi giorni prima il documento conclusivo della Conferenza episcopale italiana riunita in assemblea plenaria - dichiarano legittimo che i cittadini, in problemi di così vitale importanza, e che toccano la coscienza di ognuno, si avvalgano, a difesa della famiglia, di tutti i mezzi democratici che offre la Costituzione italiana; riaffermano che i fedeli, in quanto cittadini guidati dalla coscienza cristiana, hanno il diritto e il "dovere" di impegnarsi con tutti i mezzi legittimi per tutelare quei valori che ritengono essenziali per il bene della famiglia .

I deputati laici non possono ignorarlo, e perché la loro politica possa presentarsi all'opinione pubblica con le parvenze di una scelta responsabile e realistica debbono ricorrere ad una finzione: fingere che ad avere interesse al protrarsi dello scontro sul divorzio siano soltanto alcuni gruppi di clericali estremisti - i Gabrio Lombardi, i Medi, i Greggi, i Fusacchia; fingere che i centri reali del potere clericale in Italia - il Papa, la Conferenza episcopale, le organizzazioni cattoliche, la classe dirigente democristiana - non siano invece coinvolti nell'iniziativa o non abbiano ancora preso decisioni definitive.

Dietro a questo atteggiamento c'è in molti la paura di una sconfitta laica, a conclusione di un confronto aperto nel paese con la vandea clericale; ma molti altri mostrano di essere consapevoli del grado di maturità della società italiana e dello stesso mondo cattolico e mettono in guardia la Chiesa dal ricorrere all'avventura del referendum che potrebbe trasformare in una "debacle" popolare la sconfitta parlamentare subita sul divorzio. Sono argomenti ricorrenti in molti oratori socialisti, comunisti, socialproletari, liberali. E' una valutazione condivisa anche dalla LID che a più riprese, prima e dopo l'approvazione della legge, mette in rilievo come la Chiesa non abbia alcun interesse a correre il rischio del referendum: questo la esporrebbe alla probabilità, che è quasi certezza, di una sconfitta storica e la metterebbe in grave contrasto con lo stesso mondo cattolico internazionale per il quale sono ormai incomprensibili le rivendicazioni clericali e temporaliste della Chiesa di Roma. Il referendum, se

non una tigre di carta, è soltanto una minaccia e uno strumento di ricatto per perseguire altri scopi e consolidare un potere clericale che il divorzio ha per la prima volta in un punto fondamentale - il potere sulla famiglia italiana - incrinato. L'unico modo per dissuadere la Chiesa dal ricorrere a quest'arma di ricatto è di chiamarne in causa le responsabilità e di affrontare con coraggio e senza esitazioni la necessaria lotta in difesa del divorzio. Si sceglie invece irresponsabilmente di occultare queste responsabilità e di rinunciare allo scontro o almeno di rinviarlo al momento in cui si rendesse davvero inevitabile. Avallando la tesi ridicola della autonomia dalla Chiesa delle forze clericali estremiste che fomentano la campagna del referendum, sono proprio i partiti laici ad assolvere in anticipo Paolo VI e l'episcopato da qualsiasi accusa di complicità, fornendo alla Chiesa un alibi e una copertura politica di eccezionale importanza. Al riparo di questa copertura, la Chiesa avrà da questo momento

le mani libere per mobilitare tutti gli strumenti di potere di cui dispone per organizzare il referendum.

Anche la rinuncia alla lotta, anche questa finzione non sono ritenuti sufficienti: consapevoli del terreno sdrucciolevole su cui si sono posti, i partiti laici si affrettano ad offrire al partito clericale, per scongiurare il ricorso al referendum, concrete contropartite. Il primo partito a farlo, già nella fase conclusiva del dibattito sul divorzio, è il PCI attraverso la dichiarazione di voto dell'on. Jotti. Bisogna superare - argomenta la Jotti - i contrasti sul divorzio e guardare al dopo-divorzio. Questo può essere caratterizzato da una ritrovata unità su due temi scottanti: quello della riforma del diritto familiare e quello dei rapporti fra Stato e Chiesa da regolarsi attraverso la revisione bilaterale del Concordato.

Il PCI non rimane a lungo isolato in questa posizione. La sera stessa dell'approvazione della legge, il vice Presidente del Consiglio, il socialista Francesco De Martino, assicura che i socialisti non intendono »risuscitare il vecchio spirito anticlericale e che »vi è la possibilità di sviluppare in modo positivo i rapporti fra la Chiesa e lo Stato . Le dichiarazioni di De Martino vanno al di là delle prime prese di posizione comuniste: »Sappiamo che "matrimonio e insegnamento religioso" sono per la Chiesa parte essenziale del Concordato: un accordo su questa materia, che tenga conto degli sviluppi della società civile e della stessa comunità religiosa nonché dei principi democratici e introduca quindi le opportune innovazioni, è possibile. Naturalmente occorrerà tener conto che il divorzio è entrato nella legislazione civile . Sono affermazioni che non possono non essere considerate preoccupanti. La Chiesa infatti si accinge a riconfermare la propria interpretazione, contrastante con quella del Parlamento,

dell'art. 34 del Concordato: il divorzio rappresenta un »vulnus del Concordato almeno per quanto riguarda la cessazione degli effetti civili dei matrimoni concordatari. E' allora che senso ha affermare che è possibile un accordo con la Chiesa sul matrimonio e nello stesso tempo dire »che naturalmente occorrerà tener conto che il divorzio è entrato nella legislazione civile? . O sono due affermazioni in contraddizione fra loro e che si annullano a vicenda o si tratta di una formulazione volutamente ambigua che rischia di rimettere in discussione un punto fondamentale della legge Fortuna. Sono ambiguità e pericoli che non saranno né chiariti né risolti a dieci mesi di distanza.

Tre giorni dopo questa dichiarazione di De Martino, la Direzione del PSI approverà un documento in cui dichiara ufficialmente la propria disponibilità ad una decisione parlamentare che autorizzi la apertura di trattative con il Vaticano per la revisione del Concordato. La direzione socialista »dà atto alle forze cattoliche democratiche del loro comportamento che, pur essendo contrario alla legge sul divorzio, non ha puntato sull'esasperazione del contrasto e sulla guerra di religione . »Con l'approvazione della legge sul divorzio, che è una grande riforma civile, si apre la strada ad un capitolo nuovo e positivo nei rapporti fra Stato e Chiesa. Il PSI, avendo sostenuto in primo piano la battaglia per il divorzio, intende ora sviluppare questi rapporti, regolati dalla Costituzione, nell'ambito della revisione bilaterale del Concordato .

Alle posizioni revisionistiche del PCI e del PSI si allineerà poi anche il Partito Liberale anche se in questo partito Malagodi deve superare le resistenze delle sue opposizioni interne (le correnti di »Sinistra Liberale e di »rinnovamento ). Senza praticamente alcun dibattito e alcun approfondimento si aggiungeranno infine PRI e PSDI.

Commentando la definitiva approvazione in parlamento della legge Fortuna, Marco Pannella, nella sua qualità di segretario della LID, rilascia la notte del 30 novembre una dichiarazione: »Esultiamo per questa vittoria della democrazia, del laicismo anticlericale, delle essenziali e migliori tensioni civili e religiose del nostro paese. Sappiamo anche che, per quanto grande essa sia, questo non e che un inizio. La lotta continua per edificare una società più umana e più giusta. La politica dei diritti civili esce potenziata da questa prova. Dopo il sì al divorzio è l'ora del no al Concordato . La LID e il Partito Radicale precisano la loro condotta. E' una illusione credere che il dissenso fra laici e clericali sul divorzio possa essere superato e composto con trattative di vertice e con compromessi di potere. La vittoria del divorzio è irreversibile perché corrisponde alle attese della grande maggioranza del paese, ma gli avversari non rinunceranno alle armi che hanno a disposizione. Dopo essere passato in Pa

rlamento, il divorzio dovrà ora passare contro il prevedibile ostruzionismo di settori della magistratura, contro i tentativi di impugnarlo davanti alla Corte Costituzionale, contro la campagna clericale per il referendum. L'obiettivo polemico dei radicali e dei divorzisti non sono i gruppi cosiddetti estremisti del clericalismo ma la Chiesa e la D.C. E' evidente infatti che senza l'appoggio organizzativo della Chiesa i gruppetti che hanno annunciato la campagna per il referendum non potrebbero sperare di raccogliere che poche diecine di migliaia di firme. Se sperano invece di raccoglierne cinquecentomila ed oltre, questo sarà possibile solo per la mobilitazione di tutti gli strumenti del potere clericale, diretti e indiretti, di cui la Chiesa dispone. Prima ancora che la raccolta delle firme si effettui è possibile quindi denunciarne la illegalità: le firme non saranno la spontanea manifestazione della volontà degli antidivorzisti, ma il risultato di una illecita mobilitazione della Chiesa e di una interfer

enza nella vita politica italiana. Non ci si deve inoltre rassegnare a considerare il referendum come costituzionalmente legittimo: esso è contro la coscienza per l'annullamento di un diritto civile. Queste battaglie contro l'illegalità della raccolta delle firme e contro la incostituzionalità del referendum possono essere vinte soltanto se si affronterà chiaramente nel paese la lotta contro il disegno di rivincita clericale. Non si può quindi pretendere di ridurre il divorzio a un episodio della vita parlamentare e credere di poter tranquillamente voltare pagina, ma bisogna considerare il divorzio come la base di una più ampia politica per la affermazione dei diritti civili e, facendosi interpreti delle richieste della parte non clericale dello stesso mondo cattolico, per la abrogazione del Concordato. Partito Radicale e LID ripropongono quindi alle forze laiche, in alternativa alla strada delle trattative con il Vaticano per la revisione, la prospettiva di una denuncia unilaterale del Concordato, riconferm

ando dal canto loro l'impegno di promuovere un referendum popolare abrogativo delle norme di attuazione dello stesso.

Queste posizioni vengono liquidate dal vice Segretario del PCI, Enrico Berlinguer, in un articolo pubblicato dall'"Unità" il 6 dicembre come »storture, esasperazioni settarie, irresponsabili provocazioni di gruppi anticlericali e poste sullo stesso piano delle »velleità di rivincita di anacronistici gruppi clericali . Berlinguer ripropone »il metodo del confronto aperto e costruttivo . Questo comporta »combattere e sconfiggere quanti da un lato meditano di indire una crociata antidivorzista e quanti, dall'altro vorrebbero risolvere in termini di rottura unilaterale le complesse questioni del rinnovamento dei rapporti fra Stato e Chiesa in Italia . Lo scontro aperto con la Chiesa comporterebbe »l'apertura di un conflitto di religione, la rottura del quadro democratico, l'impedimento di quelle positive iniziative innovatrici, sul terreno del diritto di famiglia e su quello della politica economica e sociale, che sole possono rendere l'istituto del divorzio un passo socialmente costruttivo e non un atto che po

rti allo scivolamento verso il divorzismo fine a se stesso . I comunisti pertanto - conclude Berlinguer - non si faranno distogliere »dalla necessità di portare avanti, con la lotta, una politica di unità proletaria e democratica popolare e nazionale; la politica cioè che storicamente ha promosso e sancito l'ingresso alla base del nostro organismo statale - e che domani dovrà assicurare l'avvento al suo vertice - sia delle forze decisive della tradizione laica risorgimentale, sia delle masse organizzate dal movimento socialista e comunista, sia delle masse organizzate nei movimenti politici e sociali de cattolici italiani .

La tesi degli »opposti estremismi fino ad ora sempre respinta dai comunisti e per la prima volta applicata da Berlinguer alle polemiche sul divorzio e sul Concordato, è immediatamente ripresa e sviluppata in una serie di articoli pubblicati, nel corso del mese di dicembre del 1970, dall'"Unità" e da "Rinascita". Si distinguono per la grossolanità degli attacchi due articoli del direttore dell'"Unità", Aldo Tortorella. L'organo comunista giunge ad accusare i divorzisti di essere »servi dei padroni per voler ostacolare la politica dell'incontro e del dialogo con i cattolici. Per ironia della sorte proprio in quel giorni attacchi non meno violenti vengono rivolti alla LID da Malagodi. Il leader del PLI, noto avversario dei »padroni , accusa la LID di vieto anticlericalismo (una espressione molto usata anche dai comunisti), per aver denunciato alla magistratura i vescovi della CEI, nel cui documento (diffuso alla vigilia del dibattito parlamentare sul divorzio) erano riscontrabili aperte violazioni di norme co

ncordatarie e di altre norme del codice civile. L'esposto alla magistratura era stato firmato dai deputati liberali Bonea e Baslini.

Gli avvenimenti successivi, che confermano purtroppo le previsioni dei radicali e della LID, e il costituirsi di un autonomo movimento anticoncordatario pongono fine a questo genere di attacchi che sfiorano a volte la calunnia e il linciaggio. La sostanza non cambia nella politica comunista, ma almeno la netta differenza di posizioni viene ricondotta nei limiti di un dissenso politico.

Con il mese di gennaio, entra in vigore la legge Fortuna. Con le prime cause si hanno anche le prime eccezioni di incostituzionalità: la grande maggioranza dei giudici le respinge come »manifestamente infondate ; alcuni le accolgono, sospendono i procedimenti in attesa del giudizio della Corte Costituzionale. Sulla Gazzetta Ufficiale viene pubblicata l'11 gennaio la richiesta di referendum presentata alla Corte di Cassazione da gruppi antidivorzisti, secondo le modalità previste dall'art. 75 della Costituzione. Fra i promotori del referendum è Agostino Sanfratello, uno degli accusatori della »strega Braibanti.

Pochi giorni dopo (il 14 gennaio) il gruppo parlamentare del PCI presenta alla Camera una mozione per la revisione del Concordato. La mozione firmata dai deputati Nilde Jotti, Berlinguer, Spagnoli, Ingrao, Barca, D'Alessio, Malagugini, Raucci, D'Amico e Guidi, invita il governo a riferire alla Camera sull'esito dei lavori della Commissione Gonella e »sugli atti posti in essere per ottemperare al voto della Camera del 5 ottobre 1967 , a riferire inoltre »sulle iniziative che esso intende assumere per dare luogo alle procedure necessarie per la revisione del Concordato e sulla base dei criteri e delle direttive che scaturiscono dalla Costituzione e dalla mutata realtà . Quasi contemporaneamente viene diffuso un comunicato della Direzione radicale, che convoca per il 14 febbraio a Milano il congresso straordinario del Partito e rivolge un appello ad altre forze politiche laiche di convocare contemporaneamente proprie conferenze nazionali perché confluiscano nel pomeriggio del 14 in un'unica Assemblea nazionale

anticoncordataria. L'appello viene raccolto dalle correnti di »Presenza liberale e di »Rinnovamento liberale , dalla federazione giovanile repubblicana, da un gruppo di parlamentari socialisti, dalla LID, dall'Associazione per la libertà religiosa (ALR), da un gruppo di »credenti cattolici e protestanti che si raccoglie intorno al sen. Albani del gruppo di »sinistra indipendente . Si delineano così due tipi di risposta all'iniziativa clericale: una che si affida ai rapporti di vertice con la Democrazia Cristiana e con il Vaticano; l'altro che si affida invece alla libera confluenza delle forze anticoncordatarie e all'incontro fra credenti e non credenti che insieme vogliono lottare contro "questa" Chiesa e "questo" Stato.

Si organizzano, contemporaneamente al Congresso straordinario del partito Radicale, conferenze nazionali di socialisti, di repubblicani, di liberali di credenti, di divorzisti. Annunciano la loro adesione all'assemblea unitaria i senatori a vita Ferruccio Parri e Eugenio Montale, Ignazio Silone, numerosi professori universitari e uomini di cultura (fra gli altri Danilo Dolci, Alessandro Galante Garrone, Adriano Buzzatti Traverso, Leopoldo Piccardi, Bruno de Finetti, Enzo Paci, Sylos Labini, Roberto Guiducci, Lucio Gambi, Mario Dal Prà, Tullio De Mauro, Giorgio Spini, Lamberto Borghi, Angelo Maria Ripellino, Leonardo Sciascia, Aldo Visalberghi, Bruno Caizzi, Paolo Milano, Fabrizio Onofri, Francesco Sciuto, Giovanni Pugliese); i parlamentari socialisti Scalfari, Mussa Ivaldi Quaranta, Lombardi e Achilli della Camera dei Deputati, Fenoaltea, Jannuzzi e Banfi del Senato; il vice presidente del Senato Simone Gatto del gruppo di sinistra indipendente (lo stesso di cui fanno parte anche i senatori Parri e Albani),

i parlamentari socialproletari Boiardi, Canestri e Tomassini; l'on. Maria Vittoria Mezza del PSDI, l'on. Montanti del PRI, i parlamentari liberali Barzini, Baslini, Bonea, Monaco e Veronesi. Accolgono l'appello di Albani per una conferenza nazionale di credenti per l'abrogazione del Concordato, fra gli altri i redattori della rivista »Questitalia , che ha da poco cessato le pubblicazioni, Dolcino Favi, Goffredo Zappa, Luigi Ruggiu, Silvino Grussu, Marcello Gentili del »Momento , Pasquale Colella de »Il Tetto , Giancarlo de Maria de »I Tralci , Giorgio Pazzini del Consiglio Nazionale della ACLI e del Movimento politico dei Lavoratori, Gerardo Bruni già deputato cristiano-sociale alla Costituente, Don Luigi Barbieri e padre Tony Sansone, il Presidente della Federazione delle Chiese Evangeliche Mario Sbaffi, i pastori Gino Conte e Vezio Incelli, il direttore dell'organo valdese »La Luce , Mario Savelli del Movimento Cristiano della Pace, numerosi esponenti di gruppi cattolici e assemblee ecclesiali. Dà la sua a

desione all'iniziativa anticoncordataria anche il direttore di »Questitalia Wladimiro Dorigo, un gruppo di magistrati della corrente di magistratura democratica, alcuni dirigenti politici del PSI (Alberto Benzoni, Umberto Dragone, Carlo Ripa di Meana, Anselmo Guarraci) e del PLI (fra gli altri, Enzo Marzo, Umberto Zanzone, Ciucci, Morelli, Prosperi e Trauner).

Proprio in coincidenza con l'anniversario dell'11 febbraio, il Consiglio di Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana riconferma solennemente le posizioni di avallo all'iniziativa del referendum, già assunte nel precedente mese di novembre dall'assemblea plenaria dei Vescovi. La finzione dialettica di una Chiesa non coinvolta e non partecipe della campagna di rivincita clericale promossa dai cosiddetti gruppi estremisti non regge dunque alla prova dei fatti.

Già dopo l'annuncio della presentazione ufficiale della richiesta di referendum, Marco Pannella aveva sottolineato il legame inscindibile fra questi gruppi e la Chiesa. In una dichiarazione del 6 gennaio aveva affermato:

»"Senza la intromissione della Chiesa l'obiettivo delle 500.000 firme è manifestamente irraggiungibile da parte di organismi e di comitati che rappresentano entità politiche e associative o sconosciute o del tutto marginali. La LID diffida dunque pubblicamente le gerarchie ecclesiastiche e l'Azione Cattolica a non violare quella stessa legge di Stato - il Concordato - che è stata da loro imposta al paese e che è fonte di privilegi e di abusi scandalosi. La LID fin da ora invita le forze laiche di governo a reagire decisamente sul piano ufficiale alle eventuali inframmettenze del clero e delle organizzazioni confessionali nella campagna per la raccolta delle firme per il referendum abrogativo del divorzio. Per suo conto si rivolgerà regolarmente, in tale ipotesi, alla magistratura, convinta che non mancheranno alla fine magistrati della repubblica disposti a far valere la legge anche in casi del genere" .

Tale posizione viene riconfermata da Pannella mentre è ancora in corso la riunione del Consiglio di Presidenza della CEI, il 6 febbraio, davanti alle notizie secondo le quali una maggioranza di vescovi intenderebbe imporre posizioni ancora più esplicite a favore del referendum, rispetto a quelle assunte dalla Assemblea plenaria di novembre. Ogni impegno a favore del referendum »"di organizzazioni confessionali, ecclesiastiche, assistenziali, scolastiche e di azione cattolica deve essere ritenuto patente violazione e pratica denuncia del Concordato, incostituzionale ed inammissibile anche secondo precisi articoli del codice e della legge comune" . Sarebbe drammatico e grottesco per la democrazia e per la stessa credibilità della legge dello stato che potessero essere mobilitate »"una scuola privata finanziata con il danaro pubblico; una organizzazione assistenziale che costituisce la causa e lo obiettivo del sacco annuale di migliaia di miliardi; la miriade di Chiese, circoli, enti, edificati su suolo pubblic

o gratuitamente ceduto, a spese in gran parte pubbliche, gestiti da persone regolarmente stipendiate dallo Stato, a fini di culto della religione dello Stato" .

»"Dietro la realtà in definitiva rispettabile degli ultras clericali che potrebbero a mala pena, da soli racimolare poche decine di migliaia di firme, appare lo spettro di un confronto che vedrà da una parte l'enorme potenza finanziaria, organizzativa, partitica del clericalismo prevaricatore e autoritario, dall'altra quella di un paese infinitamente più moderno, civile. avanzato della sua stessa classe dirigente, laica e no. E' un confronto che non abbiamo voluto, ma sapremo combatterlo e vincerlo, come abbiamo mostrato di saper fare. Ed il 14 febbraio a Milano la grande manifestazione anticoncordataria sarà una prima, oggettiva risposta ai vescovi italiani" .

Anche la pretesa dei partiti laici di poter fermare con un gravissimo baratto neoconcordatario il cammino del referendum viene clamorosamente smentita dalle prese di posizioni clericali. E' singolare che in coincidenza del riconfermato avallo dell'episcopato all'iniziativa del referendum, sia proprio la Chiesa a sollecitare trattative per la revisione del Concordato e a dichiarare la propria disponibilità a un immediato dialogo con gli organi dello Stato su questo argomento. Il Vaticano e le gerarchie ecclesiastiche sanno di poter trattare, avendo messo in moto il meccanismo del referendum, da una posizione di forza. Afferma una nota ufficiale della Radio Vaticana la sera dell'11 febbraio: »"Il momento attuale invita a rinvigorire l'intesa faticosamente raggiunta quarantadue anni or sono, superando di comune accordo le difficoltà esistenti. La Santa Sede riafferma in proposito la sua disponibilità a rafforzare e a rendere ancora più feconda la concordia siglata 42 anni fa e consacrata anche dalla Costituzion

e repubblicana" .

La presa di posizione dei Vescovi e l'ormai palese intervento della Chiesa nel referendum non può però non preoccupare anche importanti settori dello schieramento laico, quegli stessi settori che hanno scelto la politica della rinuncia alla lotta e la strada della revisione del Concordato. Scrive la "Voce Repubblicana" dell'11 febbraio:

»"Dipenderà dall'atteggiamento della Santa Sede se si arriverà ad una revisione oppure ad una denuncia unilaterale... Tuttavia è chiaro fin da ora che l'appoggio delle parrocchie agli oltranzisti presentatori della richiesta di referendum, fra le molte gravi conseguenze, ne avrà una in particolare: comunque si chiuda la vicenda, qualunque sia il responso delle urne, è destinata a scoraggiare quanti, fra i laici, credono ancora alla Possibilità di rivedere e aggiornare i regime concordatario .

Negativo anche il giudizio dell'Unità sul comunicato della CEI. Esso costituisce un aiuto per »le forze che puntano su una guerra di religione e su uno scontro frontale ed apre la strada »a profonde lacerazioni e rotture del quadro democratico , "L'Unità" è costretta a concludere che, »se questo si verificasse, cambierebbe anche l'atteggiamento del PCI favorevole alla revisione del Concordato .

Queste prese di posizione, reiteratamente confermate sia dal PCI, sia dagli altri partiti laici, rimarranno purtroppo soltanto delle minacce senza essere tradotte in conseguenti iniziative politiche. Ed è significativo che in questo clima di giustificate reazioni al grave comunicato della CEI, il Presidente del gruppo parlamentare del PSI della Camera dei Deputati, Luigi Bertoldi, senta il dovere di richiamare all'ordine quel deputati socialisti che hanno dato la loro adesione all'iniziativa anticoncordataria del 14 febbraio.

Il giorno precedente un comunicato del Gruppo del PS precisa che la »partecipazione di parlamentari socialisti all'assemblea nazionale per la abrogazione del Concordato deve essere considerata a titolo personale e, pertanto, non impegnativa della posizione dei Partito" .

»"Iniziative del genere - afferma il comunicato - sono difformi dalle posizioni del partito che, sul problema dei rapporti fra Stato italiano e Santa Sede, è per la revisione del Concordato come è precisato nel documento approvato dalla direzione nazionale del 2 dicembre 1970" .

Questo intervento non mancherà di produrre i suoi effetti. I deputati della sinistra socialista, con una lettera di Riccardo Lombardi, confermano la adesione all'Assemblea unitaria del pomeriggio del 14 febbraio a Milano, ma si sottraggono all'impegno preso con altri parlamentari socialisti di organizzare per lo stesso giorno una Conferenza nazionale dei socialisti favorevoli all'abrogazione del Concordato. La Conferenza non si terrà. Analoghe pressioni saranno tentate, in questo caso inutilmente, da Malagodi per far fallire la conferenza nazionale Liberale per l'abrogazione del Concordato.

La mattina del 14 febbraio, a Milano si svolgono contemporaneamente il Congresso straordinario del Partito Radicale, Conferenze nazionali anticoncordatarie di liberali, di repubblicani e di divorzisti della LID, un convegno di credenti per l'abrogazione de Concordato, un'assemblea dell'ALRI. Questi convegni confluiscono nell'assemblea unitaria che si svolge nello stesso giorno presso la sala dell'»Umanitaria , gremita di folla. Nel corso dell'assemblea si confrontano due proposte politiche: quella, emersa nel corso del congresso straordinario del PRI, per la costituzione di una organizzazione autonoma anticoncordataria; e quella, presentata dal senatore Veronesi, di una conferenza nazionale aperta dei diversi gruppi e movimenti anticoncordatari. E' la prima proposta a prevalere. Ad essa aderisce anche una parte consistente dei liberali presenti (tutta la corrente di Presenza Liberale che fa capo all'on. Bonea, l'on. Antonio Baslini e numerosi altri esponenti ed iscritti del PLI). Il senatore Veronesi, pur no

n aderendo alla organizzazione che si costituisce, riconferma la propria posizione di principio, contraria alla revisione e favorevole alla abrogazione del Concordato. Nasce quindi, nel salone dell'Umanitaria, la LIAC (Lega Italia per l'Abrogazione del Concordato).

Nei giorni successivi, e in attesa del I· congresso nazionale, la nuova Lega si darà i propri organi provvisori: un ampio comitato nazionale, una presidenza e una segreteria nazionale. Entrano a far parte della presidenza: l'on. Antonio Baslini, l'avv. Mario Berutti, l'on. Ennio Bonea, il prof. Gerardo Bruni, il prof. Adriano Buzzati Traverso, l'avv. Franco De Cataldo, il prof. Bruno De Finetti, il prof. Tullio De Mauro, Danilo Dolci, Wladimiro Dorigo, il prof. Franco Ferrarotti, il prof. Alessandro Galante Garrone, l'avv. Marcello Gentili, il dr. Dino Greco, Silvino Grussu, il sen. Lino Jannuzzi, il dr. Pino Mazzotti, l'avv. Mauro Mellini, la on. Maria Vittoria Mezza, Giorgio Pazzini, Giorgio Pecorini, il prof. Leopoldo piccardi, il prof. Aloiso Rendi, il prof. Mario Sbaffi, l'on. Eugenio Scalfari, il sen. Angelo Tomassini, l'avv. Sergio Trauner, il prof. Aldo Visalberghi. Fanno parte della Segreteria: il sen. Gian Mario Albani, il dr. Alberti Benzoni, l'on. Boiardi, l'ing. Giuseppe Faranda, il dr. Luigi Fe

rrajoli, Maurizio Marchesi, Enzo Marzo, Marco Pannella, Cesare Pogliano, il prof. Luigi Rodelli, Giorgio Spadaccia, il dr. Goffredo Zappa.

L'"Osservatore della Domenica" non nasconde la sua preoccupazione per l'iniziativa anticoncordataria nata a Milano e pur dando il suo giusto valore alla assicurazione socialista, secondo la quale, almeno per quanto riguarda i parlamentari socialisti che vi hanno aderito, si tratta di »adesioni a titolo personale , ricorda quanto avvenne per il divorzio, una battaglia nata anche essa per iniziativa di un solo deputato e di alcune forze minoritarie e che ha finito poi per coinvolgere anche le classi dirigenti dei partiti laici. L'organo vaticano teme che quel precedente possa ripetersi anche per il Concordato e conclude: »Non c'è che da seguire lo sviluppo degli avvenimenti .

I redattori dell'"Osservatore dello Domenica" potranno in seguito trarre motivi di tranquillità e di conforto dal comportamento successivo dei partiti dello schieramento parlamentare laico e dalle conclusioni del dibattito parlamentare sulla revisione del Concordato. Socialisti, socialdemocratici, liberali e repubblicani finiranno infatti tutti per confluire sulle posizioni già anticipate dal Partito Comunista con la presentazione della mozione Jotti-Berlinguer. Il dibattito alla Camera per la discussione di questa mozione, e delle altre che verranno via via presentate, è fissato per il 25 marzo.

Mentre si avvicina il dibattito alla Camera, un fatto nuovo interviene tuttavia a interrompere questa fretta revisionistica che unisce ormai Governo, gerarchie ecclesiastiche e vertici dei partiti laici. Il fatto nuovo è costituito dalla pubblicazione, l'1 marzo, di una serie di sentenze della Corte Costituzionale. Una di queste sentenze - la sentenza n. 34 - contiene una importante affermazione di principio sui rapporti fra norme concordatarie e norme costituzionali. La Presidenza del Consiglio, attraverso l'Avvocatura dello Stato, si era opposta alla presa in considerazione di una questione di legittimità costituzionale in materia di nullità matrimoniali, argomentando che la norma di cui si chiedeva la dichiarazione di incostituzionalità »è una regola del Concordato che implica rinuncia dello Stato ad esercitare la sua giurisdizione, rinuncia consacrata dall'art. 7

La Corte non ritiene invece che esista questa »consacrazione della norma concordataria ed afferma che l'esame della questione di legittimità »non è precluso dall'art. 7 . "E' vero che questo articolo" - afferma la sentenza della Corte - "non sancisce soltanto un generico principio pattizio da valere nei rapporti fra lo Stato e la Chiesa cattolica ma contiene altresì un preciso riferimento al Concordato in vigore e, in relazione al contenuto di questo, produce diritto; tuttavia poiché esso riconosce allo Stato e alla Chiesa cattolica una posizione reciproca di indipendenza e di sovranità, non può avere forza di negare i principi supremi dell'ordinamento costituzionale dello Stato" .

Non esiste, qui, dato il carattere di questa cronaca, la possibilità di una analisi delle diverse sentenze delle Corte in materia concordataria, certamente legate fra loro da una logica unitaria. Ma non vi è dubbio che questa affermazione di principio, non a caso volutamente sottolineata dalla Corte in una questione di legittimità che per altro motivo è stata ritenuta infondata elimina un equivoco alimentato dai giuristi clericali e che per un quarto di secolo aveva ispirato la giurisprudenza della magistratura ordinaria quello: della pretesa costituzionalizzazione, avvenuta con l'art. 7, dei Patti lateranensi e del Concordato. La Corte invece solennemente afferma, in nome della indipendenza e sovranità dello Stato richiamata anche dall'articolo 7, la subordinazione delle norme concordatarie alle norme costituzionali e quindi anche la possibilità su di essa di un sindacato di costituzionalità da parte degli organi dello Stato.

Rispetto alla scadenza imminente del dibattito parlamentare sulla revisione, questa sentenza apre un problema che la LIAC sottolinea e propone a tutte le forze politiche. Uno dei motivi che infatti è stato sempre invocato per sollecitare le trattative con il Vaticano per la revisione è quello della necessità di un adeguamento delle norme del Concordato fascista alla Costituzione democratica. Ma una volta che uno dei massimi organi dello Stato ha stabilito la subordinazione delle norme concordatarie alla norma costituzionale ed ha affermato la possibilità su di esse di un sindacato di costituzionalità, è politicamente ammissibile e giuridicamente lecito andare a trattare con la Santa Sede il loro adeguamento alla Carta Costituzionale? Non è già una simile trattativa una aperta violazione e limitazione della sovranità dello Stato?

In una interpellanza del 9 marzo, rivolta al presidente del Consiglio dei Ministri, il sen. Gian Mario Albani, segretario nazionale della LIAC, osserva che, in seguito alla sentenza della Corte »"tutte le norme e i contenuti dei Patti lateranensi

(Trattato, Convenzione finanziaria, Concordato) e delle relative leggi applicative, che già sono stati dichiarati e ancora possono essere riconosciuti in contrasto con i principi del nostro ordinamento costituzionale, decadono e sono indisponibili ad ogni pattuizione" e chiede di sapere »"se il Governo italiano ha provveduto o intende provvedere da parte sua ad un'attenta ricognizione dei patti e delle leggi applicative che risultino in contrasto con la Costituzione per notificare alla Santa Sede la loro decadenza o per notificare al parlamento la loro immediata abrogazione" dal momento che »"non può essere fatto oggetto di trattative e transazioni con la Santa Sede l'accertamento della (loro) conformità o meno ai principi dell'ordinamento costituzionale" .

L'11 marzo una mozione a firma dei senatori Albani, Parri, Gatto Simone, Fenoaltea, Jannuzzi, Anderlini, Antonicelli, Carettoni ed altri viene depositata al Senato della Repubblica. La mozione, che si ispira alle considerazioni dell'interpellanza Albani, chiede un accertamento preventivo da parte del Governo della corrispondenza o meno delle norme concordatarie alla Costituzione e invita il Governo stesso a riferirne al parlamento prima di intraprendere qualsiasi trattativa con il Vaticano. Lo stesso testo viene adottato da dieci deputati per la presentazione di un'analoga mozione alla Camera in vista del dibattito sulla revisione, previsto in un primo tempo per il 25 marzo. Il testo della mozione viene pubblicato a parte in questa rivista. I firmatari della mozione alla Camera sono i deputati socialisti Eugenio Scalfari, Riccardo Lombardi, Mussa Ivaldi e Quaranta, il liberale Bonea, il socialista indipendente Basso, i deputati del "Manifesto" Caprara e Natoli, e gli indipendenti di sinistra Mattalia e Finel

li.

Con queste iniziative parlamentari la LIAC e le forze anticoncordatarie che in essa si raccolgono o che accettano di farsene portavoce alla Camera e al Senato si muovono quindi su un piano di grande responsabilità rivolto a ricercare possibili e validi punti di convergenza con le forze politiche revisioniste. Se lo strumento della revisione fosse davvero utilizzato per modificare sostanzialmente i rapporti fra Stato e Chiesa e per rimuovere i limiti alla sovranità dello Stato derivanti dal regime concordatario, se rispetto a questo obiettivo non prevalesse un diverso disegno politico rivolto a raggiungere a tutti i costi un compromesso di potere con la DC e con la Chiesa, questa convergenza fra abrogazionisti e revisionisti sarebbe facilmente raggiunta. Gli abrogazionisti della LIAC - primo fra tutti il sen. Albani, che per essere stato eletto in liste comuni con i comunisti non è certo sospettabile di anticomunismo - dimostrano con la loro azione di saper rinunciare ad ogni irrigidimento e di saper concilia

re, se ne creano le condizioni, le proprie posizioni di principio con l'efficacia di una iniziativa politica comune a tutte le forze laiche.

Sembra per un momento che queste condizioni possano realizzarsi e che il dibattito sul Concordato possa subire una svolta uscendo dall'itinerario che era stato precostituito. Tutti gli organi di stampa dei partiti laici avevano infatti presentato la sentenza della Corte costituzionale come una grande affermazione dei principi di sovranità e di laicità dello Stato. Con implicita polemica con le forze favorevoli all'abrogazione e alla loro agitazione nel paese, la "Voce Repubblicana" scriveva il 3 marzo;

»"Le ultime sentenze della Corte mostrano che non vi è bisogno di muovere sul terreno antiparlamentare ed extralegale per giungere alle grandi conquiste laiche che la Costituzione promette e la legislazione concordataria sbarra e preclude: l'ordinamento repubblicano contiene tutti i principi, gli strumenti e le procedure per attuarle quando esista la necessaria forza politica e popolare e non venga deviata su false strade" .

Un discorso, questo della "Voce Repubblicana", che sarebbe legittimo se le forze laiche dimostrassero di voler utilizzare, come ha fatto la Corte Costituzionale, gli strumenti offerti dall'ordinamento giuridico repubblicano, e di sapersi rendere interpreti nel parlamento di una opinione pubblica laica che, dietro la battaglia per il divorzio, si è venuta ricostituendo ed organizzando nel paese. L'azione del Parlamento è stata invece inesistente su questi problemi con la sola eccezione della battaglia per la approvazione della legge Fortuna, ma anche questa legge rischia di correre gravi pericoli se rimarrà un fatto isolato e se le forze parlamentari laiche non modificheranno la loro politica di pratica subordinazione alla Democrazia Cristiana.

A questi motivi di riflessione, offerti dalle sentenze della Corte, e sottolineati dalle iniziative parlamentari della LIAC, si aggiunge il 16 marzo l'annuncio da parte del Comitato promotore del referendum contro la legge Fortuna che dal 2 aprile avrà ufficialmente inizio la raccolta delle cinquecento mila firme richieste dall'art. 75 della Costituzione. In questa situazione il segretario del Partito Radicale invia a tutti i parlamentari laici della camera dei Deputati un documento della giunta esecutiva sulla progettata revisione del Concordato.

Il documento del partito Radicale mette in rilievo come, nonostante le assicurazioni di parte cattolica al momento del voto dell'art. 7, »"l'unica revisione che abbiamo avuto in questo quarto di secolo è consistita nella abrogazione di fatto di tutte le limitazioni e di tutti gli obblighi imposti al clero e all'azione cattolica, mentre tutte le norme che comportavano obblighi per lo stato, menomazioni per i diritti dei cittadini, speciali poteri ed esenzioni per la Chiesa e gli enti ecclesiastici sono state applicate estensivamente" .

Di revisione si torna a parlare soltanto adesso dopo l'approvazione del divorzio da parte del Parlamento. Esiste un rapporto diretto fra la proposta di trattative per la revisione del Concordato e il divorzio. Alla revisione »"sembrano guardare gran parte degli ambienti politici ufficiali, degli apparati dei partiti e delle gerarchie come alla possibile conclusione positiva di un periodo di contrasti. Con essa si spera inoltre di poter emarginare e liquidare le `pericolose' e `avventate' posizioni anticlericali e abrogazioniste che hanno tratto nuova forza proprio dallo scontro che si è verificato sul divorzio" .

Ma la revisione del concordato non può non mettere in pericolo, nonostante qualsiasi affermazione in contrario, anche una delle più importanti conquiste laiche realizzata con la legge Fortuna, quella riguardante l'interpretazione da dare all'art. 34 del Concordato e agli effetti civili del matrimonio concordatario. Come potrebbero le trattative per la revisione ignorare questa grave controversia interpretativa?

»"Chi afferma che anche questo problema deve essere incluso nei negoziati per la revisione smentisce la tesi del Parlamento, accetta quella del Vaticano e deliberatamente mette in pericolo l'art. 2 della legge istitutiva del divorzio. Chi infatti può seriamente pensare che la Chiesa potrebbe accettare nella trattativa una tesi che fino ad oggi ha respinto, pregiudicando in partenza il procedimento davanti alla Corte costituzionale e tagliando l'erba sotto i piedi ai clericali che si stanno battendo contro il divorzio?" .

A causa dell'art. 7 della Costituzione, che prevede solo la possibilità di modifiche concordate tra le parti, si andrebbe ad un negoziato in cui lo Stato italiano sarebbe in condizioni di assoluto svantaggio perché la Chiesa »"potrebbe contare sul vincolo costituzionale che condiziona il Governo italiano, mentre questi avrebbe le mani legate dall'art. 7. Insomma si andrebbe ad un confronto tra una parte assolutamente libera delle proprie azioni, e quindi anche di denunciare e interpretare a proprio piacimento il Concordato, e un'altra la cui volontà è valida solo nei limiti di una conformità ai patti esistenti o a quelle modifiche che la controparte si compiacesse di accettare" .

Tuttavia anche in questi limiti chi per ragioni politiche ha scelto la strada della trattativa con il Vaticano e della revisione del Concordato »"non ha alcuna idea chiara sulle modifiche da chiedere, su quelle che possono essere ottenute, sulle concessioni da fare, sui mezzi e le vie per arrivarvi, sul prezzo apparente e su quello reale che per esse deve essere pagato ... »E' singolare che oggi si abbia uno schieramento, se non di partiti, di apparati e di vertici di partito sul metodo della trattativa bilaterale e non si abbia invece un chiaro programma circa il diverso assetto dei rapporti fra Stato e Chiesa che si vuole raggiungere con la trattativa e la revisione" .

Viene sottolineata l'assurdità di un dibattito parlamentare che ci si accinge ad affrontare a Montecitorio senza che il Governo abbia neppure sentito l'opportunità di pubblicare le conclusioni della commissione Gonella.

»"Così si conferma apertamente l'intento di saltare la fase politica della preparazione della revisione, privando le forze politiche di quel punto di riferimento che almeno tali lavori avrebbero rappresentato per un dibattito meno superficiale. O piuttosto si è voluto fornire un ulteriore alibi a certe forze politiche per l'assenza di questo dibattito. Sia Mussolini che Pio IX, dopo la firma dei patti del 29, tennero a sottolineare che la mancanza di discussioni e di dibattito aveva consentito quel risultato. Anche oggi la mancanza di qualsiasi dibattito sembra essere la sola condizione che renderebbe possibile giungere alla revisione. Con l'aggravante che oggi il dibattito è possibile ed i laici non sono al confino o in galera, ma in parlamento ed al governo" .

Il documento sottolinea poi il legame diretto fra il Concordato e gli interessi di potere clericale nel campo della famiglia, della scuola, dell'assistenza, per citare solo i più importanti.

»"Essi danno vita ad un immenso patrimonio ecclesiastico, paraecclesiastico, clericale che tende ormai, per pura e semplice logica economica oltre che per deliberata e avida politica a rappresentare un feudo immenso, spesso ormai più esteso e potente di quello - a vario titolo - pubblico. I rapporti fra Concordato, norme di attuazione e questa situazione sono diretti e inscindibili. Non è un mistero che la riforma sanitaria, quella scolastica e quella urbanistica sono state messe in mora, politicamente, non tanto da dissensi formali e di vertice fra le forze politiche, quando dalla crescente manomissione del dato pubblico da parte di quello capitalistico-clericale.

Le migliaia di miliardi ogni anno trasferiti dalle casse dello stato, dalle tasche dei cittadini, con pretesti e illegalità tanto clamorosi quanto vari, ai ``gestori'' e ai ``proprietari'' di strutture economico-clericali per l'assistenza, per la scuola materna e non, per l'attività di tempo libero, sottratte oltretutto a qualsiasi forma di fiscalità e di controllo, hanno ormai acquisito le caratteristiche di un vero e proprio trasferimento non solo delle competenze ma del patrimonio dello Stato al mondo clericale. Il Partito Radicale è convinto che questa situazione sia in realtà determinante ed è qui che lo scontro, storicamente, si rivelerà conclusivo. E' qui oltretutto che una interpretazione astrattamente garantista dei problemi posti dal potere clericale sulla società e sullo Stato, ci sembra non a caso prevalente anche fra chi è invece solito esercitarsi nel gioco troppo spesso nominalistico dell'individuazione delle strutture e delle sovrastrutture" .

Esiste infine un aspetto importante di questo »nuovo corso concordatario che nessuno mette in luce e il documento invece affronta con chiarezza:

»"Sia che si tratti dell'appoggio ad una politica nazionale, sia del sostegno ad un regime, sia della soluzione di problemi finanziari o di questioni di equilibrio fra forze politiche, c'è sempre un" prezzo supplementare "che Stato e Chiesa si pongono a vicenda in queste occasioni. La revisione del Concordato è pur essa una pattuizione concordataria e non sfugge a questa regola. Ci sarà dunque, se ci sarà revisione del Concordato, il prezzo che le parti si accingono a pagare sottobanco, un prezzo che, si può essere certi, non sarebbe pagato allo Stato o alla società civile, ma piuttosto alle singole forze politiche. Certo è che alcune di esse si ripromettono vantaggi di questo genere. Altre invece non sembra sappiano calcolare il peso politico che ricadrebbe sulle loro spalle. Tutto lascia prevedere che se nel paese non si sviluppasse un forte movimento abrogazionista del Concordato, una volta entrati nell'ingranaggio revisionista, si aprirebbe fra le forze politiche una specie di corsa per non rimanere escl

use dai vantaggi che la Chiesa potrebbe dispensare come contropartita per un operazione per lei così vantaggiosa. E naturalmente questa corsa consentirebbe alla Chiesa di abbassare il prezzo" .

Ma gli svantaggi che le forze politiche laiche trarranno da questa operazione superano i vantaggi.

»"Non è difficile prevedere che da un'operazione di questo genere le forze laiche di governo uscirebbero screditate e avvilite. Su di esse ricadrebbe se non la maggiore certo la più appariscente responsabilità. La Chiesa sarebbe interessata più a un loro scavalcamento che a un vero accordo con esse. Ma anche le forze laiche di opposizione non potrebbero che trarne vantaggi illusori. La Chiesa non potrebbe altro di più rispetto a quello che già hanno o che è alla loro portata, mentre il rafforzamento dell'apparato clericale, che è per la Chiesa il vero obiettivo della revisione del Concordato, ridurrebbe alla lunga il loro spazio di manovra e farebbe scadere la ricerca di dialogo con il mondo cattolico a mero mercanteggiamento di vertice" .

Per contro è sicuro che le forze politiche laiche si accingono a pagare, oltre agli altri, un prezzo alla Chiesa. Avvalorando e dando nuova dignità allo strumento concordatario, esse »"si assumerebbero oggi una oggettiva corresponsabilità nel favorire la repressione dei movimenti di rinnovamento e di liberazione che attraversano il mondo cattolico; sceglierebbero di fatto la gerarchia, la curia, la vecchia Chiesa preconciliare, temporalista, interventista, autoritaria rispetto a quelle forze che propugnano per la Chiesa autonomia, distacco dal potere, comunitarismo" .

A proposito dei rapporti fra abrogazionisti e revisionisti, il documento si chiede come questi ultimi »"possano concepire la loro posizione come alternativa inconciliabile alle posizioni abrogazioniste, quasi che la revisione bilaterale fosse una soluzione e non in mezzo per ottenere determinati risultati... »D'altra parte" - prosegue a questo proposito il documento radicale - "la revisione per la revisione e la preoccupazione di liquidare il movimento anticoncordatario, indeboliscono le forze politiche in qualsiasi trattativa, privandole della sola carta che esse potrebbero validamente spendere nei confronti del Vaticano, quella di un incalzante movimento che si accinga a travolgere quelle norme che la Santa Sede si ostinasse troppo a lungo a difendere e a conservare" .

I radicali non peccano tuttavia di ottimismo: »"Naturalmente queste considerazioni sono valide solo nella ipotesi che l'eliminazione delle forze anticoncordatarie non costituisca un obiettivo che si è già deciso di raggiungere a tutti i costi, un prezzo politico che si è deciso di pagare senza contropartite" .

Il documento mette infine in guardia dalle illusioni di ottenere dalla Chiesa il blocco del referendum in cambio di un compromesso sul Concordato. Nulla autorizza e pensare che il Vaticano sia disposto a questo baratto. In queste condizioni proseguire a tutti i costi nella ricerca di un compromesso concordatario »"significa prestare alla iniziativa del referendum anti-divorzio una forza sufficiente di ricatto contro la storica rivendicazione popolare di credenti e non credenti che chiedono soltanto l'allineamento della situazione italiana a quella di ogni altro paese civile, democratico e moderno, dove la legge comune è sovrana per tutti e la Chiesa ha dovuto rinunciare all'eredità costantiniana ed a costituirsi in forza privilegiata ed autoritaria all'interno dello Stato" .

Ma il calcolo è comunque sbagliato:

»Perché delle due luna: o la Chiesa e l'apparato clericale stanno preparando il referendum, dietro la copertura di gruppi cosiddetti estremisti, ed allora è assurdo offrire un compromesso senza aver ottenuto prima il ritiro della iniziativa del referendum: o i promotori del referendum sono davvero completamente autonomi dalla volontà del Vaticano, sono davvero degli estremisti che godono solo dell'appoggio di una parte del clero e allora nessun compromesso varrà a dissuaderli. In un caso e nell'altro l'arma della revisione è un'arma spuntata: essa determina cedimenti per il Concordato e smobilitazione nel paese per la necessaria e dura lotta in difesa del divorzio" .

Il fatto nuovo rappresentato dalla sentenza della Corte costituzionale e la apertura ufficiale della campagna per la raccolta delle firme per il referendum antidivorzista creano esitazioni nel fronte revisionista ed esigono una pausa di riflessione. Il dibattito che era fissato per il 25 marzo e che doveva concludersi con poche ore di discussione, viene rinviato, con la giustificazione tecnica della contemporanea visita ufficiale in Italia del Presidente Tito.

Le stesse mozioni dei partiti che appoggiano il progetto di revisione attraverso trattative immediate rispecchiano in qualche misura queste esitazioni e questi motivi di riflessione e introducono elementi nuovi di dibattito rispetto a quelli presenti nella mozione comunista del 14 febbraio. I più importanti fra questi elementi nuovi sono: 1) il riferimento alle recenti sentenze costituzionali, presentate nelle mozioni socialiste e socialdemocratiche; 2) la richiesta, avanzata dai liberali e socialisti di estendere le trattative per la revisione, oltre che al Concordato anche al Trattato; 3) la proposta contenuta nella mozione liberale, di istituire una commissione parlamentare con cui il governo dovrà consultarsi »in ordine alle norme dei patti da abrogare o modificare ; 4) la esigenza sottolineata da una interpellanza repubblicana, di ribadire il giudizio espresso dal Parlamento italiano, secondo il quale l'art. 2 della legge Fortuna riguardante i matrimoni concordatari non costituisce violazione dell'art.

34 del concordato, e di chiarire che questo punto non può di conseguenza essere oggetto di trattative.

Rispetto al precedente dibattito parlamentare del 1967, il fronte revisionista registra alcune defezioni. Il PSIUP presenta una mozione nettamente abrogazionista; gli indipendenti di sinistra Mattalia e Finelli firmano la mozione della LIAC; Fortuna infine presenta una interpellanza nella quale prende chiaramente le distanze dai progetti di revisione che si pretende di imporre al paese proprio nel momento in cui inizia la raccolta delle firme per il referendum antidivorzista.

In Particolare, la mozione del PSI rivela un grave stato di disagio. Pur accettando la procedura della revisione, esprime preoccupazioni e posizioni che sono comuni alla LID, alla LIAC e al Partito Radicale.

Presto tuttavia si riannodano i fili del compromesso concordatario, che apre la strada a nuovi cedimenti lateranensi. Il dibattito si svolge alla Camera il 7 aprile e, a conclusione della discussione, che si svolge in un solo giorno, si costituisce una maggioranza che vede ufficialmente uniti per la prima volta i quattro partiti del centro sinistra e i comunisti. Sia per le posizioni sostenute, sia per l'atteggiamento precedente e seguente il voto del 7 aprile, la maggioranza comprende di fatto, nonostante la formale astensione finale, anche il Partito Liberale.

Il dibattito in realtà si svolge fra un fronte revisionista che comprende gli oratori ufficiali del PCI, del PSI, del PSDI del PRI e del PLI (gli on. Nilde Jotti, Renato Ballardini, Flavio Olandi, Oronzo Reale e Aldo Bozzi) e un gruppo di deputati che si oppone alle modalità e ai contenuti con cui la maggioranza si accinge ad accettare la revisione (gli on. Scalfari, Boiardi Fortuna, Natoli, Basso). Nessun confronto e scontro invece si verifica fra le posizioni democristiane che non forniscono alcuna garanzia, e i partiti laici revisionisti.

Scalfari illustra i motivi che, alla luce delle sentenze della Corte costituzionale, impongono al Parlamento di sottoporre ad un vaglio di costituzionalità le norme concordatarie; Boiardi propone a nome del gruppo del PSIUP, di prendere atto del superamento del regime concordatario e di stralciare dai patti lateranensi il Concordato, procedendo invece a trattative per la revisione del Trattato. Fortuna richiama le forze laiche sui rischi che presenta l'apertura di trattative con il Vaticano mentre è in atto l'iniziativa del referendum. Natoli dimostra come il discorso introduttivo del presidente del Consiglio non abbia fornito alcuna concreta garanzia sui contenuti della revisione neppure per quanto riguarda l'adeguamento del Concordato alla Costituzione.

Ma i giochi ormai sono fatti, il compromesso fra clericali e partiti laici revisionisti è già raggiunto. Vale tuttavia la pena analizzare le posizioni di questi ultimi, espresse nei discorsi dei loro oratori.

 
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