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Pannella Marco - 1 novembre 1973
La felicità non tollera impazienze
Marco Pannella

SOMMARIO: Il XIII congresso radicale, tenutosi a Verona nel novembre 1973, incentrò la propria discussione sul pacchetto di proposte referendarie da promuovere. Il progetto referendario - il proposito cioé di indire diversi referendum assieme, per coagulare attorno ad essi maggioranze alternative - era stato fissato dal congresso di Torino dell'anno precedente. Nel corso del 1973, però, non si era riusciti a far decollare l'iniziativa e nel dibattito congressuale di Verona affiorarono perplessità e riserve sulla possibilità di mandare in porto l'onerosa raccolta di firme (e di fatti la cosa riuscì solo nel 1977). L'intervento di Pannella risente di questo clima di incertezza, arricchito com'è di riflessioni politiche generali e di esortazioni a tener duro rivolte ai dirigenti e ai militanti del partito.

In particolare Marco Pannella, quell'anno non iscritto al Pr per poter allargare il movimento radicale attraverso la Lega XIII maggio, teorizza la necessità di "potenziare il movimento del quale tutti facciamo parte, il movimento radicale di cui il PR è la figura più importante e il momento centrale, ma che dobbiamo poter vivere in forme anche diverse"

(Intervento al XV Congresso Radicale di Verona - Novembre 1973 da " Marco Pannella - Scritti e discorsi - 1959-1980", editrice Gammalibri, gennaio 1982)

Cari compagni,

innanzitutto credo di dover tranquillizzare alcuni (o molti di voi, non importa): sto benissimo, sono molto vivo, non ho sistemi nervosi che vanno all'aria, proseguo a sregolare ragionevolmente e moralmente i sensi che sono i miei. Da molto tempo penso che la frase di Rimbaud, molto più che altre di Marx, potrebbe essere iscritta (e se dico di Marx è perché lo ritengo molto vicino a noi, o ritengo che noi siamo molto vicini a quello che lui ha rappresentato e rappresenta oggi per il nostro tempo) - ma dicevo, molto di più, se penso all'importanza che questo partito ha assunto per me, al punto da divenire un elemento di civiltà nel quale vivo con tutti i limiti e i rischi (una civiltà rischia anche sempre di essere soddisfatta di se stessa, di essere in qualche modo terroristica, e di non essere cultura. E' un rischio, non è una realtà). Il partito per me è stato questo, e questa storia di Rimbaud, per chi ha predicato a sé dal 1944, '45, '46, '47 (Sergino Stanzani e gli altri non so quando abbiano cominciato

...).

Questa storia della non scissione tra vita pubblica e vita privata, questa storia per cui amore e libertà, moralità e spontaneità, devono tendere a coincidere o a essere, come sono, la stessa cosa - vivo l'uno e vivo l'altro, o morto l'uno morto anche l'altro - dicevo, questa frase apparentemente non politica (e mi capirà almeno Giuliana Cabrini che diceva qui: poesia e politica, politica e poesia) "le reisonnable dèrèglement de tous les sens" - forse adesso più comprensibile anche grazie a Ceccato, alla cibernetica, al fatto che sappiamo di essere meccanismi, che sappiamo che la libertà inizia nella misura in cui conosciamo i condizionamenti dei quali siamo vittime, sappiamo la relatività delle verità nelle quali crediamo giorno per giorno, sappiamo che l'unica cosa però che possiamo fare è di comportarci come se queste verità storiche, parziali, fossero la sola verità che abbiamo.

Credo che il rigore, credo che la linearità sia poi in realtà la premessa, la durata - mi pare dicesse Bergson, un filosofo (vi spiegherò poi perché oggi mi permetto anche delle citazioni culturali, con la disistima che voi sapete ho in genere per questo tipo di citazione): "La durata è la forma delle cose" - e questa lenta continuità che attraversa tanti di noi e che non termina qui... davvero presente, passato e futuro in certi momenti appaiono come sono punti di riferimento dialogici necessari a verità molto relative.

Dicevo, in questo Congresso, dinanzi a voi, arrivo forse teso, e le tensioni sono un dato positivo; teso ai limiti di quello che sono, teso ai limiti del partito; non stanco, non sfiduciato, con le idee chiare, con molto amore e, credo, con molta libertà.

Il rigore: ho dovuto mancarci, se mancare al rigore è farlo deliberatamente, a giugno-luglio di quest'anno; voi sapete che al congresso di Torino, subito dopo, alcuni compagni sanno, io avevo detto che prevedevo necessario, sapevo necessario per me e per ciascuno di noi - richiedeva che io guadagnassi altre forme di presenza e di dialogo e di contributo, altre forme di integrità, che crescessi, che guadagnassi il ritmo della lettura, dello scrivere altro che dei volantini, di guadagnare il ritmo del silenzio interiore che è necessario, e non per sganciarmi, non per diminuire, non per allontanarmi, ma perché senza bisogno di grande fantasia, era attraverso questa via, per me evidente, che potevo continuare a essere un buon compagno.

A luglio, forse mancando di fede, forse essendo la sostanza delle cose sperate leggermente diversa e non coincidente del tutto con il partito, raccogliendo un sentimento di tutti noi - stavamo morendo, i referendum non si facevano più, avevamo chiuso, Roma era un deserto, non solo la Roma di tutti ma anche la nostra, scoraggiamento - mi sono reimpegnato al di là della mia intelligenza, al di là di quello che pensavo di fare; ho chiesto la convocazione di quel Congresso straordinario che abbiamo tenuto, e con l'aiuto di una notte - come oggi son qui con l'aiuto di una notte - ho proposto quella storia per esempio del quotidiano.

Da allora è evidente che i ritmi, che gli impegni, che gli amori, che la felicità, che i doveri, che i calcoli, che gli obiettivi, mutavano e, in una certa misura, mi erano dettati, ne ero attraversato, e umilmente ho accettato di farlo. Ma se è concepibile, se è necessario che il rigore sia umile e quindi sia capace di configurarsi, di configurare a se stesso delle eccezioni, queste devono restare tali. Ed è per questo che sono qui oggi, nel momento in cui condivido molto, quasi tutto, quello che ha detto Lorenzo Strik Lievers un momento fa sul partito, sulla sua importanza, sulla sua potenzialità, sul suo essere in atto qualcosa di molto importante; molto di quello che ieri sera ha detto Gianfranco (perché pensavamo, per esempio: Giulio Ercolessi, quante volte ti ho sentito dire: "Il partito non c'è più, è il deserto"; Angiolo, io...bah!; Enzo, quante volte ti ho sentito dire: "Questo giornale di merda in cui non ci liberiamo, in cui non lo si libera, in cui diveniamo schiavi, in cui non siamo felici"... L

a felicità non tollera impazienze: è una creazione lenta e continua e non un oggetto da consumare nei momenti in cui si sentono dei bisogni.

Siamo invece arrivati qui, più numerosi che a Torino, più diversi, quindi più ricchi che a Torino; un Congresso esemplare per un partito libertario dove si è avuta la chiarezza, la forza di lavorare, perché i limiti fatali delle deleghe, storicamente fatali, si riducessero al minimo, discutendo gli articoli 367, 94 - sembrava che dessimo i numeri, come siamo soliti dare l'impressione di dare i numeri, e in realtà appunto, rifuggendo da quei dialoghi immodesti e poi in realtà inutili ed elusivi, fatti di politika col "k", bella anche, forse, ma per chi continua a resistere, a mantenere un po' di senso estetico rispetto a queste cose, quando invece il problema è del tutto noto.

Il dibattito è stato buono, la battaglia per i referendum è iniziata: sbaglia Roberto quando dice che bisognava iniziarla 40 giorni prima, 30, 35: c'è, le cose iniziano non con il loro inizio giuridico; se anche volessimo qui decidere a maggioranza di tre quarti che non ci sarà, ci sarebbero 4,5 folli-saggi: "Non me ne frega niente, io lo faccio lo stesso", in 10 per andare in Corte di Cassazione ci siamo, questa è la situazione.

Il momento è importante, il partito ha molto da fare, ciascuno di noi ha realizzato il progetto per il quale si è associato, nei momenti di maggiore importanza, lì c'è il bisogno di maggior rigore, lì necessario che ciascuno cresca, e decrescano i leaders e i testimoni e gli apostoli, senza di che non si è libertari.

Ed è con la serenità di sapere che il Partito radicale è importante per me, per le ragioni che sono le sue, così come le amicizie, gli amori, l'essere compagni, si difendono difendendo le ragioni per le quali le amicizie, gli amori, le compagnie nascono, e non incollandosi a esse e alle loro forme, che per forza di cose allora diventano molto presto mortali e finiscono. Tenendo presente queste ragioni, io vi parlo, qui, avendo da alcune ore deciso e sapendo di essere un sostenitore non iscritto del Partito radicale.

Il vostro Statuto mi consente di parlare e di usare il tempo del Congresso del partito: lo faccio. Credo a questo Statuto, credo a questo partito, dò il mio contributo, riguadagno libertà, ho sempre detto ai liberali (quando se ne trovano, col lanternino) che il vero liberale è quello che nei momenti di dittatura, che nei momenti di scontri violenti, crede - in quel momento - alla libertà, alla responsabilità; crederci, in Inghilterra, non significa essere liberali, significa credere che la libertà è la cosa migliore da vivere per crescere, per risolvere i problemi più drammatici. Le cose vanno capovolte: e allora un partito libertario che abbia un padre, un leader, un compagno "più importante", qualcuno verso il quale l'amore è inquinato dall'ammirazione, o la disistima è inquinata dal risentimento, è qualcosa che non può permettersi. Se potesse permetterselo, poiché io credo che ciascuno di noi per un miliardesimo può crearlo, io sono impegnato a impedire questo e a creare, per me almeno, e per ciascuno di

voi, un rapporto diverso.

Dicembre '55: Partito radicale? Chi lo fa? Nel '62? Come vi sono molte contraddizioni apparenti - e credo, nel dire queste cose, non di essere Narciso, credo di comunicare e di discutere di politica fra di voi, di dare un contributo a questo Congresso. Sono stati molti i partiti radicali: uno all'anno. Oggi è certo che la collaborazione, il dialogo che io voglio e posso avere, non è quello di militante: diversa è la mia libertà, diversa deve essere la mia responsabilità - nei confronti non vostri, perché non siamo reciprocamente responsabili, ma nei confronti delle cose per le quali diciamo di essere uniti e di essere compagni.

Per dirvi subito e per evitare drammatizzazioni inutili, dirò che alla fine di questo intervento, nel fare alcune proposte, alcuni suggerimenti - perché è evidente: come sostenitore non iscritto non potrò votare questa sera le mie mozioni nè l'elezione degli organi dirigenti - dirò che esistono un segretario nazionale del Partito Radicale, un direttore del giornale Liberazione nei confronti del quale il compagno non radicale - non del Partito radicale - quale io sono, si impegna a essere il collaboratore che è necessario che io sia, che può essere utile che io sia, che loro riterranno utile che io sia. Se altri fossero i segretari nazionali o direttori, può darsi che la cosa conformi ugualmente, può darsi che no, ma certo non mi distacco, non mi allontano dalle ragioni per le quali esiste il Partito radicale, Le vivo in modo diverso, convinto,

Guardate, c''è un esempio: per due mesi mi è stato possibile essere rigoroso con voi e con me, e nella conquista della solitudine, della lettura lenta di questi meccanismi, son riuscito al massimo a produrre una lettera di 14, 15 pagine: ritenevo fosse una delle tante lettere, e lo è: ci scrivo le uniche cose scritte oltre ai ciclostilati, ai comunicati, e ieri Andrea Valcarenghi mi dice: "Hai letto l'articolo di Pasolini su Tempo Illustrato sul mio libro, sulla tua prefazione?". No! Ecco, Pasolini scrive: "(...)La prefazione di Marco Pannella, dieci pagine, è finalmente il testo di un manifesto politico del radicalismo italiano, è un avvenimento nella cultura italiana di questi anni ..." eccetera...

Conosciamo Pasolini, conosciamo i limiti, ne abbiamo simpatia, abbiamo antipatia: ma quello che io ho tentato di fare in alcune settimane, compagni, amici, era questo: non allontanarmi da voi, non diminuire, dare, non lo sapevo, forse finalmente, come dice un buon radicale che raccorda scrivendo questo, un manifesto al radicalismo, e tentare di essere qualcosa che tolga dal suo sterile e arido narcisismo e dalla sua natura bolsa di classe l'intellettuale di sinistra italiano. E qui accade, quando si sente da uno di loro dire che è un avvenimento della cultura, cioè un avvenimento di qualcosa che non mi interessa e non mi riguarda, Voi che avete detto a voi stessi che Pannella era necessario al Partito radicale: significava semplicemente negare il senso della mia presenza: vedrete che non sono necessario, e che non sono necessario nemmeno in quelle cose che chiamate umane, quasi che fossero più pregnanti di quelle politiche.

La mia umanità, che era quella dell'associazione dell'Unione Goliardica Italiana, questa lunga compagnia, queste cose che abbiamo tentato giorno per giorno di vivere, di trovare, queste cose per le quali sapevamo che il laicismo è rivoluzione, perché sapere che Vonet è una nostra o un nostro compagno, sapere che è diverso, come sono diverso io, e come è diverso un altro, le abbiamo vissute e affermate, abbiamo detto che la coltre dei sepolcri imbiancati dalle ideologie, dalle definizioni dei dèmoni, delle ingiurie, dell'insulto, del fascismo, "è fascista". Questa sinistra che dovrebbe essere laica e che poi recupera l'immondo nella politica, "il fascista", che poi, l'ho scritto nella prefazione a Valcarenghi, è l'altro modo di dire radicale, obiettore, pederasta, drogato, eccetera - "fascista"!

Commettendo errori enormi, non sapendo, riducendo l'ingiuria, trent'anni di vita del nostro Paese. E coloro che credono che l'unità sia unità delle generazioni anagrafiche, costoro non sanno nulla di felicità e di amore, perché in realtà l'unica unità che c'è, l'unica continuità, è quella che unisce, attraverso le generazioni, il padre che non è tale al figlio che non è tale, e questa continuità, questo sapere che in realtà c'è qualcosa nel dialogo che è storico, che si costituisce, che si manda avanti, che ha le sue regole precise, e che i fremiti comuni dei nostri meccanismi comuni non sono, non possono essere, da soli, grandi motivi di unità (non che io sottovaluti l'unità di generazione del movimento studentesco, dell'essere giovani, lo vedrete nelle proposte, nei suggerimenti che io darò alla fine di questo intervento).

Quanto ai vostri nuovi leader o direttori, se è vero che a 20 anni esistono delle condizioni oggettive che rendono più facile e più plausibile e più possibili alcuni gesti e atti e comportamenti omogenei alle volontà di liberazioni radicali, ed è giusto coglierli, giusto sottolinearli, usarli, se voi volete conferire loro responsabilità, affinché diventino scelte, e non usufrutto di una condizione non guadagnata.

Ma ha ragione Strik Lievers, ha ragione Spadaccia, avete ragione tutti: il partito c'è. Questo mi rende più facile, ha reso lineare, semplice, la mia decisione, e la ricerca di questa nuova compagnia, di questo nuovo modo, con voi e altri, di andare avanti, anche questi fatti umani: Gianfranco, per 18 anni, 15, ci ha diviso apparentemente la tua resistenza proprio su queste cose di vita pubblica e di vita privata; ti accorgerai, te ne stai già accorgendo, in questo partito, quanto in realtà le cose che volevamo, le cose che dicevamo, quelle per le quali poi sei stato sempre qui, ma che hai vissuto con contraddizioni; guadagnerai altre contraddizioni, guadagnerai altri dolori e altre felicità a tutte le latitudini. Gianfranco D'Altri, Vincenzo Punzi, Felice Pannella, Lucio, Rolando, magari Roberto, saranno altri portatori d'umanità tra virgolette che inquieteranno, che turberanno, e a coloro che inquieteranno, che senza amicizia, senza affetto, ma con la chiarezza del compagno, che sento di dover fare mo

lti auguri, e augurar loro che il partito non sia troppo pesante per loro e per la loro vita.

Ci sono dunque questi referendum. Io direi che dobbiamo stare molto attenti. Vorrei anche dire: stiamo attenti a essere rigorosi nei contenuti del referendum, e stiamo attenti a ricordarci che è necessario fare scandalo. Ma quanto più noi sappiamo che è necessario fare scandalo, dobbiamo anche sapere che invece esiste uno scandalo rispetto al quale è giusto dire "la maledizione pesi su di voi"; cioè noi abbiamo il dovere della prudenza interiore, non abbiamo il dovere (nemmeno il diritto) al calcolo dell'essere prudenti, tenendo presenti i riflessi e le reazioni degli altri. Chissà cosa diranno? ...

Così su questo piano abbiamo il dovere di essere profondamente certi e convinti che non trasferiamo nemmeno nei referendum le nostre private ossessioni, ma vi trasferiamo le nostre chiarezze; che noi cioè proponiamo quelle cose che sappiamo non acerbe anche per la coscienza degli altri, perché non siamo una setta, ma, come dicevamo, una minoranza che è la punta che emerge della gente, una minoranza organizzata, coloro che hanno compreso che la libertà e la responsabilità potenzia, ci potenzia attraverso il momento dell'organizzazione, e l'organizzazione non richiede sacrifici di libertà e di responsabilità, altrimenti vada al diavolo, non ci interessa, non ci riguarda. (...)

Angiolo Bandinelli, nella sua relazione, che è stata robusta, ha detto alcune cose che costituiscono un motivo di fiducia nei vostri confronti, nei confronti del partito. E' vero, questo è il partito del 51%: non perché noi pensiamo che si governi a suon di 51% (scusate, siamo l'unico partito che chiede per le proprie mozioni i 3/4, no?), quindi è evidente che non è questo il nostro atteggiamento; il discorso è un altro; è che nel momento in cui in realtà si rinuncia a guardare la lotta politica con lo sforzo morale del "SI" e del "NO", il giorno in cui si rinuncia, come la classe politica italiana ha rinunciato, a vincolarsi alla moralità della scelta comprensibile a ciascuno, allora i pericoli sono molto gravi, e sono pericoli che ormai sono anche una realtà, la realtà del regime vincente.

Vorrei solo aggiungere una notazione che ho già fatto, ma sulla quale dobbiamo insistere: solo che non ha la coscienza da democratico può continuare a ripetere, come lo squallido Casalegno di oggi (questo moralista emblematico del laicismo italiano, che sta ai valori laici come il cattolicesimo italiano sta alla religione), questi moralisti dozzinali, questi moralisti e servitori del regime che bisogna temere quando nel Paese si affrontano chiaramente uno schieramento e l'altro. Ma l'essenza della democrazia è la fiducia nello scontro, e solo chi ha dentro di sé il passato tridentino o il passato stalinista può aver paura di dire: io lotto perché vada in minoranza la Democrazia Cristiana, vadano in minoranza gli altri, perché in loro continua a vivere il ricordo e il rimorso di tradizioni in cui l'altro, se era diverso, doveva essere torturato e ammazzato, fosse esso tridentino o fosse esso stalinista.

Io capisco nel suo grigiore Enrico Berlinguer, qualcuno che ha dalla sua l'aver taciuto massacri prenazisti delle popolazioni del Volga e del Don, d'aver creduto nella "Realpolitik", d'aver creduto contro la vita nella creazione politica, nello Stato, nella ideologia, al punto, appunto, da erigere ad esempio la storia della tortura dell'altro dell'ammazzamento dell'altro. Io capisco che a questo punto abbia paura di toccare l'altro anche con una carezza.

Ma questo noi dobbiamo rivendicare: che stiamo all'estrema sinistra, e lo siamo. Siamo capaci di dare vigore alla sinistra italiana perché in ogni momento sappiamo che l'avversario vale quanto noi. Sappiamo non solo la differenza fra l'errore e l'errante, ma quale è la vera differenza storica fra l'errore e la verità. Perché siamo tutori di speranze antiche, che son vive e nuove e fresche ancora in Italia. Certi miti della rivoluzione francese, certe speranze della borghesia nel momento generoso della sua adolescenza (e torbido, le cose sono andate a finire come sono andate a finire), la destra storica, tutte queste cose disincarnate dal modo concreto che storicamente furono usate a fini di potere, sono le nostre speranze, sono le speranze di uguaglianza, di fraternità, di giustizia, le speranze di uno Stato di diritto.

Perché con una leggera differenza rispetto a te, Giuliana, io sento di poter dire: le leggi non mi interessano, non mi riguardano: perché sono convinto che esistono, lo ripeto ancora, delle leggi che vietano di vietare, che sono necessarie. In questo non ho nulla in comune con i vecchi compagni anarchici (gli anarchici anche loro dei funerali e delle sconfitte, come i comunisti e i socialisti). So che solo costruendo, e non distruggendo, edifichiamo perimetri di libertà e di amore maggiore, che un corpo politico, come un corpo umano, sbattendo il grugno, o cadendo, sbagliando carezze o sbagliando tentativi, può però sperare di rinunciare a creare, a essere perfetto.

Allora forse potete dire, parlando di politica, che noi sottolineiamo come il cosiddetto liberale Malagodi, i cosiddetti socialisti demartiniani, i dirigenti della vita politica italiana che da 27 anni, dalle loro posizioni, si permettono il lusso di attaccare Togliatti, di attaccare la linea comunista, essi la ripetono; da Almirante a De Martino, tutti; niente ricacciare la Democrazia cristiana in minoranza, ma prendete noi, cooptateci. Questa visione mistica, questa visione corporativa dello Stato - lo diceva Gianfranco - quanto questo va inquadrato. Questa è una società nella quale anche lo scontro sindacale non deve tradursi in scontro politico, deve tradursi in trattativa, in colloquio, scontro politico ma all'interno della casta dirigente di politici burocrati, di burocrati politici.

E l'idea invece nostra è l'idea democratica, se volete tradizionale, quella del bipartitismo tendenziale, quella delle scelte: vogliamo la Democrazia cristiana da quell'altra parte, perché la Democrazia cristiana è il fascismo, il fascismo era la Democrazia cristiana, solo che dobbiamo dirlo senza insulto (perché dovremmo insultare il 99,99% di coloro che sono vissuti prima di noi e ai quali siamo comunque legati). Questo significa essere laici.

Per questo, in termini di civiltà, in termini democratici di classe, il valore di questo partito è quello di prefigurare nei dolori e nella felicità che si conquistano, nelle vincite che fa davvero la società alla quale tutti possiamo sperare di arrivare, non un giorno troppo lontano, ma di arrivare giorno per giorno, un po' di più. Non esisterà mai la società senza lotte, senza contraddizioni, senza dolori. L'unica cosa che possiamo chiedere a noi stessi, è di non essere mortificati da dolori inutili e fragili, estranei, quelli a cui la nostra condizione di donne e di uomini a questo punto della storia può chiederci appunto di non rinunciare, non morire per fame, non veder morire per fame, non linciare, no?, e queste altre cose. (...)

Oggi forse non ho detto le cose che volevo dire, moltissime delle cose che volevo dire questa mattina non ve le ho dette, perché ero stanco, perché portavo (e me ne sono liberato) il peso della volontà, delle contraddizioni attraverso le quali siamo dovuti passare a luglio, delle quali abbiamo parlato, quella di questo Congresso, di quel mio reimpegno, che mi è costato, mi è costato concretamente, una vita diversa da quella prevista e voluta, quindi fallimento lì dove c'era speranza, quindi durezza lì dove c'era dolcezza. Il problema è che questo partito (come dico che sono sostenitore non iscritto di questo partito) ha da esserci, e c'è, e ho fiducia, perché da Sandro a tanti altri, da chi - ci tengo a sottolinearlo - crede che non esistano possibilità in Italia di rovesciare l'attuale tendenza e la forza di regime per almeno venti anni, al di là della forza specifica del significato, delle scelte e del metodo del Partito radicale.

Questo, se ha un senso quello che ho compreso, è giusto fare: potenziare il movimento del quale tutti facciamo parte, il movimento radicale di cui il PR è la figura più importante e il momento centrale, ma che dobbiamo poter vivere in forme anche diverse, anche se lo stesso Statuto nostro già lo prevede e tendenzialmente le comprende quando non solo Ivonè, non solo i compagni carcerati, non solo Igor, non solo Franco Roccella, non solo coloro ai quali possiamo dare i nomi, e una situazione, ma i volti, i tanti volti sconosciuti, avranno maturato in loro la consapevolezza che il PR non comporta sublimazioni ma invece affermazioni precise; non comporta evasioni, non comporta pugnocentrisimi, o deviazioni fallocratiche. (...)

Ebbene, se questa è la situazione, io credo davvero di poter dire che, liberato dalla contraddizione della quale e per la quale abbiamo sofferto ( e ho sofferto), io sarò un buon compagno: e che si ricordi una sola cosa: mi ero impegnato dieci giorni fa a essere un buon compagno, e credo che lo sarò per tutti.

 
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