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Archivio Partito radicale
ADP - 1 febbraio 1975
Schede di documentazione sul Partito Radicale (1)
realizzate da " ADP - Archivi di documentazione politica"

SOMMARIO: Senza la pretesa di offrire una analisi storica e politica, le schede sul Partito radicale realizzate dalla ADP forniscono, pur con alcune imprecisioni, una utile base documentale per la collocazione cronologica dei maggiori avvenimenti che riguardano il Partito radicale, dal 1955 al 1975.

Per una analisi approfondita di questo periodo di storia radicale devono evidentemente essere utilizzati gli altri documenti presenti nell'ARCHIVIO DEL PARTITO RADICALE e in particolare "I nuovi radicali" (1318 > 1327).

(ADP - Archivi di documentazione politica - La documentazione italiana editrice, 1975)

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NASCITA 11-12-1955

Il Partito radicale - inizialmente denominato Partito radicale dei democratici liberali italiani - nacque ufficialmente l'11 dicembre 1955 ad un Convegno svoltosi al cinema Cola di Rienzo di Roma. Alla vigilia del Congresso nazionale del PLI, l'8 dicembre, i consiglieri nazionali della sinistra del partito e alcuni appartenenti al vecchio centro liberale, sottoscrissero un lungo o.d.g. in cui si diceva che "dopo un approfondito esame della situazione politica", i consiglieri avevano "deliberato di dare le dimissioni dal Partito liberale". Alla direzione del PLI si rimproverava di "avere assoggettato il partito alla volontà di potenti gruppi monopolistici" e di avere "avvilito la sua politica alla difesa di interessi particolari e di ristrette categorie", riducendo il partito, "rinato nella Resistenza e nella lotta contro la dittatura e l'oppressione", "a un mero apparato padronale, tradendo così le 'gloriose tradizioni del Risorgimento' e le "nobili speranze e vigorosi propositi di rinnovamento" che aveva d

estato alla sua ricostituzione.

I dissidenti liberali, capeggiati dall'on. Cattani, che era già stato ministro con De Gasperi e che, riferendosi agli atteggiamenti recenti del PLI, giunse a dire "sento odore di fascismo", costituirono così l'11 dicembre il nuovo partito, assieme alla iniziativa determinante della corrente di destra del gruppo di Unità popolare (Piccardi, Valiani) e al gruppo di intellettuali che si raccoglieva attorno alle colonne de 'Il Mondo' (Pannunzio, Carandini, Paggi, Pavolini, Libonati, cui qualche tempo dopo si aggiunse Ernesto Rossi).

Il nuovo raggruppamento politico, che trovò una benevola attesa nella sinistra parlamentare, specie nel PSI, suscitò speranze in alcuni qualificati ambienti giovanili: si giunse così alla adesione al PR del gruppo Ferrara, Sforzi, Pannella, Ungari che si era già raccolto attorno alla rivista 'Critica liberale'.

La politica del nuovo partito si presentò agli inizi come volta alla ricerca autonoma di una nuova spinta ideologica e politica delle forze laiche di fronte alla massiccia presenza della Democrazia cristiana e dell'egemonia comunista sullo schieramento della sinistra; ma non mancarono dei contrasti immediati nel partito fra i fautori di quell'indirizzo e quanti, invece, specie provenienti da Unità popolare, erano più propensi ad una apertura verso il PSI. Già nei primi mesi di vita del PR - la cui azione risultava peraltro affidata pressoché esclusivamente alle note e agli articoli de 'Il Mondo' e de 'L'Espresso' - quella polemica si rivelò determinante per gli sviluppi futuri della nuova formazione. Toccò a Piccardi, nel gennaio 1956, a scrivere su 'Il Mondo che "se si vuole svolgere una efficace azione politica, non si può sfuggire a una alternativa: chi crede che spetti a un partito socialista il compito di essere strumento principale della trasformazione della nostra società, entri addirittura nel PSI pe

rché gli eventuali dissensi sul costume di questo partito, sulle sue direttive fanno parte della sua dialettica interna; chi, invece, non è di questo avviso, non ha altra scelta se non quella di trovarsi un'altra funzione politica".

In sostanza si trattava di un appello alla unione delle forze sparse del vecchio Partito d'azione per riporle al centro di una sinistra democratica laica. A questo centro propulsore, Guido Calogero, in una lettera pubblicata su 'Il Mondo' assegnava due compiti fondamentali: diventare fin dal principio "il miglior centro di studi di riforma e pianificazione politica e sociale" e, nello stesso tempo, "lavorare perifericamente per la costituzione organizzativa del partito stesso". Il primo obiettivo sembrò di facile realizzazione, trattandosi di un gruppo di uomini di notevole valore culturale e scientifico con già alle spalle la tradizione di convegni della Amici del Mondo, che anche negli anni successivi dettero un preciso orientamento alla discussione dei temi più scottanti della società italiana con indicazioni alle forze della sinistra democratica di principio e di metodo per portarli a soluzione. Più problematico, invece, risultò il secondo obiettivo di carattere organizzativo, tanto che non furono mai n

oti i dati sul tesseramento, anche se ad una successiva manifestazione si parlò di una cifra di oltre 2 mila iscritti.

Il programma iniziale del PR, cos' come risultava dagli interessi stessi dei due settimanali radicali, puntava: ad una posizione tipica dell'Italia nella NATO e ad un rilancio europeo; ai rapporti fra Stato e Chiesa e fra cittadini e Stato; alla efficenza della pubblica amministrazione e alla preparazione tecnica e culturale dei giovani; alla lotta contro i monopoli e contro "l'accentramento del potere economico in poche mani"; allo smantellamento dei privilegi dipendenti dalla struttura corporativa; all'assistenza "agli appartenenti agli ultimi strati della popolazione che, non essendo politicamente e sindacalmente organizzabili, sono quasi completamente privi di ogni tutela economica e giuridica"; ai problemi dell'agricoltura e delle masse contadine; al "grande problema insoluto del Risorgimento" alla conquista di una leadership politica e morale in Italia, prendendo spunto dal "prevalere in larghi settori dell'Occidente" del radicalismo, del laburismo e del socialismo liberale.

I primi organi centrali del partito furono individuati in una Segreteria alla quale furono officiati Pannunzio, come Segretario, e Libonati, Paggi, Rossi, Valiani e Piccardi.

Il PR ebbe inizialmente tre punti di forza: i settimanali ispirati, ma particolarmente 'Il Mondo'; la modesta struttura di partito; la sede romana del PR, egemonizzata dal gruppo di Cattani. Notevole era la posizione del gruppo Carandini a Milano ed anche quella di Villabruna, giudicata però avente scarso seguito elettorale e di partito, a Torino; elementi di prestigio interno furono ritenuti anche Galli , Lili Marx e De Matteis a Roma, mentre un peso non di scarso rilievo nelle indicazioni politiche del PR riuscivano ad esercitare i dirigenti dell'UGI, Ferrara, Spadaccia, Rendi, Previtali e gli elementi più politicizzati, provenienti dall'organizzazione universitaria, Pannella e Roccella. La posizione di questi ultimi, tuttavia, era di polemica verso il gruppo de 'Il Mondo' verso il quale si chiedeva che il partito mantenesse una rigida autonomia di giudizio.

1956-1957

Nei primi due anni di attività, il Partito radicale si distinse, oltre che per le indicazioni programmatiche suindicate e che cominciarono ad entrare nella pubblicistica della sinistra democratica, anche cattolica, particolarmente per una vieppiù accentuata posizione laicista, sfociata, nell'autunno 1957, nella polemica sul vescovo di Prato, che dominò per qualche tempo il dibattito politico in Italia. Ma l'azione radicale, nello stesso periodo, si distinse soprattutto per una fortissima polemica sulla speculazione sulle aree fabbricabili, specie per Roma, dove l'oggetto diretto delle accuse radicali fu l'Immobiliare, una società cui erano estranei ambienti ecclesiastici. In quest'ultima polemica fu particolarmente vivace l'azione de 'L'Espresso', con gli articoli di Gianni Corbi.

Circa la campagna laicista, che trovò in prima linea Ernesto Rossi, gli obiettivi del Partito radicale furono così configurati: "difesa dello Stato da ogni invadenza confessionale; effettiva eguaglianza di tutti i culti davanti alla legge; abolizione del sistema delle scuole pareggiate per la concessione delle licenze, dei diplomi e delle lauree; insegnamento completamente laico in tutti gli ordini delle scuole pubbliche; libera propaganda del controllo delle nascite; divorzio regolato secondo le norme vigenti nei paesi più civili".

1958

Con questa caratterizzazione e mentre si andava assopendo la polemica interna circa i rapporti con il PSI, il Partito radicale affrontò le elezioni politiche del 25 maggio 1958 con una intesa elettorale con il Partito repubblicano italiano nelle cui liste entrarono i maggiori esponenti radicali, secondo criteri particolarmente formulati, per quanto ineriva il PR, da Max Salvadori. Le elezioni del 1958 costituirono un insuccesso per i radicali e nessuno dei sei deputati eletti nelle liste dell'edera era radicale: mentre in qualche settore radicale serpeggiò un certo malumore, rivendicandosi al PR il diritto ad almeno un eletto, la destra pacciardiana del PRI imputava il mancato successo alla "incauta alleanza con gli elementi disgregatori ex azionisti, settari di un anticlericalismo ormai superato".

1959

Il primo Congresso nazionale del Partito radicale si svolse a Roma nella sala dell'associazione artistica di Via Margutta, dal 27 febbraio al 1· marzo 1959. La posizione del PR fu illustrata, per conto dell'Esecutivo del partito, da Arrigo Olivetti, per il quale il PR aveva introdotto due novità nella politica italiana: la prima, di carattere schiettamente politico, consistente nella denuncia e nella lotta a fondo contro la Democrazia cristiana, l'altra, di carattere metodologico, identificantesi nello studio e nell'approfondimento delle questioni programmatiche. Dopo aver ricordato tutte le battaglie di impostazione condotte negli anni precedenti dal PR, Olivetti rivendicò al proprio partito il merito di aver sollecitato importanti revisioni critiche all'interno di altre formazioni, promuovendo, a cominciare dalle elezioni del 1958, uno schieramento nuovo, formato da radicali, repubblicani e Unità popolare, che "fu un primo tentativo di riunire le forze laiche in vista di un successivo schieramento di sinis

tra democratica e socialista". Il dibattito fu praticamente limitato tra quanti sostenevano fosse più utile la trasformazione del partito in un movimento che lasciasse agli iscritti la possibilità di militare in partiti affini, ove avrebbero potuto più efficacemente far valere le istanze radicali, e quanti invece ritenevano che il PR avesse una propria irrinunciabile funzione da svolgere "specie in vista delle prossime importanti battaglie contro il clerico-fascismo", giudicate impegnative dopo la costituzione del governo Segni che riceveva l'appoggio parlamentare delle destre, missini compresi.

Il congresso dibatté inoltre i problemi dello sviluppo economico del paese e quello dei rapporti fra Stato e Chiesa; su quest'ultimo vari oratori rilevarono la necessità di mantenere ferma una posizione laica senza eccedere in inutili e dannosi eccessi anticlericali. Le polemiche interne, riguardanti il metodo di gestione del partito e la "cristallizzazione" delle posizioni dirigenti, trovarono particolarmente vivaci i giovani ed Eugenio Scalfari, che si preoccupava anche di definire le aree di influenza dei diversi esponenti radicali in vista delle future competizioni elettorali nel paese.

Al termine dei lavori congressuali, fu approvata una mozione (all'unanimità, salvo alcune astensioni), che si soffermava ad analizzare la situazione politica rilevando che "le forze clericali e conservatrici, fatto fallire il pur timido ed insufficiente tentativo di Fanfani di avviare una politica di riformismo paternalistico, hanno ritenuto giunto il momento di realizzare quell'alleanza con la destra estrema e anticostituzionale così a lungo patrocinata dall'azione cattolica e dalla destra economica". La mozione si concludeva rilevando con soddisfazione "l'uscita dei repubblicani dalla vecchia maggioranza centrista, la raggiunta autonomia del Partito socialista, la liberazione della parte più viva della socialdemocrazia dalle seduzioni e dagli equivoci del fiancheggiamento ministeriale, e che "oggi, di fronte ad accresciuti pericoli e ad agguerriti avversari, il paese dispone di un complesso di forze politiche di sinistra democratica capaci di condurre a fondo la lotta per l'autonomia dello Stato, per lo sv

iluppo economico, per l'elevazione intellettuale e morale degli italiani".

I lavori del Congresso si conclusero con l'elezione del Consiglio nazionale, che a sua volta provvide ad eleggere la nuova Direzione, risultata così composta: Boneschi, Cagli, Calogero, Carandini, Cattani, De Matteis, Fonda, Savio, Gatti, Leone, Libonati, Arrigo Olivetti, Oneto, Paggi, Pannunzio, Piccardi, Rossi, Scalfari, Serini, Villabruna. La Segreteria del partito fu inoltre così formata: Piccardi, Libonati, Arrigo Olivetti; vice segretario Eugenio Scalfari. Quest'ultimo, in alleanza con Piccardi, assunse praticamente da quel momento il controllo del partito.

Lentamente cominciò a farsi strada nel Partito radicale un orientamento favorevole alla confluenza nel PSI: se ne fecero promotori Scalfari e lo stesso Piccardi, che pure all'inizio era stato tra i più accesi sostenitori dell'autonomia del partito, polemizzando con gli altri settori provenienti da Unità popolare. Contro questo orientamento erano Cattani, Carandini e Pannunzio con tutto il gruppo de 'Il Mondo'; riserve verso il "nuovo corso" esprimevano anche il gruppo di 'Nord e Sud' (Compagnia, De Caprariis), i giovani capeggiati da Ungari (che furono tra i promotori della scissione del partito), il gruppo facente capo a Ferrara e Rodotà, che fu definito di "destra radicale", cui s'accostava la tesi di Leo Valiani, secondo la quale i rapporti fra radicali e socialisti andavano impostati e graduati in funzione della politica atlantica e della generale solidarietà con le democrazie occidentali. Il gruppo de 'Il Mondo', destra radicale e esponenti come Paggi e Valiani convergevano poi nell'ostilità all'ingress

o dei radicali nelle organizzazioni di massa controllate dai comunisti.

1960

Tuttavia il Partito radicale si presentò unitariamente, nelle elezioni amministrative generali del 6 novembre 1960, a seguito di un accordo politico, nelle liste del PSI, vedendovi eletti 61 propri consiglieri comunali in grandi città.

Questo parziale successo elettorale dei quadri dirigenti del PR riaprì la polemica interna sulla gestione del partito - resa più marcata dalla ricerca di posizioni di forza per un eventuale futuro seggio parlamentare; in questa lotta erano particolarmente interessati Cattani e Piccardi a Roma, Scalfari e Carandini a Milano - e sulla linea generale da seguire; a cio' si aggiunse una improvvisa polemica di Ernesto Rossi contro il centro-sinistra e, qualche mese piu' avanti, contro il kennedismo, sostenuto invece dalla maggioranza dei radicali.

1961

In questo clima, si giunse al II Congresso nazionale del PR, che ebbe luogo a Roma dal 26 al 28 maggio 1961, segnando formalmente la divisione del partito in tre correnti: quella capeggiata da Marco Pannella, secondo cui "la conquista del potere da parte della destra conservatrice o clerico-fascista in Europa" comportava una politica che prendesse atto che "il Partito Comunista diveniva per forza di cose una grande forza democratica essenziale per la rottura dell'equilibrio conservatore"; un'altra facente capo ai maggiori esponenti del mondo universitario, preoccupati che la linea Pannella finisse col distruggere l'autonomia degli organismi rappresentativi studenteschi riducendoli a strumenti di correnti di partito, e che poneva l'accento sul valore della tradizione culturale e politica liberale, ma rivolta, come sosteneva particolarmente Giovanni Ferrara: a) alla continuazione del dialogo con i cattolici in vista della costituzione di una maggioranza di centro-sinistra; b) all'assegnazione al Partito radica

le di una funzione di cardine della sinistra democratica, da raccogliere in un unico grande schieramento, dal PSI al PRI, con speciale attenzione alle forze democratiche laiche. Le tesi di questa corrente di minoranza incontravano peraltro notevole simpatia in una parte della terza corrente, quella di maggioranza, cioè in quel settore che si riconosceva nel gruppo dirigente della vecchia sinistra liberale (Pannunzio, Carandini, Paggi, Libonati, Villabruna, Olivetti, Cattani, Cagli, Serini) il quale egemonizzava la parte "notabile" del movimento radicale e sottolineava il valore di una formula di Fronte repubblicano, articolato in due forze, l'una di ispirazione democratico-laica l'altra di ispirazione socialista.

L'altro settore della corrente di maggioranza, guidata da Leopoldo Piccardi ed Eugenio Scalfari, e che raccoglieva i dirigenti periferici più impegnati, i consiglieri comunali eletti nelle liste socialiste e qualche residuo di Unità popolare, mostrava di concepire piuttosto la funzione del PR come quella di ala borghese del socialismo, nello svolgimento "di un'azione politica ideologicamente e programmaticamente autonoma, la cui logica è peraltro quella della finale confluenza radicale nel socialismo, favorita dalla ripetizione dell'alleanza elettorale del 1960", cui questo settore radicale decisamente puntava ad esclusione di ogni altro tipo di alleanza.

Pur in presenza di così contrastanti orientamenti, il II Congresso radicale si concluse in maniera unitaria attorno alla tesi del "rinnovamento in senso democratico della società italiana e delle sue strutture" che presupponeva indicazioni programmatiche tradizionali del PR e ormai avanzate da tutta la sinistra italiana; l'atteggiamento unitario risultò inoltre tale per l'attenzione che tutti ponevano alle future elezioni politiche, poi svoltesi il 28 aprile 1963.

Nelle votazioni, la mozione di maggioranza, illustrata da Carandini, raccolse 75 mandati; quella della minoranza di destra, firmata da Ferrata, Rodotà, Craveri, Jannuzzi, Gandolfi e Mombelli, 21; quella della minoranza di sinistra, presentata da Pannella, Spadaccia, Rendi, Cattaneo, Roccella, Gardi e Sacerdoti, 35; a favore di quest'ultima, stante il sistema di votazione seguito, votarono anche alcuni esponenti dell'altra minoranza. Una parte della maggioranza riversò invece i suoi suffragi sulla lista presentata dalla corrente di destra, che così ottenne nel nuovo Consiglio nazionale 22 seggi; 75 ne andarono alla lista di maggioranza, 3 a quella di minoranza di sinistra. Il Consiglio nazionale era stato portato da 72 a 100 seggi: del precedente CN risultarono confermati 49 consiglieri; nella lista di maggioranza furono immessi 39 elementi, tra cui molti consiglieri comunali del partito, in maggioranza filo-socialisti.

Nella sua prima riunione, il 3 marzo, il Consiglio nazionale elesse una Direzione politica puramente maggioritaria, nella quale predominavano gli elementi della antica sinistra liberale; la segreteria del partito fu ancora affidata al triunvirato Olivetti, Libonati e Piccardi, e Scalfari fu confermato vice segretario.

Il clima unitario raggiunto fu però presto intaccato da forti contrasti interni su alcune iniziative prese dal Piccardi e Scalfari; in particolare, nel luglio 1961, si ebbe una polemica aperta del gruppo de 'Il Mondo' contro la decisione della segreteria nazionale di far aderire il Partito radicale alla Lega dei comuni democratici, egemonizzata dai comunisti e giudicata una "organizzazione di carattere frontista". Ma una divisione più netta emerse nella riunione della Direzione centrale del novembre 1961, dedicata anche all'esame delle prospettive di alleanze in vista delle elezioni politiche. In quella sede si contrapposero due tesi: l'una, sostenuta da Piccardi, vedeva nell'accordo con il PSI un passo obbligato per i radicali, reso necessario dalla positiva esperienza comune nella competizione amministrativa del novembre 1960; l'altra, motivata da Cattani, voleva che il partito si mantenesse libero da qualsiasi impegno permanente, poiché la sua politica fondamentale doveva rimanere quella dell'alleanza di

tutte le forze della sinistra democratica.

A queste ragioni di dissenso si aggiunse, nel dicembre 1961, il "caso Piccardi" a seguito della denuncia, pubblicata da Renzo De Felice nella sua "Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo", della partecipazione dello stesso Piccardi ad un Convegno italo-tedesco sul tema "Razza e diritto", tenuto a Vienna nel 1939. Piccardi si difese dichiarando di essere stato discriminato da ogni imputazione da una commissione di epurazione cui si era volontariamente sottoposto nel 1945, e negando di aver partecipato attivamente alla redazione della relazione introduttiva del convegno.

La Direzione del PR, il 12 dicembre 1961, si trovò ad affrontare tale questione, anche perché Piccardi aveva inviato una lettera di dimissioni da tutti gli organi direttivi del partito. Una parte della Direzione sostenne che di quelle dimissioni ci si dovesse limitare a prenderne atto, respingendo la proposta di quanti chiedevano una esplicita attestazione di solidarietà a Piccardi. Essendo ognuno rimasto sulle proprie posizioni e perdurando, inoltre, il dissenso sui temi politici di fondo, la Segreteria nazionale e la Direzione centrale si dimisero.

1962

La complessa situazione fu esaminata dal Consiglio nazionale del partito nella tornata del 20-21 gennaio 1962, i cui lavori si aprirono dopo che era stato raggiunto un faticoso compromesso: i vari gruppi si erano impegnati a non sollevare il caso Piccardi e questi, insieme al suo maggiore sostenitore, Ernesto Rossi, si sarebbe astenuto dal partecipare al Consiglio nazionale. In effetti il CN, trascurando qualsiasi accenno alla questione Piccardi, affrontò i temi del centro-sinistra e della collocazione radicale rispetto a tale formula. Scalfari, proponendosi come nuovo leader della maggioranza e sfumando gli accenti estremistici della linea Piccardi-Rossi, riaffermò la necessità di legami sempre più stretti fra radicali e socialisti in vista della battaglia da condurre per la realizzazione della politica di centro-sinistra.

Questa tesi fu vivacemente contrastata da Leone Cattani che, richiamando le ragioni autonome del Partito radicale, ammonì a guardarsi da facili entusiasmi per il nuovo corso politico che poteva venire a mettere in pericolo l'esistenza stessa del partito: altri invece, pur respingendo la tesi dell'unità coi socialisti, si pronunciarono per la costituzione di un fronte repubblicano.

Venute a confronto le due linee, il Consiglio approvò di stretta misura (54 voti contro 51) una mozione unificata, proposta dal gruppo Carandini e dal gruppo Ferrara - Rodotà-Jannuzzi, avversa ad una alleanza organica con il PSI e favorevole a un ampio schieramento di sinistra democratica. Il successo della mozione, che sembrava destinata ad andare in minoranza, anche per effetto delle dimissioni, annunciate il 10 gennaio 1962, dal direttore de 'Il Mondo', Mario Pannunzio, e dal direttore de 'L'Espresso', Arrigo Benedetti, dal Partito radicale, fu favorito dalla astensione della corrente di Sinistra radicale di Marco Pannella che si dichiarò non interessata alla battaglia politica del Consiglio ma, solo alla convocazione di un nuovo Congresso nazionale, ritenuta unica sede idonea a definire gli orientamenti di fondo del partito. Il Consiglio nazionale, nel quale Villabruna e Scalfari si erano schierati per una alleanza organica con il PSI, accettò la richiesta di un Congresso straordinario formulato dalla co

rrente di estrema sinistra, il cui atteggiamento era risultato determinante per l'affermazione del nuovo raggruppamento di maggioranza, e invitò infine Pannunzio e Benedetti a rientrare nel partito.

Gli organi esecutivi del partito uscirono dal Consiglio totalmente modificati: al triunvirato (Libonati, Olivetti, Piccardi) dimissionario seguì una Segreteria Cattani, mentre nella Direzione, i cui membri piccardiani furono sostituiti, entrarono: Calogero, Valiani, Carandini, Paggi, Cattani, Simonelli, Antonelli, De Matteis, Leone, Libonati, Olivetti, Virgilio, Dragone, Scalfari, Oneto, Villabruna, Ferrara, Gatti, Marx, Rodotà, Luzzatto. Fra questi, solo Dragone, Villabruna e Scalfari appartenevano alla minoranza.

Dopo che il 16 febbraio la Segreteria del partito rese nota la sostanziale soddisfazione dei radicali per la costituzione del nuovo governo, esprimendo qualche riserva circa le enunciazioni di politica scolastica e la presenza nel ministero di alcuni uomini "notoriamente avversi alla politica di centro-sinistra o tiepidi assertori di essa", i contrasti nel partito tornarono a riacutizzarsi; e il Segretario Cattani fu costretto a riconvocare il Consiglio nazionale per il 23 marzo; a questa sessione Eugenio Scalfari indirizzò una lettera di dimissioni per solidarietà con Piccardi. Ogni tentativo volto a scongiurare la spaccatura del partito per un caso personale riuscì vano.

Il Consiglio nazionale iniziò il 24 marzo con una dura relazione di Cattani, il quale affermò che la presenza di Piccardi era incompatibile con gli ideali e la tradizione del Partito radicale. Immediatamente dopo, Piccardi pronunciò una autodifesa, respingendo gli addebiti mossigli e rivendicando la sua lunga milizia antifascista. Questi due interventi definirono il tema ed i limiti del successivo dibattito, protrattosi per due giorni; senza neppure attendere votazioni di sorta, Cattani seguito dal gruppo de 'Il Mondo', concluse la sua replica annunciando l'uscita dal partito. A questa frattura fecero seguito numerose dimissioni individuali maturate da ragioni politiche e da stanchezza per la situazione interna.

Il gruppo Piccardi-Villabruna-Rossi si trovò così padrone del Partito radicale. Il Consiglio nazionale, cioè la parte che ne era rimasta, elesse una nuova Direzione centrale composta da Ascarelli, Balestrieri, Bodrero, Cagli, Carbone, Dragone, Gardi, Garofalo, Ghersi, Lo Pane, Mellini, Piccardi, Roccella, Rossi, Sorrentino, Teodori, Turone, Veneziani, Villabruna e Di Maio che, a sua volta, affidò la Segreteria nazionale all'on. Bruno Villabruna.

Nelle elezioni amministrative di Roma del 10 giugno 1962 gli elementi rimasti nel PR presentarono una propria lista, che ottenne solo 1.608 voti, pari allo 0,1% dei voti validi. Il gruppo che invece era uscito dal partito confluì, assieme ad elementi del movimento di Democrazia liberale, nella lista del Partito repubblicano.

Gli autori della scissione del marzo 1962, nel luglio successivo si costituirono in Unione radicale degli amici del 'Mondo', i cui orientamenti continuarono appunto ad essere espressi attraverso le colonne del settimanale romano.

L'11 ottobre 1962, al Consiglio nazionale del PR che si svolse a Milano, il nucleo residuo più importante del partito, capeggiato da Piccardi, Rossi e Villabruna, si dimise a sua volta dal partito, invitando allo scioglimento e alla continuazione della battaglia radicale in strumenti politici più idonei identificati nel Partito socialista.

Formalmente, tuttavia, il Partito radicale rimase in vita, sotto le cure di un "gruppo ristretto" di membri della vecchia corrente di sinistra capeggiati da Marco Pannella, che proseguì nella linea propria di unità con le sinistre specie nelle organizzazioni di massa, pur ipotizzando che, proprio in questo quadro, "si debba far luogo ad una maggiore articolazione, che consenta ai socialisti, e ancor più ai radicali, una forte autonomia di manovra".

Ciò che rimase del Partito radicale cercò di esprimersi attraverso le pagine di una agenzia radicale, ma non mancarono azioni impegnate per la scuola e alla base di talune organizzazioni di massa.

1963 - 1964

Il Partito radicale lasciò ai propri aderenti, nelle elezioni politiche del 1963, la libertà di votare tutti i partiti compresi nell'arco dal Partito repubblicano al Partito comunista italiano. Nelle amministrative del 1964, su richiesta della maggioranza degli iscritti, la segreteria del PR invitò però i propri aderenti a votare esclusivamente per la lista del PSIUP.

1965

Dopo un lungo silenzio, a tratti interrotto dalla pubblicazione di qualche numero dell' 'Agenzia Radicale', il 21 giugno 1965 il PR tornò ad inserirsi, a mezzo di una dichiarazione di Marco Pannella, nel dibattito politico, toccando il problema della unificazione socialista che trovava impegnato l'intero arco dei partiti dal PCI al PSDI. Secondo Pannella, "le esercitazioni opportunistiche" che erano alla base delle due proposte ufficiali di unificazione - la socialdemocratica e la socialproletaria - confermavano che centrismo e frontismo, terzaforzismo atlantico e stalinismo "son lenti a morire e che andranno insieme, di pari passo, fino alla tomba". Secondo Pannella, non v'era alcun dubbio che solo l'on. Amendola, che aveva proposto un partito unico della sinistra italiana, dimostrava, tra gli uomini politici italiani, di sapere cogliere in tutta la sua ampiezza e drammaticità il problema del rinnovamento unitario e socialista del mondo laico posto alla sinistra della DC.

Il 30 giugno, la Direzione del PR diffuse un comunicato col quale si augurava che i lavori del IV Congresso della Lega dei Comuni, che avrebbero avuto inizio l'indomani a Firenze, si concludessero con il rafforzamento della Lega e con la riconferma della unità degli amministratori democratici.

Con un comunicato del 19 agosto, la Direzione radicale sottolineò che venti anni di politica basati sulla pratica dell'accordo con la Democrazia cristiana o sulla prospettiva del dialogo con i cattolici avevano indebolito la sinistra, aggravato le sue divisioni, fornito "alibi e coperture al partito clericale", che era ormai tempo di ricercare le basi del rinnovamento e della unità democratica della sinistra e che, proprio rispetto a questo obiettivo fondamentale, non esistevano possibili scorciatoie: " la politica della collaborazione e del dialogo con i cattolici - a giudizio del PR - serve in ultima analisi soltanto a ritardare la vittoria degli ideali democratici e socialisti".

Sulla linea di ricerca di una nuova unità di tutta la sinistra italiana, i radicali cercarono di mantenere un dialogo aperto con un settore del PCI, che tuttavia non dette molto rilievo all'ormai scarsamente consistente organizzazione radicale. I pochi quadri rimasti nel PR cercarono, nei mesi successivi, di far risaltare la loro esistenza come movimento di opinione richiamando l'attenzione sui problemi di disfunzione dell'amministrazione statale e, segnatamente, sul problema del divorzio, ritornato alla ribalta politica con la presentazione, da parte del deputato socialista Fortuna, di una proposta di legge divorzista, limitata tuttavia ad alcuni casi speciali.

1966

Per sottolineare il proprio impegno sul problema, i dirigenti del PR organizzarono, nella primavera del 1966, in alcuni grandi centri della penisola dei dibattiti sul divorzio, invitando, oltre l'on. Fortuna, esponenti dei maggiori partiti italiani. Ma l'azione dei radicali non incontrò molto favore in taluni ambienti comunisti.

In occasione del turno elettorale amministrativo del 12 giugno, interessante alcuni grandi centri, il PR volle cimentarsi con propri candidati nelle liste del PSIUP.

Il 25 agosto, a seguito di una polemica sollevata dalla stampa comunista e fiancheggiatrice, la Direzione del partito diffuse un comunicato con il quale smentiva che vi fossero state o che fossero possibili convergenze dei radicali con il movimento della "Nuova Repubblica" dell'on. Pacciardi. In merito poi ad alcuni rilievi apparsi sull'organo comunista 'L'Unità', la Direzione precisò che il PR era senza dubbio una forza minoritaria, ma per nulla dissolta e scomparsa dalla topografia politica nazionale. "Se la tesi sostenuta in proposito da 'L'Unità' - proseguiva la precisazione - fosse vera, organizzazione ed esponenti del Partito comunista si sarebbero trovati in questi anni, come spesso è avvenuto, a collaborare con una forza politica inesistente".

1967

Con una propaganda piuttosto intensa, specialmente con manifesti murali, il PR iniziò l'anno 1967 all'insegna di una campagna anticlericale che avrebbe dovuto caratterizzare l'attività del partito dei dodici mesi. Il motto fu appunto: "1967 - anno anticlericale". I due maggiori temi furono quelli per l'introduzione del divorzio e contro le evasioni fiscali della Santa Sede. E su di essi i radicali promossero convegni a tavole rotonde in vari centri della penisola.

In occasione della visita in Italia del presidente della Polonia, Ochab, il 6 aprile il PR rivolse un saluto al rappresentante della nazione tradizionalmente amica, che da anni, all'interno del mondo socialista, esprimeva aspirazioni di pace e di democrazia. In particolare il saluto voleva manifestare la preoccupazione dei democratici laici italiani per le "rivendicazioni clericali" in Polonia, dove la prospettiva di un concordato non veniva avanzata, a giudizio del PR, in termini di maggiore libertà per tutti, ma di rivendicazioni, privilegi, garanzie da parte di una particolare organizzazione.

Il 19 aprile il segretario nazionale del PR, Marco Pannella, presentò querela per diffamazione contro l'estensore di una notizia pubblicata nel n. 15 del settimanale del PSIUP, 'Mondo Nuovo' e contro il direttore responsabile della pubblicazione stessa, con la concessione della più ampia facoltà di prova. L'articolo affermava che Pannella, in occasione delle manifestazioni avvenute a Roma durante il soggiorno del vicepresidente americano Humphrey, aveva assistito in compagnia di giovani di "Nuova Repubblica" dal balcone della sede di questo movimento, dileggiando e provocando i manifestanti. Un comunicato diramato dalla Direzione del PR, precisò che Pannella si era trovato in quella sede per partecipare ad un dibattito sul divorzio e che tra gli undici iscritti al PR fermati e denunciati per gli incidenti con la polizia "era anche Pannella, trattenuto nei locali della polizia del primo distretto di Roma, da prima delle 20 a dopo le 24". Il comunicato ricordò la lunga collaborazione tra i due partiti, concret

atasi anche in accordi elettorali e affermò che lo scritto di 'Mondo Nuovo' era l'ultimo episodio di una campagna condotta dal periodico contro le iniziative laiciste del PR.

Il 12, 13 e 14 maggio si svolse il terzo Congresso nazionale del PR, presso la sala Bossi di Bologna, con la partecipazione di oltre 200 delegati. Il tema del Congresso fu: "I radicali per l'alternativa laica". Il segretario nazionale Pannella tenne la relazione introduttiva, che fu, non soltanto una affermazione della necessità di lottare per uno Stato veramente laico, ma anche un esame dei problemi riguardanti l'unità della sinistra e la lotta antimilitarista. L'oratore trattò anche dello statuto completamente nuovo che la Direzione uscente proponeva all'assemblea, fondato sui seguenti punti: partito e struttura federativa (le federazioni regionali trasformate in partiti autonomi); assoluta pubblicità dei bilanci finanziari del partito; vincolo per tutti gli iscritti delle sole deliberazioni congressuali prese a maggioranza dei tre quarti dei votanti; libertà da ogni disciplina partitica per gli eletti dal momento della loro entrata in funzione come rappresentanti del popolo; congressi annuali in epoca e l

uogo fissi. Il Pannella ribadì l'opposizione alla formula di centro-sinistra, ma anche a giudizi settari contro le forze di sinistra impegnate nel governo. Svolsero una relazione anche l'on. Boldrini del PCI sulla politica estera e militare della sinistra, l'on. Ballardini del PSU, sull'affermazione dei diritti civili e la politica della sinistra, e l'on. Anderlini socialista autonomo, sui lineamenti e gli obiettivi della politica economica della sinistra.

I lavori del congresso si svolsero con riunioni di tre commissioni, incaricate di formulare precise proposte rispettivamente per una politica internazionalistica della sinistra europea, per i diritti civili e per il nuovo statuto del partito. Sui temi della politica internazionale prevalse l'orientamento favorevole a caratterizzare l'azione del PR sul piano della lotta antimilitarista, considerata anche la difficoltà per un partito di minoranza di portare un contributo autonomo sul piano diplomatico. La norma contenuta nella proposta di nuovo statuto, secondo la quale le decisioni congressuali sarebbero diventate vincolanti soltanto se approvate dai tre quarti dei delegati, e quella riguardante la pubblicità dei bilanci, sollevarono alcune resistenze e critiche.

Durante la seconda giornata dei lavori, intervenne l'on. Loris Fortuna, del PSU, il quale pur convenendo sull'esistenza di problemi comuni a tutta la sinistra italiana, non si dichiarò ottimista sulla prospettiva di una azione comune, unitaria, a breve scadenza. Secondo l'oratore, le ragioni della "attuale disunione e confusione generale" andavano ricercate nella diversa concezione della lotta per la pace e per la libertà, per la stessa laicità dello Stato. Allacciandosi al problema del divorzio, l'on. Fortuna affermò che anche per questo tema, "al di là delle convergenze che pur si sono lodevolmente manifestate", ove non si fosse accettata una comune lotta per l'autonomia e la laicità dello Stato, messa invece in dubbio "da un lato dalla propensione alle chiese delle Encicliche papali, e dall'altro dalla concessione alla cosiddetta sinistra cattolica dell'amministrazione separata del matrimonio concordatario, riservando l'introduzione del divorzio solo ai matrimoni civili", sarebbe rimasta priva di signific

ato la stessa unità nella "riforma divorzista".

La senatrice Tullia Carrettoni, del Movimento socialista autonomo, intervenne sottolineando la necessità di un reale confronto di idee per la elaborazione di una piattaforma comune, basata però non "sulla politica delle cose", ma sulla "politica delle scelte". Tale elaborazione, secondo l'oratrice, sarebbe dovuta passare attraverso il rinnovamento generale di tutta la sinistra, giudicando utile anche il contributo di pensiero e di azione di "gruppi agguerriti" e di "piccoli partiti" come il radicale.

A conclusione delle discussioni sulle varie relazioni e sugli interventi, furono messi in votazione i documenti finali riguardanti i temi trattati e una mozione. Tale mozione, approvata con due voti contrari e due astenuti, invitava "tutti i cittadini democratici a sostenere nel paese il superamento del nazionalismo, l'anticlericalismo, l'antimilitarismo, la lotta per i diritti civili, prospettive nelle quali il Congresso ha individuato e confermato fondamentali e concreti strumenti per una effettiva trasformazione della società e dello Stato."

Nel rinnovo delle cariche, risultò eletto nuovo segretario nazionale, in luogo di Pannella, dimissionario perché impossibilitato a continuare ad assolvere la responsabilità, il giornalista Gianfranco Spadaccia. Risultarono eletti come membri della Direzione: Marco Pannella, Angiolo Bandinelli, Carlo Oliva, Aloisio Rendi, Massimo Teodori, Franco Sircana, Lorenzo Strik Lievers, Luigi Del Gatto, Giovanni Bombaci, Giuseppe Loteta, Stanzani, Luca Boneschi, Domenico Baroncelli, Leonida Balestrieri, Gianfranco Donadei, Marcello Baraghini, Silvio Pergamano, Gianni Lanzini, Stefano Silvestri. Tesoriere del partito fu eletto Andrea Torelli. In una intervista a 'L'Astrolabio', Marco Pannella manifestò il proprio compiacimento per la diffusione data dalla stampa, e "perfino" dalla radio e dalla televisione al Congresso nazionale del partito. Riferendosi ai lavori e alle conclusioni delle giornate congressuali, Pannella sottolineò che si era "parlato di un nuovo partito per i diritti civili che iscrive nei suoi programmi

di lotta immediata, come politicamente qualificanti e pregiudiziali, obiettivi come quello del divorzio, dell'educazione (e della libertà) sessuale, dell'obiezione di coscienza, di una integrale libertà di stampa e di manifestazione di pensiero, della denuncia del Concordato, dell'affrancamento della famiglia, della scuola, della sicurezza sociale". L'intervistato volle anche precisare come per un'alternativa al regime vigente, il Congresso, pressoché all'unanimità, aveva indicato "nelle lotte anticlericali, in quelle antimilitariste, in quelle antiburocratiche le scelte politiche peculiari del PR nella strategia comune della sinistra". Per conseguenza il Congresso aveva unanimemente espresso il proprio consenso alla politica di opposizione al centro-sinistra; inoltre - proseguì Pannella - "l'obiettivo di un'unità d'alternativa alla DC ci è apparso legato ad una visione meno parlamentaristica e ufficiale della complessa situazione politica del paese".

In merito alle novità statutarie, Pannella affermò che il nuovo statuto configurava un "partito aperto federativo e libertario, quindi profondamente unitario non solo per il valore che diamo agli obiettivi politici che ci siamo prescelti, ma per il metodo e le strutture attraverso le quali dovranno essere proposti e perseguiti".

Il 19 maggio la Direzione del PR diffuse un appello in cui "in vista della gravità della situazione internazionale, si invitano le forze democratiche a rinnovare la lotta antimilitarista e pacifista in Italia, avente come obiettivo l'effettiva conversione delle strutture militari in strutture civili di pace".

Sempre il 19 maggio, la commissione giovanile nazionale del PR inviò la propria adesione alla manifestazione di protesta "contro l'ingiustificata invasione, da parte di truppe USA, della zona smilitarizzata al confine con il Vietnam del nord".

Il 24 maggio ebbe luogo, su una delle terrazze prospicienti l'Altare della Patria in Roma, una riunione cui parteciparono esponenti del PR, scrittori e giornalisti, democratici, pacifisti e anarchici. Tema della riunione fu: "Perchè non vi siano più guerre, perché non vi siano più militi ignoti". Nel comunicato diramato dal PR, si affermò che scopo della manifestazione e del dibattito era di "fornire concreta testimonianza del come forze democratiche possano esprimersi e lavorare per la pace nel pieno rispetto della Costituzione, nell'esercizio dei propri doveri civili e nel raccoglimento attorno alle più gravi e determinanti pagine della nostra storia e delle nostre tradizioni".

L'11 luglio 1967 venne reso noto che il IV Congresso nazionale del Partito radicale si sarebbe svolto a Firenze dal 3 al 5 novembre 1967 sul tema generale: "La sinistra contro il regime". Avevano accettato di svolgere relazioni al Congresso l'on. Luigi Anderlini, socialista autonomo, membro della Commissione Bilancio della Camera dei Deputati, l'on. Renato Ballardini del PSI-PSDI unificati presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera dei deputati; l'on. Arrigo Boldrini del PCI, membro della Commissione Difesa della Camera dei Deputati. Le relazioni dei tre parlamentari avrebbero riguardato rispettivamente la politica economica della sinistra, la politica della sinistra nel campo dei diritti civili, la politica estera e militare della sinistra.

Il 3 agosto 1967 l'"Agenzia Radicale" si soffermava ampiamente sul preannunziato IV Congresso del partito precisando innanzitutto che "nel fissare la data di convocazione la Direzione si è attenuta alla deliberazione conclusiva del III Congresso nazionale (Bologna 12/13/14 maggio 1967) e alle norme del nuovo statuto che prevedono un Congresso annuale a scadenza fissa, da effettuarsi entro la prima settimana di novembre". Premesso che "il dibattito dovrà riprendere, approfondire e sviluppare i risultati del III Congresso nazionale, che hanno definitivamente acquisito nella vita del Partito importanti novità, confermando la nuova linea politica che i radicali avevano già sperimentato negli anni precedenti", l'"Agenzia radicale" richiamava sinteticamente le conclusioni congressuali bolognesi e cioè: "a) la lotta per i diritti civili che ha fatto del Partito radicale uno dei promotori e dei maggiori protagonisti della battaglia per il divorzio e che lo ha visto impegnato attivamente nella costante rivendicazion

e di una legislazione democratica, nell'azione di sostegno degli obiettori di coscienza contro gli ordinamenti e le strutture autoritarie che sopravvivono e si consolidano nella scuola, nel comportamento della polizia, nella pubblica amministrazione, nei luoghi di lavoro, nella stessa organizzazione del tempo libero; b) l'anticlericalismo; c) l'internazionalismo e federalismo; d) l'antimilitarismo e il pacifismo". Dopo aver affermato che il Congresso di Bologna "ha anche affermato la politica di alternativa laica, democratica e socialista che il Partito persegue coerentemente dal febbraio 1963 e la decisa opposizione ad ogni forma di collaborazione di colloquio o di dialogo sia con il partito clericale sia con forze cattoliche che direttamente (sinistre democristiane) o indirettamente (ACLI) accettano l'unità politica dei cattolici che si esprime nella Democrazia cristiana e nell'appoggio che le gerarchie ecclesiastiche forniscono a questo partito", l'agenzia sottolineava come "con il nuovo statuto approvato

dal III Congresso nazionale il partito si è dato norme di organizzazione e di vita democratica che costituiscono una assoluta novità nell'organizzazione politica italiana".

L'organo radicale precisava gli obiettivi del IV Congresso scrivendo che, dopo un lungo periodo di quasi cinque anni, in cui la continuità e l'attività del rilancio del partito erano state affidate soprattutto all'iniziativa autonoma delle sezioni, le novità costituite da queste conclusioni congressuali richiedevano un impegno collettivo di dibattito e di iniziativa politica, che non poteva ritenersi concluso al Congresso di Bologna. Per rendersene conto era sufficiente, da una parte, fare il rapporto con le deliberazioni del II Congresso del 1961 e, dall'altra, guardare e tener presenti le nostre enormi difficoltà organizzative. La scadenza congressuale di novembre avrebbe offerto l'opportunità di portare avanti, di pari passo e senza soluzione di continuità, l'iniziativa politica radicale e lo sviluppo e l'approfondimento del dibattito iniziato a Bologna. Il IV Congresso nazionale doveva costituire un'altra tappa fondamentale nell'opera di riorganizzazione del partito e nei suoi programmi di lotta. Proprio

per il ritardo con cui si era tenuto, il Congresso di Bologna aveva avuto quasi il ruolo di seconda costituente radicale, soprattutto impegnata nella definizione di alcuni grandi contenuti di lotta e di nuove condizioni statutarie. Era necessario scegliere quelle iniziative nazionali che, nello spirito dello statuto, dovevano costituire l'impegno comune di tutti i radicali fino alla fine del 1968. Era necessario infine precisare lo specifico e originale contributo della sinistra, nonché creare le basi della completa attuazione dello statuto, assicurando lo sviluppo e il successo della campagna di tesseramento, che la Direzione lanciava con questo documento contemporaneamente alla convocazione del congresso.

Il 10 agosto l'"Agenzia radicale" usciva con un numero speciale imperniato sullo slogan "1967, Anno anticlericale" ove, oltre alla polemica strettamente anticlericale, venivano precisate alcune posizioni, evidentemente prevedibili, riguardo al divorzio, al Concordato ed ai problemi della scuola.

Il I settembre, tre dirigenti del Partito radicale furono denunciati a piede libero per "vilipendio di Capo di Stato estero e manifestazione non autorizzata". Si trattava del segretario del Partito radicale Gianfranco Spadaccia e dei professori Aloisio Rendi e Angiolo Bandinelli. Con loro fu anche denunciato Carlo Silvestro, uno dei giovani che avevano partecipato alla manifestazione di protesta contro il regime greco e re Costantino, organizzata dai radicali.

Il 20 settembre gli accordi intervenuti fra i presidenti dei gruppi parlamentari della maggioranza della Camera, vennero negativamente commentati da parte della giunta esecutiva del Partito radicale. Questa, in un comunicato, rilevato che "nell'ordine delle priorità stabilito per il lavori parlamentari è stato ignorato il progetto di legge Fortuna per l'istituzione del divorzio in Italia: denuncia all'opinione pubblica democratica e laica questa ulteriore prova di mancanza di autonomia e di responsabilità di fronte all'esigenza di rinnovamento laico del nostro paese fornita dalle presidenze dei gruppi parlamentari repubblicano e socialista". La giunta esecutiva radicale faceva appello a tutti i democratici laici, ed in particolare al PSU, al PRI ed ai loro elettori, iscritti, dirigenti o parlamentari per una pronta e decisa sconfessione di "questo comportamento, restituendo così allo stesso dibattito parlamentare la sua dignità di fronte ai persistenti tentativi di prevaricazione e di sabotaggio messi in att

o dalle forze del regime clericale".

Il IV Congresso nazionale del PR si svolse a Firenze dal 4 al 5 novembre, sul tema la "Sinistra contro il Regime".

Il segretario del Partito, Spadaccia esordì nella sua relazione affermando che l'evoluzione della politica in Italia negli ultimi anni, al di fuori persino della sostanza stessa dello Stato italiano, quale si era configurato nella Costituzione, giustificava il nome di regime dato alla situazione di allora, ed era dovuto all'egemonia della DC nella vita politica italiana, ed al ruolo subalterno che vi avevano le forze di sinistra. I radicali, proseguì Spadaccia, promuovendo l'alternativa di tutto lo schieramento di sinistra alla DC ed allo stato clericale, si facevano interpreti delle esigenze di rinnovamento della società italiana. In questa prospettiva, laica libertaria, andava vista la recente riforma del partito in senso federativo. Il Congresso ascoltò poi le relazioni degli on. Boldrini, Ballardini e Anderlini, lette da tre congressisti, in quanto i tre parlamentari non erano potuti intervenire a Firenze, e riguardanti la politica economica, la politica internazionale e militare, la lotta per i diritti

civili. Il secondo, ed ultimo, giorno di Congresso si imperniò su tre relazioni svolte da Pergameno, Pannella, Felice Accame, Boneschi e Carlo Oliva.

In una nota di "Notizie radicali", sul finire di dicembre del 1967, era commentato favorevolmente l'accordo avvenuto tra il PCI ed il PSIUP per la presentazione di candidature comuni al Senato. La nota diceva che i radicali non erano abituati "a sottovalutare i problemi di schieramento, a differenza di altre minoranze di sinistra". Comunque, precisava la nota, all'interno dello schieramento di sinistra rimanevano aperti problemi di metodo e di contenuto che le forze di sinistra avrebbero dovuto affrontare.

1968

Al principio di febbraio del 1968 la Giunta esecutiva del PR decise di presentare alle politiche del 1968 delle liste autonome "per i diritti civili, per il divorzio, per la laicità e la moralizzazione dello Stato". Le liste avrebbero compreso, oltre a noti esponenti radicali, rappresentanti pacifisti, divorzisti e delle minoranze religiose, nonché i giornalisti Jannuzzi dell'Espresso e Loteta dell'Astrolabio.

"Notizie radicali" del 14 febbraio riportava oltre al rifiuto del PR a che i suoi dirigenti fossero candidati in liste di altri partiti di sinistra, un netto giudizio di condanna sulla dichiarazione dei Vescovi italiani che invitava i cattolici a votare compatti per la DC.

Nei giorni successivi iniziò la presentazione delle liste "per i diritti civili" che, a seguito di una controversia col ministero dell'Interno, assunsero il simbolo del PR. La Giunta del PR, prendendo atto di questa situazione, pubblicò un documento preelettorale in cui, riproponendo per la V legislatura il tema dell'unità della sinistra italiana come alternativa alla DC, criticava la politica seguita fino allora dai partiti di sinistra, segnatamente dal PSU e dal PRI, per la scarsa preoccupazione di questi partiti nei confronti dei problemi che investivano la laicità e la moralizzazione dello Stato. Il 29 marzo venne reso noto che in tutte le circoscrizioni elettorali, tranne quelle di Milano, Roma e Pescara il Partito radicale avrebbe affiancato il PCI ed il PSIUP.

In relazione ai risultati delle elezioni legislative del 19 maggio, la Segreteria nazionale del Partito Radicale pubblicò il 23 maggio una dichiarazione in cui si affermava che il voto dell'elettorato aveva determinato una ulteriore radicalizzazione a sinistra della politica italiana, giudicata dal Partito una positiva e coerente conseguenza della radicalizzazione della lotta politica che si era determinata in precedenza nel Paese. Le sinistre - affermava il comunicato - si erano avvantaggiate di questa situazione ottenendo un risultato che, più che un premio alla loro politica, era l'espressione da parte degli elettori di sinistra di una chiara volontà di alternativa. Mentre i socialisti unificati - continuava il comunicato - pagavano giustamente un duro prezzo alla collaborazione con le forze clericali, PCI e PSIUP avrebbero sbagliato nel considerare questi risultati un successo della loro politica di dialogo. Al contrario, il voto dimostrava che solo una chiara lotta politica di alternativa nel Paese pote

va determinare le condizioni di una avanzata della sinistra.

PCI e PSIUP erano avanzati dappertutto ma i loro successi erano più netti e marcati laddove si era verificata la ripresa della lotta operaia. Se non poteva esservi dubbio sull'influenza che su questi risultati avevano la ripresa delle lotte operaie e le agitazioni di massa del movimento studentesco - proseguiva il comunicato - meno apparente ma non meno importante era il dissenso cattolico che era nato e si era sviluppato su posizioni dichiaratamente laiche e di nuova sinistra. Ugualmente importante, anche se difficilmente valutabile, la Segreteria del Partito radicale riteneva la battaglia divorzista che aveva consentito a migliaia di cittadini di prendere coscienza della propria ingiusta condizione civile. Una prova di ciò, ad avviso del Partito, era fornita dal successo di voti preferenziali ottenuto da Fortuna nelle liste del PSU a Milano, indicazione ritenuta significativa se raffrontata "all'insuccesso del suo Partito". Il comunicato concludeva invitando le opposizioni di sinistra a non trascurare l'in

dicazione che veniva dalle schede bianche.

I risultati delle elezioni legislative furono quindi esaminati dai radicali in un convegno convocato a Milano il 25 maggio.

IL 2 giugno, in occasione della parata militare a Roma, un gruppo di giovani radicali organizzò una manifestazione contro le forze armate. In seguito a ciò, gli agenti di PS fermarono 14 giovani, fra cui Gianfranco Spadaccia, segretario del Partito Radicale, che furono in seguito denunciati a piede libero per vilipendio alle Forze armate. Sull'episodio il Partito radicale diffuse un comunicato in cui affermò, fra l'altro, di aver dato mandato ai propri legali perché sporgessero denuncia alla Magistratura per il comportamento della polizia in occasione dei fatti del 2 giugno e richiamò l'attenzione degli altri partiti sull'episodio, sollecitandone la solidarietà. "Non è infatti ammissibile - affermava il comunicato - che un Partito, anche se non rappresentano in Parlamento, sia limitato in maniera così clamorosa e illegittima nella propria attività fino al punto di vedere presidiata dalla polizia la propria sede e vietata la libertà di accesso alla sede stessa" (la sede del Partito era ubicata in via XXIV Mag

gio dove si era svolta una parte degli incidenti).

Il 21 agosto, in seguito all'invasione armata sovietica e di altri paesi comunisti in Cecoslovacchia, Marco Pannella della direzione del Partito radicale dichiaro' che l'aggressione sovietica e dei satelliti del Patto di Varsavia contro la Cecoslovacchia era innanzitutto un'aggressione contro il socialismo e contro ogni fermento rivoluzionario e di libertà nel mondo, oltre che un tradimento della lotta condotta dal popolo vietnamita contro l'imperialismo e il colonialismo. "L'aggressione conferma che i cosiddetti eserciti popolari delle repubbliche cosiddette socialiste - proseguì Pannella - non sono, come ogni altro esercito, che strumenti di guerra civile, di oppressione e di autoritarismo contro il popolo e contro le lotte emancipatrici delle grandi masse socialiste e libertarie del mondo". Pannella continuò affermando che, così come in Grecia i militari e le caste dirigenti americane avevano utilizzato la Nato quale strumento essenziale per giungere alla dittatura dei colonnelli, in Cecoslovacchia il Pat

to di Varsavia aveva confermato di essere espressione non già delle volontà e delle necessità difensive dei popoli socialisti ma strumento di oppressione e di aggressione antisocialista. Pannella concluse invitando la sinistra a condannare unanimamente e a combattere senza quartiere i responsabili "di questa vergognosa e criminale impresa, stando a fianco del popolo cecoslovacco nella sua lotta per la edificazione di una società socialista per la libertà, contro l'imperialismo in tutte le sue forme, contro l'autoritarismo, il militarismo e il dogmatismo che tragicamente sembrano ovunque progredire nel mondo."

Il 26 agosto alcuni esponenti del Partito radicale iniziarono uno sciopero della fame a sostegno del Partito comunista cecoslovacco. Lo stesso giorno un comunicato del partito prese atto con speranza delle "confortanti notizie che giungono sul proseguimento dei negoziati di Mosca con i legittimi rappresentanti dello Stato e del partito comunista cecoslovacchi", invitando inoltre le forze politiche e l'opinione pubblica democratica a non smobilitare nel momento in cui al tavolo delle trattative era necessario che la forza dello schieramento socialista ammonisse con la sua evidenza i rappresentanti dello Stato sovietico. Il comunicato aggiunse che in Italia e in Francia "le giuste decisioni dei partiti comunisti" rafforzavano il carattere popolare e socialista della condanna contro l'operato dei paesi del Patto di Varsavia. Il Partito radicale invitò infine la sinistra a non limitarsi a "dichiarazioni ed analisi giuste" ma a consentire immediatamente il manifestarsi organizzato delle masse democratiche.

Marco Pannella, il pubblicista Marcello Baraghini, lo studente Antonio Azzolini e l'insegnante Silvana Leonardi, rientrati il 27 settembre da Sofia dove avevano organizzato una manifestazione di protesta contro l'invasione della Cecoslovacchia da parte delle truppe del Patto di Varsavia, raccontarono il 28 settembre la loro avventura nel corso di una conferenza stampa svoltasi presso la sede del Partito radicale a Roma. Pannella sottolineò che l'azione, organizzata in collegamento con la "War resisters' international" di Londra, era riuscita completamente tanto sul piano tecnico quanto su quello politico e osservò che le altre manifestazioni organizzate parallelamente in altre tre capitali di paesi occupanti la Cecoslovacchia avevano avuto un carattere concreto, in palese contrasto con l'estrema prudenza con cui in Italia il PCI e il PSIUP dimostravano il loro dissenso. L'azione dei radicali italiani aveva comunque provocato l'intervento della polizia bulgara che li aveva prima fermati e poi espulsi dal paes

e.

In relazione a tali fatti, il 26 settembre l'on. Loris Fortuna, del direttivo del PSU alla Camera, aveva richiesto il rilascio degli italiani con una interrogazione al ministro degli Esteri. Lo stesso giorno una delegazione del Partito radicale si era recata all'ambasciata bulgara per illustrare ai rappresentanti del governo di Sofia il significato della manifestazione dei quattro fermati.

Dal 2 al 4 novembre si tenne a Ravenna il quinto congresso nazionale del Partito radicale. La maggior parte degli oratori intervenuti, pur riconoscendo in linea di massima l'opportunità di compiere azioni politiche a fianco dei partiti di sinistra, respinse la possibilità di ancorarsi stabilmente a qualcuno di questi partiti, dei quali anzi fu criticata la struttura centralizzata, la scarsa elasticità di rapporti fra base e vertice, il dogmatismo e la troppo lenta assimilazione dei problemi reali del Paese. I congressisti decisero di dare una struttura federativa al partito per lasciare libertà d'azione ai vari gruppi locali, limitandosi nella mozione finale a fissare le linee di fondo di azione: lotta per i diritti civili, divorzio, controllo delle nascite. Il Congresso sostenne la necessità di un'azione articolata "contro il regime, sostenuto dalle forze clericali borghesi, dalle strutture del neo-capitalismo privato e del capitalismo di Stato e dalla corruzione". In particolare, il rifiuto del capitalismo

di Stato venne indicato come elemento di diversificazione dai partiti della sinistra marxista. Il Congresso prese anche in esame il proposito manifestato dall'Azione Cattolica di promuovere l'adozione legislativa del referendum onde ricorrere a tale strumento per l'abrogazione del divorzio nel caso in cui il Parlamento ne decidesse l'adozione. In proposito, i delegati, con un documento approvato alla quasi unanimità, decisero che in caso di approvazione dell'istituto del referendum avrebbero richiesto il ricorso all'elettorato per l'abrogazione del Concordato. Sempre su questo tema fu inoltre deciso di inviare un messaggio a Carlo Arturo Jemolo per invitarlo a dimettersi dalla Commissione nominata dal Governo Leone per lo studio di una semplice revisione del Concordato. A conclusione dei suoi lavori il Congresso, su proposta del segretario uscente Gianfranco Spadaccia, elesse segretario nazionale del partito Mauro Mellini, uno dei maggiori promotori della Lega italiana per l'istituzione del divorzio. Nuovo

tesoriere del partito fu eletto Angiolo Bandinelli, mentre la Direzione nazionale fu composta, oltre che dagli ex segretari nazionali Pannella e Spadaccia, da Antonio Azzolini, Angiolo Bandinelli, Marcello Baraghini, Cipriano Bartoletti, Luca Boneschi, Vittorio Carena, Roberto Cicciomessere, Gianfranco Donadei, Ferdinando Landi, Giuseppe Loteta, Mauro Mellini, Enrico Pesci, Giuseppe Ramadori, Aloisio Rendi, Giuliano Rendi, Lorenzo Strik Lievers e Massimo Teodori.

La lotta contro il neocapitalismo, la corruzione e il clericalismo, l'abrogazione del Concordato con la Santa Sede, l'uscita dell'Italia dai blocchi militari e l'istituzione del divorzio furono gli argomenti principali affrontati il 14 novembre dal Segretario del Partito radicale, Mauro Mellini, in una conferenza stampa. In tale occasione fu resa nota una lettera con la quale il Partito radicale aveva chiesto al prof. Carlo Arturo Jemolo, chiamato dal governo a far parte della commissione di studio per la revisione del Concordato, di rifiutare l'incarico, tenuto conto che "la nomina di una commissione composta di tecnici conferma l'intenzione del governo di tenere la questione della revisione al di fuori di un chiaro confronto di responsabilità politiche". Mellini precisò quindi che Jemolo aveva già risposto negativamente alla richiesta.

Il 27 dicembre la Direzione del Partito radicale rese noto di aver ritirato la propria delegazione al congresso del PSIUP a causa "del comportamento scorretto della presidenza del congresso che, a differenza di quanto è avvenuto per altri partiti e movimenti della sinistra di opposizione, e senza fornire motivazione alcuna, le ha impedito di portare il doveroso saluto ai congressisti". La Direzione del Partito radicale, comunque, e "nonostante il comportamento politico generale del gruppo dirigente burocratico", giudicò, "estremamente positivo" il dibattito congressuale, che poneva il PSIUP "come un partito che si riallaccia alla migliore tradizione operaia del nostro paese". La Direzione del PR colse infine l'occasione per rilevare che il "grande spazio vuoto" che la sinistra doveva riempire era quello riguardante "l'intera vita dei lavoratori attraverso le strutture del tempo libero, dell'assistenza pubblica, della giustizia, della famiglia, della scuola, dell'esercito, delle comunicazioni di massa, oltre

che del potere clericale".

 
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