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Archivio Partito radicale
ADP - 1 febbraio 1975
Schede di documentazione sul Partito Radicale (2)
realizzate da " ADP - Archivi di documentazione politica"

SOMMARIO: Senza la pretesa di offrire una analisi storica e politica, le schede sul Partito radicale realizzate dalla ADP forniscono, pur con alcune imprecisioni, una utile base documentale per la collocazione cronologica dei maggiori avvenimenti che riguardano il Partito radicale, dal 1955 al 1975.

Per una analisi approfondita di questo periodo di storia radicale devono evidentemente essere utilizzati gli altri documenti presenti nell'ARCHIVIO DEL PARTITO RADICALE e in particolare "I nuovi radicali" (1318 > 1327).

(ADP - Archivi di documentazione politica - La documentazione italiana editrice, 1975)

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1969

IL 16 aprile 1969, nel corso di una conferenza stampa, Mellini propose un referendum nazionale per l'abrogazione del Concordato fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica. Il leader radicale annunciò in proposito che tale iniziativa sarebbe stata adottata non appena la Camera avesse approvato la legge di attuazione dell'articolo 75 della Costituzione sul referendum abrogativo, già votata dal Senato. Mellini annunciò inoltre che la raccolta delle firme necessarie sarebbe iniziata "subito" da parte delle "organizzazioni popolari che condividono determinati giudizi sul clericalismo del nostro paese". Mellini concluse affermando che la posizione anticoncordataria era condivisa da diverse forze politiche.

Nei giorni 1, 2 e 3 novembre si svolse a Milano il VI Congresso del Partito radicale, al quale parteciparono numerosi iscritti e rappresentanti del PCI e del PSIUP. A chiusura dei lavori fu approvata a larga maggioranza la mozione politica illustrata da Marco Pannella, la quale ribadiva la necessità di portare avanti l'azione per l'abrogazione del Concordato fra Stato e Chiesa e lo sviluppo delle iniziative antimilitariste, nonché il rilancio dell'azione antidivorzista. Essa confermava poi la definitiva condanna del centro-sinistra ed ogni forma di collaborazione con la DC, definita partito "clerico-classista", e concludeva sottolineando l'importanza della battaglia per i diritti civili allo scopo di abolire l'oppressione e lo sfruttamento. Segretario del partito fu eletto Angiolo Bandinelli; tesoriere, Roberto Cicciomessere; membri della Direzione, Teodori, Pannella, Mellini, Ramadori, Strik Lievers, Del Gatto, Rendi, Pesci, Spadaccia, Landi, Sabatini, Pergamo, Dessy.

Il segretario del Partito radicale Angiolo Bandinelli il 15.11.69 ribadì che non appena fosse stata approvata la legge istitutiva del referendum, il Partito radicale avrebbe presentato una istanza di referendum popolare abrogativo del Concordato. Ed aggiunse che questo atto voleva significare una alternativa popolare alle trattative diplomatiche con la S.Sede, destinate a concludersi con un rafforzamento del sistema concordatario instaurato dai fascisti e del potere clericale che su di esso si fondava.

In conseguenza del suicidio di Giuseppe Pinelli durante l'interrogatorio presso la questura di Milano, quale indiziato degli attentati dinamitardi del 12 dicembre, il segretario del PR Bandinelli chiese che fosse fatta piena luce oltre che sugli attentati e sui mandati anche sui metodi della Polizia negli interrogatori, nei fermi e nelle perquisizioni e criticò le dichiarazioni fatte dal funzionario della questura Calabresi, secondo il quale il gesto del Pinelli equivaleva ad una confessione di colpevolezza.

1970

In una successiva dichiarazione, rilasciata il 7 gennaio 1970 insieme agli ex segretari del partito Pannella e Spadaccia, Bandinelli, a proposito della prolungata detenzione dei presunti responsabili dei suddetti attentati, affermò che si continuava "manifestamente a degradare gli imputati a mero oggetto passivo di una obiettiva anche se non intenzionale manipolazione della verità", rafforzando così tutti i dubbi sull'operato della polizia e della magistratura. Il Partito radicale - concludeva la dichiarazione - chiedeva pertanto ufficialmente "che i doveri della difesa democratica vengano immediatamente e sostanzialmente rispettati, oltre ogni tatticismo che rischia di divenire inaccettabile connivenza con un sistema che va invece decisamente denunciato e sostituito con una più chiara legittimità costituzionale e repubblicana".

Un comunicato della Segreteria nazionale del partito rese noto che, rispondendo ad un appello ricevuto dal Partito radicale e dall'Associazione italiana per la libertà religiosa (ALRI), l'11 febbraio 1970 per la prima volta si erano svolte in circa 30 città italiane manifestazioni anticoncordatarie alle quali avevano aderito, oltre al sindacato nazionale scuola CGIL, le federazioni giovanili del PSI e del PRI, gruppi e riviste cattoliche come 'Questitalia' e numerosi circoli ed associazioni di base in tutta Italia.

Tre giorni prima, inoltre, il partito aveva affermato che, al momento in cui si sarebbero aperte le trattative per la formazione di un governo quadripartito (il 7 febbraio si era infatti dimesso il governo monocolore DC Rumor), avrebbe richiesto la sollecita approvazione del referendum popolare per arrivare di conseguenza all'abrogazione del Concordato tra Stato e Chiesa.

Con un'altra nota del 9 marzo il Partito radicale, dopo aver denunciato la "pressante azione vaticana di ricatto" sulla costituzione del nuovo governo e sulla questione del divorzio (vedi: Attività politica), sosteneva che il più ampio appoggio e stimolo doveva essere dato alla quotidiana battaglia della Lega Italiana per il divorzio (LID) cui sarebbe spettato, in ultima istanza, valutare "qualsiasi soluzione in cui dovessero sboccare, su questo fondamentale argomento, le trattative per il governo". Ma se resistere era un "fatto nuovo" per la classe dirigente italiana - proseguiva la nota - per l'opinione pubblica si trattava ormai di passare alla controffensiva, col contestare alla Santa Sede "di aver abusato della giurisdizione ecclesiastica in materia matrimoniale, instaurando di fatto una gestione clericale del divorzio attraverso la moltiplicazione degli annullamenti".

A proposito della formazione del nuovo governo Rumor annunciata il giorno precedente, il Segretario del Partito Bandinelli, rilasciò il 28 marzo una dichiarazione in cui si diceva che la crisi "fortunosamente" conclusasi con il nuovo quadripartito era stata più che altro la crisi di un equilibrio politico ventennale che aveva avuto quale perno fondamentale la DC ed i suoi metodi di gestione, classisti e soprattutto clericali, della società italiana. La costituzione del nuovo governo - aggiungeva - rappresentava solo un momento di arresto nella crisi del regime democristiano in quanto sarebbe stato ogni giorno più difficile reprimere, con la violenza o nei processi, i movimenti di rinnovamento e di lotta che scuotevano il Paese e di cui la LID, movimento unitario di massa, era "esempio davvero straordinario".

Il 9 e 10 maggio si svolse a Roma il VII Congresso straordinario del Partito radicale, convocato per decisione unanime dalla Direzione al fine di esaminare la situazione in vista delle elezioni regionali e amministrative del 7 giugno. La relazione fu svolta da Marco Pannella il quale, dopo aver criticato il fatto che nella campagna elettorale in corso, i mezzi d'informazione di massa fossero riservati soltanto ai partiti rappresentati in Parlamento, con la conseguente esclusione delle altre forze politiche, analizzò l'atteggiamento dei vari partiti sui temi di impegno radicale e valutò positivamente l'atteggiamento del PSI in tema di Concordato. Dopo un intenso dibattito durato due giorni, il Congresso decise di non presentare liste proprie, né candidati in quelle di altri partiti, e di far votare scheda bianca. Tale decisione - fu sottolineato - non doveva assolutamente essere intesa come presa di posizione anti-elettorale e anti-parlamentare, ma come la dimostrazione che il Partito radicale intendeva lotta

re politicamente anche per l'affermazione di effettive regole democratiche e per il rispetto dei diritti costituzionali e civili dei cittadini. La mozione conclusiva del Congresso, votata a larghissima maggioranza, stabilì però, in considerazione della posizione assunta dal PSI sui problemi del divorzio, dell'abrogazione del concordato e dell'obiezione di coscienza, che il segretario nazionale radicale proponesse al PSI "una piattaforma di richieste che, se accolte, autorizzerebbero la Direzione del partito stesso a impegnare i radicali a fianco e per il PSI, durante la presente campagna elettorale". Il Congresso, per il verificarsi di questa ipotesi subordinata, stabilì il termine del 15 maggio. Il Congresso votò infine anche una mozione di denuncia per l'esclusione di tutte le forze politiche diverse dai partiti rappresentati in Parlamento dalla propaganda elettorale radiotelevisiva.

Questo documento il 12 maggio fu illustrato al Presidente della Camera on. Pertini da una delegazione del PR la quale - precisava un comunicato PR - sottolineò anche che l'azione intrapresa dal partito, "contro quello che ormai è un vero proprio sindacato dei partito", era intesa a salvaguardare le potenziali funzioni del Parlamento "contro l'avvilimento della cristallizzazione del potere in un equilibrio corruttore e sostanzialmente di regime".

Così come stabilito dal Congresso, il 16 maggio fu raggiunto l'accordo per le elezioni regionali ed amministrative del 7 giugno dalle Segreterie politiche del PR e del PSI. Esso - reso possibile dalla convergenza su alcuni punti qualificanti, pur nell'autonomia e differenza delle rispettive posizioni politiche - si sarebbe tradotto nel sostegno del PR alla campagna elettorale del PSI e nella indicazione di voto alle liste socialiste. I due partiti si erano accordati infatti sulle seguenti necessità: 1) condurre rapidamente a termine l'iter parlamentare della legge per il divorzio con la iscrizione della legge stessa al primo punto dell'odg del Senato e con il proseguimento del dibattito fino al voto conclusivo, senza interruzioni e prima della sospensione dei lavori per le ferie estive; 2) contrastare ogni ipoteca sull'autonomia e laicità dello Stato e sviluppare in tal senso il dibattito nel paese; in questo quadro si collocavano sia l'adesione data da tempo, a titolo personale, da oltre 30 parlamentari soc

ialisti al "Comitato di sostegno della campagna per un referendum abrogativo del Concordato" promossa dal PR, sia la campagna per la raccolta delle firme indetta a questo scopo dalla LID d'intesa con i radicali; 3) proporre la revisione immediata dei criteri di accesso alle trasmissioni politiche RAI-TV per assicurare un confronto democratico fra tutte le forze politiche; a tale scopo i due partiti avrebbero preso tutte le iniziative necessarie perché prima del 7 giugno una trasmissione fosse riservata alle forze extraparlamentari; 4) arrivare con urgenza al riconoscimento legislativo dell'obiezione di coscienza con conseguente impegno, da parte dei gruppi parlamentari socialisti, di accelerare la discussione in commissione e di richiamare comunque in aula i progetti di legge sull'"obiezione" entro la fine di settembre.

Sul significato dell'accordo, Pannella dichiarò all'ADN-Kronos che con essi venivano affrontati "i contenuti più autenticamente socialisti e unitari dei due partiti e l'emergere di prospettive alternative all'attuale vecchio equilibrio di regime". Sul divorzio, sul Concordato, sull'obiezione di coscienza, "sulla correttezza del gioco democratico" - aggiunse - questo incontro andava al di là, per tutte le forze di movimento e di radicale riforma, di un limitato scambio di collaborazione elettorale.

Il 5 giungo il PR rivolse un appello alle Direzioni nazionali del PCI, PSIUP, PSI, PRI, PLI e PSU perché fin da quel momento - indipendentemente dall'esito delle elezioni - si impegnassero ad una "tregua laica" per l'approvazione del progetto di legge sul divorzio. Il Partito radicale, infatti, ravvisando in una crisi di governo l'arma principale rimasta alle forze antidivorziste per tentare di impedire la chiusura del dibattito ed il voto del progetto, invitava il movimento laico e divorzista a "lottare" contro la prospettiva di una tale crisi dopo il 7 giugno e prima che il divorzio venisse approvato.

E la crisi governativa fu effettivamente aperta il 6 luglio '70 dalle dimissioni di Rumor. Nello stesso giorno l'esponente della Direzione radicale, Marco Pannella, commentando le improvvise dimissioni del governo, dichiarò che "una fredda, folle determinazione" sembrava aver riunito "coloro che esigevano comunque una soddisfazione antisocialista" a coloro che, a pochi giorni dal voto sul divorzio al Senato, potevano "offrire al Vaticano una ragionevole speranza di affossamento" di tale riforma laica. I radicali, che avevano combattuto la campagna elettorale con il PSI, trovavano conferma - secondo Pannella - dell'esattezza di quella loro scelta, in quanto al PSI, oltre che alle masse popolari ed alla nuova sinistra extraparlamentare, incombeva "una responsabilità centrale" per tutta la sinistra italiana.

Il PR rivolse ai partiti laici un appello perché in occasione del 20 settembre e in vista del dibattito sul divorzio venissero precisati gli obiettivi essenziali e venisse corretto il metodo con cui dalla Resistenza fino a quel momento si era affrontato il confronto con il "partito vaticano". Nell'appello il Segretario nazionale Bandinelli propose: il potenziamento dell'iniziativa per il referendum abrogativo del Concordato; la presentazione in Parlamento di una legge di revisione costituzionale per l'abolizione dell'art. 7 e una richiesta all'Esecutivo con mozione in Parlamento di denuncia unilaterale dei Patti lateranensi perché non più rispondenti alle esigenze ed alle necessità dello Stato.

Mauro Mellini e Marco Pannella illustrarono quindi il 7 ottobre le ragioni delle loro dimissioni, rispettivamente da presidente e segretario della LID, affermando che la battaglia per il divorzio era ormai conclusa nella sua fase di massa e che la parola era quindi passata alla classe politica e al Parlamento. Non appartenendo dunque essi né all'uno né all'altro, venivano perciò a mancare le condizioni obiettive che li avevano portati ad esercitare un'attività di iniziativa per la LID, con altri amici della presidenza e della segreteria nazionale.

Una dichiarazione in merito all'accordo raggiunto tra i vari gruppi politici sul tema del divorzio (cfr.:Divorzio) fu firmata dal Segretario generale del PR e dai membri della Direzione l'8 ottobre. Ricordato che i deputati antidivorzisti non potevano non temere, dopo il voto del 1 ottobre un risultato negativo, la dichiarazione affermava che l' accordo raggiunto dai partiti laici, anche se non superava il grave inconveniente di lasciare sospeso, per settimane e mesi, senza provata necessità, il problema e anche se rompeva in qualche misura l'esemplare chiarezza e pubblicità con cui era stata condotta fino ad allora la battaglia per il divorzio, consentiva tuttavia ugualmente di sperare in un voto positivo al Senato. Sempre in merito al problema del divorzio, la Direzione radicale, riunita il 12 ottobre, ribadì il giudizio sulla necessità di un'immediata ripresa a livello popolare della lotta per il divorzio e contro il Concordato.

L'VIII Congresso del Partito radicale si aprì il 1 novembre a Napoli alla presenza di circa 80 delegati e di rappresentanti dei movimenti laici che identificavano la loro politica con quella del PR: Il segretario nazionale Bandinelli dichiarò, parlando sul tema "Il divorzio e le iniziative laiche e libertarie per il 1971", che nel momento in cui la battaglia per il divorzio giungeva al suo termine, la battaglia per l'abrogazione del Concordato contava già sull'appoggio di settanta parlamentari e di 23 mila cittadini che avevano sottoscritto la richiesta di abrogazione dei Patti lateranensi.

Nella mattinata del 2 fu proposto che l'iniziativa della raccolta delle 500 mila firme per il referendum abrogativo venisse condotta dalla LID in collaborazione con i sindacati sui luoghi di lavoro, mentre nel pomeriggio una commissione presieduta da Mauro Mellini, presidente della LID, esaminò il problema dell'abrogazione dei Patti lateranensi. Infine la discussione s'incentrò il giorno successivo sulla revisione del Concordato e sulla liberazione della donna, ancora oggetto di condizionamenti inaccettabili. La mozione conclusiva, approvata all'unanimità nella nottata del 3, indicò i seguenti obiettivi da realizzare nel '71: 1) proseguire l'organizzazione del referendum abrogativo del Concordato; 2) promuovere la contestazione e l'abrogazione della festività dell'11 febbraio e l'azione per il rifiuto dell'insegnamento confessionale nella scuola; 3) rafforzare l'impegno antimilitarista del partito patrocinando la quinta marcia antimilitarista (e considerando l'eventualità di trasferire l'itinerario da Milano

-Vicenza preferibilmente in Sardegna in riferimento alla lotta antiautoritaria del gruppo radicale sardo), convocando il 3· Congresso antimilitarista e assicurando l'impegno per il collegamento con le organizzazioni internazionali ed estere); 4) imporre la discussione in aula dei progetti di legge sulla obiezione di coscienza, facendo introdurre l'emendamento che sanciva la detrazione delle spese per il servizio civile dal bilancio del Ministero della difesa; 5) assicurare la pubblicazione di un "Libro bianco" sulle strutture militari e i procedimenti colonialisti della regione sarda; 6) organizzare precisi strumenti di azione comune con i gruppi politici esterni al partito, come la LID, l'ALRI, la sinistra liberale, la FGR e i gruppi libertari. Al termine dei lavori il Congresso elesse i nuovi organi dirigenti: segretario nazionale, Roberto Cicciomessere; tesoriere Marco Pannella; Direzione nazionale Bartoletti, Sabatini, Pannella, Spadaccia, Mellini, Bandinelli, Sircana, Rendi, Cancellieri, Lancini, Pesci,

Corsale, Spaccialbelli, Turone, Landi, Teodori, Pergamento, Dessy, Spadaccia. Il nuovo segretario nazionale Cicciomessere propose quindi i nomi della nuova giunta esecutiva, che fu ratificata infatti dal Congresso: Bandinelli, Mellini, Spadaccia, Sabatini, Pesci, Cancellieri, Rendi.

IL 3 dicembre una delegazione del Partito radicale presentò alla Procura generale della Repubblica un esposto contro la CEI ed i vescovi in essa consociati per l'intervento sulla questione del divorzio (cfr.: CEI e Divorzio). In un suo comunicato la LID affermava che nella denuncia si sottolineava la palese violazione dell'art. 43 del Concordato, comma secondo (che faceva divieto agli ecclesiastici non solo d'iscriversi ma anche di militare a favore di qualsiasi partito politico) e anche dell'art. 327 del C.P. (in quanto si incitava al disprezzo delle istituzioni parlamentari):

1971

Sempre nel quadro della lotta a favore del divorzio e della revisione del Concordato, il 7 gennaio '71 la Direzione del PR, riunitasi a Sulmona, decise la convocazione di un'assemblea permanente di base che dal 18 gennaio avrebbe assicurato "un contributo essenziale alla lotta per la revisione del Concordato". "L'unità laica - precisava un comunicato stilato in quell'occasione - è arma insostituibile di questa battaglia. Il fronte laico parlamentare delle tradizionali forze democratiche è quanto queste hanno il dovere di assicurare, come è già accaduto per il divorzio".

Ancora in materia di referendum antidivorzio, il PR reagì con prontezza alla notizia secondo cui i dirigenti della CEI, al termine dei lavori del Consiglio, avrebbero deciso di appoggiare, sostanzialmente anche se non ufficialmente, quei gruppi che si stavano battendo per il referendum abrogativo. Marco Pannella dichiarò infatti l'8 febbraio che qualsiasi impegno in tal senso di "organizzazioni confessionali, ecclesiastiche, assistenziali e di azione cattolica deve essere ritenuto patente violazione e pratica denuncia del Concordato". Pannella quindi, riferendosi in particolare a quella parte del comunicato della CEI che accusava la legge Baslini-Fortuna di essere tra le peggiori al mondo e di provocare la catastrofe della famiglia italiana, annunciò di aver inviato tale documento alla Procura generale della Repubblica di Roma in quanto tali interventi potevano costituire patenti violazioni della legge. Nella stessa occasione l'esponente radicale ricordò che il 14 febbraio a Milano si sarebbe tenuta una gran

de manifestazione anticoncordataria la quale sarebbe stata "una prima, oggettiva risposta ai vescovi italiani, se davvero si impegneranno nel temerario cammino della illegalità e della prevaricazione".

In un comunicato emesso il 16 marzo il PR rese noto che avrebbe inviato quanto prima al Procuratore generale della Repubblica della Corte di Appello di Roma "un esposto contro la presidente dell'ONMI, Angela Gotelli e contro i prefetti di Roma che negli anni '60 hanno coperto in modo sistematico il vergognoso sfruttamento della maternità e dell'infanzia, non mancando anche di sottolineare il particolarissimo comportamento della Procura della Repubblica romana durante il periodo in questione". Espressa poi la sua protesta per come si stava concludendo il processo Petrucci (su cui il PR avrebbe richiamato in seguito l'attenzione della Procura generale), il comunicato faceva rilevare come l'ONMI non si fosse costituita neppure parte civile e che l'on. Gotelli dal giorno della sua elezione aveva "sistematicamente ignorato e coperto le più gravi denunce "elevate a carico dei vari dirigenti clericali e dei vari istituti subappaltanti l'assistenza.

Le ragioni che avevano indotto il Segretario del Partito radicale italiano, Roberto Cicciomessere e Mauro Mellini della Direzione nazionale del partito, a presentare un esposto al pretore Infelisi e, per conoscenza, alla Procura generale della Repubblica sullo scandalo dell'assitenza pubblica, furono chiarite in un comunicato dello stesso Partito radicale, emesso il 16 aprile. In proposito il comunicato, dopo aver affermato che l'"atteggiamento provocatorio" dell'on. Gotelli, presidente nazionale dell'ONMI che, "appoggiata in questo dalle note del Vicariato di Roma e dello stesso 'Osservatore Romano', si diceva perseguitata dal pretore Infelisi, "deve essere fermamente respinto e controbattuto", denunciava i "gravi crimini di questi gangster dell'assistenza che imperversano in tutte le strutture assistenziali, non solo di Roma, operando una sistematica spoliazione di centinaia di miliardi ai danni dello Stato e della collettività, sulla pelle delle classi più povere e bisognose di assistenza, al solo fine ev

idente di garantire la gestione di una macchina di potere necessaria a DC e Vaticano":

Che la base e il fondamento di questo vero e proprio racket clericale dell'assistenza fosse nel suo uso, a fini di potere, della DC e del mondo ecclesiastico, era ampiamente chiarito - sempre secondo il comunicato del PR - dalla lettera, anche essa riportata nell'esposto, inviata dal sindaco Darida all'on. Fanfani, all'on. Forlani e all'on. Jervolino nel marzo del 1963 in cui, riferendosi a voci pervenute circa un possibile allontanamento di Dario Morgantini dalla carica di commissario straordinario della federazione romana dell'ONMI, affermava che ciò sottintendeva un attacco di altra corrente di partito alle "posizioni elettorali" del gruppo fanfaniano ed uno scoperto tentativo di impossessarsi di un ente definito, senza perifrasi, "uno strumento troppo importante" in vista delle imminenti elezioni politiche.

"Nella stessa lettera - concludeva infine il comunicato - si affermava poi che la federazione" è un organismo politicamente molto importante, diretta da un nostro amico di corrente" e che "alla vigilia delle elezioni tutti si sono resi conto dell'importanza di questo strumento ed è nata una furibonda lotta per impossessarsene. Il tentativo è stato facilitato dalla recente nomina, alla presidenza centrale dell'ONMI, dell'on. Gotelli".

Il giorno successivo un comunicato del PR espresse il compiacimento del partito per la sentenza della Corte Costituzionale che legittimava la propaganda anticoncezionale. Nelle dichiarazioni del segretario nazionale Roberto Cicciomessere e del tesoriere Marco Pannella si affermava che la sentenza era una grande vittoria delle masse e che il Partito radicale avrebbe appoggiato il progetto di legge unica per una nuova disciplina nell'educazione democratica e per la disciplina e la assistenza clinica dell'aborto, presentato dal Movimento di liberazione della donna.

Il PR rese noto il 23 marzo di non essere stato invitato a partecipare al congresso del PSIUP, "partito con il quale vi sono stati in passato momenti di stretta collaborazione", ed indicò tra i motivi possibili del mancato invito la partecipazione al congresso socialproletario, quale capo della delegazione cecoslovacca, di Jean Havelka, uno dei più aspri avversari della primavera di Praga. Secondo il comunicato radicale, chiunque del PR fosse stato designato a partecipare al congresso del PSIUP, non avrebbe mancato di denunciare "l'indegna presenza" di Jean Havelka.

In merito all'o.d.g. votato dalla Camera il 7 aprile '71, secondo il quale il governo italiano veniva invitato a promuovere il negoziato bilaterale con la Santa Sede per la modifica del Concordato, Roberto Cicciomessere dichiarò che "l'approvazione della mozione che demanda al governo di intavolare trattative per la revisione del Concordato, in disprezzo della legittima richiesta di previo accertamento costituzionale, da parte del Parlamento repubblicano, è una scandalosa conferma dei contenuti illiberali della spartizione del potere in atto tra clericali democristiani e burocrati del Partito comunista". Il segretario nazionale del PR ribadì in quella occasione che l'obiettivo che sarebbe stato perseguito con intransigenza dal PR; in modo profondamente unitario e di base, sarebbe stato il referendum abrogativo delle leggi di attuazione del Concordato, anche se rivedute ed aggiornate.

Nel definire "un'iniziativa di giusta, doverosa e necessaria" la presentazione della richiesta di referendum abrogativo delle leggi relative ai reati di opinione e sindacali, richiesta sottoscritta anche dal PR, la segreteria e la direzione del Partito denunciarono però aspramente la completa mancanza in Corte di Cassazione di rappresentanti del PCi e dei sindacati.

Secondo i radicali, la non adesione dei comunisti era una conferma gravissima dell'avversione della dirigenza comunista a qualsiasi iniziativa che comportasse e si affidasse alla mobilitazione non subalterna e strumentale, ed alla partecipazione e gestione responsabile delle grandi masse popolari alla costruzione di una alternativa democratica e socialista. La non adesione all'iniziativa dei magistrati democratici era infatti, ed esplicitamente, dovuta alla diffidenza per l'uso dello strumento del referendum cioè per una meno delegata partecipazione alla funzione legislativa da parte del popolo. Per lo stesso motivo il PCI si sarebbe opposto alla campagna per un referendum abrogativo delle leggi di attuazione del Concordato (che decine di migliaia di comunisti avevano firmato), avrebbe impedito ed ostacolato grandi manifestazioni popolari sui temi dell'internazionale socialista e proletario; e per lo stesso motivo, cioè per le esigenze di una politica che aveva sempre più bisogno di assumere caratteristiche

di vertice e oligarchiche, il PCI si sarebbe allineato, di recente, sulla posizione di chi "ha voluto liquidare con un dibattito parlamentare fantasma e indecoroso lo scontro fra laici e clericali sul tema del Concordato, cioè sul tema dei rapporti fra le grandi masse democratiche, socialiste di estrazione cattolica e di estrazione aconfessionale". Quanto ai sindacati, il comunicato radicale affermava che la loro assenza non poteva essere attribuita che "a persistenti sudditanze verso il vertice del PCI o della DC".

Il 10 maggio il Segretario del PR sporse denuncia per falsa testimonianza contro il vicequestore di Roma Giovanni Zampano, "per avere questi affermato - nel corso di un processo in svolgimento alla quarta sezione del Tribunale di Roma - che il PR è responsabile degli incidenti accaduti ad un comizio del gen. Di Lorenzo nel corso delle ultime elezioni politiche".

In segno di protesta contro le posizioni di disinteresse che i partiti laici parlamentari erano andati assumendo verso i gruppi che raccoglievano le firme per la richiesta di referendum abrogativo della legge sul divorzio, esponenti del PR bruciarono l'11 giugno in piazza Navona i propri certificati elettorali. In seguito, a commento del deposito presso la Corte di Cassazione delle firme di adesione al referendum antidivorzio, Pannella ribadì in primo luogo che il referendum contro il divorzio era anticostituzionale in quanto era inammissibile che venissero sottoposti alla legge del numero diritti fondamentali di coscienza, religiosi e civili; e in secondo luogo che il referendum, così come era stato richiesto, era viziato alla radice da enormi illegalità, da violazioni del Concordato, e spesso anche da precisi reati.

In merito alla intenzione della Chiesa di "promuovere, organizzare, gestire un referendum abrogativo della legge Fortuna-Baslini", il segretario nazionale del PR aveva dal canto suo già auspicato (ADN-Kronos 8.6.71) che il Senato non fosse escluso dalla "responsabilità di un dibattito sul tema fondamentale dei rapporti tra Stato e Chiesa" e aveva giudicato "impensabile" che il Parlamento consentisse al governo, in tali condizioni, di avviare negoziati con la Santa Sede per la conferma del Concordato e del Trattato.

Il 27 luglio un comunicato annunciò che il PR avrebbe promosso ogni ulteriore iniziativa perché la legge Anderlini sulla obiezione di coscienza venisse respinta dalla sinistra nel Parlamento italiano, in quanto quel provvedimento apparteneva alla sfera "delle buone intenzioni che da anni ormai la sinistra italiana viene affermando mentre le situazioni, gli avvenimenti, la logica delle cose irremissibilmente la superano e ne vanificano gli sforzi". Il comunicato annunciava peraltro che i radicali ed i gruppi antimilitaristi avrebbero continuato a battersi per una vera legge antimilitarista per l'obiezione di coscienza, adeguata alle esigenze ed alle lotte democratiche, che richiedesse, almeno e contestualmente, la riduzione degli stanziamenti della difesa in misura pari alle obiezioni.

Successivamente (22/9), in occasione del dibattito alla Camera sulla legge Anderlini, la Lega per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza organizzò un dibattito nella sede del Partito radicale. Pannella definì assurda e illogica la facoltà che si voleva attribuire al Ministero della difesa di accertare, tramite una commissione, l'autenticità dei motivi addotti dagli obiettori; ne sarebbero derivate inchieste a carattere punitivo e non riconoscimento degli obiettori.

Il 21 agosto il PR organizzò una manifestazione di protesta in relazione al terzo anniversario dell'invasione della Cecoslovacchia; ne dava notizia un comunicato del partito in cui, oltre a criticare aspramente l'azione "degli eserciti unificati dei paesi socialisti", si esortava l'opinione pubblica democratica italiana a richiedere la libertà per i prigionieri politici cecoslovacchi e a denunciare "la dura e antipopolare politica repressiva posta in atto da Husak e dai suoi complici".

Agli inizi di ottobre (7.10.71), a seguito delle dichiarazioni (Il Messaggero 8.10.71) del presidente del gruppo parlamentare DC, Andreotti, e del comunista Natta sul referendum per il divorzio, si riaccese la polemica sul delicato problema. Il Partito radicale prese posizione denunciando "l'operazione clerico-fascista sul divorzio e il referendum, che dimostra come lo storico accordo tra cattolici e comunisti, ovvero tra clericali e burocrati del PCI, può essere realizzato solo al più basso livello della contrattazione di potere con la definitiva sconfessione dei valori laici e democratici". Rilevato che era falsa la tesi secondo cui si poteva migliorare la legge Fortuna, il PR ricordava che impedire l'attuazione di un referendum significava abrogare la legge che doveva essere oggetto della consultazione popolare (secondo l'art. 39 della legge istitutiva del referendum), nel tal caso la legge Fortuna. Secondo il PR, le trattative in corso tra DC e Pci confermavano l'ipotesi del referendum come strumento di

ricatto che doveva servire alla Chiesa per annullare la conquista del divorzio e trattare da posizioni di forza la revisione del concordato. In tale situazione il PR si appellava al PSI, considerandolo l'elemento decisivo per impedire tali manovre. Un corsivo apparso su L'Unità del 9 ottobre, definiva "un episodio di cialtroneria politica le calunnie di certa gente che sa perfettamente che senza il PCI e la sua politica, capace di portare a un dialogo e ad un'intesa con i cattolici democratici, nessun divorzio vi sarebbe stato in Italia". Da parte sua, il PR ribadì la convinzione che il PCI conduceva sul divorzio, sul referendum e sui rapporti tra Stato e Chiesa, "una politica opportunistica e avventurosa" non autorizzata da nessun congresso del PCI né dal Comitato Centrale".

IL 13 ottobre si riunì la Direzione del partito che decise la convocazione del X Congresso per il 31 ottobre sul tema "senza il partito laico non si costruisce né un'alternativa di sinistra, né la società socialista e libertaria". Al congresso avrebbero partecipato anche esponenti laici non radicali, militanti ed esponenti del Movimento per la liberazione della donna (MLD), della LID e dell'Associazione per la libertà religiosa in Italia (ALRI).

Nel corso della riunione, Mellini sostenne la necessità di un congresso volto a rafforzare il PR e a consentire all'opinione democratica e agli ambienti militanti laici e libertari di prendere coscienza della esigenza di dare al PR il loro sostegno e la loro piena e responsabile adesione. La presa di posizione di Mellini si riferiva in particolare ad un articolo apparso su 'Notizie Radicali' a firma M. Pannella in cui si proponeva al Congresso di prendere in considerazione l'ipotesi dello scioglimento del partito. Secondo Pannella il PR rischiava di essere travolto dal successo, per molti inatteso, della sua proposta e dei suoi metodi politici, e di divenire, per l'inadeguatezza delle energie attualmente in esso confluenti, "un involontario dosatore delle rivendicazioni alternative contro il regime, e un alibi della sua involuzione corporativa, autoritaria, populista e filo-clericale".

Il X Congresso radicale iniziava il 31 ottobre i suoi lavori a Roma. Nella relazione introduttiva di Marco Pannella, dopo aver proposto di considerare superate le ragioni e le possibilità di esistenza del partito, si faceva un bilancio di quasi 10 anni di attività affermando che esso si chiudeva in attivo. Pannella ricordava le numerose iniziative dei radicali, da quelle per il divorzio a quelle contro il Concordato, alla formazione dei primi "consistenti nuclei" di una politica antimilitaristica "che non esiste più dai primi del secolo". Parlando degli attacchi rivolti al PR e alla LID dalla stampa comunista affermava: "Siamo stati in questi anni, dopo il messaggio di tolleranza di Giovanni XXIII, favorevoli alla repubblica conciliare, se questa, come noi riteniamo, voleva dire la conquista, anche per i cattolici, dei valori di libertà e laicismo. Quella che ci viene invece oggi proposta è in realtà una repubblica neo-concordataria, fondata sull'incontro di potere con i vertici della Chiesa e della Democraz

ia cristiana". Intervenendo nel dibattito seguito alla relazione di Pannella, Fortuna sostenne la necessità di portare a fondo la battaglia laica per evitare lo snaturamento della legge sul divorzio. Nella seconda giornata dei lavori proseguì il dibattito sulla relazione di Pannella e su quella di Cicciomessere; l'ipotesi di uno scioglimento del partito venne respinta dalla maggioranza dei delegati. In particolare, l'ex segretario nazionale Mellini asserì che il PR esprimeva ormai posizioni radicate nel paese, di resistenza e di opposizione alla rassegnazione della sinistra nei riguardi del potere radicale. "E' quindi impossibile - aggiunse - anche solo pensare al suo scioglimento, perché queste posizioni continuerebbero a resistere comunque, ma prive delle strutture del Partito radicale, sarebbero indebolite e sconfitte". Un solo delegato, Antonino Tamburlini, concordò con la tesi dello scioglimento, invitando il Congresso a prendere in considerazione la proposta di adesione al PSI.

Al termine dei lavori (3.11.71) fu reso noto il testo del documento conclusivo che, respinta ogni ipotesi di scioglimento del PR, annunciava l'impegno ad attuare la carta statutaria e il rafforzamento politico ed organizzativo del partito; dopo un cenno di plauso alla LID per l'opera svolta in opposizione al referendum, il Congresso prendeva atto dell'atteggiamento assunto dai partiti laici parlamentari, in primo luogo del PCI, rivelatosi di sostanziale corresponsabiltà nell'iniziativa; di conseguenza il PR riteneva che il referendum, fatta salva la pronuncia della CC sulla sua proponibilità, andasse tenuto e affrontato. Infine il documento ribadiva l'urgenza del rafforzamento del partito, come presupposto essenziale di lotta, senza di che la sua battaglia non sarebbe stata altro che mera testimonianza o fatto morale, "politicamente e irrimediabilmente persa".

IL Congresso provvide anche al rinnovo delle cariche direttive nel modo seguente: nuovo segretario politico fu nominato Angiolo Bandinelli; alla carica di tesoriere fu eletto Ramadori; vennero anche eletti i nove componenti della giunta e quelli della Direzione.

IL 22 dicembre, in occasione delle elezioni presidenziali, il PR diramò un comunicato in cui accusava i partiti laici di esser discordi solo nella scelta di uomini e di correnti della DC, come punti obbligati della loro iniziativa, mentre apparivano unanimi nel ritenere improponibile qualsiasi linea politica chiaramente e pubblicamente laica per l'elezione del Presidente della Repubblica. Il comunicato concludeva invitando a votare Nenni, Pertini, La Malfa o Branca.

1972

Dal 4 o 6 gennaio 1972, si tenne a Chianciano una riunione della Direzione; nel corso della riunione fu deciso che "data l'impossibilità di continuare ad affidare battaglie di alternativa del sistema e al regime alla sola gestione dei vertici burocratici e di apparati di partiti di sinistra, il Partito radicale indica nelle elezioni un momento di confronto con la realtà politica e con i problemi che lo sviluppo della democrazia comporta". A tale riguardo il PR annunciò che avrebbe presentato, per la prima volta dalla sua costituzione, proprie liste alle elezioni politiche del 1972; si invitavano quindi tutti i gruppi e i militanti del partito a prepararsi alla presentazione delle liste elettorali, anche in collaborazione con il movimento laico e dei diritti civili del paese. Il comunicato si richiamava poi a taluni aspetti delle elezioni presidenziali, e rilevava che tali elezioni avevano confermato la sostanziale dipendenza alla strategia complessiva del mondo clericale, classista e corporativo rappresentat

o dalla DC, da parte di quei partiti che avrebbero dovuto portare avanti le istanze e le tradizioni laiche. Una energica presa di posizione dei radicali si registrò il 17 gennaio in occasione della diffusione di un documento della CEI sul problema dell'aborto. Il PR sottolineava l'assoluta necessità di una legislazione che liberalizzasse la responsabilità della maternità per porre fine "ai crimini che quotidianamente vengono perpetrati nel nostro paese su milioni di donne sottratte alla assistenza". Altri polemici interventi del PR si registrarono in ordine alla condanna dell'ex suora Pagliuca (15.1.72) e di alcuni esponenti del partito tra i quali M. Pannella e Loteta (25/1) accusati di calunnia, oltraggio e diffamazione aggravata nei confronti del presidente della Corte d'Assise di Roma. In occasione dell'anniversario della firma dei Patti lateranensi il PR diffuse un appello in cui si invitavano i cittadini laici e democratici a dimostrare la loro ferma opposizione "alla festività con la quale si impongon

o alla società civile e allo Stato, celebrazioni che solennizzano solo l'accordo tra fascismo e Chiesa cattolica in funzione antidemocratica, antiliberale e antisocialista (11.2.72).

Il 29 febbraio, in relazione alla crisi di governo che aveva portato allo scioglimento anticipato delle Camere (vedi: Governo Andreotti - attività), M. Pannella della giunta esecutiva del PR, rilasciò alla stampa la seguente dichiarazione: "E' chiaro che d'ora in poi sarà sempre possibile in Italia governare contro e malgrado il Parlamento. Insediando un suo personale governo, cui disconosciamo ogni legittimità, il presidente Leone ha creato un precedente di enorme gravità; egli cessa di essere 'irresponsabile', come vuole la Costituzione, e non può più pretendere d'essere al di sopra delle parti, garante dell'unità costituzionale del paese... La legge maggioritaria del 1953, chiamata legge-truffa, appare oggi un esempio di etica democratica: il deteriorarsi della situazione italiana appare tanto più grave quanto più appare chiaro che la sinistra si è assunta la responsabilità di non opporsi questa volta adeguatamente a una tale operazione ...Siamo ormai in una situazione di regime che vede ridursi il suo qu

oziente democratico quasi al nulla. Gli eredi del partito nazionale fascista, il pericolo per la Repubblica, non sono gli zuavi pontifici di Almirante, ma la DC...".

Tali dichiarazioni provocarono (15.4.72) la denuncia presentata dall'on. Durand De La Penne per vilipendio del Capo dello Stato. Il segretario del partito, Bandinelli, dichiarò che nonostante ciò i radicali non avrebbero rinunziato alla campagna contro un governo che consideravano illegale per le modalità con le quali era stato costituito.

Intanto era ripresa anche la polemica sugli obiettori di coscienza, in relazione al processo di 24 giovani appartenenti al PR, al MDL, al movimento nonviolento e alla Federazione giovanile socialista (23/3). Il PR diffuse un comunicato in cui si denunciava "il nuovo atto di repressione contro gli antimilitaristi radicali nonviolenti" e si ricordava che tra gli imputati figurava, tra gli altri, anche l'ex segretario del partito Cicciomessere detenuto nel carcere militare di Peschiera, "vittima di particolari misure persecutorie e vessatorie, nell'evidente intento di costringerlo a naturali e giuste reazioni che permetterebbero ulteriori processi e gravissime accuse contro di lui".

In relazione alla formazione del nuovo governo, dopo le elezioni del 7 maggio, una nota di "Nuova Repubblica" osservava che "l'istinto di conservazione e il richiamo alla ragione dovrebbero consigliare Saragat a favorire gli sforzi di Andreotti per la costituzione di un governo di centralità, non chiuso ai socialisti...Tale scelta comporta giocare sul rischio calcolato di un sicuro ritorno dei socialisti al governo, costretti ad accettare la presenza dei liberali nella coalizione, o subire il ricatto dei comunisti.

Compromettere oggi la proposta di Andreotti - proseguiva la nota - significa bruciare per sempre la possibilità di un ritorno dei socialisti alla ragione, sulla cui ipotesi sta lavorando Nenni, forse con una prospettiva di successo.

La maggioranza della DC e i partiti di democrazia laica, favorendo Andreotti, non chiudono la porta ai socialisti ma tolgono ai socialisti l'arma di un 'diktat' che umilierebbe ad un tempo la maggioranza della DC e i partiti di democrazia laica".

"Se Andreotti fallisce - affermava ancora "Nuova Repubblica" - non sarà il monocolore escatologico a nascere, ma lo spettro di nuove elezioni, come ha fatto intravvedere Forlani in una riunione dei quadri dirigenti della DC. Ai gruppi integralisti della CDC non sarebbe difficile convincere l'opinione pubblica che la colpa dello scioglimento delle Camere ricade sui partiti che non hanno agevolato gli sforzi di Andreotti; le forze intermedie sarebbero schiacciate sotto il rullo compressore della DC. Al disastro non sfuggirebbe nemmeno il MSI, nelle cui fila non rimarrebbero che i fedelissimi della prima ora. A sinistra il PCI si gioverebbe del milione di voti andato disperso il 7 maggio".

Il 17 luglio, il PR organizzò una conferenza-stampa per illustrare il programma della "Sesta marcia antimilitarista" che si sarebbe svolta da Trieste ad Aviano del 25 c.m. al 4 agosto. Marco Pannella elencò i motivi che avrebbero ispirato quell'anno la marcia: affermazione e difesa del diritto-dovere dell'obiezione di coscienza; abolizione delle servitù militari nel Friuli-Venezia Giulia; affermazione del principio e del metodo della nonviolenza; rifiuto di tutti i blocchi militari, NATO e Patto di Varsavia in particolare; conversione delle strutture e delle spese militari in quelle civili; commemorazione dei caduti della prima guerra mondiale; uscita dell'Italia dalla NATO; abolizione dei tribunali militari; promozione dei diritti civili dei militari. Nel corso della manifestazione, alla quale avevano aderito numerosi esponenti del PSI e di altre organizzazioni pacifiste, il PR denunciò più volte il comportamento delle forze di polizia che a suo dire "hanno cercato in ogni modo di provocare le reazioni degl

i antimilitaristi per interrompere la marcia". IL 29 settembre Pannella rese nota una serie di iniziative promosse dal Partito radicale, tendenti a sensibilizzare l'opinione pubblica e a creare un vasto movimento in appoggio agli obiettori nonviolenti: estensione dell'iniziativa di disobbedienza civile con il rifiuto a pagare le tasse corrispondenti al bilancio della difesa e della giustizia, fino alla liberazione di tutti i detenuti per il reato di "obiezione di coscienza"; liberazione di Valpreda e compagni; iniziativa di digiuno collettivo dal 1· ottobre a Roma e in numerose città d'Italia e, infine, una iniziativa del PR, d'intesa con altri movimenti per la nonviolenza, presso le presidenze dei gruppi delle Camere e la presidenza della Camera per ottenere garanzie ed assicurazioni definitive di un calendario preciso per la discussione ed il voto delle proposte di legge sull'obiezione di coscienza". Altre manifestazioni di protesta furono organizzate dal PR, per la concessione della base navale agli USA a

lla Maddalena (7 ottobre 1972).

Un comunicato del partito, diffuso il 10 ottobre, rendeva noto che l'undicesimo Congresso si sarebbe tenuto a Torino dal 1· al 4 novembre, sul tema "Rifondazione o scioglimento".

Il 27 ottobre un duro commento alla decisione della Commissione Giustizia di palazzo Madama di rinviare alla metà di novembre la discussione dei provvedimenti di modifica della carcerazione preventiva e alla decisione della Commissione difesa del Senato di rinviare al 16 novembre l'inizio del dibattito sul progetto di legge per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza venne dal PR e in particolare dal segretario Marco Pannella e dall'obiettore Gardin, che da 27 giorni digiunavano per protesta: "Giunti al ventisettesimo giorno del nostro digiuno - affermavano i due militanti radicali - di fronte alla conferma della sempre più arrogante e disperante irresponsabilità del Parlamento nei confronti di un suo dovere fondamentale, dobbiamo prendere atto del fatto che si rivela sempre più necessario, urgente, prioritario essere fino in fondo solidali con i nostri compagni in carcere. Quindi, pur profondamente sorpresi e addolorati che in un paese che si vuole democratico sia ancor oggi necessario pagare un prezz

o così alto in difesa di un minimo di umanità e di giustizia, di nuovo, dopo 27 giorni, dobbiamo confermare la nostra decisione di portare fino alle estreme conseguenze, o fino al raggiungimento dei fini che ci siamo proposti, questa nostra forma di lotta". Per il PR la decisione della Commissione Difesa "significa che, ancora per anni questa legge rischierà di non essere approvata, che ogni anno altri secoli di carcere verranno erogati, che centinaia di compagni languiranno nei carceri militari, in condizioni e numero tali che nemmeno sotto il fascismo erano configurabili". Per superare questa situazione - affermavano poi i radicali - è necessario che: "a) la Commissione Difesa del Senato fissi in tre sedute settimanali i tempi di discussione del progetto sull'odg, in modo da rimettere all'aula la discussione prima del 25 novembre; b) il dibattito in aula (che richiede al massimo due giorni) termini entro il 1· dicembre; c) la Camera non inizi le sue ferie natalizie prima di aver votato sul progetto: ci son

o più di tre settimane." "Questo - concludeva il comunicato - è tecnicamente possibile. E' politicamente che non lo si vuole o non lo si può. Ribadiamo comunque la nostra richiesta di massima, iniziale, insuperabile, che, da parte sufficientemente autorevole e credibile si assicuri una data precisa entro la quale il Parlamento, dopo 25 anni, si impegni a votare sullo statuto degli obiettori".

I lavori dell'undicesimo Congresso radicale si aprirono a Torino il 1· novembre con la relazione del segretario del Partito Bandinelli, che evidenziò come "il Congresso si impernia intorno all'alternativa 'rifondazione o scioglimento' del Partito radicale. Questa alternativa esigeva quindi un congresso di mediazione e di approfondimento della situazione reale e degli strumenti a disposizione, e "non può lasciare spazio a scelte di carattere emotivo".

Una condizione essenziale perché il Partito non dovesse sciogliersi era stata posta dagli stessi dirigenti nella possibilità di raggiungere i mille iscritti: Bandinelli comunicò che tale risultato era stato raggiunto e superato. Affrontando poi il problema del divorzio e del referendum, il segretario del PR definì "incredibile ed assurdo" l'atteggiamento della classe dirigente della sinistra che si preoccupava unicamente di evitare il referendum o di ritardarlo di un anno, quando il mutamento degli equilibri interni della Corte Costituzionale intervenuti dopo le elezioni del 7 maggio, minacciava di rimettere in discussione la costituzionalità dell'art. 2 e della legge Fortuna. In tale situazione quindi, "l'unica strada pulita, rispettosa della Costituzione, della sovranità popolare e delle istituzioni repubblicane" era quella del referendum, da affrontare subito, nel giugno 73. Tra gli interventi successivi, da registrare quelli di Cicciomessere, M. Pannella e Fortuna.

La seconda giornata del Congresso fu caratterizzata dal lavoro delle commissioni che dovevano affrontare i temi connessi con l'opportunità o meno di mantenere in vita il partito. Tre furono i principali argomenti su cui si imperniò l'attività delle commissioni: "progetto anti-istituzionale del partito: i referendum"; "organizzazione del partito: diritti civili". Venne poi discusso sul digiuno di Pannella e di Gardin, giunto ormai al trentaseiesimo giorno, che tutti furono concordi nel ritenere sufficiente agli obiettivi che si era prefisso. Al termine dei lavori (3/11) i radicali decisero di non accogliere il partito e di iniziare anzi una vasta campagna di proselitismo in modo da raggiungere i 5 o 6 mila iscritti entro due o tre anni. Le mete da perseguire furono indicate in quelle già facenti parte dell'azione dei radicali e particolarmente: abrogazione o riforma del Concordato; abrogazione del codice Rocco ed in particolare di alcuni particolari reati (vilipendio, istigazione alla disobbedienza dei milita

ri, limitazione del diritto di associazione); abrogazione di potere dei tribunali militari; abrogazione o riforma delle leggi sul finanziamento degli Enti ed Istituti di istruzione a carattere clericale.

Emerse la volontà di attuare il programma dei referendum cercando di concentrare al massimo gli sforzi organizzativi, e di limitarne il numero, conglobando eventualmente argomenti attinenti fra loro in un unico contesto. Fu anche sottolineata la necessità di costruire il partito con il fattivo contributo degli iscritti che del resto avevano la possibilità di aderire anche ad altri partiti. Infatti, da un'indagine svolta su un campione di nuovi iscritti risultò che il 18% aveva la 'doppia tessera', e che il 38,2% apparteneva al PSI; il 31,8% al PRI; l'11,1% alla sinistra di classe e agli anarchici; il 9,5% al PCI; il 9,5% al PLI.

Al termine dei lavori venne nominata la nuova Segreteria, composta dal segretario uscente Bandinelli e dagli obiettori di coscienza, Cicciomessere e Gardin.

Nel corso della manifestazione organizzata dal PR l'8 novembre, in coincidenza con il dibattito al Senato sulla legge per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza, venne ribadito il negativo giudizio dei radicali sul progetto approvato dalla Commissione Difesa del Senato, e fu sottolineata la costante presenza del partito nella lotta per l'approvazione del ddl.

Il 15 dicembre un comunicato del Partito radicale così commentava il voto favorevole espresso dalla Camera sulla legge Marcora; "Un nuovo fondamentale principio civile è stato oggi conquistato, strappato dopo almeno venti anni di lotte. La smaccata coalizione, già verificatasi in Senato ed aggravata oggi alla Camera fra governo, maggioranza della Democrazia Cristiana, neo-nazisti e paleo-fascisti della destra nazionale, ha impedito oggi che una legge adeguata, civile, leale, democratica della cui necessità tutti i gruppi democratici e numerosi gruppi e deputati della DC, quali Fracanzani, Sobrero, Cabras, si sono resi interpreti - venisse votata. Ogni emendamento in tal senso alla legge Marcora è stato infatti respinto con il voto determinante di Giovanni Di Lorenzo, Pino Rauti e dei loro colleghi. In tal modo il Parlamento ha oggi approvata una legge che tenta di impedire l'esercizio effettivo di quel diritto all'obiezione di coscienza che è stato infine costretto a votare: legge che presenta sul piano cost

ituzionale, democratico, tecnico, aspetti aberranti e inammissibili. Il Partito radicale ed il movimento nonviolento - proseguiva il comunicato - rivolgono un plauso in primo luogo all'on. Fracanzani che ha assicurato all'intero arco delle forze favorevoli all'obiezione di coscienza, ed in primo luogo agli obiettori antimilitaristi nonviolenti una rigorosa, onesta, efficace rappresentanza e che ha condotto una battaglia parlamentare lineare e coraggiosa; danno atto al partito socialista, ed in particolare agli onorevoli Servadel, Orlando, Magnani Noya, di un atteggiamento ampiamente positivo, democratico, unitario, leale perché venisse elaborata e approvata una legge profondamente migliore di quella votata; riconoscono il valore democratico degli emendamenti proposti dall'on. Bandiera del PRI e della sua opposizione ai principi ed allo schieramento clerico-fascista formatosi attorno alle tesi del governo; non possono non sottolineare, invece, il carattere rinunciatario e reticente, inadeguato quanto non conn

ivente, dell'atteggiamento del partito comunista e degli indipendenti di sinistra.

Non appena conosciuto l'esito della votazione, alcuni esponenti del PR, tra cui il segretario Bandinelli, inviarono al presidente della Camera Pertini un telegramma di ringraziamento per la vigile, continua attenzione con la quale si era impegnato "perché il Parlamento giungesse alla dovuta conclusione di un voto per l'obiezione di coscienza" (vedi: obiettori di coscienza).

Altre manifestazioni vennero promosse dal PR per la concessione della libertà provvisoria all'anarchico Valpreda (27/12), per l'arresto di un obiettore (12-1-1973), e contro il Concordato (15-1-1973).

Una vivace reazione dei radicali si registrò il 9 gennaio in ordine all'approvazione (29-12-72) del d.d.l. governativo sulla droga definito "di scarso pregio tecnico". L'avvocato Mellini, della direzione del partito, dichiarò che il provvedimento, mentre riduceva le pene per i consumatori, istituiva un regime di libertà condizionata per il cittadino che poteva essere punito anche se solo indiziato, "praticamente viene introdotto il reato di indizio".

1973

Il 10 febbraio 1973 fu arrestato per obiezione di coscienza il segretario del Partito radicale, Alberto Gardin, che nell'ottobre dell'anno precedente aveva effettuato insieme all'altro esponente radicale Marco Pannella un digiuno di 39 giorni per sollecitare l'approvazione della legge per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza. "Ancora una volta- affermava un comunicato del partito radicale rilasciato a proposito - le procure militari della Repubblica mostrano di non tenere in alcuna considerazione la volontà espressa dal Parlamento arrestando chi, secondo le norme della legge per il riconoscimento della obiezione di coscienza, avendo presentato regolare domanda per il servizio civile sostitutivo, non può essere imputato di alcun reato sino alla decisione del Ministro". Si trattava quindi per i radicali di "un evidente tentativo intimidatorio" della Procura Militare della Repubblica tendente a scoraggiare gli obiettori di coscienza. Gli avvocati radicali Giuseppe Ramadori, Lucia Severino e Mauro Melli

ni presentarono una denuncia per omissione di atti d'ufficio e sequestro di persona nei confronti delle autorità che avevano ordinato l'arresto.

Per la ricorrenza della firma dei Patti Lateranensi, l'11 febbraio, il Partito radicale indisse una serie di manifestazioni in numerose città del Paese. A Roma l'iniziativa del Partito fu sostenuta da gruppi politici e religiosi (da "Lotta Continua" al "Movimento per la liberazione della donna", dalle "comunità di base" di Oregina e di Treviso ai valdesi, dai liberali e dai repubblicani di sinistra ad un vasto settore del PSI): in un teatro romano si udirono "sermoni" religiosi ricchi di riferimenti biblici per contraddire la politica di "Mammona"; il presbiteriano Giorgio Spini definì l'apparato clericale come "il cappellano di corte del mondo capitalistico"; alcuni cattolici del dissenso denunciarono il concordato come strumento "del potere clericale"; esponenti dei cristiani "protestanti" deplorarono anche la persistenza della validità della "legge fascista sui culti ammessi", che conseguiva dai Patti Lateranensi. Tra i laici, il radicale Mauro Mellini pose in evidenza che "lo Stato italiano non è in gra

do di sostenere trattative con la Santa Sede"; il progettato referendum sulla questione del divorzio, aggiunse, sarebbe stato in effetti un referendum sul concordato del medesimo tono le dichiarazioni nei comizi tenuti in tutte le altre città.

Continuavano frattanto gli arresti di esponenti del Partito radicale contrari al servizio di leva. Il 17 febbraio fu la volta di Roberto Cicciomessere, della segreteria nazionale, colpito da un mandato di cattura emesso dalla Procura militare di Bari. Solito comunicato del Partito: la Direzione espresse una dura protesta contro "l'inqualificabile ed illegittimo provvedimento", che rappresentava, secondo i radicali, un vero e proprio sequestro della persona di Cicciomessere, colpevole solo della sua attività politica, antimilitarista e nonviolenta.

Il 7 marzo 1973 il segretario nazionale del Partito radicale, Angiolo Bandinelli, rilasciò alcune dichiarazioni in merito alle notizie relative all'intenzione del governo di sciogliere il gruppo neofascista "Avanguardia Nazionale". "Tutta la stampa di sinistra - disse Bandinelli - ha espresso grande soddisfazione per tali notizie, ma noi non condividiamo tale entusiasmo, e innanzitutto per una questione di principio: non ci piacciono le leggi eccezionali, le violazione delle basilari libertà di associazione, gli scioglimenti per decreto, comunque giustificati". Secondo Bandinelli, i "paleofascisti" dovevano essere battuti con lotta politica e non a colpi di decreto. A parte queste riserve di principio, Bandinelli aggiunse che i radicali avevano il sospetto che quell'improvviso antifascismo del governo Andreotti e della Democrazia Cristiana nascondesse altri scopi:" facilmente questa legge Scelba contro il fascismo servirà per tutti gli usi, prima di tutto per colpire gli antifascisti della sinistra extrapar

lamentare. Serve oggi poi per fornire gratuite patenti di democraticità proprio a quelle forze che in Italia rappresentano la continuità con il regime Mussoliniano".

Il Partito radicale non aderì alle manifestazioni unitarie indette per l'anniversario della liberazione, il 25 aprile.

Nel darne notizia in un comunicato, i radicali motivarono la loro iniziativa affermando che l'antifascismo "di maniera" del momento stava stornando l'attenzione dai gravi problemi e dalla profonda crisi che stava attraversando il Paese. La colpa "della corruzione e dello sfacelo delle istituzioni", secondo i radicali, non era di Almirante e dei suoi "teppisti". Ciò che doveva divenire oggetto di riflessione e di iniziativa politica era il nuovo confronto tra opposizioni e maggioranze, tra sinistra e destra, tra progresso e conservazione, tra forze alternative e democrazia cristiana.

"Solo conquistando anche in Italia questa chiara netta contrapposizione - concludeva il comunicato - si potranno rafforzare le istituzioni e la democrazia, misurare ciò che è morto e ciò che ancora vive invece di fascismo, al di là della violenza di piazza, per renderlo palese a tutta l'opinione pubblica e celebrare in una prospettiva non falsa e non retorica l'anniversario della liberazione":

L'8 luglio 1973 si concluse a Roma il XII Congresso nazionale straordinario del Partito Radicale italiano. I lavori terminarono con l'annuncio di due decisioni di particolare interesse: si sarebbe dato rapido avvio alla campagna per la organizzazione dei referendum destinati ad abrogare tutte le leggi incostituzionali, e si sarebbe dato vita entro breve tempo ad un nuovo quotidiano.

Il Congresso era stato convocato per uno scopo molto preciso: verificare se esistesse tra gli iscritti e gli aderenti un tale stato di mobilitazione da poter affrontare una battaglia come quella intesa appunto ad abolire le leggi incostituzionali, che si prospettava quanto mai difficile ed ardua, se non addirittura temeraria. Secondo i radicali, il Congresso dimostrò che questa verifica aveva dato risultati positivi. "Il Congresso - disse Marco Pannella - non solo ha confermato all'unanimità la delibera già presa a Torino nel novembre del 72 a proposito della campagna per i referendum, ma ha registrato con soddisfazione l'adesione a questa prospettiva di lotta di molte altre forze della sinistra, sia pure con accentuazioni diverse e suggerimenti di modificare tale o talaltro aspetto della nostra iniziativa". E a tale iniziativa aderirono in linea di massima numerosi esponenti del Psi, del Pri e del Pli, fra cui Loris Fortuna, e poi "Lotta Continua", "Il Manifesto", "Avanguardia operaia", la "LID" e il Movime

nto di liberazione della donna, e inoltre, negli ambienti del Congresso, taluni interpretarono il telegramma inviato da Giacomo Mancini come un impegno preciso, almeno come un incoraggiamento nei confronti dell'iniziativa. Già nella giornata precedente fu costituito un Comitato al quale fu affidata, per quanto riguardava il Partito radicale, la gestione politica dell'iniziativa. A coordinare i lavori del comitato fu chiamato l'ingegnere Franco Mancini.

Circa il giornale, che avrebbe dovuto vedere la luce entro il mese di settembre, fu costituito un Comitato di giornalisti e di militanti con l'incarico di organizzare una campagna di sottoscrizioni; al momento il Partito radicale disponeva di un foglio intitolato "Notizie radicali", che usciva due volte al mese con una tiratura di diecimila copie.

Le previsioni emerse durante i lavori del Congresso davano invece per il nuovo giornale una tiratura di oltre quarantamila copie; il nuovo giornale si sarebbe dovuto giovare dell'uscita in comune con "Lotta Continua" e con "Il Manifesto". "Con questo giornale - disse Marco Pannella - noi intendiamo dare un contributo alla nascita di un organo unitario alternativo al regime, in cui tutte le forze antiregime possano esprimersi con assoluta indipendenza e riducendo al massimo i costi, gli oneri ed i rischi. Questi oneri e questi rischi sarebbero pressoché insuperabili se ogni movimento alternativo pretendesse di avere una propria struttura di stampa completa".

Estate di lavoro quella del 1973 per i radicali. Da un lato i complessi problemi organizzativi e finanziari posti dall'operazione referendum, fatta scattare nel mese di luglio in occasione del XII Congresso nazionale straordinario del partito; dall'altro, 25 luglio - 4 agosto, la marcia antimilitaristica Trieste-Aviano. Da sei anni appuntamento consueto per militanti e simpatizzanti al raduno antimilitarista, svoltosi in quell'anno senza i temuti incidenti da parte di forze dell'estrema destra, come era avvenuto l'anno prima. Ma le apprensioni maggiori per i radicali riguardavano senz'altro la nuova iniziativa che nei tre anni a venire avrebbe caratterizzato il loro impegno politico, cioè una serie di referendum popolari per abrogare: le leggi di attuazione del Concordato, le norme "autoritarie e fasciste" del codice penale (compresi i reati di aborto e di uso di droghe leggere), le norme repressive dei Codici militari e quelle istitutive di tribunali e carceri militari, le leggi per i finanziamenti pubblici

a scuole ed assistenze clericali, le leggi limitatrici della libertà di stampa.

Scatenare contro il regime, "ancora improntato al modello clerico-fascista" un'ondata di referendum popolari, di iniziative politiche di base, sostenevano i radicali, avrebbe potuto se non altro mettere in moto, "proprio mentre stanno morendo soffocati", quei meccanismi alternativi che potevano potenziare le minoranze del dissenso libertario o socialista.

L'8 settembre, nel corso di una conferenza stampa tenuta nella sede romana del partito, Marco Pannella presentò il numero zero del nuovo quotidiano radicale, "Liberazione", la cui uscita era già stata preannunziata durante i lavori dell'ultimo congresso. Pannella indicò i due obiettivi immediati di "Liberazione": far fallire il tentativo, frutto di un accordo di vertice fra i maggiori partiti laici per snaturare la legge per il divorzio e battersi affinché il referendum si tenesse regolarmente. Pannella annunziò che per quelle iniziative vi era già l'adesione di tutte le forze extraparlamentari di sinistra e di numerosi esponenti repubblicani, socialisti e comunisti. "Compito del nuovo quotidiano - disse Pannella - sarà quello di suscitare un vasto movimento di opinione". Quanto ai problemi più strettamente connessi alla vita del nuovo giornale, l'esponente radicale precisò che "Liberazione" sarebbe andato nelle edicole solo per "il sostegno e il contributo già giunto e promesso da un gruppo di amici e compa

gni"; la decisione iniziale fu di stamparne 50-60 mila copie, salvo poi aumentarle; i sei redattori fissi e i giornalisti che vi collaborano lo fecero senza percepire alcuna retribuzione: quando sarebbero venuti a mancare i fondi necessari per farlo uscire, "Liberazione" avrebbe sospeso le pubblicazioni.

In occasione dell'anniversario del 20 novembre, il Partito radicale indisse una serie di manifestazioni "per la difesa del divorzio, contro le manovre delle forze e dei partiti di regime per affossare la legge Fortuna, per i referendum abrogativi delle leggi liberticide e fasciste".

Nel corso della manifestazione principale, tenuta a Roma, presero la parola numerosi esponenti del partito e del movimento di liberazione della donna. All'iniziativa aderirono, fra gli altri, "Farnesina democratica" e la sinistra repubblicana, e fu invitato l'ambasciatore cileno a Roma, Carlo Vassallo. In quell'occasione i radicali stigmatizzarono le posizioni assunte dalla Dc italiana di fronte agli avvenimenti cileni e la mancata reazione della sinistra italiana di fronte a tale atteggiamento, affermando che "il colpo di stato in Cile sembra quasi aver provocato una ancor più decisa spinta ad accelerare il processo di compromessi, di cedimenti, e di regime, tra opposizioni e sinistre da una parte e partito clericale dall'altra":

Le preoccupazioni dei radicali per l'imminente sentenza della Corte Costituzionale circa la legittimità costituzionale della legge sul divorzio, vennero espresse in un documento approvato al termine di una riunione della direzione radicale svoltasi a Roma il 22 e 23 settembre.

Nel documento si affermava tra l'altro che la decisione della Corte doveva costituire "motivo di grave preoccupazione per tutte le forze democratiche e laiche, per i divorzisti, e per tutti i gruppi e le organizzazioni impegnate nella lotta per i diritti civili", in quanto numerosi erano, a giudizio dei radicali, i sintomi che facevano ritenere che "la forsennata campagna, diretta a trovare un espediente per scongiurare la paura del referendum liquidando la legge Fortuna", potesse produrre tale liquidazione attraverso una sentenza negativa della Corte Costituzionale. Nel documento si rilevava quindi che "mentre l'operazione politica consistente nella sostituzione della legge sul divorzio con un'altra di gradimento della Dc e del Vaticano comincia ad apparire sempre più difficilmente attuabile", continuare ad insistere assiduamente sulla assoluta necessità di evitare il referendum equivaleva ad un incitamento, ad un'effettiva pressione sulla Corte Costituzionale "a dare mano alla soppressione del divorzio".

Rivolto un appello a tutti i giuristi laici e democratici affinché facessero sentire la loro voce a sostegno della "inequivocabile legittimità costituzionale del divorzio", il documento della direzione del Partito Radicale, "nel denunciare la responsabilità di quanti, continuando ad invocare espedienti per evitare il referendum compromettono gravemente la sorte del giudizio dinanzi alla Corte", espresse tutta la sua solidarietà a quanti vedevano così messo in gioco il loro diritto civile al divorzio e ribadì che l'iniziativa del referendum abrogativo del Concordato era la risposta "sola, adeguata ed efficace alle insistenti manovre clericali dirette a ristabilire il monopolio della Chiesa cattolica in materia matrimoniale".

La proposta dell'on De Martino di presentare modifiche alla legge Fortuna, venne criticata il 29 ottobre, in un comunicato del Partito Radicale, che a tale proposito convocò per il 1· novembre a Verona congiuntamente al Congresso nazionale del partito, la presidenza, la segreteria nazionale, il comitato nazionale della lega per il divorzio e della lega per l'abrogazione del concordato (LIAC).

Ed appunto il 1· novembre il Partito radicale aprì a Verona il XIII Congresso nazionale, radunando nel salone del Palazzo della Gran Guardia buona parte dei suoi 1470 iscritti sparsi in tutta Italia.

Intervennero anche i rappresentanti di movimenti federati, come la lega del divorzio e quella degli obiettori di coscienza. Dalle rivendicazioni femministe alle tenaci resistenze degli obiettori di coscienza, il Partito radicale raccoglieva una notevole quantità di contestazioni. I suoi aderenti marciarono da Trieste ad Aviano passando davanti alle caserme, si sedettero in gruppo davanti al carcere militare del Peschiera, si affollarono davanti al Tribunale militare di Verona. Questo all'aperto; al Congresso invece, il segretario nazionale Angiolo Bandinelli disse che se l'esiguo schieramento del suo partito non poteva avere un peso determinante nelle vicende di Montecitorio o di Palazzo Madama, per il momento non aveva molta importanza, il partito non viveva per questo in una specie di isolamento: "Noi siamo extraparlamentari, non antiparlamentari". Significava che gli intendimenti dei radicali potevano coincidere con le iniziative portate avanti ora da questo ora da quel deputato, seguendo una corrente di

simpatia. Angiolo Bandinelli tenne la relazione al Congresso. "Contro il regime, contro la DC", perché l'alternativa e il rinnovamento delle sinistre, con i referendum popolari, era il termine del convegno. Il partito si disse pronto a presentare alla Corte di Cassazione entro poche settimane una serie di richieste di referendum abrogativi: due in materia concordataria, il primo per l'abrogazione della legge generale in attuazione del Concordato tra Stato e Chiesa, e il secondo per l'eliminazione della norma riguardante l'annullamento ecclesiastico dei matrimoni concordatari; uno per cancellare norme fasciste dal codice penale, comprese quelle che punivano il reato d'aborto; due per tribunali e codici militari; tre in materia di libertà di stampa.

I radicali, contando anche sull'adesione di altre forze, si proponevano di raccogliere entro i primi sei mesi del 1974 il mezzo milione di firme che erano richieste dalla Costituzione.

A proposito della tesi del leader comunista Berlinguer sul "compromesso storico", il segretario nazionale del Partito radicale disse di non comprendere lo scalpore e le polemiche che questa aveva suscitato. "Una tesi - sostenne - che appare come la conseguenza di tutta la linea politica seguita da Berlinguer, una linea che non ha neppure l'obiettivo di un ingresso comunista nel governo del Paese, ma soltanto quello di perpetuare l'equilibrio di potere fra una Dc che conserva di fatto il monopolio del governo e un PCI che conserva quello dell'opposizione". In queste condizioni, a giudizio di Bandinelli, l'unica alternativa sarebbero stati i radicali.

L'impegno principale, a conclusione del XIII Congresso, ribadito dai radicali fu comunque quello di iniziare la campagna per i referendum abrogativi agli inizi del 74. Mentre rimaneva imprecisato il numero dei referendum, era certo che "la crociata" laica contro "il regime" democristiano, il compromesso storico di Berlinguer, il tentativo di affossare il divorzio e l'acquiescenza di De Martino non avrebbe dovuto fermarsi dinanzi ad alcun ostacolo: tutte mete queste che, pena la sopravvivenza stessa del partito, furono giudicate irrinunciabili da tutti i militanti radicali.

Dopo un approfondito esame ed un dibattito che, si può dire, mise a dura prova la stessa resistenza fisica dei congressisti, le commissioni confermarono la decisione del partito di indire un referendum anche per l'abrogazione degli articoli 17 (trascrizione delle sentenze rotali) e 22 (nullità del matrimonio canonico preconcordatario in quanto la sentenza di trascrizione ha effetto anche sul matrimonio civile), e questo in segno di risposta agli annullamenti "facili" cui ricorse la Chiesa con il "Motu proprio" di Paolo VI per far concorrenza alla legge Fortuna sul divorzio. La richiesta di altri referendum abrogativi in materia concordataria riguardò fra l'altro gli articoli concernenti "il riconoscimento agli effetti civili degli istituti ecclesiastici e degli enti di culto", l'insegnamento della dottrina cristiana nelle scuole e i finanziamenti statali all'assistenza e alla scuola clericali, in contrasto con la Costituzione, la quale stabiliva che le scuole confessionali dovevano essere gestite "senza oner

i per lo Stato". Innumerevoli furono poi gli articoli del codice penale dei quali i radicali chiesero l'abrogazione mediante referendum popolari. A parte le norme relative ai reati di aborto comprese sotto il titolo "Dei delitti contro l'integrità e la sanità della stirpe", avrebbero dovuto essere tolti di mezzo i reati di offesa all'onore e al prestigio del Presidente della Repubblica, di vilipendio alla Repubblica, alle forze Armate, della Nazione italiana, alla Bandiera o altro emblema dello Stato, nonché l'oltraggio a pubblico impiegato e la resistenza a pubblico ufficiale. Vastissima anche la gamma di norme del codice penale militare e dell'ordinamento giudiziario militare che i radicali avrebbero voluto abrogare, dal reato di ammutinamento (consistente nella persistenza di esposti o reclami) a quello di "attività sediziosa con manifestazioni e grida".

Varato l'ambizioso progetto dei referendum, i radicali affrontarono i problemi politici ed organizzativi, enormi se rapportati alla loro esiguità; quali forze politiche, eccezion fatta per i gruppi della sinistra extraparlamentare e di alcune frazioni del Psi, del Pri e del Pli, fossero disposte ad appoggiare la battaglia radicale non era chiaro neppure ai dirigenti del partito. In un intervento Gianfranco Spadaccia, vicesegretario, sostenne che il problema era di mettere in moto un meccanismo che permettesse di scavalcare i vertici dei partiti e delle organizzazioni sindacali e di raggiungere quelle masse popolari che certo non erano insensibili, secondo lui, alla conquista di alcuni fondamentali diritti civili. Come pure rimase insoluto il problema del finanziamento di una campagna laica e libertaria condotta da un partito che riusciva a malapena a sopravvivere e che aveva metà dei suoi iscritti in ritardo con le quote.

Marco Pannella, a sua volta, annunciò il proprio disimpegno dalle responsabilità di conduzione del partito per portare avanti autonomamente la battaglia per la "tutela di speranze antiche che sono ancora vive ed attuali".

Recepito dal Congresso come "un passaggio di consegne dal gruppo romano alle nuove leve (Pannella propose che alla segreteria andasse Giulio Ercolessi, un giovane di appena venti anni), il discorso del leader apparve ai molti inopportuno perché fatto nel momento in cui, per acquistare maggiore credibilità all'esterno, il Partito radicale aveva più che mai bisogno delle sue più vive energie.

Il divieto della Questura di Verona di tenere la manifestazione antimilitarista in programma per il 4 novembre davanti al carcere del Peschiera fu respinto dal Congresso. I radicali decisero quindi di avviare un'azione politico-costituzionale per il riconoscimento dei diritti degli obiettori di coscienza di manifestare pubblicamente e in ogni luogo le loro idee. Tuttavia, per evitare possibili incidenti, dopo una serie di trattative con la Questura, davanti al Peschiera si recò solo una piccola rappresentanza di manifestanti.

Il 23 novembre il Partito radicale rese noto che la comunità di S. Paolo aveva deciso di aderire all'iniziativa dei referendum abrogativi del Concordato promossa dal partito al Congresso di Verona. "La decisione, indubbiamente importante e clamorosa - scriveva 'Liberazione', il giornale radicale che aveva appena visto la luce - si accompagna a quelle ugualmente positive che stanno giungendo al Comitato promotore dalle altre comunità ecclesiastiche e da gruppi delle minoranze religiose di tutta Italia. Accanto ai nomi di Gerardo Lutte, di Don Marco Bisceglia, di Toni Sansone, di Aurelio Sbaffi, alle comunità romane di S. Saba, S. Alessio, Colle di Mezzo e Monte Mario, vi sono anche la federazione giovanile ebraica, almeno dieci comunità cattoliche e la stessa Chiesa Valdese di Verona, mentre il "Movimento 7 novembre", che raccoglie alcune centinaia di parroci e preti dissenzienti dalla linea autoritaria delle gerarchie, pur non ritenendo di potersi fare formale promotore dell'iniziativa, ha garantito il suo

appoggio".

Un positivo commento alla decisione della Corte Costituzionale sulla questione di legittimità della legge sul divorzio fu espresso dalla Segreteria nazionale del partito, che in un comunicato del 24 novembre affermò di prendere atto "con soddisfazione" che la Corte aveva respinto per la seconda volta le eccezioni di incostituzionalità della legge Fortuna. "La volontà dei laici che intendevano soggiacere al ricatto clericale del referendum - era scritto nel comunicato - non ha avuto effetto dinanzi alla Corte Costituzionale. "Occorreva ora, secondo i radicali, respingere questo ricatto anche sulle pretese di svuotamento della legge Fortuna per vie parlamentari. "Il ritardo della conferma della volontà dei partiti laici - aggiungeva il comunicato - di affrontare il referendum, ha messo in pericolo la sorte del divorzio avanti la Corte, e rischia di Compromettere ora l'esito stesso della battaglia, esponendo i partiti che votarono il divorzio ad un dictat della Dc e del Vaticano alla vigilia stessa del referen

dum". Era quindi necessaria per i radicali l'immediata mobilitazione dei democratici e dei laici per la difesa del divorzio attraverso il voto popolare. La norma concordataria dell'art 34 caparbiamente invocata contro "questa civile riforma", così concludeva il comunicato, doveva essere al più presto eliminata assieme "allo sconcio" dei tribunali ecclesiastici e delle loro sentenze di nullità, sottoponendo anch'essa al voto popolare.

E nello stesso comunicato si informava che il 4 dicembre sarebbe stato presentato ufficialmente alla Cancelleria della Corte di Cassazione la richiesta per la raccolta firme, per l'indizione di un referendum abrogativo del Concordato tra Stato e Chiesa Cattolica e della legge che disponeva della trascrizione delle sentenze di annullamento rotale nei registri dello stato civile; si trattò dei primi degli 8 referendum abrogativi delle leggi "clericali, militariste, e autoritarie e fasciste per origine o contenuto" che il partito radicale si accingeva a promuovere.

 
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