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Mellini Mauro - 30 ottobre 1976
DELINQUENTI: PROCESSO AL PROCESSO
di Mauro Mellini

SOMMARIO: Mellini esprime il proprio pensiero sul processo Margherito, ritenendolo non un vero processo, ma un'operazione di potere all'interno del regime. L'intervento di Pannella viene giudicato molto importante, perché solo dall'esterno era possibile denunciare tali intrighi. La discussione parlamentare che ne è seguita ha senz'altro posto il problema dell'esistenza dei tribunali militari. In conclusione, Mellini illustra quelle che, a suo giudizio, saranno le conseguenze politiche a breve termine.

(PROVA RADICALE, ottobre 1976)

"Innanzi tutto che giudizio dai sul processo Margherito?"

Alla domanda sulle impressioni di fondo sul processo credo di dover rispondere ponendo innanzitutto, e ponendomi io stesso, una domanda. La domanda è questa: ma il processo Margherito si può definire un vero processo?

Mi spiego. Perché un processo sia tale, deve corrispondere ad un minimo di requisiti. Occorre in sostanza che un determinato fatto venga giudicato, misurato, secondo una legge, una logica; questa può essere assurda, diversa da quella riconosciuta dalla persona che ha commesso il fatto e viene processata, ma è comunque coerente, almeno con se stessa. Allora scaturisce il confronto tra le parti. Anche un processo politico: il tribunale politico obbedisce a regole opposte a quelle dell'accusato questi non le riconosce, ma - diciamo - le "vede", ce l'ha davanti...

Il processo Margherito ha avuto questi requisiti? Direi di no; direi che qui ci siamo trovati dinanzi non alla legalità dello Stato, di uno Stato magari borbonico, fascista, sulla quale commisurare il fatto; ma ad un processo fatto su misura per una operazione di potere all'interno del regime; alla gestione "prefabbricata" di una azione nei confronti di questo militare, di Margherito, in una logica e per una logica completamente sconosciuta, in primo luogo allo stesso Margherito. Non c'è quindi stata nemmeno la possibilità di un qualsiasi confronto. Margherito ha ritenuto che con il processo egli si stava confrontando con una certa posizione, la posizione reazionaria del vecchio sistema militare; invece no, si scontrava con una operazione di sottogoverno, che fatalmente passava sopra la sua testa.

Questa operazione di sottogoverno era probabilmente intesa a provocare un certo tipo di reazione degli ambienti, per una specifica operazione all'interno del regime; si è trattato probabilmente di una operazione di Cossiga nei confronti di Andreotti e del suo governo; si sono inseriti i militari, che hanno voluto giocare un loro ruolo legato a certi loro intenti, bloccare in sostanza con una operazione preventiva, anticipandola sui tempi, la riforma o la "miniriforma" della polizia e dell'esercito stesso. Tutto si è intrecciato in questa straordinaria operazione, che forse ha segnato anche un momento importante di una certa crisi centrifuga del blocco democristiano.

Probabilmente, in questo intreccio, neppure la procura militare ha assolto una funzione specifica. Ha creduto di giocare il suo ruolo specifico, il suo ruolo "filogolpista", filopoliziesco, ma probabilmente ha finito col giocarne uno diverso, nelle mani di altri. Ma comunque se questi sono stati i meccanismi caratterizzanti il caso ed il "processo" Margherito, come possiamo chiamarlo un processo? E' stata forse una farsa, comunque altro...

Tutti i dati, emessi nel processo di illegalità costituzionale, la pervicacia nell'appropriarsi di un processo di competenza del giudice ordinario, ecc., sono stati elementi occasionali della operazione; e nello stesso tempo sono diventati così macroscopici da non obbedire più alla loro logica; insomma questo non è stato un processo, ripeto. Non si può dire che lo Stato ha misurato con la "sua" legalità il comportamento di Margherito: questo aspetto, ripeto, è stato un dato puramente formale.

Direi che il processo Margherito non è servito nemmeno per dare una certa soddisfazione alla destra, ma per provocare la sinistra ed insieme cercare di metterla in difficoltà nel momento in cui si muoveva in difesa di Margherito; e nello stesso tempo per mettere in difficoltà quella parte del governo che ha bisogno di andare d'accordo con la sinistra.

"Che significato ha avuto, in questo contesto l'iniziativa di Pannella?"

L'impenetrabilità del tribunale alla ragione, alla legge e alla costituzione, non è stato tanto l'impenetrabilità risultante da un diverso dato ideologico quando bene o male resta l'obbligo del confronto della ragione; è stata una impenetrabilità strumentale: qui si è avuto proprio una strumentalizzazione del processo. Si era, ripeto, sul piano del non processo. Stando così le cose, la stessa difesa rischiava di cadere in un sospetto di complicità; oggettivamente, se non soggettivamente. Nel processo Margherito non si trattava più di "smontare" l'accusa: l'accusa stessa era strumentale...

Così, anche noi difensori, o almeno io, la sensazione l'abbiamo avuta, di stare al gioco della controparte, anche nel momento in cui, secondo la tradizione del processo politico, facevamo un processo di attacco. Era la stessa controparte che voleva questo tipo di processo, per creare, per mettere in piedi un grosso scontro ideale, politico: sempre per quei bassi meccanismi all'interno del regime, che si voleva mettere in moto. Io, come difensore, ho cercato di fare un processo in cui venisse fuori non il caso Margherito, ma il caso del Tribunale Militare, della Procura, di questi intrighi insomma: però in realtà, nessuno lo poteva fare, se non nei termini in cui l'ha fatto Marco Pannella. In senso pieno, questa reazione, questo vaffanculo, doveva venire dall'esterno del processo, dal pubblico, non dall'avvocato, dall'interno del processo...

"Hai parlato di "provocazione" nei confronti della sinistra. Puoi spiegare meglio?"

Ma sì! Basta pensare che per costruire il processo su questa finalità "provocatoria" si sono fatte cose apparentemente illogiche, persino apparentemente ingenue, se non fossero state invece grossolane; guarda per esempio la faccenda dell'imputazione di diffamazione a mezzo stampa. Che necessità c'era, sapendo che essa avrebbe scatenato la eccezione sulla giurisdizione? Ma serviva, come pare abbia detto Cossiga a Bertoldi, a creare questo dato di confusione: "Ma che andate a rompere i coglioni, a difendere un ufficiale di Lotta Continua!". Si voleva creare un dato di questo genere, un meccanismo di questa fatta: prima si crea il problema dell'ufficiale accusato di attività sindacale, poi però si fa emergere che è anche di Lotta continua... Non è un caso che questo fatto è uscito fuori durante il processo.

E poi si complica ancora il quadro: come dire badate, voi della sinistra, è anche un fascista, uno che usa le armi improprie, illecite, le fionde! Riemerge il fantasma degli opposti estremismi, si mettono in imbarazzo insieme Andreotti, il governo dell'astensione, la sinistra, ecc.

"Pensi che l'obiettivo che l'Istituzione si riprometteva è stato conseguito, o si è dissolto fra le mani?"

Riuscito l'obiettivo? Beh, il fatto che il processo ormai si è trasferito, nemmeno sul II Celere, ma proprio sul tribunale, ha fatto fallire l'operazione. E' il tribunale militare che è stato inchiodato al processo, anche o proprio dal vaffanculo di Pannella...

"E ora, da deputato e non più da avvocato, come giudichi quello che è successo in Parlamento?"

Mi pare che il Parlamento abbia dimostrato incapacità di reazione rispetto ad dati politici emergenti nel Paese. Se è vero - come io sono persuaso sia - che questo processo sta al governo delle astensioni come il processo Jannuzzi, De Lorenzo, Espresso stava al centrosinistra, beh allora il Parlamento non ha proprio colto i termini della questione, così come il Parlamento di allora non seppe cogliere i termini di quell'altro processo.

E' ridicolo che il Parlamento discuta per sapere se i tribunali devono essere trattati a vaffanculo come ha fatto Pannella o se devono essere rispettati. Se vai a dire a Pannella "Ma guarda, che non devi dire vaffanculo, bada che quello è un tribunale, non devi comportarti in quel modo", allora sei fuori strada. Pannella queste cose non le sa? Il problema era un altro, era di andare a vedere se quello lì, di Padova, era davvero un Tribunale, o no... Bisognava capire - ma il Parlamento non l'ha capito - che il nocciolo della questione era il processo che il Tribunale Militare faceva, ha fatto a se stesso, creando quantomeno il presupposto perché il processo al Tribunale militare fosse fatto. Questo però non è stato capito da nessuno, nemmeno da Eliseo Milani, da Democrazia Proletaria. E Ingrao sbagliava, quando avvertiva di "stare alla questione" e ripeteva "non discutiamo del caso Margherito", eccetera. Il problema era non di discutere il caso Pannella, ma quello del Tribunale di Padova. Questo era il punto

centrale della questione.

"Che influenza ha avuto, a tuo avviso, il processo Margherito, sul futuro dei Tribunali Militari? Li ha condannati definitivamente?"

Penso che il risultato è che i Tribunali Militari non sono ancora morti, neppure condannati, ma sotto processo, sì. Avvisaglie se ne erano avute già, in precedenza, l'opinione pubblica ha avuto sotto gli occhi non tanto questioni tecniche, di costituzionalità di questi Tribunali rispetto all'obiettore, al soldato, ecc., ma proprio il problema del dolo del tribunale; è il tribunale in sé che è un "fatto doloso". Le questioni di costituzionalità e le altre sono state per la prima volta inquadrate nel dato morale - di innocenza o colpevolezza - del tribunale in quanto tale.

"Conseguenze politiche a breve termine?"

Vediamo innanzitutto le conseguenze politiche secondo la logica del processo stesso: per quello che riguarda l'immediato, come ammonimento per esempio ai sindacalisti della polizia, può aver avuto un risultato; ma direi che questo è rimasto contenuto e limitato, proprio per la virulenza della reazione al Tribunale e al suo comportamento. In secondo luogo: ha creato questo processo, difficoltà al governo Andreotti, ai suoi rapporti con i comunisti, con la sinistra? Mah! Non lo so, dipende, irritazione certamente l'ha creata. In fondo, un ammonimento per i comunisti c'è stato, l'ammonimento che non basta stabilire il rapporto con il governo, avere il riconoscimento formale dal governo; cioè Andreotti può aver dato la misura di una certa debolezza rispetto ai dati profondi del regime. E' più chiaro, ora, che Andreotti rappresenta, sì, il governo, ma non la sfera tradizionale del potere democristiano nella sua interezza. Si tratta di vedere cosa questo significhi per i comunisti...

Ad Andreotti è stato detto in sostanza: "Bada, che se fai il compromesso storico, lo fai tu, ma non rappresenti tutti noi, non sei l'interlocutore vero".

Facciamo il parallelismo con il processo De Lorenzo, Jannuzzi, Espresso, che portò i socialisti più a destra, su posizioni più arretrate rispetto a ciò che volevano fosse il centro-sinistra: lo ricordiamo no? per la paura del Colpo di Stato, ecc. Beh, penso che il Partito Comunista abbia oggi sentito in una certa misura anche il peso di certi dati emersi dal processo Margherito. La finalità era anche questa, l'ammonimento che si voleva dare era questo.

Semmai, ripeto quello che ho già detto, che in certa misura il processo ha dimostrato che il potere democristiano, nel momento in cui viene a contatto con la sinistra ed i comunisti per il compromesso storico, appare più frazionato, preso in una spirale centrifuga, non compatto; non va all'incontro coi comunisti legando tutto quello che usualmente rappresentava: le "cosche" del potere si sono misurate anche tra di loro: gli ambienti militari, qui si sono in parte dissociati dalla DC, hanno agito in proprio.

(Per questo servizio sono stati utilizzati: 1) gli atti dell'istruttoria, 2) la registrazione degli atti processuali contenuta nel libro "La polizia non ringrazia. Il 2· Celere da Genco a Margherito" (editore Arcese, Padova) in libreria alla metà di ottobre. Il libro è stato curato da Valentino Giacomin e Fabio Frongia della redazione di "Nordest", settimanale di contro-informazione delle Venezie, con la collaborazione dei compagni radicali e di "Radio Vicenza".)

 
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