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Pannella Marco - 30 ottobre 1976
L'INVETTIVA
intervista a Marco Pannella

SOMMARIO: Pannella sostiene che la sua dichiarazione al Presidente del Tribunale militare di Padova del 27 ottobre 1976 sul processo Margherito deriva dal fatto che si stava assistendo ad un'esecuzione annunciata; l'unico elemento di novità era rappresentato dal mancato impegno comunista, sul quale pure si contava. La durezza della sua dichiarazione, sembrata a molti ecccessiva, serviva ad evitare immediati colpi di mano contro Margherito. L'accusa ai giudici militari di attuare un disegno sovversivo della legalità repubblicana è giustificata dal fatto che essi hanno "rapinato" alla Corte costituzionale le sue naturali funzioni, sostenendo la manifesta infondatezza di eccezioni contro l'ordinamento e i codici militari.

(PROVA RADICALE, ottobre 1976)

"Perché hai ritenuto necessario questo tuo intervento politico sul processo Margherito, e perché in questa forma?"

Perché lo svolgimento del processo stava approvando in modo clamoroso e preoccupante la fondatezza dei sospetti per i quali avevamo imposto (diciamolo pure, in gran parte da soli) una vasta mobilitazione di massa e di opinione pubblica sul caso Margherito. Stavamo insomma assistendo ad un'esecuzione e dovevamo constatare che ci eravamo sbagliati su una sola delle nostre previsioni: quella cioè per la quale contavamo su un adeguato impegno comunista, sia in Parlamento che nel paese, almeno sull'ultima fase processuale. In particolare il Pci aveva consentito la latitanza del ministro Cossiga, ben presto divenuto il super-regista di questa squallida operazione fascista, facendo mancare la richiesta di convocazione della commissione interni, sulla quale pure eravamo riusciti a ottenere non solo l'assenso socialista ma perfino quello repubblicano e liberale. Il comportamento del pubblico ministero e del tribunale mi aveva alla fine convinto che c'era il rischio di una condanna secca a due anni, che avrebbe compor

tato l'automatica radiazione di Margherito della polizia. Noi conosciamo bene, al contrario dei vertici comunisti che in questa vicenda si sono fatti turlupinare anche da chiacchiere dei corridoi del sottopotere, la giustizia militare. Quando conducemmo nel processo Cicciomessere una battaglia giudiziaria e politica di durissimo attacco contro giustizia e magistrati militari, tutti pronosticavano una "condanna esemplare" contro Roberto; invece ebbe il minimo delle pene fino allora comminate. A questo punto c'era poco da scegliere nei tempi e nei modi, dovevamo ricordare a quei signori che il loro essere parte, e parte fascista, contro la Costituzione e chi la difende, non era nozione riservata di ideologhi marxisti, ma convinzione di militanti, di democratici e perché no, di parlamentari della Repubblica. E dovevamo farlo da democratici, coinvolgendo l'attenzione e il giudizio di quanti più cittadini possibile. Sono convinto che l'azione ha sortito il suo effetto; che, anche per la durezza dell'intervento ra

dicale, Margherito sia per il momento al coperto da altri immediati colpi di mano che erano già pronti per radiarlo subito dalla P.S. Il dibattito parlamentare ha inoltre scoperto il ministro Cossiga che ora s'affanna a cercare altri avalli e complicità con commissioni d'inchiesta e altre storie del genere per evitare che dal "caso II celere" si passi al "caso ministro degli interni e governo".

"La prima frase della tua dichiarazione è sembrata a molti troppo grave".

Proprio quella proposizione, invece, è ampiamente collaudata da tutti i gradi della magistratura italiana. Nove anni fa, in occasione del processo Braibanti, dovemmo compiere un atto simile per sottrarre alla violenza fascista delle istituzioni il compagno Braibanti. Allora iniziai una sorta di lettera aperta al tribunale scrivendo testualmente: "Se chi viola la legge delinque, il presidente Falco è stato un delinquente...".

Su quello scritto ci sono stati molti processi, ma in nessuno si è giunti a negare la liceità non solo morale ma giuridica di quell'enunciato. Ora, che quei militari e pretesi giudici, testimoniassero la legge secondo il loro sporco comodo politico, non mi pare sia stato messo in dubbio da molta gente. Anche i giornali "borghesi" a grande maggioranza, e sia pure solo col cinismo della semplice constatazione, su questo punto non erano in disaccordo con i nostri giudizi e valutazioni.

"Perché accusi i giudici di attuare un disegno criminale e sovversivo della legalità repubblicana?"

I giudici militari, non solo in privato ma anche in scritti giuridici o addirittura in sentenze, hanno sempre riconosciuto la palese non aderenza alla Costituzione dell'ordinamento e dei codici militari di pace. Ma ogni volta aggiungevano che spetta al Parlamento superare questa situazione; non mancando naturalmente di cogliere l'occasione per manifestare così, con un alibi di sapore democratico, il loro connaturato antiparlamentarismo. La verità invece è che esistono due strumenti di adeguamento costituzionale. Il codice Rocco, ad esempio, non è stato smantellato dal Parlamento, ma è stato quanto meno intaccato seriamente da una serie di sentenze della Corte costituzionale, alla quale i giudici ordinari hanno rimesso, per "non manifesta infondatezza", il giudizio di costituzionalità su molte norme del codice penale. E' questo il punto: i giudici militari hanno "rapinato" alla Corte costituzionale le sue naturali, necessarie competenze e funzioni. Hanno sempre sostenuto, non - si badi bene - la "costituziona

lità" dei tribunali militari (cosa che non spetta loro), ma addirittura la "manifesta infondatezza" di eccezioni contro norme dell'ordinamento e dei codici militari unanimemente ritenute dalla scienza giuridica quanto meno "manifestamente fondate". A parte questo, il tribunale militare di Padova si è sostituito ad altro organo legittimo in una funzione giudiziaria di estrema importanza e delicatezza. Figuratevi perciò se non aspetto con allegria un processo in cui mi sia consentito dimostrare che a Padova "ho inveito" contro un gruppo di persone che avrebbe dovuto essere un tribunale e che invece si associava per rapinare leggi e diritti, cioè per delinquere.

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"La dichiarazione inviata da Marco Pannella al Presidente del tribunale militare di Padova il 27 settembre."

Se chi viola la legge delinque, i giudici del Tribunale militare di Padova sono, qui ed oggi, dei delinquenti di cui è necessario interrompere la flagranza del delitto. Se il militare che tradisce il suo giuramento di fedeltà alla Patria è un traditore, gli ufficiali del Tribunale di Padova sono dei traditori, dei soldati felloni. Da troppo ci siamo assuefatti a subire come ineluttabile un unico disegno criminoso che costituisce e realizza un pericoloso attentato alla sicurezza dello Stato, alla Costituzione, alla Repubblica. Occorre interromperlo prima che la violenza militarista che fa strage di legalità faccia una nuova vittima.

Diciamo alto e forte che sostenere la manifesta infondatezza di tutte le eccezioni di incostituzionalità presentate in trent'anni contro i codici militari di pace non è altro che atto politico doloso, di parte, che senza una sia pur minima possibilità di dubbio è volto a realizzare un disegno criminale e sovversivo della legalità repubblicana. Questo in particolare ha compiuto e compie il Tribunale Militare di Padova. Quando - poi - in smaccato dispregio della legalità si emettono ordinanze come quelle, antigiuridiche, che hanno impedito la incriminazione del direttore responsabile di "Lotta continua" pur di poter continuare a sequestrare la libertà e i diritti del capitano Margherito, ci si trova dinanzi ad una manifestazione di protervia delinquenziale. Tutti sanno che se queste cose le avessi pensate da semplice cittadino le avrei proclamate: da deputato non posso che fare altrettanto. Tutti sanno che se da semplice cittadino avessi dovuto farmi carico di cercare di interrompere un atto di delinquenza e d

i violenza lo avrei fatto: non posso dunque non tentare di farlo anche da deputato.

Dietro il Tribunale Militare di Padova, questa volta, per realizzare quest'atto di violenza fascista c'è anche, e manifesta, una precisa responsabilità di membri del governo: il ministro Cossiga, prima di ogni altro. Nella sede opportuna dovrà risponderne.

Naturalmente, per quanto riguarda le mie accuse al Tribunale Militare di Padova, chiedo e sollecito la necessaria incriminazione e dichiaro sin d'ora che in nessun caso accetterei di esser coperto dall'immunità parlamentare.

 
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