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Notizie Radicali - 21 aprile 1977
Obiettivo 1 milione di firme
Il 7 e 8 Maggio Congresso Straordinario

SOMMARIO: Alla vigilia del Congresso straordinario del Partito Radicale (Roma, 7-8 maggio 1977) si analizza la strategia degli atti di terrorismo che insanguinano l'Italia e che sembrano avere un unico obiettivo, come nel 1964 con il "preteso" golpe De Lorenzo, quello di piegare i partiti della sinistra al più basso livello di "accordo programmatico" per il sostegno del governo. "I referendum sono l'unica arma costituzionale, di legalità repubblicana, nonviolenta, di democrazia diretta, di massa di cui si possa disporre per dare una risposta alternativa a questi processi politici perversi e ormai pericolosissimi e drammatici; per stabilire una trincea, una barriera di democrazia contro questi disegni e queste strategie di regime".

(NOTIZIE RADICALI n. 87, 21 aprile 1977)

Quello che abbiamo convocato per il 7 e l'8 di maggio a Roma, non è un congresso organizzativo, è necessariamente un congresso di eccezionale e straordinario impegno politico.

Lo è per la natura stessa dell'iniziativa referendaria di massa che abbiamo intrapreso e per le conseguenze che potrà avere e senza alcun dubbio avrà sugli equilibri e sugli sviluppi politici della legislatura se avrà successo, o altrimenti avrà sul futuro e le prospettive della politica radicale se si concluderà con una sconfitta.

Lo è però anche per i motivi drammatici che l'attualità ci impone ancora una volta: ieri un agente ucciso e un altro moribondo negli scontri dell'università di Roma; quindici giorni fa il rapimento a Napoli di Guido De Martino.

L'agente morto e l'altro moribondo sono stati rispettivamente uccisi e feriti nel corso di incidenti e scontri con gruppi di studenti che hanno irresponsabilmente deciso di seguire e assecondare chi ha scelto da tempo la politica del sangue e del terrore, della spirale della violenza e del disordine. Questi gruppi assecondano la politica di criminalizzazione del dissenso compiendo scelte criminali prima che ancora che per la loro natura intrinseca (le P38 e le bombe) per l'oggettività omogeneità alla violenza delle istituzioni e per le conseguenze che hanno sull'intero movimento.

Guido De Martino, sembra, non è stato sequestrato né da brigate rosse e nuclei proletari, né da bande nere, ma da una banda dei sequestri che chiederebbe cinque miliardi di riscatto.

Qualcuno può mettere in dubbio il nostro sgomento di fronte alle vittime di Roma, e la nostra condanna per chi porta o consente che siano portate a queste conseguenze le proprie scelte (e i propri errori) del ricorso ai metodi violenti? Qualcuno può pensare che non siamo totalmente solidali con Guido De Martino e con la sua famiglia?

Ma questo in cosa muta il giudizio politico su queste vicende? A chi giovano le nuove vittime di Roma? Per il fatto che è stato compiuto da una "normale" banda dei sequestri, il sequestro di De Martino perde forse ogni connotazione e significato politico?

Non siamo stati noi a sostenere che è un'unica mano a guidare questi fatti, questa strategia che è stata definita "della tensione e della provocazione". E' stato uno dei maggiori e più autorevoli dirigenti socialisti, il più direttamente colpito dal rapimento, ad affermarlo. Che questa mano oggi si serva di qualche circolare Malfatti, di qualche esame di latino, delle P38 cui inneggiano gli studenti piuttosto delle pistole di ordinanza o di sicari fascisti, che si serva di qualche mafia calabrese o calabro-americana invece che di organizzazioni politiche clandestine, dimostra solo che la strategia è divenuta più complessa, più pericolosa e più articolata, e che gli strumenti di cui si avvale, l'habitat di disperazione e di disgregazione istituzionale e di classe su cui può operare sono profondamente diversi, più vasti e ancora meno sondabili di ieri. Ma la mano è la stessa, gli scopi a cui mira sono gli stessi.

Ricompare Moro e, come nel 1964 (preteso "golpe" di De Lorenzo), accadono fatti di questa natura. Allora si trattava di piegare il partito di Pietro Nenni alla politica del blocco delle riforme. Oggi si sta trattando, mediatore il PSI di Bettino Craxi, lo "accordo programmatico" con il PCI. In politica, come nei romanzi gialli, non è lecito credere alle coincidenze.

Di fronte a quello che accadde la sinistra rinuncia perfino ad effettuare un dibattito parlamentare sull'ordine pubblico, collabora con la DC alla paralisi, alla disattivazione dei meccanismi del controllo parlamentare e del confronto democratico. Rischia di essere una politica folle e suicida.

I referendum sono l'unica arma costituzionale, di legalità repubblicana, nonviolenta, di democrazia diretta, di massa di cui si possa disporre per dare una risposta alternativa a questi processi politici perversi e ormai pericolosissimi e drammatici; per stabilire una trincea, una barriera di democrazia contro questi disegni e queste strategie di regime; per ricostituire una forza contrattuale, dal basso, che possa essere di nuovo utilizzata domani da tutta la sinistra e che valga, per tutti, per le masse, per la stessa democrazia, per le basi e per gli stessi vertici del PCI e del PSI come una polizza di assicurazione contro i rischi dei loro errori, contro il prevedibile disastro e fallimento delle scelte che ostinano a compiere.

Altri non ve ne sono. E chi come i compagni del "Manifesto", ha scelto di non appoggiare i referendum, ha scelto anche di collaborare a queste politiche fallimentari.

E' questo il quadro politico che abbiamo davanti. I compagni devono esserne consapevoli, almeno quanto lo sono il regime, i suoi scagnozzi e sicari che si annidano nelle istituzioni e negli organi di informazione di massa, i vertici degli altri partiti che si oppongono in ogni modo al nostro progetto. Mille firme in meno raccolte in un giorno, quali che ne siano le giustificazioni, sono un successo per la politica del regime e un insuccesso non della politica radicale ma della politica di alternativa di sinistra al regime.

Con i referendum non stiamo raccogliendo le firme per lo scioglimento del MSI-Dn, di cui poi nessuno ha più sentito parlare; stiamo cercando di mettere in atto un istituto costituzionale che condizionerà gli avvenimenti politici dei prossimi anni. I Barbato, che si comportano dai loro telegiornali come cani da guardia dell'informazione di regime della sinistra, i rappresentanti degli altri partiti nella commissione di vigilanza sulle radiodiffusioni, le amministrazioni comunali che ci negano l'autorizzazione all'occupazione di suolo pubblico, i presidenti di tribunale che si oppongono all'uscita dei cancellieri, quei quadri del PCI che si preoccupano di coprire subito i nostri manifesti, queste cose le sanno benissimo.

Contro queste difficoltà dobbiamo raggiungere non il mezzo milione richiesto dalla legge, ma almeno un milione di firme moltiplicate per otto referendum. Superare queste difficoltà, risolvere i problemi che abbiamo di fronte, battere le resistenze e gli ostacoli che ci vengono opposti, è il nostro compito politico oggi. Il congresso straordinario è lo strumento più idoneo di un partito libertario per affrontarlo collettivamente, nel vivo della lotta.

 
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