di Angiolo BandinelliSOMMARIO: il progetto Thirring (1964) per il disarmo unilaterale dell'Austria viene ripreso dai radicali per l'Italia.
Nel giro di poche settimane 400 comuni aderiscono a questa proposta, rivelatrice della divergenza politica tra radicali, comunisti e cattolici-pacifisti, che erano impegnati a favore del disarmo. Intanto nel clima dell'antimilitarismo degli anni '60, nasce una bimba di belle speranze: la "nuova sinistra" internazionale.
(ALTERNATIVA NONVIOLENTA, 1· settembre 1977)
La "lotta per la pace" è stata per anni - prima che l'ondata di lotte per l'indipendenza e rivoluzioni nazionali del Terzo Mondo culminata emblematicamente nella guerra vietnamita provocasse laceranti mutamenti di prospettiva - terreno privilegiato di dibattito e di mobilitazione popolare per la sinistra italiana ed europea. Per buona parte - va ricordato - il tema, emotivamente suggerito su generazioni ancora stremate dal conflitto mondiale, si stemperava largamente in slogan populistici, dietro ai quali s'infiltrava una politica tesa alla conservazione e al consolidamento dello "status quo" (annessioni territoriali e nuovi confini) uscito dal conflitto e sancito dagli accordi tra le grandi potenze. Questa linea, tutta propagandistica, si incarnò nell'organizzazione dei "Partigiani della Pace" legata ai partiti comunisti, e suscitò iniziative di raccordo tra gli obiettivi della realpolitik e le esigenze e timori elementari presenti nelle grandi masse; i toni non erano diversi da quelli che riaffiorano nel d
ibattito sulla bomba al neutrone aperto in questi giorni su l'"Unità" dall'intervento di Raniero La Valle, con la sua carenza di concretezza, di rilievo politico e di prospettiva.
Ma le discussioni e le lotte "per la pace" di quegli anni - investendo problemi quali gli armamenti nucleari e la loro deprecata proliferazione, il disarmo nucleare e convenzionale, il superamento dei blocchi, il "no" alla NATO, il neutralismo e il disarmo unilaterale, il ruolo delle Nazioni Unite e la responsabilità della scienza ed infine i modelli dell'azione e della lotta, con iniziative nazionali ed internazionali che andavano dall'azione diretta e singolare contro i "tests" atomici alle grandi Marcie antinucleari promosse dal Comitato dei 100 in Gran Bretagna - furono anche momenti e gradini della crescita di una linea politica nuova ed originale, dalle molte facce e dagli obiettivi sempre più complessi. Mentre anche su questo terreno si veniva esaurendo la capacità delle forze socialiste storiche ad avanzare proposte credibili e valide (il neutralismo nenniano e del PSI fu segno di una irreparabile vacanza di idee e di impegno) è invece possibile affermare che la "nuova Sinistra", nella sua grande acc
ezione internazionale, nacque proprio all'interno di quel dibattito e su quei temi. In un lento e faticoso maturare di convergenze, si incontravano e si affiancavano, non solo per un comune atteggiamento pragmatico, ma anche dietro rivoluzionarie analisi, i nuovi "nonviolenti" che ribaltavano il significato del pacifismo (fino a quel momento prigioniero della matrice integrista religiosa e gandhiana) e i primi militanti per i "diritti civili": negli Stati Uniti, anche i negri che uscivano dai ghetti e gli studenti dei grandi "campus" della California. Una generazione politica nuova inventava nuove analisi, nuove proposte e nuove battaglie; con rispondenza minore nei paesi latini d'Europa, dove la contrastavano ideologie variamente marxiste o ferrei dogmi di partito, maggiore in quelli anglosassoni e negli Stati Uniti, dove si cominciò a coagulare quel fronte interno di "renitenti" e di "dissenzienti" (l'"Altra America") cui si deve in primo luogo la sconfitta statunitense in Vietnam.
Sia sul piano internazionale che in Italia, le forze che così si sviluppavano su questa linea di nuovo "antimilitarismo" e "pacifismo militante", si scontrarono con la politica delle organizzazioni legate alla sinistra tradizionale e soprattutto al PC. Ciò avvenne in sedi come la "Conferenza Mondiale per il Disarmo (Mosca, 1962) o nella quasi contemporanea "Consulta Italiana per la Pace dove, accanto ai comunisti, erano presenti i radicali, pacifisti religiosi quali Capitini, e nuclei di obiettori già abbastanza politicizzati. Ciò che Partigiani della Pace e comunisti vedevano con preoccupazione e non potevano accettare era il fatto che la simbolica "costruzione della pace" diventasse piuttosto una linea "politica" fortemente rilevata, capace di individuare e perseguire obiettivi di grande prospettiva, con la contestuale rivendicazione di una organizzazione (anzi di sue organizzazioni) autonoma dai partiti e dalle loro politiche, di cui si vedeva bene e si criticava l'insufficienza rispetto agli scopi procla
mati e soprattutto la strumentalità. Questa politica si risolveva in un "pacifismo", radicale nelle analisi, nelle proposte e nei metodi, che portava alla conseguente, esplicita, condanna degli eserciti in quanto tali e del militarismo. Di questo si venivano mettendo sempre meglio a fuoco le responsabilità strutturali nel determinare sia la tensione internazionale che le politiche interne di repressione: all'est non meno che all'ovest, come avrebbe di lì a poco dimostrato il caso della Cecoslovacchia. La tesi più conseguente divenne: "Tutti gli eserciti sono neri".
In Italia, le posizioni di "Nuova Sinistra" si incontrarono con la linea del Partito Radicale dopo il 1962. Questo non aveva bisogno di "importarla". L'aveva delineata su una propria, autonoma e precedente, elaborazione teorica che comportò, "proprio su questo terreno", il definitivo confronto e distacco dall'equivoco neo-liberale e moderato. Perciò il dibattito con il PCI fu in questi anni, per il Partito Radicale, non secondario. Ne vennero messe in luce, forse per la prima volta con chiarezza, le innegabili diversità di fondo sulla prospettiva della costruzione del socialismo. La lotta per i diritti civili metteva qui a fuoco la sua "storica" necessità, come difesa del cittadino contro la "violenza" primaria dello Stato ottocentesco e la sua prima arrogante (ma sempre più storicamente, vuota) pretesa, quella di condizionarlo alla guerra e a tutta una serie di "ideali" e di "fedeltà".
Nell'ambito di questo confronto si colloca anche l'iniziativa politica dell'"Appello Thirring".
Nella primavera-estate del 1964, lo scienziato e senatore socialdemocratico austriaco Hans Thirring sottoponeva al Parlamento del suo Paese la proposta di "abolizione dell'esercito", e quindi di adesione ad una prospettiva di "disarmo unilaterale", totale e controllato. Thirring non parlava dei banchi dell'opposizione, ma dell'interno della maggioranza governativa. La proposta costituiva il primo esempio di richiesta di "disarmo strutturale", che avrebbe necessariamente comportato la conversione delle strutture militari in strutture civili di servizio. Aveva anche il pregio, che in Italia i radicali sottolinearono, di mettere allo scoperto un problema di primaria importanza per la comprensione delle strutture profonde delle attuali società e degli attuali stati. I fatti del decennio successivo hanno tutti confermato che "è a partire dalle società comuniste non meno che da quelle capitaliste (come scrissero i radicali nel presentare la proposta Thirring) che il problema della abolizione delle strutture milita
ri, come pilastro della società e dello Stato, deve essere posto da quanti ritengono che non possa più essere rinviata indefinitamente la realizzazione di una nuova società socialista, attraverso sempre più radicali metodi e strutture di libertà".
Perché avesse successo era necessario promuovere attorno al progetto del senatore austriaco dibattito e interesse delle forze politiche. Anche in Italia, uno dei paesi più coinvolti: tra le condizioni richieste da Thirring, accanto alla garanzia delle N.U., vi era infatti l'accordo dei Paesi confinanti, i quali si dovevano impegnare a ritirare le loro truppe a una distanza determinata dai confini della Repubblica austriaca.
In collaborazione con il "Comitato per il Disarmo Atomico e Convenzionale dell'Area Europea" (sorto alla fine del 1962 per iniziativa soprattutto di radicali) il Partito Radicale rivolse, ai pacifisti ma anche a "coloro che non sono pacifisti", un appello per "aiutare ed accelerare il corso di realizzazione del progetto Thirring". L'appello fu diffuso a poche migliaia di copie, una dimensione esigua e inadeguata, ma imposta dagli scarsi strumenti finanziari a disposizione. In particolare, venne inviato a tutte le Amministrazioni comunali.
Il momento non era favorevole; in Francia, militarismo e nazionalismo gollista prendeva quota (e i radicali lo indicavano come il vero pericolo per l'Europa democratica, molto più che non il militarismo tedesco, su cui si appuntava invece la polemica PCI); ma soprattutto, l'Italia subiva il travaglio della crisi del Sud Tirolo, dove l'oltranzismo filotedesco "inventava" per la prima volta la pratica di far saltare i tralicci dell'alta tensione, e si scontrava con la repressione di stampo militare del governo italiano. Ma nonostante tutto la risposta fu sorprendente; in poche settimane oltre quattrocento Consigli comunali, in maggioranza democratici e di regioni "rosse", aderirono, con deliberazioni ufficiali (in larga misura prese all'unanimità), e si associavano anche, come proponenti e promotori. In qualche caso l'autorità tutoria si oppose e annullò la deliberazione. Alle adesioni dei Comuni si unirono migliaia di firme di cittadini, in quella che fu probabilmente la prima iniziativa di massa promossa dal
Partito Radicale. Tra le firme, fu sorpresa individuare quella di Vittorio Vidali, il "duro" esponente del comunismo degli anni '30, ancora a capo - quasi feudo personale - della Federazione del PCI di Trieste.
Per molte ragioni (l'assoluto silenzio della stampa, "indipendente" o di partito, l'impossibilità di incanalare queste adesioni in precisi meccanismi istituzionali come avvenne poi con i referendum, l'indifferenza o l'ostilità dei partiti persino al dibattito, ecc.) l'iniziativa era comunque destinata all'esaurimento, che si verificò dopo alcuni mesi. Ma essa aveva dimostrato come sentimenti di pace (e d'ordine) fino allora strumentalizzati in generiche ed inutili manifestazioni, potevano invece dare origine a risposte significative anche per lo strumento istituzionale praticato; e che era, inoltre, possibile, per forze politiche non dotate di grandi mezzi e di burocrazie d'apparato, avvicinare strati diversificanti e non marginali di popolazione.
Le illusioni della "rivoluzione armata" stanno ormai cadendo un po' dovunque. Ma nel contempo la situazione storica del confronto tra Stati e cittadini si è anch'essa, dovunque, gravemente deteriorata. Risorgono minacce di guerra, il riarmo assume, soprattutto in certi paesi emergenti, aspetti grotteschi di assunzione, a solo scopo distruttivo, di tecnologie che si è incapaci di produrre e indirizzare in altri campi. In Europa il nazionalismo ha persino la pretesa di accaparrarsi l'energia nucleare, senza un minimo di controllo e gestione sovranazionale. L'assetto capitalistico e mercantile minaccia nuove crisi.
Nessuno dunque più riprenderà l'appello di Thirring? Eppure, quanto egli dichiarò in una intervista alla Agenzia Radicale è ancora vero (soprattutto dopo l'esperienza cecoslovacca): "Esistono stati troppo deboli per opporre efficace resistenza in un conflitto di vaste dimensioni. Se essi potranno rendersi conto (...) che la situazione mondiale nell'era atomica presenta la possibilità di vivere in pace anche disarmati e per giunta con vantaggi economici, alcuni di loro seguiranno quest'esempio. In tal modo si potrà raggiungere l'obiettivo (...) che l'azione per il disarmo, che non è riuscita a smantellare i vertici degli armamenti, giunga a mettersi in moto dal basso.