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Archivio Partito radicale
Teodori Massimo, Ignazi Piero, Panebianco Angelo - 1 ottobre 1977
I NUOVI RADICALI: (3) La campagna per il divorzio
di Massimo Teodori, Piero Ignazi, Angelo Panebianco

SOMMARIO: L'interpretazione storica del Partito Radicale fondata sulla ricostruzione delle diverse fasi della vicenda radicale dal 1955 al 1977.

INDICE GENERALE

"Premessa degli autori"

Parte prima

STORIA DEL PARTITO RADICALE

I Dai Vecchi ai nuovi radicali

1 Il primo Partito Radicale (1955-1962)

2 Il centro-sinistra e l'ottimismo tecnocratico del benessere

3 Le nuove opposizioni in Europa

4 L'eredità del movimento goliardico

5 La sinistra radicale

"Note"

II La solitudine di una minoranza

1 La faticosa ripresa del nuovo gruppo

2 L'»Agenzia Radicale e le sue battaglie: Eni, assistenza, scuola

3 Unità e autonomia: si configura il conflitto con la vecchia sinistra

4 I radicali di fronte alle proposte di unificazione della sinistra

5 L'isolamento di una cultura politica diversa. Verso il congresso di rifondazione (1964-1967)

"Note"

III La campagna per il divorzio

1 La nascita e lo sviluppo del movimento divorzista con la Lid

2 Il movimento popolare e l'azione di pressione sul parlamento

3 Dal divorzio al referendum

4 I radicali nel movimento divorzista: significato politico generale

"Note"

IV Un partito alla ricerca di se stesso. Dal congresso di rifondazione (1967) a quello di rilancio (1972)

1 Attraverso il sessantotto

2 Le nuove iniziative: giustizia, sessualità, Concordato, liberazione della donna

3 Con antimilitarismo e obiezione di coscienza una caratterizzata presenza militante

4 I radicali e il sistema politico dalle elezioni del '68 a quelle del '72

5 Le difficoltà del partito verso il Congresso di rilancio (Torino 1972)

"Note"

V Con i diritti civili l'opposizione al regime

1 Dopo il rilancio, si moltiplicano le iniziative con un partito assai fragile

2 Gli otto referendum e il referendum sul divorzio

3 L'estate calda del 1974: la battaglia per l'informazione porta Pannella in Tv

4 I radicali di fronte alla »questione socialista

"Note"

VI Per una rivoluzione democratica

1 Azione diretta e azione popolare per l'aborto

2 Ancora sui diritti civili prende forma il partito federale. La carta delle libertà

3 Con le elezioni del 20 giugno 1976, i radicali in Parlamento

"Note"

VII Nel paese e nel Parlamento

1 Una minoranza in Parlamento

2 Il progetto referendario come progetto alternativo

3 Il conflitto tra comunisti e radicali

4 I motivi di vent'anni di storia radicale

"Note"

Parte seconda

ELETTORATO, MILITANTI, MOVIMENTO: UNA INTERPRETAZIONE SOCIOLOGICA

I I militanti radicali: composizione sociale e atteggiamenti politici

1 Premessa

2 La composizione sociale

3 I radicali e il Partito

4 Atteggiamenti politici generali

5 Il profilo socio-politico

6 Conclusioni

"Note"

II Il voto radicale nelle elezioni del 20 giugno 1976

1 Le caratteristiche generali del voto

2 Un consenso elettorale urbano

3 Un voto d'opinione

4 Le preferenze: la concentrazione su Pannella

5 Analisi di un caso: la Toscana

6 Considerazioni conclusive

"Note"

III Dalla società corporativa ai movimenti collettivi: natura e ruolo del Partito Radicale

1 Partito politico, gruppo di pressione, movimento: l'atipicità del Pr

2 Norme, strutture, carisma: le contraddizioni

3 Aggregazioni degli interessi, controllo sociale e movimenti spontanei

4 Sistema politico e società corporativa

5 Dalla contrattazione al conflitto

"Note"

APPENDICI

I Statuto del Partito Radicale

II Gli organi centrali del Pr

III Cronistoria delle principali vicende dei movimenti federati e delle leghe

IV Fonti e orientamento bibliografico

("I NUOVI RADICALI", Storia e sociologia di un movimento politico - Massimo Teodori, Piero Ignazi, Angelo Panebianco - Arnoldo Mondadori Editore, ottobre 1977)

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III LA CAMPAGNA PER IL DIVORZIO

1. "La nascita e lo sviluppo del movimento divorzista con la Lid

Il 1· ottobre 1965, Loris Fortuna, deputato socialista, presentava in Parlamento un disegno di legge per l'istituzione del divorzio. Quella proposta sarebbe rimasta senza seguito come le altre che erano state presentate nelle precedenti legislature dell'Italia repubblicana, (1) se non fosse sorto intorno alla proposta di legge un movimento popolare "ad hoc", con implicazioni politiche ben più ampie del tema stesso, per iniziativa di un gruppo militante organizzato nel Partito Radicale.

I radicali erano stati tradizionalmente in favore del divorzio per ovvie ragioni ideali e civili. Anche nel vecchio partito prima del 1961, in nome dei principi laici erano state fatte molte dichiarazioni ed erano stati promossi dibattiti sul tema. Quando nel 1965 fu presentato il disegno di legge, i nuovi radicali vi scorsero l'occasione per portare il tema da Montecitorio alla base del paese, dal "dibattito" di natura politica alla concreta "iniziativa" politica. Si trattava di far uscire la questione del divorzio, per ciò che essa comportava nello specifico e per le implicazioni tra Stato e Chiesa, fuori dalle generiche dichiarazioni di principio; e contrapporre così alla rassegnata constatazione di una cultura che si riteneva minoritaria in un paese cattolico, l'appello diretto a coloro che potevano essere in prima persona protagonisti di una azione specifica mossi da interessi diretti o da una visione generale della società ispirata a un nuovo e combattivo laicismo.

Intorno al tema considerato non ancora maturo dalle forze laiche e di sinistra, i nuovi radicali ritenevano possibile sperimentare forme di organizzazione e di mobilitazione dalle caratteristiche nuove rispetto sia agli ambienti tradizionali sia alla stessa tradizione politica di un paese in cui si era sempre affermata la preminenza del partito come forma quasi monopolistica di canalizzazione della domanda politica. Il movimento intorno al divorzio che andava prendendo forma si basava invece su una serie abbastanza nuova di elementi: appello diretto agli interessati; nessuna discriminazione politica o ideologica; rapporto costante tra azione diretta e azione in parlamento; forme di mobilitazione diretta individuale o collettiva.

Fin dall'inizio un altro fattore risultò determinante per l'impostazione della battaglia divorzista: la promozione di una diffusa iniziativa nel paese da parte del settimanale »ABC che, per l'impegno del suo direttore Enzo Sabàto, sposò la causa al momento della sua apparizione. Fu questo il fatto determinante per far uscire quello che era stato un tema di dibattito dalle sale appropriate alle piazze, con scandalo da parte della stessa maggioranza della classe politica laica la quale non condivideva il diretto appello agli interessati nel paese, come il settimanale semipornografico intendeva fare. La singolarità della nuova stagione divorzista, rispetto a quelle che pure erano state tentate in precedenza, era appunto il fatto che l'interlocutore di Fortuna, dei radicali e di »ABC fosse non più la »classe dei colti ma in un certo senso la »gente qualunque .

Il gruppo radicale romano promosse il 12 dicembre 1965 il primo dibattito sul divorzio con la partecipazione dei rappresentanti di diverse parti e con un immediato successo di pubblico che stipava il ridotto dell'Eliseo a Roma. (2) »Un'azione divorzista autonoma diceva la relazione del radicale Mauro Mellini »vivace, organizzata, politicamente bene orientata, diretta a far lievitare nelle masse sentimenti e convincimenti ormai diffusi, a incanalare energie, a coordinare gli sforzi di quanti si battono per il divorzio, a stimolare e confortare l'azione delle forze politiche decise a sostenere la causa divorzista, è oggi possibile e si profila efficace . (3) Su questa linea, qualche mese dopo, lo stesso Mellini e Marco Pannella annunziavano in una conferenza stampa la costituzione della "Lega per l'Istituzione del Divorzio" (Lid) rivolgendo direttamente un appello al paese. Ad essa partecipavano in posizione preminente, oltre a Fortuna, i magistrati Mario Berutti e Salvatore Giallombardo, i parlamentari Lucio

Luzzatto del Psiup, Giuseppe Perrone Capano del Pli, Giuseppe Averardi del Psdi, a titolo personale e non in rappresentanza dei rispettivi partiti, lo scienziato Adriano Buzzati-Traverso, e il giurista Alessandro Galante Garrone.

L'iniziativa presa dai radicali trovava subito larga eco nel paese, sia tra quegli strati popolari a cui si rivolgeva »ABC , sia in maniera insospettata nella stampa quotidiana e settimanale d'opinione. »L'Espresso , che dalla fine del vecchio Partito Radicale aveva teso a ignorare il nuovo gruppo, pubblicava un servizio titolando a piena pagina in copertina »Arriva il divorzio e dedicando molte pagine all'argomento. (4) Il 17 aprile, si teneva a Milano un imponente comizio della Lid al teatro Lirico, la prima manifestazione divorzista di massa che apriva la serie delle mobilitazioni di base, tra cui quella del 13 novembre 1966 a Piazza del Popolo a Roma, con la partecipazione di circa 20.000 persone provenienti da tutta Italia.

Il carattere popolare che andava assumendo la battaglia divorzista era testimoniato anche dal numero di messaggi (32.000 cartoline e 4.000 lettere) che Fortuna aveva ricevuto alla Camera tra l'ottobre 1965 e il marzo 1966 su iniziativa del settimanale »ABC , e che furono presentati al presidente dell'assemblea in occasione del dibattito sulla giustizia. Se un giornale popolare e popolaresco come »ABC era stato il principale tramite attraverso cui il divorzio era arrivato a larghi strati di popolazione e aveva rappresentato il principale strumento per l'organizzazione degli interessati, rivelando l'esistenza e la disponibilità su ciò di un paese reale ben diverso da quello che tutte le forze politiche immaginavano, l'allargamento dell'attenzione anche tra queste ultime trovava un segno inequivocabile nella presentazione di un progetto di legge del Pci nel marzo 1967, quando ormai la pressione della pubblica opinione non poteva più essere ignorata.

Mentre il movimento cresceva, in parlamento iniziavano le manovre diversive per non discutere la legge con la presentazione di una proposta di riforma del diritto di famiglia a firma del guardasigilli, il repubblicano Reale, in attesa del quale si sarebbe dovuto accantonare la proposta Fortuna. E, contemporaneamente, di fronte a un'opinione pubblica che si andava sempre più interessando alla questione, si muovevano le gerarchie cattoliche e lo stesso pontefice Paolo VI che all'inizio del 1967 aveva pubblicamente espresso »sorpresa e dispiacere (5) nei confronti del parlamento che si era espresso favorevolmente sulla compatibilità del divorzio con le norme dell'ordinamento costituzionale italiano.

La Lid in oltre due anni di attività aveva mostrato di avere una fisionomia e una vitalità tutte particolari. La novità della Lid non stava tanto e soltanto nel fatto che un gruppo fortemente minoritario come quello radicale avesse promosso un'organizzazione aperta e destinata a divenire di massa, quanto nel modo in cui appartenenti a diverse aree partitiche si ritrovavano in un organismo "ad hoc" senza essere designati a rappresentare i partiti, ma in quanto individui interessati alla specifica battaglia. L'organismo che ne risultò, del tutto informale, tale da poter essere considerato quasi un centro d'iniziativa e un comitato di coordinamento, realizzò progressivamente la fusione tra gli elementi politicizzati e quelli di provenienza generica, sulla base di una presenza effettiva e non delegata, del comportamento nel lavoro politico e sul terreno della capacità e creatività nelle iniziative di propaganda, organizzazione e pressione. Scrive il Coletti ne "Il divorzio in Italia" che la Lid si diramava con l

e sue delegazioni in tutto il paese con fisionomie diverse a seconda delle singole personalità che l'animavano (6) e del particolare ambiente locale: »la Lid di Torino, legata al mondo socialista e laico tradizionale; quella di Milano, poggiata a una base particolarmente ampia e connessa più con l'ambiente socialista nel suo insieme che a singoli personaggi; la Lid di Napoli, attivissima nei rapporti con i parlamentari, e quella di Firenze, dalla tipica struttura di circolo politico; e la delegazione di Cagliari con un'intensa attività nel capoluogo e nei vari centri dell'isola . (7)

Quando si tenne il primo congresso della Lid, nel dicembre 1967 a Roma, il movimento divorzista si era irrobustito nel paese e nell'opinione pubblica e aveva conquistato anche peso e capacità di pressione nei confronti del parlamento. I divorzisti, orientati dal nucleo animatore radicale, avevano imparato tecniche di pressione, e aggressione, nei confronti dei singoli parlamentari (con cartoline, appelli, lettere, telefonate, manifestazioni nei collegi elettorali) che erano abbastanza sconosciute nella prassi politica italiana. Il bersaglio del movimento popolare non erano i gruppi parlamentari in quanto tali, ma i singoli deputati o senatori, con una formula nel rapporto elettore-rappresentante del popolo molto più vicina alla tradizione anglosassone che non a quella nostrana, tutta centrata sulla mediazione partitica o del gruppo corporativo d'interesse.

Sotto il tiro di simili azioni, nel parlamento procedeva la discussione. I comunisti avevano presentato il loro disegno di legge, la commissione giustizia votata alla Camera i primi articoli e, sempre su iniziativa di »ABC , erano state consegnate alla Camera 120.000 firme di una petizione popolare. Intervenendo per il Pci su »Rinascita , Luciana Castellina scriveva: »un merito va riconosciuto alla Lid... di aver dimostrato, con un'efficacia impossibile ai partiti, che il divorzio non è più un problema di pochi gruppi di élite, ma ormai un grosso problema sociale ; (8) e sulla composizione sociale del movimento l'articolista notava: »in gran parte, gente semplice, appartenente alle più disparate classi sociali; proveniente non soltanto da ristretti ambienti delle grandi città ma anche dalla provincia e dalle campagne. Borghesi ma anche proletari, angosciati da una difficile situazione familiare, spesso conseguenza di processi abbastanza nuovi per l'Italia, come la maggiore mobilità sociale e l'emigrazione in

dividuale . (9)

Di fronte agli indugi e alle reticenze dei partiti laici, che pure si erano tutti pronunciati in favore del divorzio ma non riuscivano a dare un seguito operativo alla scelta, il congresso di Roma si apriva con l'interrogativo »Verso le liste divorziste alle elezioni? (10) proposto dal segretario nazionale della Lid come arma di pressione sui partiti. Dal congresso uscì invece l'indicazione di appoggiare quei candidati che si fossero impegnati a ripresentare il progetto divorzista nella nuova legislatura. Così accadde che il 5 giugno 1968, subito dopo la prova elettorale, e mentre nel paese infuriava la contestazione giovanile e studentesca, 70 parlamentari dei partiti laici - Pci, Psu, Psiup, Pri a eccezione dei liberali che proposero un loro progetto a firma di Antonio Baslini - Presentarono un disegno di legge unificato, il primo della quinta legislatura repubblicana.

2. "Il movimento popolare e l'azione di pressione sul parlamento"

In oltre tre anni, dall'inizio del 1965 alla primavera del 1968, il movimento divorzista organizzato nella Lid era divenuto un movimento radicato nel paese, in grado di promuovere mobilitazioni di piazza e di esercitare un'azione fondata su petizioni, picchettaggi, interventi diretti, lettere a parlamentari e manifestazioni di massa. Con la nuova legislatura che seguì le elezioni del 1968 e l'immediata presentazione di un progetto di legge unificato, si accentuò nella Lid l'altro aspetto della sua azione, che pure era presente in precedenza: quello di gruppo di pressione sul parlamento per ottenere la riforma, ottenerla presto e con la migliore legge possibile.

Nell'aprile 1969 il progetto di tutti i laici - ulteriormente unificato con quello presentato separatamente dal liberale Antonio Baslini - fu discusso alla commissione giustizia della Camera per iniziare poi, alla fine di maggio, il dibattito generale in aula. Per la prima volta una proposta divorzista veniva affrontata a Montecitorio: l'avvenimento poteva essere considerato di portata storica, tanto più in presenza di una maggioranza relativa e di governo di osservanza cattolica.

L'azione dei divorzisti si era andata intensificando, sia quella di massa con due manifestazioni a Roma, il 7 giugno 1969 a Piazza Navona, e il 27 settembre a Piazza Cavour, sia quella di intervento sui meccanismi che regolavano l'iter parlamentare. Il 10 novembre, di fronte ai ripetuti tentativi di ritardare la procedura della discussione, Marco Pannella segretario della Lid, iniziava insieme al segretario organizzativo, Roberto Cicciomessere, uno sciopero della fame (il primo di una serie che negli anni successivi si sarebbe allungata) per la fissazione dei termini delle votazioni all'insegna di »Basta con le discussioni! Votate per il divorzio! : un'azione che contribuiva a ottenere l'effetto sicché il 29 dicembre la Camera votava la legge con 325 voti favorevoli contro 283 contrari.

Erano passate poche settimane dalla strage di Piazza Fontana a Milano e il movimento operaio e sindacale mostrava forza e irruenza: nello stesso giorno in cui la Camera votava per il divorzio Roma era percorsa da una grande manifestazione sindacale a cui faceva riscontro, nella notte, la veglia divorzista con il trionfo di Fortuna che usciva da Montecitorio accolto dal grido »Stato laico e »Parlamento sì, Vaticano no . Le lotte operaie che si erano sviluppate durante quell'»autunno caldo correvano in parallelo con la campagna per il divorzio che di già si annunciava come un primo aspetto di una più generale lotta per i diritti civili. E nonostante che i due movimenti fossero separati e non avessero tra loro punti di contatto politici e organizzativi, certamente la loro contemporaneità non era casuale, ed essi rappresentavano entrambi l'espressione dello stesso modo di essere di una società civile che reclamava cambiamenti sociali e istituzionali, Sotto la pressione della base i vertici sindacali erano sosp

inti a trovare forme di unità sindacale in favore della quale si pronunciavano i consigli generali della Cgil, Cisl e Uil nel novembre 1969; e a intervenire direttamente nelle grandi questioni civili e sociali del paese, quali la riforma sanitaria, affrontata poi nella trattativa governo-sindacati nell'ottobre 1970. D'altro canto il movimento divorzista stava dimostrando la possibilità di conseguire una nuova legge che fosse adeguata a modelli e comportamenti diffusi nella società italiana attraverso l'azione di una lega formatasi su uno specifico obiettivo. I sindacati, sospinti dalla nuova combattività della base, dovevano rendere più agguerrita la propria politica e i conseguenti rapporti con la controparte e il governo. Il divorzio avanzava solo perché la Lid costituiva il tramite tra un sentimento diffuso da aggregare e il processo istituzionale di formulazione di una legge in presenza di una ristretta ed esitante maggioranza parlamentare.

Dopo la votazione alla Camera, il buon esito finale della legge sul divorzio era tutt'altro che assicurato. In Senato la maggioranza dei partiti divorzisti era molto più ristretta e con notevoli defezioni. Tra i molti ostacoli che venivano continuamente frapposti, i democristiani sollevarono l'eccezione di incostituzionalità sull'estensione del divorzio ai matrimoni concordatari per bloccare la discussione; e il Vaticano, da parte sua, inviava una nota al governo italiano per lamentare che quel disegno di legge violava il Trattato lateranense.

Le crisi politiche a ripetizione nel corso del 1970 - a marzo caduta del II governo Rumor e costituzione del gabinetto Colombo - ritardavano ulteriormente quella che pareva a molti una riforma acquisita e che invece seguitava a trovare, nell'itinerario parlamentare, attriti e ostacoli senza fine. La Lid fungeva sempre più da attivissimo vigilante legislativo; e i suoi dirigenti radicali, soprattutto Marco Pannella alla segreteria e Mauro Mellini alla presidenza, imprimevano alla Lega un comportamento improntato a decisione e irruenza. Scrivendo a Ferruccio Parri che amichevolmente rimproverava ai leaders divorzisti una tale aggressività, Pannella a fine agosto 1970, così si esprimeva: »Bastava che tacessimo per qualche settimana, che il divorzio sembrava d'un tratto divenire storia dell'altro mondo, non di oggi, in Italia, per tutti. Non più un comizio, un passo avanti, un cenno; sembravano Penelope. Il ritmo è così divenuto naturalmente serrato, donde nuovi rimproveri e accuse, censure e isolamento. Isolame

nto strano in verità: perché crescevano in proporzione geometrica i consensi e gli aiuti, gli incoraggiamenti anche le ingiunzioni ad andare avanti ; (11) e, riandando al lavoro che la Lid aveva fatto, il leader così ne definiva il ruolo assolto: »Per quattro anni e mezzo abbiamo seguito giorno per giorno, l'ininterrotto itinerario parlamentare della legge Fortuna; lo abbiamo secondato come abbiamo potuto, studiando a fondo i meccanismi parlamentari, le loro necessità, i loro regolamenti, le difficoltà obiettive che continuamente sorgevano. E' stata un'attenzione, una riflessione collettiva, popolare: a centinaia di migliaia di copie, ogni volta, i nostri bollettini illustravano questa realtà per iniziati; le laicizzavamo, ne facevamo partecipi e responsabili masse sempre più estese di cittadini, spesso provenienti dai ceti più lontani dall'impegno democratico, o più esclusi dalla cultura dominante . (12)

Dal settembre al novembre 1970, il tormentato itinerario legislativo del divorzio, sotto la pressione esterna che si concentrava proprio sui dati regolamentari e quindi sul corretto funzionamento delle istituzioni, arrivò in porto avendo ragione di tutti gli ostacoli che si frapponevano. Il 9 ottobre la legge modificata da emendamenti restrittivi contrattati dallo schieramento divorzista con la Dc tramite la mediazione del senatore Leone, passava in Senato. Infine nella notte tra il 30 novembre e il 1· dicembre, al termine di una seduta fiume di storica portata, il progetto Fortuna-Baslini diveniva legge dello Stato, approvato definitivamente alla Camera con un margine abbastanza ampio che era andato crescendo di articolo in articolo mano a mano che si avvicinava la votazione finale. (13)

3. "Dal divorzio al referendum"

L'approvazione del divorzio rappresentava un fatto pressoché unico nella storia dell'Italia repubblicana per almeno due motivi: perché la riforma era stata promossa attraverso un'azione che si era configurata principalmente come extraparlamentare, e perché per la prima volta la Democrazia cristiana era stata battuta in parlamento da una maggioranza che aveva accomunato sullo stesso fronte tutti i partiti laici, dal Pci al Pli. Quel successo, ritenuto impensabile solo cinque anni prima, ebbe ripercussioni nelle vicende politiche italiane del successivo quinquennio.

L'interpretazione che ne dettero le diverse forze fu contrastante: giacché, da un lato la maggior parte delle classi dirigenti dei partiti laici di governo e di opposizione voleva considerare quella battaglia come una parentesi, mentre dall'altro, personaggi singoli o gruppi minoritari (14) intorno al Partito Radicale la consideravano come il primo passo per successivi scontri tra l'anima progressista e laica del paese e quella democristiana, conservatrice e clericale: »Esultiamo aveva detto Pannella nell'ora dell'approvazione della legge Fortuna »per questa vittoria della democrazia, del laicismo anticlericale, delle essenziali e migliori tensioni civili e religiose del nostro paese. Sappiamo anche che, per quanto grande esso sia, questo non è che un inizio. La lotta continua per edificare una società più umana e più giusta. La politica dei diritti civili esce potenziata da questa prova . (15)

Nei mesi successivi le dichiarazioni in favore di una »normalizzazione dei rapporti con la Dc si moltiplicavano da ogni orizzonte: in prima linea i comunisti che per bocca dell'onorevole Nilde Jotti, già in fase di dichiarazione sul divorzio, aveva espresso l'auspicio che si superassero i contrasti e si ritrovasse un'unità con il mondo cattolico sul terreno della riforma del diritto di famiglia e dei rapporti tra Stato e Chiesa da regolarsi attraverso la revisione bilaterale del Concordato. (16) Anche il segretario del Psi, Francesco De Martino, si pronunziava in questo senso e, dopo di lui, l'intera direzione socialista che in un documento dava »atto alle forze cattoliche democratiche del loro comportamento che, pur essendo contrario alla legge sul divorzio, non ha puntato sull'esasperazione del contrasto e sulla guerra di religione ; (17) quindi così proseguiva »con l'approvazione della legge sul divorzio, che è una grande riforma civile, si apre una strada a un capitolo nuovo e positivo nei rapporti tra

Stato e Chiesa. Il Psi intende ora sviluppare questi rapporti, regolati dalla Costituzione, nell'ambito della revisione bilaterale del Concordato . (18)

Comunisti, socialisti, e anche repubblicani e liberali, consideravano il divorzio come una »mina vagante nella vita politica che doveva essere disinnescata per tornare a una collaborazione con la Dc, liquidando quelle che secondo il vice-segretario del Pci, Enrico Berlinguer, erano »storture, esasperazioni settarie, irresponsabili provocazioni di gruppi anticlericali , poste sullo stesso piano delle »velleità di rivincita di anacronistici gruppi clericali . Secondo Berlinguer la lotta a tali posizioni comportava »combattere e sconfiggere quanti, da un lato, meditano di indire una crociata antidivorzista e quanti, dall'altro, vorrebbero risolvere in termini di rottura unilaterale le complesse questioni del rinnovamento dei rapporti tra Stato e Chiesa . I comunisti pertanto - concludeva un autorevole fondo dell'»Unità - non si faranno distogliere »dalla necessità di portare avanti, con la lotta, una politica di unità proletaria e democratica, popolare e nazionale: la politica cioè che storicamente ha promoss

o e sancito l'ingresso alla base del nostro organismo statale, e che domani dovrà assicurare l'avvento al suo vertice sia delle forze decisive della tradizione laica risorgimentale, sia delle masse organizzate dal movimento socialista e comunista, sia delle masse organizzate nei movimenti politici e sociali dei cattolici italiani . (19)

Nonostante la quasi unanime buona volontà della sinistra e dei laici di chiudere l'episodio anomalo del divorzio, il processo che esso aveva innescato si ripercosse sull'intera scena politica. Già in vista dell'approvazione definitiva del divorzio, i democristiani avevano fatto approvare nel maggio 1970 la legge istitutiva del referendum abrogativo di iniziativa popolare, un istituto previsto dalla Costituzione ma mai reso operativo. E, all'indomani della vittoria divorzista, dapprima le forze della Chiesa e quelle clericali più retrive e poi, mano a mano, la maggior parte del mondo democristiano si adoperavano per porre in atto lo strumento referendario contro il divorzio.

La conferenza episcopale italiana riunita in assemblea plenaria si era pubblicamente dichiarata in questo senso nel febbraio 1971: »i vescovi dichiarano legittimo annunciava un documento ufficiale »che i cittadini, in problemi di così vitale importanza [come il divorzio] e che toccano le coscienze di ognuno, si avvalgano, a difesa della famiglia, di tutti i mezzi democratici che offre la Costituzione italiana: riaffermano che i fedeli, in quanto cittadini guidati dalla coscienza cristiana, hanno il diritto e il "dovere" di impegnarsi con tutti i mezzi legittimi per tutelare quei valori che ritengono essenziali per il bene della famiglia . (20)

In tal modo, tra il febbraio e il maggio 1971, furono raccolte le firme necessarie per l'indizione del referendum abrogativo ad opera di un comitato nazionale formato da clericali integralisti (21) dietro a cui si era mosso l'intero apparato della chiesa e non marginali forze e gruppi della Dc. Dopo ciò furono tuttavia fatti diversi tentativi per non arrivare a un confronto nel paese che non era gradito alla maggioranza delle forze politiche, anche se per ragioni diverse e talvolta opposte.

Da parte laica divorzista si sosteneva l'inapplicabilità della verifica elettorale tramite referendum a un diritto che tutela le minoranze e, nel caso specifico, lo scioglimento del matrimonio, e pertanto fu presentato un disegno di legge di 60 parlamentari, in maggioranza socialisti, con primi firmatari Loris Fortuna ed Eugenio Scalfari, che però non andò avanti. (22)

Da canto loro i comunisti, che più di tutti temevano il referendum non solo perché vedevano nello scontro tra due schieramenti nel paese un ostacolo alla politica del dialogo con i cattolici, spingevano ad un accordo in parlamento per le modifiche alla legge Fortuna (modificando una legge non si tiene il referendum abrogativo richiesto su di essa); proponevano »miglioramenti e integrazioni, cioè modificazioni non puramente formali ma anche sostanziali, o innovazioni legislative, e ciò anche in relazione sia alla riforma del diritto di famiglia sia alla revisione bilaterale del Concordato , come ebbe ad esprimersi il senatore Paolo Bufalini in un apposito convegno sul tema tenuto alle Frattocchie. (23) Infine la senatrice indipendente di sinistra Tullia Carrettoni presentò nel gennaio 1972 sulla stessa linea un progetto modificativo che non riuscì ad essere discusso, così come un ulteriore tentativo di bloccare il corso automatico del referendum, effettuato ancora una volta dal senatore Leone, non sortì alcun

effetto.

Accadde così che di fronte alle incognite del voto e alla volontà dei due maggiori partiti, Dc e Pci, di non confrontarsi nel paese per le implicazioni politiche generali che ciò avrebbe comportato, nella primavera del 1972 furono sciolte le Camere in modo da sospendere per due anni l'attuazione del referendum.

Le forze moderate e i gruppi reazionari che si muovevano dietro quella che è stata definita la »strategia della tensione , stavano nel frattempo riprendendo il sopravvento sul corso innovatore successivo al '68. Espressione di questa tendenza profonda erano state sia le agitazioni studentesche e operaie, sia pure, indirettamente, la vittoria divorzista che aveva rappresentato un'ulteriore conferma del potenziale di cambiamento esistente nella società. Agitazioni, scontri, rivolte si susseguivano in molte zone del paese (Reggio Calabria, L'Aquila) insieme a misteriosi episodi come la morte di Giangiacomo Feltrinelli. Giovanni Leone era stato eletto presidente della Repubblica nel dicembre 1971 con una maggioranza appoggiata a destra, dopo che nelle elezioni regionali siciliane e in alcune amministrative del giugno 1971, il Msi aveva ottenuto alcuni clamorosi successi.

In tale clima le elezioni politiche del 7 maggio 1972, le prime nella storia dell'Italia repubblicana convocate a scadenza anticipata per uno scioglimento delle Camere dovuto in massima parte al timore del referendum, segnarono uno spostamento a estra degli equilibri politici; una stasi delle sinistre, (24) pur in presenza di diffusi movimenti sociali; e, per quel che più direttamente riguardava la questione divorzista, l'eliminazione dalla Camera e dal Senato di quasi tutti i rappresentanti dello schieramento laico che più vigorosamente si erano battuti per il divorzio e per l'interpretazione della vittoria come il primo passo di una strategia laica di alternativa. (25)

Tuttavia, il confronto che la maggioranza dei partiti non aveva voluto tenere alla scadenza costituzionale del 1972 fu soltanto rinviato. Esso era stato innescato dalle forze della destra clericale che pensavano così di ottenere una generale rivincita politica rispetto alla maggioranza divorzista formatasi in parlamento; era stato esorcizzato dalle forze di sinistra, in primo luogo dai comunisti; ed era stato invece accettato fin dall'autunno 1972 dai divorzisti, dopo che si era dimostrato impossibile votare una legge che sottraesse i diritti del cittadino alla prova della maggioranza referendaria.

I radicali, insieme con coloro che condividevano la loro strategia, erano passati attraverso tre fasi successive, espressioni tutte del medesimo atteggiamento di non negoziato con gli avversari cattolici e clericali su un tema riguardante i diritti civili: la prima, di opposizione al referendum per la sua non applicabilità a un tema riguardante i diritti individuali; la seconda, di opposizione ai negoziati per lo svilimento della legge Fortuna tentato attraverso la cosiddetta proposta Carrettoni; la terza, in favore della convocazione del referendum per andare a verificare nel paese la maggioranza progressista determinatasi in parlamento. Quest'ultima scelta era la conseguenza di un'analisi politica che vedeva i radicali quasi soli e di una linea strategica che esprimeva la loro intera posizione: il carattere dirompente dei diritti civili nel contesto italiano; il paese maturo più di quanto la classe politica ne fosse consapevole; la possibilità di una maggioranza laica di progresso; il vero rapporto di forz

e tra laici e cattolici sul terreno politico; la morte del clericalismo nella coscienza della società.

Per non tenere il referendum, il paese fu sottoposto a ripetute crisi politiche senza più una maggioranza stabile di governo, a crisi istituzionali e morali per l'aggravarsi e l'estendersi della strategia della tensione, a cui, nell'autunno 1973, si sovrappose la crisi energetica, motivo scatenante della crisi economica. La scadenza del referendum che incombeva per tutto quel periodo sulla classe politica non fu tuttavia evitata, nonostante i diversi tentativi effettuati ripetutamente.

Infine, il 12 maggio 1974, il responso delle urne si espresse per il mantenimento del divorzio con un'indicazione popolare che toccò, contrariamente alle stesse previsioni di gran parte delle forze laiche e di sinistra, il 59,1% dei voti, con punte altissime (dei due terzi e dei quattro quinti dell'elettorato) nelle grandi aree metropolitane. L'immagine che ne conseguiva era quella di un paese che nei suoi orientamenti di fondo era assai diverso e più avanzato di quello che da ogni orizzonte i partiti e le loro classi dirigenti si aspettavano. Per i radicali quel risultato aveva l'effetto di dare credibilità nell'opinione pubblica alla tesi su cui si sarebbero basati gli sviluppi successivi delle loro iniziative: che cioè i referendum sono possibili e che basta averli indetti per vincerli.

La sera del 13 maggio, alla festa della vittoria indetta dai radicali a Roma in Piazza Navona, prima ancora di conoscere il risultato delle votazioni, partecipò una gran folla che affluiva da tutta la città. Quella notte, fino all'alba, l'immensa marea di cittadini, forse mezzo milione, di ogni estrazione sociale e di ogni appartenenza politica, percorse in corteo le strade della capitale, esternando collettivamente l'entusiasmo della prima vittoria dal dopoguerra sulle forze moderate, conservatrici e clericali, in un'atmosfera paragonabile a quella della proclamazione della vittoria repubblicana del 1946.

Così, sollevato da principio come problema limitato e settoriale, il divorzio con il movimento divorzista, con l'approvazione della legge e il referendum avevano trasformato radicalmente i dati dell'equilibrio politico del paese, rivelando per la prima volta dal dopoguerra l'esistenza di una maggioranza orientata perlomeno su determinati problemi, in senso progressista. Tale risultato era stato provocato dalla esigua minoranza radicale, attraverso un processo innescato non casualmente ma previsto, se non nella forma certamente nella sostanza politica, fin dall'inizio.

4. "I radicali nel movimento divorzista: significato politico generale"

Al termine della ricostruzione sommaria della vicenda divorzista dal 1965 al 1974, occorre porsi alcuni interrogativi sulle ragioni per cui è stata così diffusamente trattata in un profilo storico dei nuovi radicali. In particolare è necessario rispondere ad alcune domande: quale il ruolo dei radicali nel movimento divorzista? Quale il modo politico in cui il movimento si è espresso e ha operato? Quale il significato complessivo della vicenda nella scena politica italiana?

»Senza il Partito Radicale ebbe a un certo punto ad affermare la principale mente politica della Lid, Mauro Mellini »la lega per l'Istituzione del Divorzio non sarebbe esistita o si sarebbe trasformata in un'organizzazione corporativa dei separati . (26) L'affermazione risponde a verità e merita di essere argomentata. Non c'è alcun dubbio che la proposta Fortuna sarebbe rimasta lettera morta, come lo erano state quelle precedentemente presentate da altri parlamentari socialisti per onor di presenza, se non fosse sorto un movimento messo in moto dalla Lid. Questa nacque per la forte iniziativa soggettiva del piccolo gruppo radicale che vedeva in quella battaglia l'occasione di legare l'istanza politica e ideale laica a un'esigenza largamente avvertita nel paese.

La Lid, che pur faceva riferimento a Fortuna, ebbe come organizzatori e costanti motori alcuni radicali sia nella centrale romana che in periferia. Il vero animatore della presidenza, in cui figuravano personaggi di prestigio, fu fin dall'inizio il radicale Mauro Mellini, un avvocato in cui l'antica e appassionata vena anticlericale si rinverdiva nella nuova battaglia che vedeva accorrere masse in altri tempi sconosciute; e della segreteria collegiale, (27) il reale motore politico fu sempre quel Marco Pannella che non a caso non deteneva la segreteria del Pr ma si dedicò in pieno per molti anni alla battaglia divorzista. Nel consiglio direttivo e tra i fiduciari locali (28) almeno un terzo erano radicali militanti e almeno un altro terzo simpatizzanti: il resto era rappresentato da nuovi arrivati alla politica, i cosiddetti »divorzisti puri , insieme ad alcuni appartenenti ad altri partiti laici. Ma al di là di questo dato formale, che tuttavia mostra come gran parte del gruppo partito radicale si era diss

olto nell'azione divorzista, resta il fatto che lo stile politico del movimento nei suoi rapporti con le forze parlamentari si configurava come un tipico stile di lavoro radicale, che, alla vicinanza unitaria rispetto ai partiti laici non sacrificava mai quella incalzante aggressività ritenuta necessaria per fare procedere il processo parlamentare. E mentre questi procedeva, l'unico strumento di cui il movimento poteva disporre era la mobilitazione extraparlamentare dei diretti interessati al di fuori di ogni rispetto degli equilibri e delle conseguenti prudenze dei partiti e tra i partiti.

Alla globalità delle strategie di governo o di opposizione che regolavano atti e posizioni del Pci, del Psi e dei partiti laici minori, i radicali con il movimento divorzista contrapponevano la puntigliosa concentrazione sulla singola riforma da conseguire, e la costante individuazione dei meccanismi di opinione pubblica e istituzionali per esercitare una pressione adeguata a raggiungere lo scopo. Azione diretta nelle piazze e pressione sui parlamentari responsabili del lavoro in commissione, digiuni individuali e guerriglia nonviolenta ai mezzi di comunicazione di massa, e in primo luogo alla Rai-Tv, (29) per far passare i messaggi non genericamente divorzisti ma più precisamente rivolti a determinare uno specifico atto del processo legislativo, erano tutti strumenti che il gruppetto radicale al centro della Lid andava progressivamente sperimentando e mettendo a punto in una inconsueta, in Italia, combinazione di extraparlamentare e parlamentare, di attivizzazione di protagonisti interessati alla riforma e

di opera di convincimento di dirigenti dei partiti. Gran parte dell'armamentario e dello stile politico dei radicali che coniuga l'azione istituzionale a quella extraistituzionale, è stato approfondito e affinato lungo gli otto anni della campagna per il divorzio, così come i contrastati incontri e scontri con le forze della sinistra parlamentare si sono modellati paradigmaticamente nello stesso arco di tempo con lo sviluppo da parte radicale non solo di peculiari obiettivi da perseguire ma anche di una contrapposta modalità di intendere l'azione politica per le riforme.

Pertanto anche il modo di far politica che si afferma con il movimento divorzista rappresenta una novità per la società civile e la società politica italiana. La Lid si presentava certo come un nuovo tipo di organizzazione di massa: in un triennio (1966-1969) - è stato stimato - (30) raccolse alcune migliaia circa di quote di iscrizioni senza una vera e propria campagna di tesseramento; alle sue manifestazioni partecipano complessivamente 150-200.000 cittadini; 40.000 lettere e cartoline pervennero a Fortuna tramite »ABC e 100.000 firme furono consegnate alla Camera all'inizio del dibattito; un numero imprecisato, ma certamente dell'ordine di migliaia, di telegrammi e lettere furono inviati a parlamentari, e circa 400 tra comizi, dibattiti, tavole rotonde, incontri furono promossi da gruppi Lid a livello locale fuori dai canali politici tradizionali.

Il movimento costituiva così una efficace combinazione di cittadini partecipanti direttamente a un'azione a cui erano interessati e che li coinvolgeva, e di un gruppo centrale politicamente agguerrito che fungeva da propulsore di tutto l'organismo attraverso una doppia iniziativa: verso le istituzioni politiche e verso l'opinione pubblica e la rete di gruppi partecipanti alla base. Scrisse Marco Pannella a Parri nel momento più duro dello scontro: »Io so che non avevamo e non abbiamo strutture, funzionari, sedi, organizzazioni che ci consentano di dettare dall'alto ordini di mobilitazione, ma solo la forza delle convinzioni che maturavano e s'armavano con racconti, spiegazioni, informazioni... Avremo certo commesso, anche in questo campo, molti errori. Ma era mai accaduto, prima d'ora, che si comprendesse e ci si attendesse che il Parlamento può essere davvero qualcosa in diretto rapporto con la vita della ``gente'' e di ciascuno, che può dare molto in termini di civiltà... . (31)

Se, dunque, la politica della Lega aveva indicato nella pratica un modo partecipativo e specifico di avvicinarsi alla cosa pubblica che correva in parallelo con le insorgenze extraparlamentari dello stesso periodo, la lunga battaglia per il divorzio e il modo in cui essa era stata vinta ebbe degli effetti quando la Dc nel 1948 aveva stabilito la sua egemonia sul parlamento e nel paese, il partito di maggioranza e di governo veniva messo in minoranza dapprima nelle Camere e poi nel paese. E' stato affermato, a ragione, che il referendum del 1974 è stato il fatto che ha rivelato alla pubblica opinione e alla stessa classe politica possibili orizzonti in precedenza sconosciuti e ritenuti impensabili. Il sistema politico italiano nelle sue componenti partitiche era rimasto pressoché immutato dal 1948 in poi, con rapporti di forza tra gli schieramenti che a ogni elezione mutavano marginalmente al massimo di qualche punto in percentuale; mentre solo con il referendum del 1974 si mise in moto un radicale spostament

o a sinistra che veniva poi registrato nelle elezioni del 1975 e del 1976.

La vittoria divorzista di larga misura del 1974, per la sua stessa natura di verifica diretta nel paese dei rapporti politici sempre misurati secondo i canali partitico-elettorali, permise all'elettorato di manifestarsi senza i consueti vincoli elettorali su un tema che era sì specifico ma che implicava una scelta molto più generale, proprio grazie a un'opzione assai semplice come quella referendaria. Una prima conclusione da trarre dal voto del 1974 sta nel fatto che esso ha liberato un processo di cristallizzazione elettorale che durava da oltre 25 anni; e inoltre che ha mostrato come nel paese esistesse, su temi riguardanti i diritti civili, una maggioranza progressiva e antidemocristiana più larga e più decisa di quella possibile su temi economici e sociali. (32) E' pur vero che si deve considerare il referendum solo come il punto terminale di un processo iniziato nel 1965, e per giunta non previsto nella forma né realisticamente prevedibile da nessuno, ma lo stesso tipo di considerazioni possono essere

fatte a proposito del contenuto politico della battaglia divorzista.

La scelta di un impegno sul divorzio come banco di prova di una politica radicalmente riformatrice possibile ed accessibile ad una minoranza era stata dettata fino dall'inizio ai radicali sia da ragioni oggettive che soggettive: le prime per la natura di contraddizione sociale e civile interessante strati popolari abbastanza larghi e la seconda per un'intuizione politica sulla natura dirompente dei temi laici in Italia che si sarebbe rivelata giusta. Ai radicali da più orizzonti si obiettava che essi restavano marginali di fronte ai grandi eventi e movimenti del paese, quali quelli della fine degli anni sessanta. Interpretando questa posizione scriveva un osservatore dalle colonne dell'»Astrolabio , un giornale che pure seguiva con simpatia l'azione radicale: »E' un'altra caratteristica del Pr, che è anche un suo limite pesante: si ha l'impressione che le ipotesi a lunga scadenza da cui parte si traducano senza residui nell'azione spicciola, al punto da cadere spesso in un empirismo esasperato o nel settoria

lismo puro e semplice... Tanto per tenerci agli ultimi due anni, viene il '68, il movimento studentesco, segue l'autunno operaio, il nuovo anno politico inizia con le bombe e la repressione: il Pr continua a battere imperturbabile sul divorzio, alla fine mette fuori l'anticoncordato... . (33)

Ebbene, furono proprio la tenacia nel perseguire quella che veniva vista come un'azione spicciola e la capacità di concentrare le scarse energie disponibili su un unico tema di battaglia, che probabilmente trasformarono quello che poteva risultare un intervento empirico in un'indicazione più generalmente valida quanto a metodo e a contenuto politici. Era l'indicazione che in Italia, al fine d'ottenere una modifica degli schieramenti, da una parte quello conservatore con al centro la Dc, e dall'altro quello del mutamento, con le sue componenti comunista, socialista, laica, non si potesse che operare attraverso delle singole questioni, quale il divorzio, suscettibili di divenire vittoriose. E la possibilità di renderle tali risedeva proprio nella »separatezza con la quale venivano politicamente trattate invece che affrontandole attraverso la proposizione di generali enunciazioni programmatiche.

Un bilancio politico che oggi è possibile compiere non deve tanto riguardare il divorzio, che pure era riforma civile non così marginale in sé e per sé, quanto il rapporto tra le forze disponibili in partenza di parte radicale, quelle suscettibili di aggregazione, e il loro impiego politico e i relativi risultati. E in questo senso sia la centralità dei temi laici e dei diritti civili rispetto al sistema di potere vigente, sia la forza aggregante di essi, sia la perseguibilità di una trasformazione istituzionale, sia infine le ripercussioni sul sistema politico, furono tutti fattori che dimostrarono in termini politici, più ancora che in termini ideali, la giustezza di una scelta che era potuta sembrare all'inizio politicamente marginale e idealmente inconsistente.

"Note"

1 Prima del progetto di legge dell'on. Loris Fortuna dell'ottobre 1965 erano state presentate altre due proposte sempre da parte socialista: nel 1954 dall'on. Renato Sansone, e nel 1958 dagli on. Sansone e Giuliano Nenni.

2 Il dibattito del 12 dicembre 1965 fu organizzato dalla sezione romana del Pr e presieduto da M. Teodori. Parteciparono Mauro Mellini, relatore radicale, Luciana Castellina per il Pci, il cattolico G. B. Migliori e Loris Fortuna.

3 Dalla relazione di Mauro Mellini, poi in Alessandro Coletti, "Il divorzio in Italia", Savelli, Roma, 1974, p. 135.

4 Cfr. »L'Espresso , anno XII, n. 17, 24 aprile 1966.

5 Allocuzione su Divorzio e Concordato ai membri della Sacra Rota, gennaio 1967: dalla stampa.

6 Vale la pena di ricordare gli animatori di alcune attive delegazioni della Lid: Antonio Totarofila (Bari), Egidio Attinà (Bolzano), Eugenio Barrese (Palermo), Gerdinando Landi (Vicenza), Loris Pavacci (Genova), Giuseppe Nardelli (Taranto), Mario Pasquettaz (Aosta), Sandro Ricci (Viareggio), Augusto Ricci (Napoli), Carlo Rughini (Lucca), Enrico Morselli (Bologna), Bruno Recusani e Maria Adele Teodori (Milano).

7 A. Coletti, "op. cit.", p. 136.

8 Luciana Castellina, "Il Dilemma del congresso della Lid. Divorzio dai partiti o dal Psu?", »Rinascita , 15 dicembre 1967.

9 "Ibidem".

10 Cfr. »Battaglia Divorzista , anno I, n. 10-11, ottobre-novembre 1967. Direttore Gabriella Parca, redattore capo Marcello Baraghini.

11 Marco Pannella, "Lettera di un divorzista. Divorzio e lotta democratica", »L'Astrolabio n. 34, 30 agosto 1967, p. 16.

12 "Ibidem".

13 I risultati della votazione furono: maggioranza 305, favorevoli 325, contrari 283. Considerando i presenti dei vari partiti, gli antidivorzisti avrebbero dovuto ottenere 288 voti.

14 In questo schieramento possono includersi, oltre ai radicali, i socialisti Fortuna, Mussa-Ivaldi, Fenoaltea, Banfi, Scalfari, alcuni socialproletari, il cattolico eletto nella sinistra indipendente Giammario Albani, alcuni cattolici del dissenso, liberali e repubblicani di sinistra.

15 Dichiarazione alla stampa di Marco Pannella la notte del 30 novembre 1970 riportata dalle agenzie.

16 Citazione in Gianfranco Spadaccia, "Divorzio e Concordato, il comportamento dei laici: Lid, Liac, Pr e partiti democratici", »La Prova Radicale n. 1, autunno 1971, p. 168.

17 "Ibidem".

18 "Ibidem".

19 Enrico Berlinguer, fondo »l'Unità , 6 dicembre 1970.

20 Documento della Cei in »L'Osservatore romano , 12 febbraio 1967.

21 Nel "Comitato Nazionale per il referendum su Divorzio" figuravano personaggi dell'ambiente clericale tra cui il prete Gabrio Lombardi, Enrico Medi poi eletto al primo posto della lista Dc per le comunali di Roma, Agostino Greggi passa nel 1974 al Msi, i proff. Sergio Cotta e Augusto Del Noce, e Giorgio La Pira.

22 Un primo disegno di legge atto a impedire il referendum fu presentato dal socialista Renato Ballardini alla Camera; successivamente venne presentata la proposta Scalfari-Fortuna firmata da 60 parlamentari tra cui il segretario del gruppo Psi, Luigi Bertoldi, e il socialproletario Domenico Ceravolo.

23 Citazione riportata in Coletti, "op. cit.", p. 170.

24 Ecco i risultati del 1972 (tra parentesi quelli del 1968): Dc 38,7 (39,1); Pci 27,1 (26,9); Msi 8,7 (4,5); Psi 9,6, Psdi 5,1 (Psu 14,5); Pli 3,9 (5,8); Pri 2,9 (2,0); Psiup 1,9 (4,4). Complessivamente le sinistre (Pci, Psi, Psiup, altri) nel 1968 ottenevano 41,3 e nel 1972 39,8.

25 Non vengono rieletti alla Camera e al Senato Eugenio Scalfari socialista, Carlo Mussa-Ivaldi socialista, Fausto Gullo comunista, Ennio Bonea liberale, Giammario Albani indipendente di sinistra di estrazione cattolica.

26 Citato in Coletti, "op. cit.", p. 135.

27 La presidenza della Lid dalla sua costituzione al primo congresso del novembre 1967 era composta da Mario Berutti, Mario Boneschi, Adriano Buzzati Traverso, Alessandro Galante Garrone, Loris Fortuna, Lucio Luzzatto, Mauro Mellini, Giuseppe Perrone Capano, Ada Picciotto. La segreteria da: Giuseppe Faranda, Giulia Filotico, Gino Frisini, Marco Pannella, Gabriella Parca.

28 Nel consiglio direttivo nazionale figuravano i seguenti radicali: Leonida Balestreri, Luca Boneschi, Luigi del Gatto, Maria Turtura, Nina Fiore, Anna Maria Gerli Formentini, Matilde Maciocia, Fausta Mancini Lapenna, Carlo Oliva, Aloisio Rendi, Alma Sabatini, Francesco Saladini.

29 Tra i tanti episodi, significativo quello del settembre 1970 quando i divorzisti della Lid riuscirono a imporre alla Rai-Tv, dopo un braccio di ferro, cinque dibattiti sul divorzio di notevole durata con l'accesso di personalità anche extraparlamentari.

30 Cfr. Massimo Teodori, "Il movimento divorzista in Italia, origini e prospettive", »Tempi Moderni n. 3, estate 1970.

31 M. Pannella, "Lettera di un divorzista", in »L'Astrolabio , cit.

32 Questa è la tesi più volte ribadita dalle colonne di »Panorama durante il 1974-1975 da Giorgio Galli.

33 Mario Signorino, "Radicali: Una fazione per i diritti civili", »L'Astrolabio n. 20, 17 maggio 1970.

 
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