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Archivio Partito radicale
Teodori Massimo, Ignazi Piero, Panebianco Angelo - 1 ottobre 1977
I NUOVI RADICALI: (7) Nel paese e nel Parlamento
di Massimo Teodori, Piero Ignazi, Angelo Panebianco

SOMMARIO: l'interpretazione storica del Partito Radicale fondata sulla ricostruzione delle diverse fasi della vicenda radicale dal 1955 al 1977.

INDICE GENERALE

"Premessa degli autori"

Parte prima

STORIA DEL PARTITO RADICALE

I Dai Vecchi ai nuovi radicali

1 Il primo Partito Radicale (1955-1962)

2 Il centro-sinistra e l'ottimismo tecnocratico del benessere

3 Le nuove opposizioni in Europa

4 L'eredità del movimento goliardico

5 La sinistra radicale

"Note"

II La solitudine di una minoranza

1 La faticosa ripresa del nuovo gruppo

2 L'»Agenzia Radicale e le sue battaglie: Eni, assistenza, scuola

3 Unità e autonomia: si configura il conflitto con la vecchia sinistra

4 I radicali di fronte alle proposte di unificazione della sinistra

5 L'isolamento di una cultura politica diversa. Verso il congresso di rifondazione (1964-1967)

"Note"

III La campagna per il divorzio

1 La nascita e lo sviluppo del movimento divorzista con la Lid

2 Il movimento popolare e l'azione di pressione sul parlamento

3 Dal divorzio al referendum

4 I radicali nel movimento divorzista: significato politico generale

"Note"

IV Un partito alla ricerca di se stesso. Dal congresso di rifondazione (1967) a quello di rilancio (1972)

1 Attraverso il sessantotto

2 Le nuove iniziative: giustizia, sessualità, Concordato, liberazione della donna

3 Con antimilitarismo e obiezione di coscienza una caratterizzata presenza militante

4 I radicali e il sistema politico dalle elezioni del '68 a quelle del '72

5 Le difficoltà del partito verso il Congresso di rilancio (Torino 1972)

"Note"

V Con i diritti civili l'opposizione al regime

1 Dopo il rilancio, si moltiplicano le iniziative con un partito assai fragile

2 Gli otto referendum e il referendum sul divorzio

3 L'estate calda del 1974: la battaglia per l'informazione porta Pannella in Tv

4 I radicali di fronte alla »questione socialista

"Note"

VI Per una rivoluzione democratica

1 Azione diretta e azione popolare per l'aborto

2 Ancora sui diritti civili prende forma il partito federale. La carta delle libertà

3 Con le elezioni del 20 giugno 1976, i radicali in Parlamento

"Note"

VII Nel paese e nel Parlamento

1 Una minoranza in Parlamento

2 Il progetto referendario come progetto alternativo

3 Il conflitto tra comunisti e radicali

4 I motivi di vent'anni di storia radicale

"Note"

Parte seconda

ELETTORATO, MILITANTI, MOVIMENTO: UNA INTERPRETAZIONE SOCIOLOGICA

I I militanti radicali: composizione sociale e atteggiamenti politici

1 Premessa

2 La composizione sociale

3 I radicali e il Partito

4 Atteggiamenti politici generali

5 Il profilo socio-politico

6 Conclusioni

"Note"

II Il voto radicale nelle elezioni del 20 giugno 1976

1 Le caratteristiche generali del voto

2 Un consenso elettorale urbano

3 Un voto d'opinione

4 Le preferenze: la concentrazione su Pannella

5 Analisi di un caso: la Toscana

6 Considerazioni conclusive

"Note"

III Dalla società corporativa ai movimenti collettivi: natura e ruolo del Partito Radicale

1 Partito politico, gruppo di pressione, movimento: l'atipicità del Pr

2 Norme, strutture, carisma: le contraddizioni

3 Aggregazioni degli interessi, controllo sociale e movimenti spontanei

4 Sistema politico e società corporativa

5 Dalla contrattazione al conflitto

"Note"

APPENDICI

I Statuto del Partito Radicale

II Gli organi centrali del Pr

III Cronistoria delle principali vicende dei movimenti federati e delle leghe

IV Fonti e orientamento bibliografico

("I NUOVI RADICALI", Storia e sociologia di un movimento politico - Massimo Teodori, Piero Ignazi, Angelo Panebianco - Arnoldo Mondadori Editore, ottobre 1977)

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VII NEL PAESE E NEL PARLAMENTO

1. "Una minoranza in Parlamento"

L'entrata dei radicali in parlamento con i quattro deputati eletti il 20 giugno 1976 (1) non rappresentava soltanto un fatto nuovo nel sistema politico italiano. Era, per i radicali, il mutamento della loro stessa condizione politica da gruppo promotore e animatore di campagne e movimenti nel paese a forza politica (sia pure di estrema minoranza) in grado di rappresentare e portare direttamente nelle istituzioni le proprie proposte. Un tale mutamento qualitativo riguardava il rapporto con le altre forze politiche e l'immagine nella pubblica opinione, e non già la funzione che i radicali attribuivano a se stessi.

I nuovi militanti infatti, che avevano ereditato continuandolo il patrimonio radicale all'inizio degli anni sessanta, si erano caratterizzati per l'azione diretta e i metodi di intervento nella società civile, ma non avevano mai affermato un proprio statuto antiparlamentare o ideologicamente extraparlamentare: anche nei momenti di maggiore egemonia della cultura extraparlamentare, come nel'68, avevano rivendicato la propria fiducia nelle istituzioni democratico-rappresentative. Del resto, la cultura politica e l'azione politica radicale annoveravano, tra i tratti specifici e qualificanti, anzi come il più importante tra essi, il fatto di puntare sempre sulla trasformazione istituzionale, cioè sull'ottenimento di specifiche riforme.

In ciò i radicali si presentavano come gli autentici eredi della democrazia borghese e della democrazia socialista occidentale, e il carattere contestativo era sempre finalizzato a realizzare in concreto processi democratici. Le istituzioni, e in particolare il Parlamento, non erano mai state considerate dai radicali né come strutture che dovessero registrare i rapporti di forza e di potere determinatisi altrove (secondo linee più o meno corporative o partitocratiche); né tantomeno delle sedi strumentali per altre »rivoluzioni (secondo linee avanguardistiche e leninistiche). La polemica radicale era stata sempre tesa alla rivalutazione delle istituzioni affinché corrispondessero ai mutamenti della società civile e quindi riacquistassero il ruolo di luoghi di scontro politico generale.

La definizione che i radicali a più riprese davano di se stessi come »ultrà della democrazia; la polemica da sinistra verso la degenerazione dei partiti come appendici dello Stato (finanziamento pubblico) e come sedi sostitutive delle decisioni del legislativo e dell'esecutivo; l'analisi della trasformazione in senso corporativo della società e dello stato italiani durante il trentennio democristiano a scapito della democrazia politica; la continua critica ai gruppi della nuova sinistra marxista di non comprendere culturalmente e di non agire politicamente per le trasformazioni istituzionali; la difesa dello »stato di diritto lungo una linea che, in un diverso contesto storico, sarebbe potuta essere della »destra storica ; la stessa formula di »repubblica autenticamente costituzionale che riassumeva e esprimeva il progetto referendario per un quinquennio: tutti questi erano segni ed elementi della visione democratico-parlamentare costantemente affermata dai radicali prima ancora di entrare in parlamento,

in contrapposizione con le impostazioni politiche che, in linea di teoria o di fatto, tendevano a svuotare, distorcere e svilire la democrazia politica.

Il Parlamento non era quindi un luogo »innaturale per i radicali. Mutava tuttavia il rapporto con le altre forze politiche dal momento che, fino al 20 giugno 1976, l'azione per le riforme suscitata nel paese era passata attraverso la mediazione di parlamentari di altri partiti. E questo tipo di azione sui singoli parlamentari si configurava in realtà come una visione »liberale del rapporto tra i cittadini e i rappresentanti del popolo, che in un certo senso tendeva a ridurre la funzione stessa dei partiti e il ruolo di mediazione che è stato loro attribuito con la società di massa. I radicali avevano avuto sì la funzione di »legislatori , ma per via della pressione esercitata sulle forze e sui meccanismi istituzionali, e non come diretti propositori in Parlamento. In questo senso si trasformava anche il rapporto con le altre forze politiche, e in special modo con i socialisti che avevano assai spesso funzionato come il principale canale di mediazione parlamentare, con l'inevitabile stabilirsi della nuova s

ituazione di uno stato di concorrenza e competitività.

Mutava anche il rapporto con il paese, con la pubblica opinione e con quei movimenti spontanei e collettivi con i quali, direttamente o indirettamente, il Partito Radicale aveva collegamenti [vedi parte seconda del volume]. Per un verso l'immagine radicale si rafforzava per coloro che individuavano e condividevano il nesso di complementarietà tra azione nel paese e azione nelle istituzioni e vedevano nella piccola rappresentanza parlamentare il veicolo attraverso cui superare le mediazioni delle grandi forze politiche della sinistra. Per un altro, la nuova condizione dei radicali non permetteva più loro di rivendicare quel ruolo sul quale si erano in parte caratterizzati, di protagonisti di battaglie riformatrici nel paese in grado di smuovere dall'esterno interi schieramenti parlamentari proprio in quanto esterni ad essi e disinteressati ad essere presenti nel »gioco del potere ritenuto proprio delle assemblee elettive della democrazia rappresentativa italiana.

In definitiva il passaggio da una situazione (pratica) di extraparlamentari a una di parlamentari poneva ai radicali problemi nuovi. Nei confronti della pubblica opinione e della classe politica, diveniva più difficile quel ruolo di »partito come movimento che avevano assolto e del quale era stato colto e sottolineato sempre e specialmente l'aspetto movimentista contro quello di partito progettuale. E, riguardo se stessi, il nuovo ruolo di »minoranza dinamica trasferitasi in Parlamento subiva modalità e vincoli ben diversi da quelli incontrati nell'azione svolta nel paese.

I quattro deputati informavano subito la loro azione, fin dalle prime battute di apertura della settima legislatura, al concetto di trasformare il Parlamento in luogo di scontro reale tra le forze politiche, (2) e quindi di utilizzare al massimo il dibattito in assemblea tentando di recuperare ad essa il ruolo centrale di confronto delle diverse posizioni rispetto all'aumento di peso dei lavori in commissione ed alle negoziazioni extraparlamentari tra le dirigenze partitiche, di cui prendere atto a posteriori. Ciò rispondeva sia alla concezione politica della democrazia parlamentare di cui si è detto, sia anche alla valutazione dell'effettiva possibilità, per un così ristretto numero di parlamentari, di assolvere un ruolo dinamico non marginale. Corrispondeva anche alla rivendicazione dei »diritti politici dei singoli parlamentari, visti come un mezzo necessario per ridare credibilità e praticabilità democratica al Parlamento.

Si trattava inoltre, per i radicali, di suscitare contraddizioni e allargare la propria sfera di influenza con alleanze al di là del proprio gruppo: quello che i radicali erano riusciti ad evitare nel paese, di divenire un gruppuscolo contestatore marginalizzato e autoemarginato, rischiava di riproporsi in Parlamento. Il rapporto numerico, i regolamenti e le prassi insieme alla situazione politica potevano portare a una tale situazione molto più agevolmente di ciò che non era accaduto con l'azione nella società.

Di qui la proposta dei quattro deputati di fare gruppo comune e articolato con il Psi (con la libertà di voto per tutti all'interno del gruppo) (3): una proposta che veniva rigettata; e quando si videro respinta la richiesta di aprire un dibattito preventivo sulla elezione del presidente designato dell'assemblea, onorevole Pietro Ingrao, attraverso la forzatura di una prassi consolidata, uscirono dall'aula, ponendosi simbolicamente di fronte a Montecitorio per marcare la continuità tra metodi di azione esterna e metodi di azione interna. Anche la controversia sull'assegnazione degli scanni per le votazioni elettroniche condotta con pertinacia per mesi, che poteva essere interpretata come una disputa sulla collocazione topografica-parlamentare (a sinistra o a destra dei comunisti), aveva lo scopo di rivendicare all'assemblea il diritto di dibattere e decidere sovranamente rispetto agli accordi preventivi sanciti dai negoziati partitici in altra sede.

Tale concezione dell'irrinunciabilità dell'assemblea come sede privilegiata del confronto politico - secondo Ernesto Bettinelli, lo studioso che si è fatto interprete della politica radicale nelle istituzioni e ad essa ha decisamente contribuito (4) - era anche legata al disegno politico che i radicali portavano dal paese al parlamento: »la convinzione maturata... che solo sul fronte dei diritti civili oggi è possibile evidenziare la discriminante incolmabile che corre tra forze progressiste e forze conservatrici nel paese. Sulle scelte di civiltà i compromessi sono assai difficili e, in ogni caso, destinati a non durare e, appena ci si scontra su di esse, sono rimesse in discussione anche quelle questioni di rilievo ``strutturale'' sulle quali i partiti antagonisti avevano creduto di trovare un "modus vivendi". Ma, proprio per questo, i luoghi di mediazione entrano in crisi, le assemblee parlamentari ritornano ad essere le sedi effettivamente rappresentative delle divisioni reali che esistono nella società.

Tutta l'azione radicale alla camera si informa... a tale analisi . (5)

Il tentativo costante del gruppo radicale di aprire nel Parlamento un dialogo con il resto della sinistra, e in special modo con quel Psi che pure era stato un interlocutore a tratti recettivo delle iniziative radicali quando queste provenivano dall'esterno delle istituzioni parlamentari, dava nella stagione parlamentare assai scarsi risultati. E così pure la ricerca di convergenze con il gruppo di Democrazia proletaria che, per posizione di schieramento, pur si trovava accanto ai radicali all'opposizione della sinistra. Per questi ultimi la divergenza con i radicali era dovuta a due elementi: la diversa importanza che i due gruppi attribuivano alla possibilità di un uso democratico e rivoluzionario delle istituzioni, ritenuto irrilevante dai demoproletari (con la diversificazione da un certo punto in poi del parlamentare di Lotta Continua, Mimmo Pinto, che si andava avvicinando ai radicali); (6) e la progressiva marcia di avvicinamento dei parlamentari del Manifesto al Pci rispetto a cui essi non assumevano

posizione di sostanziale conflitto.

Per ciò che riguardava invece il gruppo Psi, la non collaborazione con quello del Pr era dovuta al fatto che i parlamentari radicali tenevano su tutta una serie di temi posizioni attive e nettamente qualificate, tali che, se condivise, avrebbero innescato dei conflitti proprio con quei partiti (il Pci e la Dc) con i quali i socialisti andavano assumendo in Parlamento la posizione astensionistica unitaria della non sfiducia al governo monocolore democristiano. In altri termini la ricerca dell'unità, sia pure contingente su temi specifici e con i soli parlamentari del Psi, si scontrava con la configurazione di quella »democrazia consociativa che dopo il 20 giugno si realizzava anche in Parlamento. Tale nuova situazione di accordo generale determinava le regole del gioco politico anche per chi, come il Psi, non ne era direttamente il protagonista ma anzi ne finiva per subire passivamente il rapporto di forze, magari sottovalutando la propria possibilità di intervento nei confronti del Pci e della Dc, i due att

ori principali del nuovo corso. Alla logica di aggregazione tentata dai radicali a partire dagli atteggiamenti sulle singole cose si contrapponeva la logica degli schieramenti dei rapporti di forza e delle sue possibili evoluzioni.

Con la votazione del governo Andreotti della non sfiducia nell'agosto 1976, che aveva il sostegno attraverso l'espediente delle astensioni dei laici minori (Pri, Psdi e Pci) e della sinistra storica (Psi e Pci), si sanciva dopo trent'anni il passaggio del partito comunista nell'area anche formale della maggioranza di governo. Nella dichiarazione di voto contrario al gabinetto Andreotti, il capogruppo sottolineava il significato non ideologico della posizione radicale di opposizione ai sei partiti della maggioranza, e il ruolo che il nuovo piccolo gruppo intendeva svolgere a Montecitorio anche da quella posizione: »il contributo che noi speriamo di darvi è un contributo di lotta appassionata e dura sulle cose più importanti, convinti che non ci si unisce sull'apparente strutturalità dell'economia e dei dati sociali, ma ci si unisce innanzitutto e ci si comprende il giorno in cui i problemi... delle lotte per conquiste di nuove libertà, di nuovi diritti verranno affrontati. Su questo credo che gli schieramenti

in realtà si debbano concretamente in Italia confrontare, come voi dite, e opporre. (7)

Era nata attraverso la convergenza dei partiti del cosiddetto »arco costituzionale una nuova stagione politica che relegava i radicali in un ruolo assai difficile e assolutamente singolare di oppositori quasi unici (insieme a Democrazia Proletaria) del nuovo regime. Si venivano a trovare nell'assemblea legislativa di fronte a schieramenti cristallizzati e a dover per ciò fare delle battaglie e assumere prese di posizioni che rischiavano di rimanere isolate, con risultati opposti a quelli conseguiti in passato. I radicali si erano sempre considerati »legislatori , non importa se dal paese o dal Parlamento, e avevano sempre agito come animatori di iniziative destinate a trovare riscontro in aree ben più ampie del proprio piccolo seguito organizzato. Pertanto l'intensa attività parlamentare che i quattro deputati radicali svolgevano con mozioni, interrogazioni, interpellanze, e progetti di legge (8) si configurava, in quella situazione, più come una supplenza delle assenze altrui (il movimento socialista e la

proposizione dei suoi valori in sede legislativa) con l'effetto di testimoniare una posizione politica d'opposizione al regime consociativo, che non come un'azione in grado di aggregare più larghi schieramenti.

Sui temi più importanti di intervento durante i primi sei mesi di lavoro parlamentare, non si verificavano che convergenze marginali: per esempio quella dei socialisti Fortuna e Tocco e dei demoproletari Pinto e Corvisieri sulla mozione della denuncia unilaterale del Concordato; di alcuni socialisti e rappresentanti della nuova sinistra marxista su interrogazioni e interpellanze su questioni del rispetto dei diritti fondamentali individuali e collettivi da parte dello Stato (caso Panzieri, caso Margherito, inquinamento di Seveso, comportamenti e vicende della pubblica sicurezza...). Mentre poi i radicali rimanevano assolutamente soli nell'opposizione alla ratifica del trattato di Osimo contro cui era insorta quasi l'intera città di Trieste, e nel voto negativo della legge sull'aborto, frutto di una serie di compromessi tra le forze laiche e socialiste e i comunisti che andavano inseguendo il consenso della forza democristiana antiabortista. Lo stesso accadeva successivamente nella primavera 1977 con la prese

ntazione di un progetto di legge radicale di riforma delle forze dell'ordine attraverso la loro unificazione in un »Corpo unitario degli operatori di pubblica sicurezza (9) e con le iniziative per rapidi provvedimenti in grado di far fronte alla drammatica situazione di emergenza delle carceri.

L'isolamento radicale proprio su quest'ultimo tema di battaglia era tanto più marcato, in quanto le proposte per le carceri e per gli agenti di custodia erano il risvolto parlamentare dell'azione extraparlamentare di disubbidienza civile condotta dal partito con il digiuno della nuova segretaria nazionale del Pr, Adelaide Aglietta, del presidente del consiglio federativo, Gianfranco Spadaccia e di altri che drammaticamente si protraeva per oltre settanta giorni, senza trovare riscontri nelle controparti in grado di mettere in moto provvedimenti risolutori. (10)

Il momento di più intensa iniziativa parlamentare e, proprio perciò di massimo isolamento, si delineava all'inizio del marzo 1977 al momento della discussione dello »scandalo Lockheed e della messa sotto accusa dei tre ex ministri Rumor, Tanassi e Gui. Il capogruppo radicale Pannella chiamava in causa il presidente della repubblica Giovanni Leone e chiedeva un allargamento dell'indagine per accertare le sue responsabilità in ordine all' »affare e ad altri consimili. Era quella una linea d'azione che evidentemente non solo tendeva ad accertare puntuali responsabilità, ma mirava direttamente, per i coinvolgimenti e le conseguenze che comportava, ad allargare il processo al regime democristiano nel suo insieme, mostrando come lo scandalo non fosse una deviazione accidentale ma una manifestazione »normale di gestire il potere consolidatosi negli ultimi venti anni. (11) Ancora una volta la voce radicale rimaneva isolata: non già e non tanto per la fondatezza o meno delle indicazioni portate a carico della mass

ima autorità dello Stato, quanto per la divaricazione delle strategie e quindi dei comportamenti politici. Da parte radicale si riteneva che l'unica difesa delle istituzioni passasse attraverso un loro radicale rinnovamento di metodi e di contenuti ottenibile solo con la messa sotto accusa della classe dirigente democristiana e la sua cacciata dal potere; mentre da parte della sinistra storica la regola dominante si basava sulla negoziazione attraverso il compromesso con riferimento a un »quadro politico generale al quale dovevano essere subordinati giudizi specifici e singole scelte.

L'esperienza parlamentare radicale confermava così l'ipotesi con la quale i radicali erano entrati nelle istituzioni: che cioè l'attività legislativa e la tribuna parlamentare potevano rafforzare il movimento socialista e libertario solo se si fossero basati e avessero assunto l'aspetto complementare (e necessario) di un'azione nel paese, pena la condanna all'isolamento velleitario e all'inutilità di ogni atto.

2. "Il progetto referendario come progetto alternativo"

L'elezione di alcuni radicali alla Camera e la loro intensa attività nella settima legislatura poteva, dopo il 20 giugno 1976, spostare il baricentro dell'azione radicale dal paese al Parlamento. E non si trattava soltanto di una ipotesi teorica per le dichiarate volontà di un uso attivo e non strumentale del canale legislativo, ma anche di una situazione di fatto dovuta all'elezione a parlamentare di Marco Pannella il quale, oltre che leader indiscusso, era stato e rimaneva l'organizzatore e l'animatore principale delle battaglie radicali. Tuttavia una tale eventualità, che cioè la natura stessa del Pr potesse mutare in conseguenza della riuscita elettorale, non si materializzava nell'anno successivo al 20 giugno 1976. La ragione di fondo si doveva ricercare proprio nel fatto che il Partito Radicale era incardinato, per strategia antica e per riaffermate recenti decisioni, al progetto referendario ed a quello che si poteva chiamare una materialità operativa, al di là delle stesse energie dirigenziali e mili

tanti di cui esso poteva disporre dopo l'apertura del fronte parlamentare.

Il Congresso di Napoli del novembre 1976 aveva ancora una volta riaffermato la validità della strategia politica che era stata iniziata cinque anni prima, anche in presenza della nuova situazione verificatasi per tutta la sinistra (oltre che per i radicali) nelle elezioni politiche: »solo con il consenso popolare recitava la mozione conclusiva del 17· congresso del Pr »espresso attraverso milioni di firme di comunisti, di socialisti, di credenti, di democratici che non si consegnano al compromesso concordatario come ad un destino ineluttabile, sarà possibile impedire che in questa legislatura la Dc crei le premesse per rovesciare i successi della sinistra, bloccare ogni volontà e possibilità di alternativa, di rinnovare e consolidare il proprio potere . (12)

Per i radicali insistere sull'uso dello strumento referendario come strumento privilegiato di azione politica voleva dire riaffermare oltre che i contenuti delle singole norme da abrogare, anche la priorità del gradualismo riformatore, purché fosse davvero realizzatore, rispetto alle astratte posizioni innovatrici o rivoluzionarie e al ribellismo contestatore. Il referendum restava un veicolo pressoché unico di intervento democratico nei meccanismi istituzionali con carattere assolutamente vincolante nelle conseguenze politiche che metteva in moto. Il referendum infatti non è soggetto a negoziato, non può esser subordinato ai tempi soggettivi della classe politica, non si presta nè al compromesso casuale nè a quello sistematico. Di più, può essere, per la sua natura, strumento di aggregazione intorno a grandi schieramenti. Non era infatti un caso che i radicali avessero individuato fin dal lontano 1969 - cioè prima ancora della legge di attuazione costituzionale - l'arma referendaria come un'arma a propria m

isura e con ostinazione avessero tentato di usarla per tre volte successive. Perché con esso si potevano esprimere riassunti due tratti della stessa cultura politica radicale: il disegno di essere forza di » governo pure da posizioni di minoranza (secondo un modulo profondamente diverso da quello della cultura extraparlamentare); e l'ambizione di mutare leggi ed istituzioni, cioè di essere davvero riformatori (in contrapposizione con il massimalismo o il rinunciatarismo della sinistra).

Proporre i referendum al paese nel 1977 dopo la formalizzazione parlamentare del compromesso storico e l'entrata anche in modo aperto dei comunisti nell'area del potere, era evidentemente cosa diversa dal proporli nella stagione 1972-'73 allorché gli equilibri politici tendevano (al vertice) verso il polo conservatore e nei rapporti di potere l'assoluta egemonia democristiana non era stata elettoralmente scossa dalle prove del '74, '75 e '76. C'era sì continuità nel disegno, nei contenuti e nei metodi, ma il bersaglio negativo e gli obiettivi positivi erano mutati con il mutare del quadro politico del paese. Era poco rilevante che accanto alle proposte abrogative dei tre temi principali, del Concordato, delle istituzioni militari e del codice penale di marca fascista, si fossero di volta in volta associati altri temi minori (nel '74, l'ordine dei giornalisti, la legge sulla stampa e al libertà di antenna; nel '77, l'istituzione manicomiale, alcune norme della commissione parlamentare, la legge cosiddetta »Re

ale , e il finanziamento pubblico dei partiti), in quanto si trattava pur sempre di un progetto complessivo di diritti civili teso a eliminare leggi che limitavano una qualche sfera di libertà individuali o collettive. Era invece assai significativo che nella nuova situazione di maggior potere della sinistra, i radicali intendessero sottoporre ad essa, e magari, se necessario, contrapporle conflittualmente, soluzioni democratiche per alcuni importanti nodi autoritari sviluppatisi durante il regime democristiano e con i quali, ora, comunisti e socialisti non potevano non fare i conti. Il senso nuovo dell'ormai vecchio discorso radicale era, con le parole di Lorenzo Strik Lievers, di questo tipo: »in una società corrosa e sconvolta da processi degenerativi urge introdurre delle controspinte vigorose, occorre ristabilire fiducia e speranza nella democrazia, nella repubblica; è indispensabile restituire dignità, verità, concretezza alle scelte politiche sottraendole all'alternativa tra la partecipazione complice

al marciume parassitario - corporativo - assistenziale e il nullismo vagamente palingenetico-rivoluzionario . (13)

La stagione politica del governo Andreotti, che dall'agosto 1976 si protraeva fino alla primavera 1977, segnava per tutta la sinistra una fase da più orizzonti giudicata di difensiva e di non sfruttamento della generale avanzata elettorale del 20 giugno. In quelle elezioni la sinistra aveva toccato complessivamente il 46,6% dei voti con un 2,6% delle forze di nuova sinistra marxista (Dp) e radicale (Pr), pur se la Democrazia Cristiana non era arretrata rispetto ai risultati del 1972 (38,7%), e non aveva subito quel tracollo che da qualche parte pur si prevedeva, ma al contrario aveva leggermente recuperato rispetto ai risultati delle elezioni politiche regionali. Questa situazione di contemporaneo successo della sinistra (con una poderosa avanzata comunista che passava dal 27,1% del 1972 al 34,4 del '76) e di buona tenuta della Democrazia Cristiana offriva lo spunto al Pci per incalzare le altre forze in vista della realizzazione di un accordo di compromesso che apertamente lo comprendesse. Pertanto l'attegg

iamento comunista, che con la non-sfiducia permetteva il formarsi del governo monocolore Dc e poi il suo operare, dava il tono alla nuova situazione e delineava l'intera trama su cui si iscriveva la lotta politica, i movimenti sociali e lo scontro ideale del paese. Era poi necessario al Pci, per l'ulteriore realizzazione del disegno di incontro con la Dc, realizzare capillarmente un clima generale di normalizzazione politica e sociale fondato su due cardini: da un lato l'allargamento di gestioni e cogestioni a ogni livello a cui i comunisti potessero accedere prima e come premessa del governo nazionale; e dall'altro, l'eliminazione di qualsiasi movimento e iniziativa a sinistra che potesse interferire con la strategia di compromesso attraverso la conflittualità politica o sociale.

I referendum radicali, allorché proposti tra il gennaio e il marzo 1977, venivano così inevitabilmente ad acquistare il significato di una iniziativa in controtendenza, tanto più pericolosa per la stabilità di quel quadro politico che il Pci pazientemente si ingegnava a delineare e a mantenere, in quanto avevano un corso oggettivo non facilmente controllabile nella società politica. I radicali infatti sottolineavano che il nuovo pacchetto di otto referendum del 1977 (14) rappresentava l'unico progetto alternativo all'inerzia ed alla rassegnazione della sinistra di fronte alla ripresa di vigore delle forze conservatrici e democristiane per quanti non accettassero la superiore ragione politica del compromesso storico. »Questa iniziativa referendaria era scritto nella pagina del quotidiano »Lotta Continua messa a disposizione del comitato dei referendum dopo il primo aprile 1977 »costituisce un'occasione preziosa, unica, di lotta politica anche istituzionale dalla quale le forze dell'alternativa di sistema e

di regime possono d'un tratto emergere come antagoniste o protagoniste in uno ``storico'' scontro di classe e di liberazione sociale, proprio mentre molto spesso le si danno, non sempre a torto, per liquidate o in profonda crisi . (15)

Fu probabilmente proprio questa la ragione per la quale il progetto di raccolta delle firme sugli otto referendum proposti riusciva per la prima volta in pieno, con un esito finale positivo nella primavera 1977. In assenza di iniziative di movimento nella sinistra e nel mentre si consumava la lunga trattativa per accordi programmatici, a cui partecipava direttamente il Pci insieme agli altri cinque partiti del cosiddetto arco costituzionale (Dc, Psi, Psdi, Pri e Pli), la proposta radicale assumeva agli occhi della pubblica opinione il segno di un intervento attivo di senso contrario, prima e oltre i contenuti specifici del pacchetto delle norme da abrogare. Con i socialisti inerti nel paese e partecipanti in un ruolo di secondo piano alle trattative di governo, con i comunisti attori dell'azione di inserimento ad ogni costo nella formula governativa insieme alla Dc, con una nuova sinistra »rivoluzionaria e di classe sostanzialmente in declino nel movimento e assente in Parlamento dove pure era entrata con g

li eletti del cartello di Democrazia Proletaria, l'iniziativa radicale offriva un punto di riferimento a quanti non condividevano il nuovo corso di normalizzazione e di cogestione del potere su cui tutta la vita nazionale si modellava ad un anno dal successo elettorale delle sinistre del 20 giugno 1976.

I radicali avevano cominciato a raccogliere firme il primo aprile 1977 e avevano conseguito l'obiettivo propostosi consegnando il 30 giugno alla Corte di Cassazione oltre 700.000 firme per ciascuna richiesta di referendum per un totale di oltre cinque milioni e mezzo di adesioni dopo aver condotto una campagna di mobilitazione unica nel suo genere. Al progetto politico radicale, coordinato da un Comitato nazionale dei referendum ed alla sua concreta realizzazione, avevano aderito sul piano nazionale soltanto Lotta Continua e il minore Movimento dei Lavoratori per il Socialismo, oltre ad alcuni gruppi locali e un notevole numero di singoli militanti della sinistra, non escluse in casi marginali alcune adesioni di comunisti (e un sostegno esterno della Uil). (16)

Un siffatto risultato senza precedenti nell'esperienza italiana (giacchè per l'aborto si era trattato di un solo referendum e con il sostegno della grande stampa), e sicuramente al di sopra delle immaginabili possibilità operative di una forza di minoranza senza insediamento nel paese quale il Partito radicale, non poteva essere attribuito soltanto alla capacità mobilitativa, organizzativa e militante dei radicali e dei loro minori alleati. Certo il partito aveva come non mai retto alla prova di una mobilitazione generale e l'aveva potuto fare anche grazie alla guida della nuova segretaria nazionale Adelaide Aglietta che proveniva dalla diretta esperienza militante svolta in Piemonte, e che riusciva a mettere a punto un'efficace macchina organizzativa. Tuttavia esistevano dei motivi di ordine generale che si innestavano sulla adesione (relativamente) di massa di centinaia di migliaia di cittadini dovuta indubbiamente alla specifica fiducia nel progetto referendario e alla relativa possibilità da parte dei pr

opositori di incanalarla e raccoglierla (pur con il condizionamento della marginale disponibilità dei mezzi di comunicazione di massa). I cittadini - tenendo ben presente che solo un'aliquota era raggiunta dal messaggio - firmavano innanzitutto contro la situazione stagnante della sinistra e contro il corso dominante della vita politica, così come era diffusamente percepito. E da tale sentimento non era mosso soltanto chi aveva votato radicale o Democrazia proletaria o chi simpatizzava per qualche ragione con i metodi e gli obiettivi radicali, ma anche elettori e magari militanti e iscritti a partiti della sinistra, così come stavano inequivocabilmente a testimoniare i dati stessi della raccolta delle firme, zona per zona. (16)

Firmavano, aderivano, e »votavano inoltre coloro che in quel modo pacifico, semplice e diretto che era stato loro offerto, potevano partecipare a scelte collettive intorno ad un'esigenza di espansione della libertà: esigenza percepita come tale nella sua globale espressione (»contro il regime , »per una repubblica autenticamente costituzionale , ecc.) prima ancora che attraverso la mediazione della comprensione delle singole norme da abrogare. La domanda che si aggregava con le firme era certamente una domanda di tipo frammentato sia "contro" i modi e i contenuti della politica dominante in quella stagione, sia come espressione di una spinta "in favore" di una politica e di comportamenti alternativi delle forze innovative storiche attestatesi, con il Pci e con il Psi, su un negoziato ad oltranza con il mondo della conservazione, e, ancor di più, con i rappresentanti del regime responsabile della crisi politica e morale del paese.

L'accusa rivolta all'iniziativa radicale di essere un fatto destabilizzatore e di funzionare da incentivo di un qualunquismo latente metteva paradossalmente in evidenza due aspetti cruciali del progetto referendario. Che esso tendesse cioè a modificare una stabilità o un processo di stabilizzazione fondato sulla rinuncia delle forze innovative a svolgere un ruolo di attacco, data la loro forza, anche in sede di negoziato per dare un assetto di governo al paese; e fungesse da coagulatore di un malessere collettivo non già in direzione di un'estraniazione dalla vicenda politica nazionale, con il rifugio nella difesa privata e corporativa della sfera individuale e di gruppo, ma all'opposto in funzione della trasformazione dello scontento in domanda politica aggregata su obiettivi decifrabili. In definitiva con il referendum, i radicali, proprio nel momento di massimo esplicarsi della vicenda politica nel negoziato di vertice e di partito, offrivano uno sbocco politico che poteva rafforzare e non indebolire la f

iducia nelle istituzioni.

Con il positivo uso del meccanismo referendario che da progetto si faceva realtà condizionando l'intera vita politica, i radicali mantenevano e ritrovavano la dimensione di movimento operante nella società, per dar voce alla domanda innovatrice e riformatrice. Provavano altresì, grazie alla concretezza di quello strumento costituzionale, che non erano entrati nelle istituzioni per svolgervi una sterile funzione di marginale opposizione, ma che sapevano combinare le possibilità offerte dall'arena parlamentare con la necessità di mettere in moto i movimenti e domande di mutamento provenienti dal vivo del tessuto sociale e politico del paese.

3. "Il conflitto tra comunisti e radicali"

L'espansione della presenza radicale dal paese alle istituzioni, avvenuta con le elezioni del 20 giugno 1976, e il mantenimento dell'azione intensa nella società che trovava sbocco nel progetto referendario, erano i due elementi che, caratterizzando la nuova fase del Partito Radicale, lo sospingevano al centro dell'attenzione dell'opinione pubblica e della classe dirigente con polemiche più che mai aspre. Ora che la minoranza aveva dimostrato di avere non solo durata politica ma capacità di crescita, emergendo da un ruolo che sarebbe potuto restare assai marginale, maggiori erano i motivi polemici che le erano indirizzati, in primo luogo dal Partito Comunista. Questi, mentre diveniva sempre più la forza egemone della sinistra e mentre si inseriva progressivamente nell'area di potere e di governo nel corso del 1976-1977, trovava sul proprio cammino consolidato con la sua forza politica insediata nel paese, la sua impostazione ideale e la sua cultura, il fastidioso gruppo radicale e le sue iniziative, con cui

- fatte le debite proporzioni tra due entità quantitativamente così diverse, - si confrontava e si scontrava. Alla radice delle polemiche, prima ancora che gli specifici atteggiamenti su singoli problemi, stava la »diversità della politica e della cultura radicale e la loro non omogeneità con quella comunista dominante a sinistra.

Dopo la vicenda dei posti alla Camera, di cui si è già detto, e dopo le decise critiche nei confronti del Pci in sede parlamentare e di opinione pubblica, su temi quali il Concordato, l'ordine pubblico, gli accordi di Osimo e la politica internazionale, sull'aborto, le carceri, i diritti dei militari e poliziotti e la rai-Tv, i radicali divennero a più riprese il bersaglio dell'attenzione polemica della stampa comunista. In un fondo dell'»Unità del dicembre 1976, il suo condirettore, Claudio Petruccioli, scriveva a proposito del dibattito che Pannella aveva tenuto con l'esponente della nuova destra democristiana Massimo De Carolis e mettendo insieme i due personaggi: »Non è la vena dell'anticomunismo che pure, ribollente e inquieto, li accomuna; è una vena più profonda e limacciosa... astiosa e arrogante , allusiva e incolta, insinuante e ricattatoria che raccoglie la schiuma degli umori, delle paure, delle presunzioni, delle aggressività di quanti, in questa società, anche quando non detengono il potere, g

odono di privilegi . (17) Di più, tentando di definire il fenomeno radicale con lo stesso segno di quello neoconservatore il fondo dell' »Unità lo designava come una delle »manifestazioni di un male antico...: il distacco, la sfiducia e la contrapposizione verso le masse, che si vogliono tenere in una condizione di passività, perché siano "oggetto" e non "soggetto" della politica e della cultura, considerate al più - quando lo sono - campo di esercitazione e di affermazione per il singolo che le interpreta, le guida e le agita... . (18)

Nella stessa settimana Antonello Trombadori, dalle colonne del »Corriere della Sera tentava di delegittimizzare qualsiasi continuità tra il nuovo radicalismo e la tradizione della democrazia radicale e del riformismo laico che era stata di Gaetano Salvemini, di Ernesto Rossi e del »Mondo . In quell'intervento il parlamentare comunista indicava »la situazione di crescente sterilità politica in cui si trova tutto il ribellismo radicaleggiante anche quando cavalca urgenze reali dell'individuo e della società. E in cui sempre più verrà a trovarsi se non riuscirà a trasferire la sua problematica dal terreno della lamentazione informale a quello del confronto politico definito e responsabile, e non innesterà la sua gestualità settoriale... in un articolato disegno di prospettiva statuale . (19) Trombadori sostenendo la completa estraneità del nuovo »movimento radicaleggiante dalla »tradizione del radicalismo europeo e tanto meno [da quello] italiano, del resto esauritosi o entrato a far parte di altre forze ; l

o accostava alla piaga del »massimalismo di cui avrebbe costituito una recente variante in termini di »massimalradicalismo : Con questo di diverso che mentre il massimalismo del passato si limitava a scambiare il punto di arrivo di un processo storico-politico giusto per il suo punto di partenza, il ``massimalradicalismo'' degli anni '70 pretende anche di mettere in moto processi storici a volte ingiusti e negativi . (20)

Qualunquismo, massimalismo, anticomunismo e provocatori di destabilizzazione: queste in sintesi le accuse rivolte dai comunisti ai radicali sia in occasione degli scontri parlamentari, sia in concomitanza con la campagna referendaria.

Come reagivano i radicali? E quale base di argomentazioni specifiche e generali essi potevano portare? Pannella a più riprese affermava, nel fuoco della polemica, che la ragione dell'accanimento della grande forza di sinistra nei confronti della minoranza era dovuta alla qualità sostanzialmente alternativa della politica radicale: »I comunisti intuivano che l'unica alternativa adeguata alla loro politica era scritto in un'intervista a »Panorama non solo per le sinistre socialiste, repubblicane, libertarie e liberali ma anche per lo stesso Pci, era prefigurata nelle nostre lotte che dilagavano nel paese e saldavano all'opposizione comunisti e socialisti, veri liberali e veri cristiani. E li saldavano non solo nelle teorie... E' questo il nostro modo di essere a sinistra... Mi preme di dire che se i comunisti preferiscono essere di sinistra secondo le diverse tradizioni di una certa sinistra storica italiana, ondeggianti fra l'autoritarismo modello Crispi e il perbenismo alla Depretis il parlamentarismo, l'o

pportunismo, il pluralismo organicistico e corporativista, le tradizioni sociali che vanno da Toniolo a Storti, il filoclericalismo sostanziale dei Patti Lateranensi, dei connubi sull'art. 7 della Costituzione, continueranno a essere dei perdenti sul piano politico, come è tutta la sinistra tradizionale, per nostra disgrazia, da 30 anni . (21)

Sullo stesso tono, qualche mese dopo, aprendo la polemica da una tribuna libera del »Corriere della Sera il leader aveva sottolineato il carattere singolare della politica radicale proprio nella ricerca dell'unità a sinistra con il Pci a partire dalla diversità di scelte politiche e di attenzioni ideali che più volte era stata ribadita: »I dirigenti del Pci, loro, ci conoscono e ci temono da vent'anni: sanno perfettamente che non siamo affatto anticomunisti, ma anzi l'unica forza politica che dal 1959 ad oggi, senza tentennamenti, dubbi e paure, ha lottato per una alternativa di sinistra alla Dc, un'alternativa di regime con il Pci... Stiamo lavorando da vent'anni per l'alternativa. Per irrobustire e rendere incomprimibile la componente socialista, laica, liberale e libertaria, autogestionale e internazionalista, non violenta e pacifista, della sinistra italiana, all'interno e all'esterno del Pci e del Psi . (22)

Alle critiche comuniste riguardanti in maniera specifica il progetto referendario replicava anche il presidente del consiglio federale del Pr Gianfranco Spadaccia. Questi parlava autorevolmente in nome dell'intero partito essendone divenuto il leader riconosciuto dopo il suo arresto per l'assunzione di responsabilità dell'attività abortista del Cisa, e dopo che Pannella aveva trasferito in Parlamento più che nel partito il centro della sua attività. Alle accuse di destabilizzazione contro i referendum che venivano da parte comunista si ribatteva con la loro difesa, sottolineandone l'aspetto di strumenti essenziali per attuare norme costituzionali, di cui la sinistra non aveva mai saputo imporre la realizzazione. In un dibattito organizzato dal quotidiano »La Repubblica , al comunista Achille Occhetto che giudicava la campagna degli otto referendum »non all'altezza del progresso della coscienza civile del paese (come nel caso del divorzio) ma al contrario »fondata sulla confusione e sull'irrazionalità , Spa

daccia così replicava: »A chi ci accusa di introdurre elementi irrazionali nel dibattito politico, basandosi su singoli episodi e trascurando la nostra linea complessiva, risponderò che si sta montando una caccia alle streghe contro di noi... Il vero problema è invece la scelta strategica della sinistra storica che si nasconde dietro queste polemiche. Questa scelta consiste nel convincimento che l'incontro lo scontro con la Dc deve avvenire esclusivamente sul terreno economico e sociale, trascurando i problemi di libertà, della attuazione della Costituzione, di abrogazione delle leggi, delle strutture e dei comportamenti fascisti. Voi parlate di cautela, dimenticando che siamo ancora alle prese coi problemi di vecchio fascismo e di vecchio autoritarismo uniti ormai al nuovo fascismo rappresentato dalla legge Reale e da quella sul finanziamento pubblico dei partiti... . E sempre in merito al significato del progetto referendario nel contesto della situazione politica e sociale venutasi a determinare nella pri

mavera 1977, il presidente del consiglio federativo radicale affermava: »C'è oggettivamente una situazione di violenza istituzionale nel paese che colpisce strati emarginati - si pensi ai giovani e agli studenti - che suscita forme di controviolenza che possono trovare base di massa. Di fronte a questa situazione, gli otto referendum sono sicuramente un'iniziativa non violenta e costituzionale. Vogliamo dare sbocco politico ad alcune istanze alternative e in questo la nostra strategia è sicuramente diversa da quella delle forze storiche della sinistra . (23)

Che esistessero delle radici profonde e non solo occasionali del conflitto tra radicali e comunisti, lo metteva in rilievo il saggio di apertura del primo numero della nuova rivista »Argomenti Radicali , bimestrale periodico per l'alternativa, pubblicato nell'aprile 1977. La rivista diretta da Massimo Teodori e che vedeva come promotori un qualificato gruppo di militanti radicali con responsabilità di partito (tra cui Franco Corleone della segreteria nazionale, Mercedes Bresso e Lorenzo Strik Lievers del consiglio federativo, Giorgio Pizzi, Umberto Cerqui, Carlo Lomartire e Enzo Belli-Nicoletti, dirigenti del Pr lombardo, e Ernesto Bettinelli, collaboratore del gruppo parlamentare), nasceva dalla diffusa consapevolezza che ormai per la forza radicale in sviluppo fosse necessario un luogo di riflessione in grado di irrobustire le crescenti capacità politiche del partito di mobilitazione e chiarire anche, con un appropriato strumento collettivo di analisi e di approfondimento , i significati strategici dell'az

ione radicale, il suo rapporto con il resto della sinistra e il suo modo di porsi rispetto alla nuova situazione del paese.

Secondo quell'analisi ("Radicali e comunisti, le ragioni vere del conflitto"), (24) i nuovi dati riguardanti i radicali erano: il positivo risultato elettorale, l'espansione in termini pratico-politici della linea dei diritti civili, la crisi delle formazioni extraparlamentari a cui corrispondeva la non-crisi radicale, la pressante iniziativa in Parlamento, lo sbocco politico offerto con i referendum alle tensioni del paese, e la crescita dei »gruppi situazionali nel paese. Tutto ciò, appunto, faceva dei radicali non già un dato politico-culturale, oppure un movimento operante solo nel sociale, ma una forza capace "tout court" di incanalare le spinte innovative della società civile verso sbocchi politici e trasformazioni istituzionali. »Di fronte al costruendo equilibrio del compromesso storico, (dati i risultati del 20 giugno con due partiti dominanti e convergenti, l'indebolimento del Psi e degli extraparlamentari di origine marxista), ciò che solo può mettere in crisi il nuovo ordine in formazione sono s

oprattutto i fermenti della società civile. Ma la società civile, di per sè non si esprime, se non attraverso movimenti, canali, iniziative che diano voce a contraddizioni in atto potenziali. Ebbene, la pericolosità radicale per il Pci e le ragioni del conflitto devono essere rintracciate proprio qui . (25)

L'analisi delle ragioni della conflittualità così proseguiva: »Il fatto particolarissimo dei radicali è che sono, al tempo stesso, suscitatori di movimento nell'area dei diritti civili e capaci di esprimerlo direttamente nella società politica e nelle istituzioni con puntuali iniziative, in questo fatto tutto particolare cioè di non essere né partito ``movimentista'', né partito ``politicista'', sono le ragioni profonde degli strali comunisti. Agli occhi del Pci, per quel che riguarda le vicende d'ogni giorno, la politica radicale è colpevole e quindi deve essere combattuta principalmente per due motivi: primo perché istanze e domande di movimento e contraddizioni della società civile vengono portate direttamente nelle istituzioni, hanno cioè uno sbocco politico non mediato dal Pci stesso (che è quello che ha tentato di fare dal '68 in poi, da quando si è sviluppato alla base del paese un ``partito del mutamento''); secondo, perché queste lotte che nascono da singole contraddizioni tendono a legarsi in una s

trategia generale - quella dei diritti civili - che per sua stessa natura è alternativa alla visione dello stato democratico-sociale-popolare . (28)

Il saggio metteva poi in luce come i radicali fossero non solo il prodotto di una decisa iniziativa politica soggettiva, ma anche il risultato di nuove contraddizioni oggettive. Quelle secondo cui la società non poteva più essere letta semplicemente con i tradizionali schemi di classe, ma doveva essere analizzata anche attraverso quello che il sociologo Carlo Donolo aveva aveva definito »gruppi situazionali , (27) i gruppi cioè che vivono contraddizioni ed esprimono esigenze in quanto partecipi di una certa situazione esistenziale o istituzionale; le donne in quanto donne, i giovani in quanto giovani, i disoccupati in quanto disoccupati, i partecipanti di qualche istituzione totale o tendente a esserlo. In qualche modo tutti questi gruppi situazionali, avvicinatisi alla politica negli ultimi dieci anni, ed entrati come protagonisti nella scena sociale dei movimenti antiautoritari o per la trasformazione di singole istituzioni, hanno preso coscienza del fatto che le contraddizioni specifiche del loro partecip

are a una determinata situazione potevano essere politicamente socializzate e aggregate.

In definitiva il nodo centrale del conflitto tra la grande forza della sinistra e la nuova minoranza dinamica veniva individuato, nell'interpretazione di »Argomenti Radicali , nella contrapposta visione della ``tutela sociale'' cara ai comunisti di fronte a quella dei diritti civili, propria dei radicali: »Il Pci, di fronte a questa esplosione sociale, ha teso e tende a riservare a tali istanze uno spazio sociale controllato e controllabile, ma non una rappresentazione istituzionale e politica diretta, giacché riserva solo a sé il ruolo di istituzionalizzatore generale del mutamento in subordine alla strategia politica generale che viene prima di questo e non ne è il risultato. La ``politica dei diritti civili'', al contrario, tende non già ad individuare questi bisogni sul piano individuale disgregando la compattezza sociale, ma a divenire l'unico strumento praticabile di aggregazione politica, diretta e non mediata di una società per altri versi senza molti momenti di unificazione. Alla ``tutela sociale''

che viene proposta dai comunisti (vedi l'aborto, vedi il modo di intendere l'accesso alla Rai-Tv, il modo di concepire la riforma universitaria, ecc.), nella linea del compromesso storico in cui si tende a risolvere tutti i nuovi conflitti situazionali, prodotto non già dal capitale in sé ma attraverso la mediazione dello Stato e della sua crescente funzione, si contrappone in linea ideale e politica, la ``tutela del dissenso'', la ``tutela del diritto'': questa entra necessariamente in contrasto, sia come visione generale che come soluzione specifica, con la concezione comunista coniugata con quella cattolica dell'estensione della mano pubblica e dell'interventismo sociale .(28)

4. "I motivi di vent'anni di storia radicale"

La vicenda radicale è tuttora in corso; e al termine di questo tentativo di ricostruire storicamente le tappe essenziali non si possono certo trarre conclusioni o formulare valutazioni d'insieme. Quello che abbiamo inteso offrire qui è stato piuttosto una prima sistemazione di un fenomeno (con l'esposizione quanto più possibile accurata di dati e di informazione) sul quale, al di là della cronaca politica, poche o nulle sono state le riflessioni d'insieme. Si impone tuttavia, a mo' di chiusura provvisoria, l'esigenza di richiamare alcuni nodi e alcuni interrogativi cruciali sollevati a più riprese nel corso della trattazione per metterli in evidenza a beneficio di ulteriori sforzi di analisi e di comprensione.

La questione di fondo su cui soffermarsi riguarda l'individuazione dei motivi che sono stati alla base della "durata" e della "riuscita" dei radicali nel corso della storia politica italiana degli ultimi vent'anni: ed è problema di non scarsa portata. Infatti per la prima volta dopo il fallimento del Partito d'Azione, la fine di Unità Popolare e del »primo Partito Radicale del »Mondo e dell' »Espresso (1955-1962), con l'attuale Pr, un gruppo della sinistra laica non marxista riesce ad affermarsi con forza autonoma, capace non solo di una presenza nel dibattito politico-culturale ma di un'azione politica vera e propria, determinante di eventi di grande rilievo e di portata storica (divorzio, aborto, otto referendum...) e capace altresì di conquistarsi una propria rappresentanza parlamentare.

L'»emergere del Partito Radicale, così, rappresenta in due sensi una novità considerevole per il sistema politico italiano: perché da un lato rompe quella che sembrava una »legge ormai consolidata - cioè che nessun gruppo politico nuovo non derivante da una scissione consistente di un partito già affermato, avesse possibilità di »sfondare ; dall'altro infrange il mito dell'inesistenza di spazi a sinistra all'infuori dell'area culturale comunista e comunque facenti riferimento almeno formalmente (come il Psi) alla classe operaia. E tanto più evidente risulta il valore di questi dati se si confronta l'efficacia della presenza politica radicale nell'ultimo decennio con quella dell'altra forza nuova emersa nello stesso arco di tempo, la galassia composita della »nuova sinistra rivoluzionaria di ispirazione variamente comunista-leninista.

In primo luogo la spiegazione del fenomeno va ricercata nella decisione e nella volontà di durare politicamente come forza autonoma da parte di un nucleo di militanti, a lungo irrisoriamente esiguo. Lo si è detto: è una vicenda che corre continua per oltre un ventennio. Quel gruppo di giovani che già nella fase del »primo Pr aveva costituito la struttura portante del corpo politico militante del partito (giacché la classe dirigente radicale più nota e più prestigiosa in realtà non si impegnò mai a fondo nel partito in quanto tale), dopo la scissione del 1962, si assunse l'impegno e l'onere - che poteva apparire ridicolmente sproporzionato alle forze - di mantenere la continuità politica del grande filone che attraverso il precedente partito, risaliva al Partito d'Azione, a Giustizia e Libertà, a »Rivoluzione Liberale . Quanta fosse la certezza della necessità, giustezza e potenzialità vincente di questa scelta in chi la operava, sta a dimostrarlo il fatto che il »partito che contro tutto e tutti tenne fede

con tenacia a quella decisione, fu composto per oltre dieci anni da non più di cento persone e poi, ma solo negli anni recentissimi, da mille e poi da qualche migliaio di militanti.

Si tratta dunque di una storia il cui elemento soggettivo è stato determinante nel persistere nonostante durezze e isolamenti nella società politica per un periodo di tempo politicamente così lungo con le proprie ipotesi e posizioni controcorrente ( e verrebbe quasi la tentazione di definire »leninista il rapporto fra il gruppo che ha resistito testardamente e le »condizioni oggettive della società italiana, se ciò non contraddicesse i contenuti e i modi dell'azione politica del Pr). Ma è indubbio poi che, oltre al dato volontario e volontaristico che ha sostenuto la vicenda radicale permettendole di durare, sia stata proprio l'intelligenza politica delle analisi sulla situazione reale italiana, molto spesso anticipatorie rispetto al corso delle cose, (ne evochiamo qui i tratti emblematicamente più significativi: corporativizzazione, funzione del clericalismo nelle strutture di potere, ruolo effettivo del settore pubblico nell'economia al di là dei miti, trasformazione autoritaria delle istituzioni, adegua

mento del modo d'essere dei partiti della sinistra alle strutture dello stato e della società da smantellare); che sia stata, insomma, questa impostazione di insieme a determinare la riuscita radicale.

E' indiscutibile, comunque, che i nuovi radicali siano partiti all'inizio e abbiamo agito per molto tempo solo e soltanto forti (e deboli) delle proprie ipotesi e non già su pressione di fattori o interessi di gruppi e strati sociali. Per molti aspetti dunque lo loro vicenda appare più facilmente interpretabile con categorie storiografiche »etico-politiche che con quelle adatte ad affrontare piuttosto lo studio di conflitti esistenti nel terreno sociale o l'indagine su forze politiche le quali diano voce a quelli che, con una brutta e schematica terminologia, si chiamano conflitti strutturali. Ma è altrettanto certo che a mano a mano che le analisi e le conseguenti proposte politiche potevano esser conosciute da porzioni più ampie della società, esse trovavano puntuale riscontro nei reali nodi di potere del paese con l'individuazione di strozzature, strutture e istituzioni, sedi effettive dello scontro politico, e anche dello scontro di classe. Le risposte radicali (schematizzate nella formula »la politica

dei diritti civili si rivelavano quelle adeguate alla società industriale avanzata e capace di porsi effettivamente in relazione con i conflitti nuovi tipici di quella società

L'emergenza, se pure lenta e faticosa, e non il consumo o il ripiegamento su se stessa, di una posizione politica radicale era dovuta quindi al fatto di corrispondere, attraverso un'iniziale ostinata proposta tutta politica, a esigenze profonde della società nuova, in particolare di quelle configuratesi in Italia tra gli anni '50 e gli anni '70.

Se il gruppo originario dei nuovi radicali, aggregatosi nella seconda metà degli anni '50, non fosse stato così pertinace nel portare avanti la propria isolata scommessa politica, probabilmente non avrebbero trovato sbocco politico quelle tensioni liberatorie di massa che negli ultimi anni si sono rivelate come risposte »radicali alla crisi. E se, d'altro canto, le proposte, le battaglie e le risposte radicali non avessero corrisposto a reali contraddizioni sociali, venute a maturazione soprattutto dopo la collettiva rottura coscienziale della fine degli anni '60, la vicenda radicale sarebbe rimasta quella di un gruppo di pura valenza culturale, anche se di questa dimensione essa non ha mai avuto né la pretesa né la sostanza.

Ha sostenuto il cattolico Gianni Baget Bozzo che »il radicalismo suppone il recupero, non dico del soggetto..., ma dell'individuo , di quell'individuo che negli anni '70 »è un ``atomo'' nel senso che è il residuo ultimo di tutte le divisioni possibili . E di questa nuova »società radicale , equiparata dal punto di vista cattolico alla società »consumista di cui violenza e barbarie sono ormai intrinseche, il nuovo radicalismo italiano da un lato sarebbe espressione, mentre dall'altro costituirebbe un tentativo di superarne i lati negativi. »Se comprendiamo bene le intenzioni del radicalismo politico scrive ancora Baget Bozzo »esse sono rivolte verso il tentativo di sbarbarizzare il radicalismo latente nella società, e di socializzare, in qualche modo, l'individuo emergente... Il partito radicale non è dunque un partito ma una forma politica di una società diversa ormai da quella che ha espresso come sua forma politica i partiti ideologici (quelli il cui vertice è il partito leninista). (29)

Con il suo linguaggio e la sua scala di valori questo singolare esponente della cultura cattolica integralista ha colto, pur caricandoli di segni ideologici estranei al pensiero laico, alcuni dei caratteri di fondo dei rapporti che il Pr ha realizzato, da una parte, con il mondo politico culturale e, dall'altra, con la società civile. In questa prospettiva, infatti, la »politica dei diritti civili diviene non tanto l'esaltazione individualistica della disgregazione sociale propria delle moderne società di massa, ma al contrario un fattore direttamente ed efficacemente alternativo nel corpo sociale a questi fenomeni, come adeguato strumento di aggregazione della nuova domanda politica diffusa.

Un altro importante elemento da considerare per la complessiva comprensione del fenomeno radicale è la continua e costante "drammaticità" dei modi di esistere del partito-gruppo. Nelle diverse fasi con le specifiche battaglie (divorzio, obiezione di coscienza, accesso alla televisione, aborto) e con gli obiettivi organizzativi e finanziari che il gruppo si è via via assegnati, è stata forse l'enfatizzazione del carattere straordinario e ultimativo dei compiti di un determinato momento che ha consentito il superamento delle ripetute crisi interne ed esterne. Il partito Radicale ha spesso posto a se stesso, nei momenti cruciali, i problemi delle azioni specifiche come problemi di vita o di morte, della possibilità stessa di esistere della politica radicale. Tutto ciò è parso - non senza elementi di verità - all'interno del partito come un »ricatto dei radicali a se stessi, ed all'esterno, come un »esibizionismo di chi non possedeva altri argomenti e strumenti adeguati ai compiti politici del momento che non

fossero quelli dello scandalo e della trasmissione del messaggio attraverso di esso.

Certamente risponde a una realtà precisa, in termini di analisi, questa notazione sul modo di essere della »cosa radicale durante quindici anni. Ma è ancora in essa che va rintracciato uno dei motivi della singolarità radicale in grado di vincere scommesse molto più grandi della propria forza politico-organizzativa. Giorgio Galli ha sostenuto che i radicali usano la piccola forza di cui dispongono al massimo delle sue capacità e possibilità nell'ambito di una sinistra che usa al minimo la grande forza di cui dispone. (30) E Francesco Ciafaloni ha scritto di contraddizioni e insufficienze che si colgono in alcuni radicali, le quali sarebbero dovute alla »sfasatura propria di un gruppo politico il cui peso culturale e di opinione e la cui efficacia pratica sono così enormemente maggiori del suo peso organizzativo . (31)

Probabilmente, se la vicenda radicale non fosse stata drammatizzata, non sarebbe stato colmato il costante salto tra capacità e compiti, tra energie e obiettivi. Perché in realtà, in sede di giudizio storico, va riconosciuto che alla »drammatizzazione ha corrisposto una drammaticità reale; ché davvero, di volta in volta, la vittoria o la sconfitta comportavano la possibilità stessa di sussistere, la credibilità esterna e la fiducia in se stessa di una forza che per la propria esiguità organizzativa, per la propria mancanza di retroterra sociale o di interessi costituiti, non aveva altra possibilità di reggere lo scontro con un ambiente politico scettico e ostile che quella di rilanciare costantemente iniziative vincenti. Insomma, il carattere drammatico che ha accompagnato l'azione politica radicale - con la ripetuta messa in gioco della sopravvivenza del partito, e spesso anche dell'esistenza fisica dei suoi militanti - ha risposto alla stessa situazione politico-oggettiva in cui il Pr si trovava a operare

in un sostanziale isolamento.

Dunque, quella radicale è una storia controcorrente, dovuta soprattutto all'estraneità della cultura politica del gruppo da quella dominante sia negli ambienti laici che tra le forze della sinistra, tradizionale e anche nuova. Ma non sono stati e non sono i testi culturali e le referenze ideali (e magari quelle ideologiche, le rare volte che sono venute in superficie) a determinare i dati di fondo della diversità culturale radicale nei confronti della società politica. Chi si volesse addentrare in questo tipo di analisi non troverebbe molto materiale a disposizione, e anch'esso comunque ben poco decifrabile. Infatti la cultura politica radicale è, paradossalmente, nel "primato della politica", sempre accompagnata dall'urgenza dell'azione. E' appunto su questo terreno che devono essere individuati i segni distintivi del partito-movimento-gruppo nei confronti della cultura politica delle altre forze di sinistra, ed è ancora questo uno dei motivi dell'emergenza radicale nel tempo e della sua efficacia.

Il Pr ha camminato costantemente secondo i tempi e modi propri e con contenuti suoi propri, al di fuori e malgrado quella che, di volta in volta, era riconosciuta come l'attualità politica e il quadro politico. Proprio in questo suo volere ad ogni costo proporre e imporre ritmi e temi contro i corsi prevalenti e dominanti, risiede la speciale cultura politica in continuo conflitto e sfida con quella maggioritaria; e di conseguenza la »solitudine radicale.

In tutti gli anni della lenta ricostruzione del gruppo era una sfida dimostrare, ad esempio, che temi quali il divorzio, culturalmente propri della cultura laica, potevano essere anche temi popolari e che trovavano rispondenza in bisogni diffusi. Lo stesso discorso è valido per il rapporto tra i radicali e il '68. Il Pr, le sue proposte - quelle stesse che si usano definire con l'etichetta »socialiste e libertarie - esistevano prima del '68 e passando attraverso di esso sono state in conflitto anche con tutta la cultura diffusasi dopo quell'anno. L'ostinazione di perseguire le piccole, limitate e concrete riforme, e di perseguirle con durezza, è stata ed è un'attitudine opposta a quella della nuova sinistra marxista o dei gruppi neorevoluzionari della sinistra di classe.

Il »poco ma certo radicale è una sfida sia al »tutto e subito che al »poco se possibile delle culture dominanti nell'azione politica, e quindi ragione di conflitto.

Il Partito Radicale è stato scoperto dall'opinione pubblica dopo il 1974. La sua vicenda che per molti è conosciuta, apprezzata o combattuta, soltanto per ciò che è apparso negli ultimi anni, comincia in realtà e si sviluppa alla fine degli anni cinquanta. Data da allora la ripresa e l'inizio d'inversione del declino del mondo laico-liberale e socialista italiano attraverso il gruppo di nuovi radicali che hanno innestato su quel filone tradizionale modi e contenuti di azioni delle nuove sinistre: quelle nuove sinistre nate proprio dalle crisi delle risposte che le grandi correnti ideali del nostro tempo - marxismo, liberalismo e cristianesimo - non sono state in grado di dare efficacemente e sufficientemente alla moderna società.

Esso ha acquistato, con il referendum del '74, credibilità e conferma delle proprie ipotesi. Ha poi superato gli obiettivi che a mano a mano si poneva: nel 1975 la proposizione del referendum sull'aborto; nel 1976 lo sbocco istituzionale in parlamento; nel 1977 la proposizione degli otto referendum. Fino a oggi il Pr è stato »partito di progetti e »partito di mobilitazione . E' riuscito a far uscire quasi sempre i progetti puntuali che proponeva dal ghetto delle sterili enunciazioni per inserirli nella corrente del grande dibattito e della grande scena del paese. E' riuscito, intorno ad essi, di volta in volta, a mobilitare una parte di opinione pubblica per sostenerli e per arricchire con nuovi militanti l'esiguità del proprio minuscolo corpo politico.

Forse oggi il Pr ha di fronte a sé una nuova sfida. La sua stessa riuscita, laddove si è cimentato, lo fa apparire nella scena italiana come una forza su cui si appuntano le speranze di molti che non si riconoscono nell'assetto in formazione: il nuovo regime fondato su Dc e Pci. Del resto, la sua stessa crescita, fondata sulla mobilitazione specifica e intermittente sui singoli progetti, ha determinato le sue caratteristiche strutturali.

Riuscita e crescita - e le conseguenti domande e speranze politiche che una parte del paese ripone nel Pr - pongono in evidenza alcuni limiti dei radicali nel loro modo di essere: un organismo politico funzionale quasi esclusivamente alla mobilitazione, ma inadeguato a raccogliere e a trasformare in corpo politico omogeneo le energie militanti che esso attrae; un gruppo dirigente ormai troppo esiguo rispetto alla potenzialità e attualità della stessa forza politica; la scarsa penetrazione e maturazione tra i nuovi militanti di una cultura politica omogenea (che è stata la forza del gruppo centrale radicale) a mano a mano che il partito si è allargato; in sintesi l'essere forza politica modellata sui modi della sua crescita.

E' probabile che il ruolo dei radicali nel paese acquisti peso in relazione con i caratteri della nuova situazione, in cui gli interessi corporativi tendono sempre più a saldarsi proprio attraverso i nuovi accordi politici. La crescita del ruolo radicale potrà avvenire se il partito saprà superare il rischio di essere respinto nell'emarginazione dal nuovo blocco dominante, e contemporaneamente saprà reagire alle spinte centrifughe operanti al suo stesso interno verso un ruolo di mera opposizione di testimonianza. Nella nuova situazione, una forza come quella radicale, che imposta la sua opposizione a questo tipo di regime sollecitando e raccogliendo le spinte socialiste e liberali all'espansione dei diritti civili contro le saldature corporative e autoritarie, potrebbe costituire il naturale contrappeso alle forze dominanti.

Per far fronte ai nuovi compiti il Pr deve forse porre una nuova sfida a se stesso: quella di adeguare il suo modo di essere e quindi il suo stesso modo di agire alle domande e alle aspettative che il paese gli ha posto e gli pone.

"Note"

1 Nelle elezioni politiche del 20 giugno 1976 venivano eletti quattro parlamentari alla Camera: Marco Pannella che optava per il collegio di Torino; Adele Faccio per quello di Milano; Emma Bonino a Roma e Mauro Mellini a Genova.

2 Le linee di analisi di questa parte seguono il saggio interpretativo di Ernesto Bettinelli, "Quattro radicali a Montecitorio: primo bilancio di una stagione parlamentare per la rivoluzione democratica", »Argomenti Radicali , n. 1, aprile-maggio 1977, pp. 114-127.

3 La proposta radicale ai parlamentari del Psi era di formare un gruppo comune a condizione che ne fosse eletto presidente Loris Fortuna e che i singoli parlamentari avessero libertà di voto. Evidentemente si trattava di una proposta non accettabile per il Psi: essa però era indicativa della linea di intervento radicale di suscitare schieramenti sulle cose con le alleanze soprattutto in direzione dei socialisti.

4 A Ernesto Bettinelli si devono molti dei progetti di legge apprestati dal gruppo radicale (per es.: riforma ordine pubblico). Tiene regolarmente la rubrica »Attraverso le istituzioni del bimestrale »Argomenti Radicali , di cui si è già citato il saggio "Quattro radicali in Parlamento".

5 E. Bettinelli, "cit.", p. 118.

6 L'onorevole Mimmo Pinto, unico eletto di Lotta Continua nel cartello di Democrazia Proletaria, marcava progressivamente una diversità di atteggiamento rispetto ai suoi colleghi di gruppo specialmente dopo la convergenza di Lotta Continua sulla raccolta di firme per il progetto referendario radicale del marzo 1977. Nel luglio 1977 si arrivava quasi ad una rottura del gruppo di Democrazia Proletaria, con Pinto (e in parte Gorla del Pdup) da una parte e i parlamentari del Manifesto (Castellina, Magri, Milani) dall'altra.

7 Marco Pannella, "La democrazia chiede confronti duri e leali", intervento alla Camera, in »Notizie Radicali , a stampa, n. 19 nuova serie, 29 agosto '76.

8 Cfr. per il solo primo periodo "Parlamento: bilancio di tre mesi di attività", »Notizie Radicali , a stampa, n. 43 nuova serie, 13 ottobre 1976.

9 Cfr. Ernesto Bettinelli, "Polizia e società civile: verso una nuova separazione?", »Argomenti Radicali , anno I n. 2, giugno-luglio 1977, pp. 122-138.

10 Cfr. Gianfranco Spadaccia, "Sollecitiamo col digiuno una politica carceraria", tribuna aperta, »Corriere della Sera , 31 gennaio 1977. Inoltre vedi "Appello a chi ne ha il potere e l'autorità", al 70· giorno di digiuno, inserzione pubblicitaria, in »La Repubblica 19 marzo 1977. Sulla vicenda delle dimissioni da deputato di Emma Bonino per la stessa questione cfr. la stampa nazionale del 24 marzo 1977.

11 Cfr. la stampa nazionale dei giorni 3-8 marzo 1977.

12 Mozione finale del XVII congresso nazionale del Pr, Napoli, 1-4 novembre 1976, in »Notizie Radicali , n. 182, nuova serie, 15 novembre 1976.

13 Lorenzo Strik Lievers, "Referendum: contro la crisi uno strumento di unità e alternativa", »Argomenti Radicali , anno I n. 1, aprile-maggio 1977, pp. 7-8.

14 "Otto firme per un solo grande referendum", a cura del Pr, Roma, 1977.

15 Marco Pannella, "Perdere i referendum, un crimine di classe", »Lotta Continua , 8 aprile 1977, p. 8.

16 Cfr. i dati della raccolta delle firme, disaggregati provincia per provincia, pubblicati in »Notizie Radicali , n. 163, a stampa, 16 luglio 1977, paragonandoli ai risultati elettorali radicali e di democrazia proletaria.

17 Claudio Petruccioli, "I dioscuri del privilegio", fondo, »L'Unità , 9 dicembre 1976. vedi anche: "Come inventarsi milioni di voti e vivere felici", corsivo, »L'Unità , 13 dicembre 1976.

18 Petruccioli, "art. cit."

19 Antonello Trombadori, "Il Pci replica a Pannella: troppo vittimismo", tribuna aperta, »Corriere della Sera , 14 dicembre 1976.

20 "Ibidem".

21 "Radicali. Senti Berlinguer", intervista a Marco Pannella, »Panorama , 12 ottobre 1976.

22 Marco Pannella, "Pannella al Pci: Perché ce l'avete con noi?", tribuna aperta, »Corriere della Sera , 12 dicembre 1976.

23 "Dibattito: Se scattano gli otto referendum" (Gianfranco Spadaccia, Achille Occhetto, Alberto Malagugini, Enrico Manca, Stefano Rodotà), »La Repubblica , 7 giugno 1977.

24 Massimo Teodori, "Radicali e comunisti: le ragioni vere del conflitto", »Argomenti Radicali , anno I n. 1, aprile-maggio 1977, pp. 33-47. Il saggio era stato originariamente preparato come relazione al consiglio federativo del Pr e lì dibattuto, nel gennaio 1977.

25 "Ibidem", p. 39.

26 "Ibidem", p. 38.

27 Cfr. Carlo Donolo, "Oltre il '68. La società italiana tra mutamento e transizione", »Quaderni Piacentini , anno XV nn. 60-61, ottobre 1976, pp. 3-38.

28 "Teodori", op. cit., p. 42.

29 Gianni Baget Bozzo, "La »Società radicale secondo Baget Bozzo", »Argomenti Radicali , anno I n. 1, aprile-maggio 1977, pp. 106-110.

30 Giorgio Galli, "Il ruolo dei radicali secondo Giorgio Galli", »Argomenti Radicali , anno I n. 1, aprile-maggio 1977, p. 112.

31 Francesco Ciafaloni, "Una sinistra liberale figlia del '68, »Argomenti Radicali , anno I n. 2, giugno-luglio 1977, p. 110.i

 
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