di Massimo Teodori, Piero Ignazi, Angelo PanebiancoSOMMARIO: L'analisi teorica del rapporto tra movimenti collettivi e Partito radicale. In questo capitolo si approfondisce la natura e il ruolo del Pr e la differenza con le altre forze politiche: mentre i partiti tradizionali puntano ad esercitare un egemonia sulla società civile, il progetto del Pr è "quello di ridare alla società civile un'espressione politica autonoma, facendo 'saltare' almeno in parte la mediazione della società politica".
INDICE GENERALE
"Premessa degli autori"
Parte prima
STORIA DEL PARTITO RADICALE
I Dai Vecchi ai nuovi radicali
1 Il primo Partito Radicale (1955-1962)
2 Il centro-sinistra e l'ottimismo tecnocratico del benessere
3 Le nuove opposizioni in Europa
4 L'eredità del movimento goliardico
5 La sinistra radicale
"Note"
II La solitudine di una minoranza
1 La faticosa ripresa del nuovo gruppo
2 L'»Agenzia Radicale e le sue battaglie: Eni, assistenza, scuola
3 Unità e autonomia: si configura il conflitto con la vecchia sinistra
4 I radicali di fronte alle proposte di unificazione della sinistra
5 L'isolamento di una cultura politica diversa. Verso il congresso di rifondazione (1964-1967)
"Note"
III La campagna per il divorzio
1 La nascita e lo sviluppo del movimento divorzista con la Lid
2 Il movimento popolare e l'azione di pressione sul parlamento
3 Dal divorzio al referendum
4 I radicali nel movimento divorzista: significato politico generale
"Note"
IV Un partito alla ricerca di se stesso. Dal congresso di rifondazione (1967) a quello di rilancio (1972)
1 Attraverso il sessantotto
2 Le nuove iniziative: giustizia, sessualità, Concordato, liberazione della donna
3 Con antimilitarismo e obiezione di coscienza una caratterizzata presenza militante
4 I radicali e il sistema politico dalle elezioni del '68 a quelle del '72
5 Le difficoltà del partito verso il Congresso di rilancio (Torino 1972)
"Note"
V Con i diritti civili l'opposizione al regime
1 Dopo il rilancio, si moltiplicano le iniziative con un partito assai fragile
2 Gli otto referendum e il referendum sul divorzio
3 L'estate calda del 1974: la battaglia per l'informazione porta Pannella in Tv
4 I radicali di fronte alla »questione socialista
"Note"
VI Per una rivoluzione democratica
1 Azione diretta e azione popolare per l'aborto
2 Ancora sui diritti civili prende forma il partito federale. La carta delle libertà
3 Con le elezioni del 20 giugno 1976, i radicali in Parlamento
"Note"
VII Nel paese e nel Parlamento
1 Una minoranza in Parlamento
2 Il progetto referendario come progetto alternativo
3 Il conflitto tra comunisti e radicali
4 I motivi di vent'anni di storia radicale
"Note"
Parte seconda
ELETTORATO, MILITANTI, MOVIMENTO: UNA INTERPRETAZIONE SOCIOLOGICA
I I militanti radicali: composizione sociale e atteggiamenti politici
1 Premessa
2 La composizione sociale
3 I radicali e il Partito
4 Atteggiamenti politici generali
5 Il profilo socio-politico
6 Conclusioni
"Note"
II Il voto radicale nelle elezioni del 20 giugno 1976
1 Le caratteristiche generali del voto
2 Un consenso elettorale urbano
3 Un voto d'opinione
4 Le preferenze: la concentrazione su Pannella
5 Analisi di un caso: la Toscana
6 Considerazioni conclusive
"Note"
III Dalla società corporativa ai movimenti collettivi: natura e ruolo del Partito Radicale
1 Partito politico, gruppo di pressione, movimento: l'atipicità del Pr
2 Norme, strutture, carisma: le contraddizioni
3 Aggregazioni degli interessi, controllo sociale e movimenti spontanei
4 Sistema politico e società corporativa
5 Dalla contrattazione al conflitto
"Note"
APPENDICI
I Statuto del Partito Radicale
II Gli organi centrali del Pr
III Cronistoria delle principali vicende dei movimenti federati e delle leghe
IV Fonti e orientamento bibliografico
("I NUOVI RADICALI", Storia e sociologia di un movimento politico - Massimo Teodori, Piero Ignazi, Angelo Panebianco - Arnoldo Mondadori Editore, ottobre 1977)
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DALLA SOCIETA' CORPORATIVA AI MOVIMENTI COLLETTIVI: NATURA E RUOLO DEL PARTITO RADICALE (1a parte)
1. "Partito politico, gruppo di pressione, movimento: l'atipicità del Pr"
Le elezioni del 20 giugno 1976 hanno sciolto, agli occhi di commentatori, di politici e anche di molti fra gli stessi simpatizzanti del Partito Radicale, almeno un dubbio che è stato a lungo presente nel dibattito su questa formazione politica: se il Pr dovesse essere considerato un partito politico vero e proprio oppure un semplice gruppo di pressione, sia pure di tipo un po' speciale rispetto alla maggior parte delle associazioni di questo genere che operano sulla scena politica italiana. La partecipazione alla campagna elettorale e l'ingresso di quattro radicali in parlamento hanno reso "di fatto" questo interrogativo superato, essendo ormai a tutti evidente che il Pr è un vero e proprio partito, se per tale si intende un'associazione volontaria che entra in competizione con altre associazioni con un suo specifico progetto e con questo progetto chiede il consenso della comunità politica. (1) Questo interrogativo era sì spesso sollevato ad arte e utilizzato strumentalmente contro la presenza, in chiave co
ncorrenziale, del Pr nella società politica (»I Radicali facciano il loro mestiere, raccogliendo la domanda in tema di libertà civili, noi penseremo alla necessaria mediazione politica ) ma non era per questo del tutto priva di fondamento, essendo il Pr un partito politico "sui generis" che ha operato per lungo tempo (e che tutt'oggi una buona parte opera) con modalità di azione proprie di un gruppo di pressione.
Le caratteristiche specifiche del Pr, partito difficilmente inquadrabile in una qualsiasi tipologia dei partiti (o dei gruppi di pressione) (2) possono essere rintracciate ad almeno tre
distinti livelli:
a) l'organizzazione interna; b) il metodo di lotta politica; c) il rapporto con la »società civile e con la »società politica . (3)
In generale, la distinzione comunemente accettata fra gruppo di pressione e partito politico è, all'apparenza, molto chiara: il primo è un'associazione che si costituisce con il fine di esercitare un'"influenza" sui detentori del potere (o sugli oppositori del potere esistente) mentre il secondo è una associazione la cui ragione d'essere consiste nella conquista e nell'esercizio del potere stesso. Questa definizione, a ben guardare, non è però molto soddisfacente: in primo luogo, perché i confini fra influenza e potere non sono così netti; appare debole la tesi secondo cui il potere si distingue dall'influenza perché, a differenza della seconda, dispone di "sanzioni" da applicare contro gli inadempimenti. Questo criterio non è infatti sufficiente a distinguere i due tipi di azione sociale e gli attori che ne sono portatori; anche un gruppo di pressione è spesso in grado di esercitare sanzioni: ad esempio, un'associazione di imprenditori, che è sicuramente un gruppo di pressione, dispone di molte armi contro
un governo recalcitrante di fronte alle sue richieste. Né, in secondo luogo, la lotta in prima persona per il potere secondo »le regole del gioco consolidate in un certo sistema politico (ad esempio, nel caso dei regimi democratico-rappresentativi, la competizione elettorale) può aiutare a distinguere chi concorre per l'esercizio del potere e chi tende a esercitare una semplice influenza. Per fare un solo esempio, tratto dalla storia politica europea degli ultimi anni, sarebbe difficile catalogare come »gruppi di pressione (o all'opposto come »partiti politici )
i movimenti politici di contestazione sorti dopo il 1968 utilizzando come unico criterio discriminante la partecipazione
o meno alla competizione elettorale.
In realtà, la distinzione fra partito e gruppo di pressione non può essere fondata né sulla differenza fra potere e influenza né sulla volontà o meno di esercitare il potere direttamente. Ciò che distingue un partito da un gruppo di pressione sembra invece consistere nella "globalità" o, all'opposto, nella "settorialità" dei loro fini politici: mentre il gruppo di pressione rappresenta interessi particolari e opera per ottenere provvedimenti in loro favore, il partito, anche quando rappresenta ristretti interessi sociali, opera deliberatamente (quando governa) o mira ad operare (quando è all'opposizione) sull'organizzazione ed il funzionamento della società intera. (4) Occorre quindi guardare ai "fini politici" di ciascuna singola associazione e non è sempre possibile né facile dare una risposta univoca. Il caso del Pr è, da questo punto di vista, emblematico:
se si ritiene settoriale la »lotta per i diritti civili (come a lungo la sinistra italiana ha ritenuto), importante ai fini della democratizzazione della società ma, da sola, non sufficiente a un processo di profonda riorganizzazione, allora il Pr va considerato (anche oggi che siede in Parlamento) un gruppo di pressione che cerca, con le sue iniziative politiche, di imporre al resto della sinistra italiana la lotta su specifiche battaglie civili (come, a suo tempo, riuscì a fare con successo sul tema del divorzio). Se, invece, secondo gli orientamenti degli stessi radicali, la lotta per i diritti civili viene intesa come uno strumento, una leva per innestare una trasformazione generale dei rapporti sociali sullo sfondo di uno specifico modello di società (il »socialismo libertario ), allora il Pr deve essere considerato un partito politico (e le profonde differenze - che vedremo - rispetto agli altri partiti non sono sufficienti a farlo cadere al di fuori di questa categoria).
E' ormai opinione diffusa che i partiti non possono essere studiati e classificati sulla base di un singolo e globale criterio; le funzioni che svolgono nel sistema politico, l'ideologia, l'organizzazione interna, gli interessi di classe o di gruppo che rappresentano ecc., ma che questi e altri criteri ancora vadano combinati insieme. L'indagine sulla "natura" dei partiti va comunque tenuta distinta, da un punto di vista teorico, da quella sul loro "ruolo" all'interno di un sistema politico. (5) Per il primo aspetto, occorre considerare due specifiche dimensioni: il tipo di "organizzazione" interna (partito elettorale, di quadri, di notabili ecc.) e il rapporto con l'ambiente sociale esterno ("insediamento" sociale e caratteristiche della "delega" politica). Per il secondo, conta invece l'analisi di altre due dimensioni: la natura del "progetto politico" e il "metodo" di azione politica. E' chiaro che ciascuna di queste quattro dimensioni è legata a tutte quante le altre: che l'organizzazione interna dipende
da e esercita un'influenza sull'insediamento sociale del partito, che progetto politico e metodo di azione sono tra loro strettamente legati e che entrambi retroagiscono sull'organizzazione e sull'insediamento.
Organizzazione Insediamento
Metodo Progetto
La scomposizione precedente ha fini puramente analitici, ci consente un discorso sistematico e ordinato sul partito, non sta ad indicare quattro aspetti o caratteristiche dei partiti distinguibili empiricamente. Queste quattro dimensioni non sono separabili se non con un artificio teorico.
Nella prima parte di queste note considereremo soprattutto le caratteristiche del Pr dal punto di vista della organizzazione e dell'insediamento sociale. Nella seconda, si metterà a fuoco la relazione che intercorre fra il metodo di azione, il progetto politico e il più generale contesto socio-politico nel quale e sul quale il Partito Radicale agisce.
2. "Norme, strutture, carisma: le contraddizioni"
Sul piano strettamente genetico, il Partito Radicale è un partito di »creazione interna , nato cioè all'interno della società politica, secondo la formulazione di Maurice Duverger. (6) Il Partito Radicale nacque e si sviluppò su iniziativa e per volontà di membri della società politica (l'ala scissionista del Partito Liberale, gli universitari dell'Unuri) senza intervento di forze sociali esterne: fu un "ceto politico", di varia estrazione culturale, a dargli vita. E in tutta la prima fase della sua esistenza mantenne le caratteristiche di espressione di una esigua minoranza »illuminata di intellettuali. Agli inizi degli anni sessanta, quando la »sinistra radicale ereditò tutto il partito, il Pr subì la sua trasformazione più importante, diventando, almeno in parte, un "movimento politico di contestazione". (7) Ma la società italiana dell'epoca, rigidamente controllata dal sistema dei partiti, segmentata e incapsulata entro subculture compatte e tra loro non comunicanti, non era ancora in grado di rispon
dere positivamente alla proposta di una politica »diversa . Occorreva per questo che intervenissero mutamenti profondi nella sfera della società civile e nei suoi rapporti con il sistema politico. Questo avviene alla fine degli anni sessanta con l'esplosione dei primi movimenti collettivi. La rinascita, in forma autonoma e parzialmente sganciata dalla mediazione delle forze politiche tradizionali, della società civile, la crescita di aree consistenti di autonomia sociale, avranno effetti decisivi (anche se misurabili soltanto alla distanza) (8) sul Partito Radicale e sulle possibilità di successo del suo appello politico. I processi di »autonomizzazione del sociale sono alla radice della crescente capacità del Pr ad agire come un movimento politico che "senza operare mediazioni" (distinguendosi in questo, e soprattutto in questo, dalle altre formazioni di sinistra) trasmette direttamente nel sistema politico le domande sociali emergenti. Su questo aspetto, il più importante, ritorneremo in seguito.
Consideriamo, per ora, l'organizzazione interna. Una distinzione classica, in tema di partiti politici, è quella fra il "partito di comitato" e il "partito di apparato". (9) Il primo fece la sua comparsa in Europa nel secolo scorso in un'epoca di suffragio ristretto, con il fine di rappresentare in parlamento gli interessi borghesi e aristocratici. Era composto da un'insieme di comitati ristretti di notabili locali, ciascuno raccolto intorno ad un proprio candidato, disseminati sul territorio nazionale. Non esistevano né disciplina di partito né una struttura centralizzata. Ciascun comitato finanziava direttamente la campagna elettorale per eleggere il proprio rappresentante. Gli organi centrali si limitavano a coordinare le attività dei comitati, senza impartire direttive. Non c'erano momenti di verifica collettiva della linea politica. Questo tipo di partito, in disarmo ovunque in Europa dopo l'introduzione del suffragio universale è però rimasto, in alcuni casi, come espressione organizzata degli intere
ssi delle classi superiori. In generale però queste classi hanno scelto, nel corso del XX secolo, la strada dell'imitazione dei partiti organizzati del movimento operaio.
I partiti socialisti e poi comunisti avevano, e hanno, una struttura completamente diversa da quella dei partiti di comitato. Erano partiti di apparato, centralizzati, con una (più o meno) rigida disciplina di partito e un'ideologia coerente. La spina dorsale del partito di apparato era composta da una quota rilevante di "professionisti della politica", funzionari, membri degli organi centrali, parlamentari, tutti regolarmente retribuiti. Poiché questo partito doveva organizzare e rappresentare le classi subalterne della società e non poteva contare sulle elargizioni di membri e simpatizzanti facoltosi, si introdusse la Pratica del finanziamento regolare e obbligatorio degli iscritti. Il denaro ricavato contribuiva a finanziare tutte le principali attività del partito, dalla stampa agli stipendi dei funzionari alle molteplici attività. Queste ultime erano numerose perché il partito di apparato, a differenza del partito dei notabili, non entrava in attività soltanto nei periodi elettorali, (non era una sempli
ce »macchina elettorale ) ma svolgeva una intensa e continua azione di propaganda e indottrinamento; al di là delle scadenze elettorali il suo principale obiettivo consisteva nell'educazione e nell'inquadramento politico di massa. I legami "verticali" (fra vertice e periferia) erano rigidi e forti, la periferia doveva seguire fedelmente le direttive del vertice (ma questo avveniva, e avviene, più marcatamente nei partiti comunisti che non nei partiti socialisti). Il partito di apparato, è il prototipo del moderno "partito di mobilitazione". La sua nascita costrinse gli avversari politici, i partiti di destra, a riorganizzarsi. Questi partiti svilupparono così una burocrazia centrale, instaurarono legami più stretti fra vertice e periferia, cercarono di darsi una disciplina di partito. Ma, naturalmente, le diverse "finalità" politiche e il diverso tipo di "insediamento sociale" impedirono una reale omogeneizzazione interna rispetto ai partiti di sinistra e i tentativi del genere fallirono nella quasi totalit
à dei casi.
Partiti notabili e di apparato rappresentano i principali »tipi ma non esauriscono certo la infinita gamma di possibilità organizzative manifestate dai moderni partiti politici. Le trasformazioni sociali e politiche dei sistemi politici occidentali hanno indotto considerevoli mutamenti strutturali nella maggior parte dei partiti. Oggi prevalgono, in generale, le soluzioni miste: alcuni partiti di apparato sono regrediti verso forme più arcaiche di organizzazione (clientelare o di notabili), altri hanno subito un'evoluzione che li ha trasformati in »macchine elettorali quanto ad attività politica e in »partiti pigliatutto (10) quanto a rappresentanza sociale, altri ancora hanno mantenuto inalterati dei caratteri delle origini pur mostrando i sintomi di una progressiva elettoralizzazione. (11)
Nel partito di apparato delle origini troviamo una sostanziale "omogeneità" fra il progetto politico e l'organizzazione. Centralizzazione, monolitismo, rigida disciplina interna erano tratti organizzativi perfettamente rispondenti agli scopi del partito: l'abbattimento del capitalismo e la riorganizzazione della società attraverso la statalizzazione dei mezzi di produzione e nel caso del partito leninista, la dittatura del proletariato. Questo tipo di partito non si prestava, organizzativamente, a un diverso progetto politico, a una proposta di socialismo »autogestionario che rompesse con gli schemi leninisti contrapponendo il decentramento all'accentramento, la socializzazione, alla stabilizzazione, l'espansione degli ambiti di libertà al dispotismo burocratico. Per buona parte, la scarsa credibilità di molti partiti socialisti, compreso quello italiano, (12) dipende dal fatto che una volta rifiutata l'ipotesi di un socialismo centralizzato e burocratico, non sono stati capaci di adeguare le strutture
interne a una mutata proposta politica. (13)
Se questo è il quadro generale entro il quale va collocato un'analisi non superficiale dell'organizzazione radicale, occorre però un'ulteriore specificazione: occorre distinguere fra le "norme" che regolano la vita di un'organizzazione e i comportamenti effettivi che sempre mostrano una più o meno marcata distanza dalle prime. Sul piano delle norme, della »costituzione formale (lo Statuto del partito entrato in vigore nel 1967) non sembrano esserci dubbi che il Pr è una delle poche formazioni »socialiste che più ha cercato di avvicinarsi all'obiettivo sopra indicato (adeguamento dell'organizzazione al progetto). Sul piano della struttura normativa il Pr rappresenta il caso di un partito modernizzante fondato sul massimo di decentramento organizzativo consentito a una formazione politica unitaria. Si differenzia, sotto questo profilo, tanto, ovviamente, dai grandi partiti della sinistra storica, quanto dai piccoli partiti della »nuova sinistra che dei primi hanno sostanzialmente ricalcato il modello (si pe
nsi a formazioni come il Pdup per il Comunismo o Avanguardia Operaia). L'equazione partito di apparato partito modernizzante, generalmente valida, non lo è per il Partito Radicale. Manca nel Pr una burocrazia, e per conseguenza quel nucleo di funzionari professionisti che caratterizza le formazioni di ispirazione leninista (come le due sopra ricordate). Il rifiuto del professionismo è in questo caso - come si legge nello Statuto - (14) una scelta politica deliberata che discende dalle opzioni ideologiche generali del partito.
I legami verticali sono deboli come conseguenza della struttura decentrata. I gruppi locali si organizzano autonomamente in unità-base (le associazioni) e in organismi più ampi di collegamento (i partiti regionali). Il massimo di autonomia politica compatibile con il mantenimento dell'unità è espressamente garantito dallo Statuto. (15) Il Congresso nazionale fissa gli obiettivi politici ed elegge gli organi centrali ma ciascuna associazione locale ha facoltà di sviluppare, in modo autonomo e svincolato da qualsiasi direttiva centrale, la propria azione politica. In concreto, questo significa che gli interessi dei militanti delle singole associazioni sono molto più importanti, ai fini dell'azione politica locale, delle direttive congressuali o di segreteria. Obiettivi politici specifici (anticlericalismo, antimilitarismo, difesa delle minoranze ecc.) e forme e modalità di azione restano così a discrezione delle singole associazioni, e possono dare, a seconda delle zone, »immagini esterne diverse del Pr.
Uniche eccezioni, ovviamente, le campagne per i referendum e, in genere, le iniziative che richiedono un contemporaneo sforzo comune di tutto il partito.
Il Congresso è aperto a tutti gli iscritti che vi partecipano con diritto di voto (anche se, in questo caso, si tratta di una prassi consolidata, non di una disposizione statuaria). E' questo uno degli aspetti che delinea, meglio di altri, la struttura aperta del Pr. I meccanismi di formazione delle decisioni congressuali si formano sul principio della democrazia diretta, del rifiuto della delega. Ancora una volta non è una scelta imposta dalle necessità (piccole dimensioni, debolezza organizzativa ecc.) come è provato dal fatto che le altre piccole organizzazioni, Pdup, Ao, Lc, per esempio, muovendo da diversi presupposti politici, hanno rigorosamente mantenuto il principio della delega e della struttura »chiusa anche in sede congressuale.
I pochi tratti organizzativi richiamati testimoniano a sufficienza della atipicità del Pr: persegue la mobilitazione di massa su obiettivi politici specifici ma è privo di strutture burocratiche mantiene una struttura »aperta ove strumenti di rappresentanza diretta si mescolano ai meccanismi, più tradizionali, della delega politica, ( mescolanza, come vedremo, omogenea rispetto al tipo di azione politica sviluppata) e legami verticali "deboli" come conseguenza della sua struttura federativa e decentrata.
Tutti i caratteri organizzativi del Pr stanno ad indicare il tentativo di costruire un veicolo omogeneo rispetto ad un progetto politico di socialismo libertario, fondato sul rifiuto del professionismo burocratico e della centralizzazione (che, del primo, è la probabile se non inevitabile conseguenza), sullo sviluppo autonomo delle associazioni locali, sul rifiuto della delega in tutti i casi ove questo è possibile. Si tratta, quindi, dal punto di vista della "struttura normativa", di un esperimento politico nuovo poiché strutture decentrate e federative hanno fino ad oggi contraddistinto sopratutto i partiti di notabili orientati alla difesa dello status quo e solo raramente i partiti innovatori o modernizzati.
Ma naturalmente esiste sempre una sfasatura fra la »costituzione formale e la »costituzione materiale , fra le norme e le strutture di potere effettive. Le strutture reali di un partito, infatti, dipendono, oltre che dalle norme, dalle costruzioni dell'ambiente sociale e politico in cui il partito opera. Va notato che la distanza, o sfasatura, fra le norme e le strutture reali non è un dato fisso e immutabile; la sua ampiezza è una "variabile" e, date certe condizioni, è possibile ridurla fino ad ottenere, se non una perfetta coincidenza, almeno un notevole avvicinamento fra i comportamenti previsti dalle norme e i comportamenti effettivi. Questa osservazione è importante perché nel caso del Pr, come in molti altri casi, è facile rilevare una difformità fra la struttura normativa e l'effettiva distribuzione del potere decisionale.
Anche dopo il 1967 (quando, al Congresso di Bologna, venne approvato lo Statuto in vigore e fino a tempi recentissimi, il Pr ha mantenuto una scarsa consistenza e una presenza politica non omogeneamente distribuita sul territorio nazionale. Lo squilibrio
nella distribuzione geografica, la relativamente massiccia presenza nella Capitale e la debolezza organizzativa delle altre
associazioni (con l'eccezione di Milano dal 1972 e di poche altre sedi) hanno avuto conseguenze negative sul funzionamento interno della organizzazione. Da qui certe tendenze, rimproverate, di solito, al gruppo dirigente »romano , ma imputabili, più probabilmente, alla debolezza del partito nelle altre zone, alla gestione centralizzata delle campagne di risonanza nazionale; da qui la »discontinuità nelle comunicazioni interne; da qui, infine, il carattere »carismatico , o supposto tale, della »leadership radicale.
Dagli inizi degli anni settanta - quando cominciano a consolidarsi le prime realtà periferiche - e prima della più recente crescita organizzativa che sembra avere oggi se non eliminato, certo affievolito lo squilibrio fra vertice e periferia (ma ancora moltissimo resta da fare), la »costituzione materiale del Pr era tale che, per debolezza organizzativa, il massimo del potere decisionale si concentrava al »centro (nel gruppo dirigente »storico ) anche se questa tendenza obiettiva era contrastata parzialmente dai meccanismi di tutela della democrazia di base predisposti dallo Statuto del '67.
E' noto che le grandi organizzazioni complesse, la tendenza alla burocratizzazione e la scarsa partecipazione di base, provocano generalmente una spinta pressoché inarrestabile alla costituzione di oligarchie di vertice che annullano la democrazia interna. (16)
In una piccola organizzazione, priva di »diaframmi burocratici, la democrazia interna può avere ugualmente, ma per motivi opposti, una vita difficile. Si tratta però in molti casi di un »effetto ottico : il gruppo dirigente ha effettivamente un potere decisionale sproporzionato rispetto alla periferia del partito (come nella grande organizzazione) ma semplicemente perché quest'ultima è troppo debole e disorganizzata. Sembrano esistere delle »soglie organizzative "al di sopra" e "al di sotto" delle quali la democrazia interna non può essere resa pienamente funzionante. A una struttura organizzativa "debole" corrisponde necessariamente un centro "forte" (perché la periferia è disorganizzata e politicamente fragile, le comunicazioni interne sono difficili ecc.).
Quando, in una fase successiva, migliora lo stato organizzativo del partito si accrescono le possibilità del dibattito interno, aumenta la partecipazione della base al processo decisionale. Al di là di una certa soglia organizzativa, infine, ogni ulteriore crescita si traduce in »burocratizzazione , la democrazia interna è di nuovo soffocata, le tendenze oligarchiche riprendono il sopravvento.
Tutti i dati a disposizione sembrano indicare che il Pr è entrato, di recente, in una fase di crescita che, se la ipotesi prospettata è corretta, dovrebbe sostanzialmente rafforzare la democrazia interna. Questo significa che il nuovo stato organizzativo del partito dovrebbe consentire un maggiore adeguamento della vita interna alle »norme statutarie ma anche che un diverso »modus vivendi dovrà probabilmente instaurarsi nel rapporto fra vertice e base del partito con le probabili, se non inevitabili tensioni e conflitti interni dei momenti di transizione.
Tanto minore è la forza della sua organizzazione tanto più le "chances" di successo di un partito dipendono della "qualità della leadership". »Carisma , come è noto, è un termine entrato ormai nell'uso comune e utilizzato, per lo più a sproposito, per indicare qualsiasi "leader" di successo dotato di »charme . Nella letteratura sociologica, da Weber in poi, indica invece una relazione psicologica fondata sull'attribuzione al leader da parte dei seguaci di »qualità eroiche . (17)
Ma al di là del fatto che il »carisma è un fenomeno di difficilissima individuazione empirica, (18) resta che le capacità di "conversione-mobilitazione" della "leadership" supposta carismatica non possono in nessun caso essere sopravvalutate. E' stato osservato acutamente che »... a meno di non credere nel miracolo di un'origine assoluta (come porterebbe a fare la teoria weberiana del carisma) bisogna porre che il profeta che riesce è quello che formula a uso dei gruppi o delle classi alle quali si rivolge un messaggio che le condizioni oggettive determinanti gli interessi, materiali e simbolici, di questi gruppi o classi li predisponevano ad ascoltare e a intendere. Altrimenti detto, bisogna invertire la relazione apparente tra la profezia e la sua udienza; il profeta religioso o politico predica sempre a dei convertiti e segue i suoi discepoli almeno tanto quanto i suoi discepoli lo seguono, poiché i soli ad ascoltare e a intendere le sue lezioni sono quelli che, per tutto ciò che essi sono, gli hanno ogg
ettivamente dato mandato di far loro la lezione . (19)
Il rapporto leader-seguaci è, anche in quei casi in cui l'apparenza indica la presenza del carisma nel senso weberiano, molto più plausibilmente, di tipo »transitivo . L'adesione alla "leadership" si fonda su basi »razionali , non emotive (non nel senso che queste manchino del tutto, ma nel senso che non rappresentano che molto raramente il fondamento principale della "leadership"). Ciò significa che : »In una prospettiva in termini di transizione, coloro che seguono il "leader" fanno coscientemente un bilancio dei costi e delle ricompense tra un certo numero di opzioni percepite, e di conseguenza si conformano a quelle iniziative del "leader" che offrono i maggiori vantaggi . (20) Naturalmente, in una piccola organizzazione, priva di controllo su risorse materiali, l'adesione alla "leadership", sarà collegata esclusivamente al soddisfacimento di benefici e alla distribuzione di ricompense simboliche.
Tuttavia, poiché qualsiasi gruppo politico richiede, sia per difendere la propria "identità", sia per operare efficacemente sull'ambiente esterno, un coinvolgimento dei seguaci, quando manca o è comunque insufficiente la rete dei legami organizzativi interni, è più probabile la presenza di tratti carismatici della "leadership" - riflesso del maggiore attivismo del vertice - che hanno la funzione di colmare il »vuoto organizzativo e di impedire la disgregazione del gruppo. In ogni caso, le componenti carismatiche appariranno più visibili che non nelle grandi organizzazioni burocratiche. (21)
3. "Aggregazioni degli interessi, controllo sociale e movimenti spontanei"
La collocazione di un partito all'interno di un sistema politico, oltre che dalle scelte del suo gruppo dirigente, dalle costrizioni ambientali e dalle caratteristiche organizzative, dipende dal rapporto specifico che il partito intrattiene con la società esterna. Ritorniamo per un momento alla distinzione precedentemente introdotta, fra partito e gruppo di pressione. Il primo di distingue dal secondo, abbiamo detto, per la diversa natura della domanda politica che organizza, »generale l'uno, »particolare l'altro. Ciò significa che, nella maggioranza dei casi, il partito »aggrega le domande »particolari dei diversi gruppi sociali, svolge cioè un'opera di »mediazione fra domande diverse e, a volte, anche divergenti inquadrandole in un programma politico generale. Che questa sia la principale funzione dei partiti è provato, "a contrario", dagli effetti disgregativi che si producono nel sistema politico quando i partiti perdono la capacità di aggregare la domanda e diventano portatori di interessi settoria
li o particolari. (22) Dire che il partito aggrega la domanda politica significa che esso svolge una attività di mediazione fra la società civile e gli apparati decisionali dello Stato: il partito raccoglie molteplici domande, ne respinge altre, facilita o blocca l'accesso ai canali politici di altre domande. La società politica (l'insieme dei partiti e dei gruppi di interesse), a un tempo sede privilegiata della lotta per il potere e della contrattazione fra rappresentanti di domande sociali differenziate, opera come un »diaframma fra società civile e Stato, con una azione di filtraggio e di selezione.
La principale differenza fra il Pr e gli altri partiti sembra consistere in questo: il Pr traduce "direttamente" in azione politica, senza un previo processo di aggregazione e di mediazione, le specifiche domande dei settori della società di cui si pone portavoce.
Chiariamo meglio questo aspetto. Ogni partito politico ha una molteplicità di legami e di canali di collegamento con la società. Il Partito Comunista, ad esempio, è sicuramente il principale rappresentante politico, nella società italiana, dei lavoratori dell'industria ma esprime anche le aspirazioni e gli interessi di frange consistenti di ceto medio, è collegato, attraverso le sue organizzazioni collaterali, all'elettorato giovanile, alle donne ecc. Queste diverse frange e settori sono portatori di domande politiche specifiche, spesso (e sempre più, man mano che si allarga l'insediamento sociale del partito) in contrasto fra loro e, a volte, in contrasto con la stessa strategia scelta dal gruppo dirigente. L'opera del partito si esplica così in buona parte in una mediazione che ha lo scopo di incanalare le diverse domande verso obiettivi politici unitari. (23) Al suo vertice si verificano quindi contrattazioni (compromessi) fra linee politiche spesso divergenti. Il caso dell'aborto è , da questo punto di v
ista, esemplare. La strategia del compromesso storico impone, di per sé, di evitare lo scontro con la Dc e con la Chiesa. D'altra parte, il partito subisce la pressione della donne comuniste oltre che dell'opinione pubblica progressista che chiede la liberalizzazione dell'aborto. Da qui il tentativo costante di compromesso con il Vaticano e la Dc da una parte, con i settori abortisti del partito dall'altra, e quindi l'oscillazione fra posizioni sensibilmente più avanzate e posizioni più arretrate, oscillazione che non è il prodotto di incertezze o di insufficienze soggettive del gruppo dirigente ma è invece il prodotto di una contraddizione strutturale.
In questa stessa chiave può ancora essere letto l'atteggiamento oscillante fra chiusura (le accuse di »fascismo al movimento degli studenti) e i tentativi di parziale recezione della domanda e di raccolta nell'alveo della propria strategia politica delle »minoranze intense , cioè quel particolare rapporto di »mediazione istituzionale che il Pci intrattiene con le avanguardie sociali. (24) Da quanto detto, deriva che il partito politico, anche d'opposizione, nella società contemporanea, è sempre, ad un tempo, una "struttura di rappresentanza" e una "struttura di controllo sociale". Espressioni come »aggregazione degli interessi o »mediazione istituzionale stanno a indicare questa costante, ambivalenza del rapporto fra partito e società civile.
Il Partito Radicale sembra differenziarsi proprio in questo: che assume la rappresentanza degli interessi (bisogni) di settori della società civile ma non esercita alcuna forma di controllo su di essi, non aggrega la domanda, la raccoglie e la propone direttamente alla società politica. Questa sembra la conseguenza del particolare rapporto che il Pr intrattiene con i movimenti collettivi. La sua struttura decentrata e federativa consente questo rapporto. Più ancora, lo consente il legame istituzionale fra "partito, movimenti federati" e "movimenti collettivi". Il Pr si trova infatti al centro di un rapporto complesso con la società civile che gli consente di ricevere, senza mediazioni burocratiche, le domande dei movimenti collettivi. I movimenti federati al Pr e gli altri gruppi politici che a questo partito fanno riferimento mantengono un legame privilegiato - anche se non tutti con la stessa forza e intensità - con i movimenti collettivi (con le lotte dei soldati, delle donne, delle minoranze etniche e se
ssuali, con le varie forme di emarginazioni e di esclusione). La sintonia del Pr con questi movimenti federati (Movimento di Liberazione della Donna, Lega degli obiettori di Coscienza, Fuori ecc.) radicati a loro volta nei diversi movimenti di contestazione. (25) Ciò spiega anche, in parte, la capacità del Pr di anticipare, nella sue azioni politiche, i temi che, di lì a poco, diventeranno obiettivi di movimenti di massa: la lotta antimilitarista che precede la contestazione nelle caserme nelle sue forme più generalizzate, la battaglia per l'aborto impostata "prima" che divenisse il fulcro della lotta e della crescita del movimento femminista. Certo, in politica la capacità di anticipare i problemi, implica anche doti di intuizione, rimanda quindi alle capacità politiche dei "leaders", cioè a un elemento squisitamente »soggettivo . Tuttavia, la principale causa sembra essere, verosimilmente, di ordine strutturale (oggettivo). Visivamente, il rapporto sopra descritto può essere rappresentato come a pag. 305.
Da questo particolare rapporto discendono poi rilevanti conseguenze: il Pr mantiene i caratteri di un partito politico anomalo, a metà strada fra il partito vero e proprio, da cui lo separa l'assenza di strutture di controllo sociale e di ricomposizione unitaria (aggregazione) delle diverse domande politiche, e il "movimento politico di contestazione" con cui ha in comune un legame non mediato burocraticamente con la società civile.
Questo particolare rapporto si riflette nell'azione politica caratteristica di questa formazione che si risolve nella costante "violazione" delle »regole del gioco della competizione politica cui sottostanno gli altri partiti. Non aggregando la domanda ma facendola rimbalzare, e talvolta innescandola direttamente nel sistema politico, grazie alla sua particolare struttura, il Partito Radicale mantiene alla sua azione un carattere di "imprevedibilità" che discende dal fatto che essa si dispiega secondo una logica che non è quella dei rapporti inter-partitici ma delle mutevoli e continue eruzioni di domande sociali di cui sono portatori, con i loro alti e bassi, i movimenti collettivi.
Soprattutto in ciò sembra consistere la differenza fra il Pr e gli altri partiti: quali che siano (di conservazione o di mutamento) i loro obiettivi, i pertiti puntano sempre, per definizione, ad esercitare una "egemonia" sulla società civile, alla direzione unitaria dei settori che organizzano e/o rappresentano. il progetto politico del Pr, quale appare non tanto dalle affermazioni dei radicali, quanto dalle caratteristiche della sua organizzazione, del suo legame con l'ambiente sociale e della sua azione politica, è invece quello si ridare alla società civile un'espressione politica autonoma, facendo »saltare almeno in parte la mediazione della società politica: è l'autonoma espressione dei processi sociali, al di fuori e spesso contro la società politica, come dimostra la scelta dei referendum come strumento privilegiato di lotta, l'obiettivo principale del Pr. (26)
Cercheremo di valutare, in sede di conclusioni, le implicazioni e anche alcuni nodi irrisolti di questo progetto. Per ora osserviamo che esso appare comunque una risposta ai mutamenti sociali e politici in corso. Ma per capire questo aspetto è necessario collocarsi a un diverso livello di analisi, occorre disporre di alcune ipotesi interpretative attendibili sul funzionamento dei sistemi politici tardocapitalistici e di quello italiano in particolare.