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Bartole Sergio - 1 marzo 1978
REFERENDUM ORDINE PUBBLICO COSTITUZIONE: (10) Proposte di aumento del quorum di firme per la richiesta di referendum e coerenza della classe politica
di Sergio Bartole

SOMMARIO: Due questioni vengono essenzialmente affrontati nel corso del convegno, quella dell'istituto del referendum che progetti di legge comunisti, socialdemocratici, democristiani sottopongono a revisioni più o meno decise e il disegno di legge governativo in tema di ordine pubblico. Questi due temi vengono affrontati in relazione ai principi stabiliti dalla Carta Costituzionale.

("REFERENDUM ORDINE PUBBLICO COSTITUZIONE", Rispondono i giuristi. Atti del convegno giuridico organizzato dal gruppo parlamentare radicale - A cura di Ernesto Bettinelli e Luca Boneschi - Tascabili Bompiani, marzo 1978)

Voglio occuparmi di un problema circoscritto, cioè delle proposte di aumento del numero necessario di sottoscrittori per le richieste di referendum. Concordo pienamente con Onida, quando sostiene che questo non è che un problema esclusivamente tecnico, ma è un problema politico. E vorrei esaminare questo ordine di questioni sotto il profilo politico, avendo riguardo da una parte a quelle che sono le affermazioni, talvolta anche divertenti, delle tre relazioni che accompagnano questi progetti di revisione costituzionale, e dall'altra tenendo d'occhio i dati che abbiamo a disposizione per verificare la coerenza della nostra classe politica in materia. Quali sono dunque questi dati? In Italia passano le mode, ma non dobbiamo dimenticare che c'è stata la cosiddetta fase costituente regionale, e che in quella occasione si è parlato di referendum a livello regionale: in tutti gli statuti ci sono indicazioni precise quanto al numero necessario di sottoscrizioni per la presentazione delle richieste di referendum reg

ionali.

Mi sembra che questi siano dati da utilizzare e da mettere a confronto con le tre proposte del PDSI, del PCI, e della DC. Perché? Perché possiamo così fare delle valutazioni comparative, per vedere se effettivamente in quell'occasione i partiti hanno seguito l'orientamento espresso in sede di Assemblea Costituente, o se invece hanno seguito l'orientamento che oggi ritengono di dover proporre nell'intento di un aggiornamento delle istituzioni. Ma andiamo con ordine.

Innanzitutto ci sono le affermazioni contenute nelle relazioni che accompagnano le proposte di legge costituzionale. La proposta della Democrazia Cristiana parla della necessità di ``mantenere inalterato l'equilibrio tra sistema parlamentare e strumenti di democrazia diretta, nella misura voluta dalla nostra carta fondamentale''. Da qui la pretesa necessità di elevare il quorum dei richiedenti per il referendum, da 500.000 a 1 milione, al fine di garantire un ``riequilibrio nel rapporto corpo elettorale-quorum in tema di referendum abrogativo''. Questo per quanto riguarda la proposta della Democrazia cristiana. La quale fra l'altro, nella relazione accompagnatoria, lascia capire che, in fin dei conti, l'indicazione di 500.000 elettori (di cui all'art. 75 Cost.) è stata del tutto occasionale, giacché, essendosi deciso di optare per una determinata percentuale, cioè un quarantesimo del corpo elettorale, si è lasciata l'indicazione di 500.000 elettori soltanto perché già era stato approvato l'articolo relativo

alla revisione costituzionale, dove questa stessa quantità di elettori-sottoscrittori è indicata ai fini della presentazione della richiesta di referendum su leggi costituzionali approvate dal Parlamento. L'indicazione di 500.000 elettori avrebbe dunque un rilievo meramente casuale. Più importante invece la pretesa decisione sottostante si determinare in un quarantesimo del corpo elettorale la proporzione fra elettori e richiedenti per la presentazione della domanda di referendum. La percentuale di un quarantesimo risulterebbe - fra l'altro - dalla modifica di una precedente proposta, per la quale i sottoscrittori dovevano essere almeno un ventesimo del corpo elettorale. In definitiva il senso della proposta della Democrazia cristiana risulta essere questo: se allora 500.000 elettori erano un quarantesimo del corpo elettorale, bisogna oggi richiedere almeno un milione di sottoscrizioni. Ma come vedremo il calcolo non è corretto.

Più o meno analoghe sono le considerazioni dei relatori social-democratici, salvo una perla che mi pare sia sfuggita a tutti e merita invece di essere ricordata. Si afferma infatti che ``fino al referendum sul divorzio, il ricorso a questo istituto non si è verificato, nel nostro paese, con quella frequenza con cui si manifesta oggi, per iniziative di talune minoranze politiche''. Considerato che la legge sul referendum è stata introdotta proprio in occasione dell'adozione della legge sul divorzio (prima non vi era modo di fare ricorso al referendum), bisognerebbe quanto meno richiamare questi parlamentari a una maggiore attenzione, consigliando loro di utilizzare i loro ricordi personali, oppure di leggere qualche testo di storia costituzionale.

Da ultimo c'è la proposta del PCI, ed i suoi promotori sono veramente in buona compagnia. Anche nella relativa relazione si fa cenno alla necessità di rivedere la normativa della Costituzione sul referendum, sì da farne il naturale portato del trascorrere del tempo, e di una oggettiva valutazione dell'esperienza pregressa. Come vedete, le argomentazioni sono analoghe: si vuol far credere che si stratta semplicemente di una operazione tecnica di mero adeguamento alle decisioni della Costituente. Nasce quindi un problema di coerenza dei politici. Questa preoccupazione era già presente anche nella fase dell'approvazione degli statuti regionali, oppure no?

L'esame della fase costituente degli statuti regionali è particolarmente interessante, perché - per quanto riguarda l'entità della cifra dei richiedenti del referendum - non vi fu nessun condizionamento ad opera degli organi statali di controllo, e in particolare della ``benemerita'' prima commissione permanente del Senato. Cioè, non si ebbero interventi censori a questo proposito, di modo che le Regioni scelsero il numero di richiedenti necessari per avanzare una richiesta di referendum regionale, in assoluta libertà e senza un vincolo preciso a ricalcare il modello costituzionale. E allora è interessante mettere a confronto i dati degli Statuti con i dati della normativa costituzionale quale risulta dalla Costituzione vigente e quale potrebbe risultare emendata con le riforme proposte.

Va tenuto però conto che noi ci troviamo a valutare due situazioni oggettivamente diverse, giacché, mentre è più difficile raccogliere firme in campo nazionale, è molto più facile raccoglierle a livello locale. Io ho presenti recenti esperienze fatte in Friuli-Venezia Giulia, che sono molto indicative: alludo, da una parte, alla raccolta delle firme per la richiesta dell'Università di Udine e, dall'altra parte, a quella iniziativa contro l'Accordo di Osimo, che io non valuto positivamente, ma che ha trovato il consenso dei Radicali ed ha portato alla raccolta di 65.000 firme con una certa qual facilità. Come mai? Il fatto è che si è mobilitato il corpo elettorale su una questione locale; tutti sapevano di che cosa si parlava, e quindi era facile promuovere una eventuale adesione in materia. Questo dunque non è un dato che si possa trascurare; all'atto di indicare la cifra dei richiedenti per referendum di livello locale si potrebbe anche esigere - senza contraddizione - un quorum più alto, se è vero che la p

ossibilità di mobilitazione è più immediata, e nel contempo vi è l'esigenza di dare all'iniziativa una certa consistenza.

Ma vediamo rapidamente quali sono le cifre percentuali (rispetto al corpo elettorale) ricavabili dagli statuti regionali ordinari, o meglio dalle norme relative concernenti la richiesta di referendum regionali: Abruzzi: 1,7%; Basilicata: 2.06%; Calabria: 5%; Campania: 1,6%; Emilia Romagna: 1,7%; Lazio: 1,6%; Liguria: 3,6%; Lombardia: 0,3%; Marche: 2,1%; Molise: 4,2%; Piemonte: 1,5%; Puglia 2,1%; Toscana: 1,1%; Umbria: 1,7%; Veneto: 1,09%. Tutti i dati sono riferiti alla consistenza del corpo elettorale nel 1970. A quanto io so, solo in Lombardia ci furono lamentele in consiglio regionale per la previsione di una così bassa percentuale di richiedenti, mentre in Toscana, ove inizialmente si era partiti con la richiesta di almeno il 2,2% del corpo elettorale, cioè di 100.000 firme di elettori, si decise su consiglio del comitato degli esperti di correggere la richiesta, abbassando la percentuale all'1,1% del copro elettorale, cioè 50.000 elettori.

Orbene, ai sensi dell'art. 75 della Costituzione, per chiedere il referendum abrogativo bastano 500.000 elettori. Se consideriamo che il numero degli elettori iscritti al momento del referendum istituzionale era di 28.005.449, il rapporto risultava allora dell'1,7%. Calcolando il numero degli elettori iscritti nel 1976, che è di 40.448.719, abbiamo un rapporto dell'1,2%. E bisogna considerare a questo riguardo una serie di elementi: da una parte, l'incremento della popolazione e, dall'altro lato, l'allargamento dell'elettorato sino ad includere i diciottenni. E' probabile che, se quest'ultimo dato non era stato previsto dall'Assemblea Costituente, certamente scontato in tale sede fu il dato dell'incremento naturale dell'elettorato. Tuttavia l'Assemblea non ha espresso l'indicazione del numero di firme necessarie in termini percentuali, ma ha dato una indicazione in termini numerici.

Mettiamo ora a confronto questi dati. Ci sono una serie di Regioni, le quali esigono, dunque, una cifra percentuale superiore a quella che la Costituzione richiedeva all'atto della sua approvazione. Abbiamo visto che essa in tale momento richiedeva l'1,7% di elettori-sottoscrittori. Vi sono alcune Regioni che richiedono di più. Casi a parte, unici, mi sembra anzitutto la Calabria con il 5% e la Liguria con il 3,6%. Sono spiegabili, probabilmente, con il tipo di assetto dello schieramento di governo allora in atto in quelle Regioni, a maggioranza delimitata. Vero è che si potrebbe osservare che gli statuti vennero votati con il consenso di tutte le forze del così detto arco costituzionale, però è pur vero che in quelle Regioni c'era una maggioranza delimitata, e quindi, forse, questo ha pesato. Ma salvo questi due casi abbiamo soltanto alcune Regioni in cui si tocca, ma non si supera la percentuale del 2.1%. O meglio vi sono ancora alcune Regioni in cui si va al di là, ma in questi casi la richiesta di un num

ero più alto di sottoscrittori è spiegabile considerando che si tratta di Regioni molto piccole, dove evidentemente, per dare una certa consistenza alla richiesta di referendum, si è ritenuto di andare oltre la media adottata da molte Regioni nella fase dell'approvazione degli statuti. Ciò vale in particolare per la Basilicata, le Marche e il Molise.

Passiamo ora ai confronti. Se passa l'elevazione ad un milione delle firme necessarie per la richiesta di referendum, la percentuale nell'ordinamento statale arriva al 2,4%. Che è un valore superiore a quello riscontrabile in tutti gli ordinamenti regionali, salvo in quelli che specificamente ho ricordato. Resta dimostrato che non c'è coerenza nell'atteggiamento tenuto dalla classe politica in materia nella fase di passaggio dal tempo della costituente ad oggi, come non vi alcuna coerenza nella pretesa di ripristinare la percentuale adottata in sede di Costituente: l'indicazione del 2,4% supera di ben 0,7% la percentuale dell'1,7% di allora.

Il discorso può essere ampliato ulteriormente, perché possiamo andare a vedere gli statuti delle Regioni ad autonomia speciale (o meglio quelli che hanno indicazioni in materia), che sono approvati, come voi sapete, dal Parlamento e non dalle Regioni, comunque in tempi antecedenti al 1970. Ebbene utilizzando dati relativi alla consistenza del corpo elettorale nel 1968, cioè in un anno anteriore alla istituzione delle Regioni ordinarie, abbiamo una percentuale dell'1,1% per la Sardegna e del 2,2% per Friuli-venezia Giulia. Fa eccezione la Valle d'Aosta (ma è eccezione spiegabile con la dimensione della Regione) con il 5,2% dell'elettorato nel 1968. Anche per questo verso dunque l'appello alla coerenza non ha fondamento.

Il fatto è che volendo rivedere l'art. 5 della Costituzione si possono seguire due vie alternative. O si dice che l'adeguamento è necessario, e si parte dal presupposto che il costituente ha ragionato in termini percentuali, ma allora la soluzione più onesta, era quella di esprimere una volta per tutte questa cifra percentuale nella Costituzione, evitando di trovarsi di qui a qualche anno nella necessità di provvedere ad altra revisione: si darebbe così dimostrazione della volontà di istituzionalizzare il dato di partenza della asserita volontà dell'Assemblea costituente. Oppure si segue l'altra via, quella della elevazione della cifra numerica, passando da 500.000 a un milione, operando perciò nel senso di apportare alla Costituzione un ritocco contingente. Non può, però, questa essere definita una riforma che nasca da considerazioni di ordine istituzionale, sorretta da una visione di lungo periodo. Ha ragione Onida. Siffatte proposte vengono avanzate come una reazione occasionale a certe iniziative alle qu

ali si vuole reagire. Sono il frutto di una decisione di tipo eminentemente strumentale, non di una decisione destinata a valere nel tempo. E del resto, se non fosse così, se ci fosse realmente una preoccupazione di adeguamento alle scelte adottate in sede di Assemblea Costituente, si sarebbe proposta anche la modifica delle indicazioni relative alla sottoscrizione dell'iniziativa legislativa popolare, per non parlare delle previsioni delle leggi elettorali. Non c'erano valutazioni molto difficili da fare, bastava fare un calcolo in termini percentuali. Il fatto che di altro non ci si occupi, significa proprio che l'iniziativa è strumentalmente rivolta soltanto contro il referendum, per frenare e bloccare l'uso del referendum.

Non mi pare, d'altro canto, che la volontà della Costituente sia stata adeguatamente considerata. Se l'art. 75 dà un'indicazione numerica e non percentuale, vuol dire che si è fatta una valutazione della consistenza che la richiesta deve avere in assoluto, senza la preoccupazione di stabilire un rapporto percentuale determinato con il corpo elettorale. E questa è stata anche la via seguita da tutti gli statuti delle Regioni, perché soltanto in Calabria si esprime la quantità di sottoscrizioni necessarie in termini percentuali (si parla infatti in quello Statuto di un ventesimo del corpo elettorale); in tutti gli altri statuti l'indicazione è espressa in termini numerici. Di norma si è pertanto ritenuto di preferire la via di individuare l'entità minima di un gruppo che in qualche modo, per le sue dimensioni, ha ragione di far valere il suo scontento, o quanto meno di far verificare il suo scontento attraverso il voto del corpo elettorale.

Non vorrei avere dato l'impressione che sul problema si possono anche fare divertenti esercitazioni statistiche. Penso anzi che il problema, che è un problema di riforme costituzionali, sia molto serio; dovremmo pensarci seriamente, ragionare sul significato che questi numeri assumono. In tale contesto può non essere stato inutile mettere a confronto certi dati, per verificare l'atteggiamento delle forze politiche di ieri e di oggi. E non è forse inutile avere constatato che l'atteggiamento delle forze politiche non è improntato a principi di seria e onesta coerenza.

 
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