di Gustavo ZagrebelskySOMMARIO: Due questioni vengono essenzialmente affrontati nel corso del convegno, quella dell'istituto del referendum che progetti di legge comunisti, socialdemocratici, democristiani sottopongono a revisioni più o meno decise e il disegno di legge governativo in tema di ordine pubblico. Questi due temi vengono affrontati in relazione ai principi stabiliti dalla Carta Costituzionale.
("REFERENDUM ORDINE PUBBLICO COSTITUZIONE", Rispondono i giuristi. Atti del convegno giuridico organizzato dal gruppo parlamentare radicale - A cura di Ernesto Bettinelli e Luca Boneschi - Tascabili Bompiani, marzo 1978)
Intendo esprimere la mia gratitudine per le due relazioni fondamentali che abbiamo ascoltato questo pomeriggio: quelle di Valerio Onida e di Franco Bricola. L'impegno scientifico e civile che le ha animate consente di collocarle al di sopra sella polemica che si preannuncia vivace anche in questa sede. I tempi sono certo difficili per sereni discorsi di elaborazione culturale e di strategia politica e le tentazioni alle troppo rapide chiamate a raccolta degli intellettuali su linee in qualche modo altrove prestabilite sono assai forti. L'inizio così impegnato di questo convegno convince di quello che, per nelle innegabili difficoltà di reciproca comprensione, deve essere il senso del ritrovarsi a discutere insieme, in uno spirito di libertà critica dove non ci sia posto per troppo facili etichette.
Per ciò che riguarda il mio intervento, devo premettere che non parlerò né del referendum né dell'ordine pubblico. Penso tuttavia di non essere affatto fuori tema. Vorrei sottoporre all'attenzione dei presenti un argomento secondo me di grande rilievo istituzionale che, pur essendo ormai all'ordine del giorno da parecchio tempo, rischia di passare in secondo piano di fronte ai temi a prima vista assai più scottanti che l'attualità della vicenda politica con più immediatezza ci pone di fronte. Mi riferisco alla questione del ruolo della giustizia costituzionale nel nostro paese.
La Corte costituzionale è stata anche in questa sede evocata più volte: i provvedimenti sull'ordine pubblico, come in genere tutti quelli che toccano le libertà civili e politiche, hanno un giudice naturale, che è la corte costituzionale. Vorrei tuttavia sottolineare che questo non è un argomento che possa esaurire la sua importanza puramente all'interno della dinamica delle istituzioni. La funzione della giustizia costituzionale è al centro di linee di tensione che vanno certamente al di là, per coinvolgere direttamente la dinamica politica al livello della libertà sociale.
Per quanto riguarda la Corte costituzionale, credo che si debba prendere atto con una certa preoccupazione di alcuni avvenimenti recenti, che hanno il valore quasi di avvertimenti. La vicenda che ha portato all'elezione dei tre giudici costituzionali da parte del Parlamento è un segno da non sottovalutare in questo senso. A parte le valutazioni sul merito di queste scelte, alcune delle quali sicuramente eccellenti, quella che preoccupa è il significato che si è voluto imprimere ad esse.
Tutti ricordano che l'elezione di questo pacchetto di tre giudici è seguita ad una vicenda che ha visto come molto discutibile protagonista la stessa Corte costituzionale. Si può ricordare, a questo proposito, la sentenza che ha aumentato gli stipendi ai professori universitari: decisione circoscritta nel suo significato contingente, ma molto importante per il significato che assumeva nell'esprimere il ruolo che la Corte attribuiva a se stessa. Sicuramente una sentenza che ha invaso in maniera clamorosa la sfera di autonomia politica del Parlamento, quando da anni si discute dello "status" professionale dei docenti universitari, tempo pieno e così via: questioni che la Corte ha completamente obliterato, passando direttamente al punto che interessava (la faccenda degli stipendi) in maniera alquanto sbrigativa.
L'elezione dei tre giudici anzidetti ha seguito poi un'ltra vicenda, egualmente di segno negativo per i suoi risvolti istituzionali: la decisione con la quale la Corte costituzionale ha riconosciuto alla Corte dei conti in sede di controllo il potere di sollevare questioni di legittimità costituzionale incidentale sulle leggi rilevanti come parametro del controllo sugli atti di governo. Sentenza discutibilissima, che ha completamente trascurato quello che appare essere un carattere essenziale del meccanismo incidentale: la sua ``intermediarietà'' tra le esigenze del potere pubblico e la sfera di libertà dei soggetti della società civile. Molti dei presenti hanno opportunamente criticato l'orientamento della Corte costituzionale, sintomo di un tentativo di espansione del suo ruolo, molto probabilmente al di là di ciò che è consentito dal disegno costituzionale in questa materia.
L'elezione dei tre giudici di cui ho detto è stata certamente una reazione ad un ruolo della Corte che si profilava in ipotesi troppo antagonistico rispetto agli orientamenti prevalenti in sede politica. Una reazione che appare però alquanto grezza, un tentativo di allineare la corte a prescindere dal come ciò potesse avvenire, incidendo su una quota dei suoi componenti (ma sappiamo tutti che per un organo sensibilissimo come è la Corte anche mutamenti parziali possono condizionare rilevantemente il tipo di attività). Tutto ciò senza alcun tentativo di darsi carico delle ragioni specifiche che militano a favore di un ruolo (in qualche misura) autonomo di un organo costituzionale.
Altra reazione si è avuta con la presentazione di alcuni disegni di legge (costituzionali e non ) volti a reagire all'orientamento che ha ammesso il potere della Corte dei conti di sollevare questione di costituzionalità in occasione del controllo sugli atti del governo. Uno di questi, come è noto, è in corso avanzato di approvazione, senza che peraltro si sia tratta l'occasione dalla vicenda per un approfondimento del ruolo della Corte in un momento come è questo, nel quale molti elementi tendono a suggerire l'ipotesi che ci si trovi ad una svolta. Anche a questo proposito, ciò che non convince è la scarsità della riflessione che ha accompagnato la pur comprensibile reazione delle forze politiche a un atteggiamento considerato inammissibile della Corte.
Ed ancora: si avanza da qualche tempo la proposta di prevedere un meccanismo che consenta (o imponga?) alla Corte costituzionale di pronunciare sentenze di incostituzionalità con effetti procrastinati nel tempo, ad efficacia differita, al fine di permettere al legislatore di farsi carico dagli inconvenienti che deriverebbero dalla lacuna creata nell'ordinamento. Sentenze in funzione di stimolo nei confronti delle forze politiche presenti in Parlamento, non molto diversamente da ciò che si dice anche in relazione alla funzione dello steso referendum abrogativo. Questo genere di sentenze potrebbe tuttavia apparire opportuno, al fine tante volte sottolineato di evitare che la corte si impossessi abusivamente della funzione di sostituire essa stessa la normativa dichiarata incostituzionale attraverso interventi ``manipolativi'', ``additivi'', ``sostitutivi'' e così via. Ma è chiaro che questo genere di proposte può nascondere anche l'insidia di chi vuol degradare la funzione della Corte ad un ruolo giuridicament
e subalterno rispetto alle scelte maturate in sede legislativa. Non mi soffermo poi sui risvolti che una proposta di questo genere dovrebbe presumibilmente avere anche rispetto ad altri aspetti del giudizio sulla costituzionalità delle leggi, primo fra tutti il problema del sistema di instaurazione del giudizio stesso e degli interessi concreti che dovrebbero muoverlo. Anche su questo piano, che pur qualifica in maniera determinante lo stesso significato della giurisdizione costituzionale nel nostro sistema, sarebbero da temere ripercussioni. Anche su questo punto, insomma, la cautela e la necessità di approfondimenti appaiono necessari.
Detto questo, però, occorre pur che ci si faccia carico di certe esigenze di trasformazione delle istituzioni le quali, nel rispetto dei valori fondamentali di cui sono espressione, le adeguino ai mutamenti che si sono verificati in questi anni nei rapporti fra i soggetti politici. Ricordava giustamente Rodotà, nell'editoriale dell'ultimo numero di "Politica del diritto" che la dinamica delle istituzioni non può considerarsi una variabile indipendente dalle dinamiche politiche. Per questo, io penso che anche il ruolo della Corte costituzionale, così come si è andato configurando in questi anni, debba essere a fondo ridiscusso, anche al di là di ciò che i pur sconcertanti episodi che ricordavo potrebbero suggerire.
I mutamenti di rapporti di forza fra i soggetti politici, nonché la stessa urgenza di molti problemi da troppi anni accantonati, ha provocato, e provocherà in futuro una accentuazione del ruolo centrale che il Parlamento ha nel nostro sistema, o, più realisticamente accentuerà il ruolo delle forze politiche e partitiche cui spetta la maggiore responsabilità di governo del paese, in momento di emergenza come è l'attuale. E ciò, presumibilmente, non passerà necessariamente attraverso il potenziamento del Parlamento come organo costituzionale, ma potrà trovare sbocchi istituzionali anche di tipo diverso. In una fase come è questa, il ruolo che si è detto di supplenza della Corte costituzionale appare destinato a venir meno.
Una serie di strumenti che la Corte si è forgiata in questi anni e che ha usato in maniera massiccia, dovranno essere ridimensionati: si pensi alle decisioni para-legislative, al controllo sulla ragionevolezza delle leggi, attraverso il quale la Corte poteva far prevalere la sua ragione astratta sulla ragion politica elaborata in sedi, appunto, politiche, ad una serie di altri strumenti, di tipo procedimentale, su cui non mi soffermo, che hanno consentito alla Corte di rendere elastico, poco prevedibile, alla fine, assai soggettivamente determinato e quindi in qualche modo politicizzato, il proprio ruolo. Come dicevo, tutto ciò appare meritevole di rimeditazione. Anche perché - a prescindere dalle novità che si segnalano nei rapporti fra i soggetti politici - credo che si possa toccare con mano la fine di una fase della giustizia costituzionale: quella che ha segnato i primi venti anni di attività della Corte, nella quale essa ha svolto un ruolo di supplenza delle forze politiche rispetto alle esigenze pur p
ressanti di svecchiamento, adeguamento ai nuovi valori della legislazione precostituzionale. E' sufficiente sfogliare qualche numero recente di riviste di giurisprudenza costituzionale per accorgersi che le questioni di costituzionalità su leggi vecchie sono sempre meno importanti; non dico meno numerose, ma mano importanti, trattandosi quasi sempre della estensione a settori nascosti dell'ordinamento dei principi già altrove affermati dalla Corte costituzionale. Ciò che assume semper maggiore rilevanza è la posizione di contrapposizione diretta della Corte con le forze politiche del momento. Il controllo sulla legislazione precostituzionale, invece, normalmente non coinvolgeva un confronto di questo tipo. Stanno dunque realizzandosi solo ora le condizioni che erano state reputate normali da parte dei costituenti e che hanno alimentato allora tutte le preoccupazioni e le riserve ben note in ordine alla compatibilità tra la funzione del controllo di costituzionalità sulle leggi ed il regime democratico-rappre
ntativo. Nei lavori della costituente non v'è traccia di discussione da cui risulti la consapevolezza di quello che sarebbe poi stato il ruolo principale della Corte in questi primi vent'anni, lo svecchiamento della legislazione anteriore: ciò è molto significativo sotto tanti aspetti. Ma c'è pure da ritenere che l'espansione della presenza della Corte, senza significative reazioni, si sia potuta realizzare proprio per il tipo di interventi cui è stata per lo più chiamata: interventi che non hanno normalmente comportato un confronto diretto ed antagonista con gli orientamenti maturati in sedi politiche.
Mi pare quindi che vi siano molte e profonde ragioni (al di là degli episodi contingenti cui accennavo all'inizio) per riconsiderare l'intera questione della funzione della giustizia nel nostro sistema, alla luce delle nuove condizioni che si sono venute a creare. E mi pare altresì che gli atteggiamenti di insofferenza verso quello che può apparire un eccessivo attivismo della Corte costituzionale sia pienamente giustificato. Anche se ciò non dovrebbe tuttavia tradursi in reazioni precipitose che rischierebbero di compromettere le virtualità positive che il sistema della giustizia costituzionale mantiene. Ciò che occorre, insomma, è una riflessione, sulla vocazione originaria di un organo come la Corte costituzionale, in un sistema politico-istituzionale che riprenda a funzionare a pieno regime di fronte ai problemi che pone la crisi che si attraversa.
A questo fine, mi pare che non si possa trascurare il ruolo che la Corte è venuta a svolgere negli anni passati, di rappresentanza informale, ma non perciò meno reale, di istanze politiche, ideologiche, sottorappresentate o non rappresentate per nulla, dai soggetti del sistema politico in senso stretto. Non si tratta qui evidentemente di riprendere l'inaccettabile polemica antipartitocratica, ma si tratta di riconoscere, come giustamente ricordava Valerio Onida, che in un sistema pluralistico come è il nostro, occorre moltiplicare, non chiudere, i canali di espressione di tale pluralismo, una volta che si sia stabilito (come invece non viene fatto) a quali voci si possa e si debba legittimamente dare spazio. Sarebbe interessante intrattenersi qui su quali siano state le voci rappresentate dalla Corte costituzionale nella sua giurisprudenza migliore e più coerente al suo ruolo istituzionale. Rappresentate, si badi, non sempre di buon grado, come in una non più recente occasione ricordava anche Pizzorusso, ma
ciò nonostante rappresentare, a conferma dell'esistenza di una logica oggettiva dell'istituto che in qualche modo influisce sugli atteggiamenti pratici soggettivi della Corte. Mi pare che si possa dire, molto genericamente, che in alcune significative circostanze, la Corte si sia potuta far carico della difesa di valori di libertà e di democrazia larghissimamente condivisi, anche dalle forze politiche in senso stretto, pur se poi spesso da esse contraddetti nella pratica concreta della lotta politica. Questo ruolo, illuministico nel senso migliore, sembra quello proprio di un organo come la Corte. Ruolo tanto più incisivo quanto maggiore possa ritenersi il patrimonio di valori largamente accettato nel nostro paese.
Tutto ciò dovrebbe essere precisato in maniera assai maggiore di quanto non si possa fare in questa sede. Qui occorre invece sottolineare che dovrebbe porsi con chiarezza una linea di demarcazione con la sfera di discrezionalità politica riservata al legislatore in tutti i settori nei quali tali valori generalmente accettati non sussistono: penso in primo luogo alle norme della Costituzione da cui traspare, attraverso l'utilizzazione di formule generali di rinvio a determinazioni da prendere in altra sede, la difficoltà di arrivare a larghi accordi già in sede costituente. Sulla proprietà, sull'iniziativa economica, tanto per far gli esempi più chiari, è presumibile che il terreno comune sia ancora lontano da trovare, a differenza di ciò che può invece dirsi a proposito dei diritti classici previsti nella prima parte della Costituzione.
Insomma, la riflessione su questi temi potrebbe portare a differenziare l'incidenza della giurisdizione costituzionale a seconda dei temi su cui essa può esplicarsi, chiarendo quella che sembra essere la sua vocazione profonda e senza chiedere quello che è stato in passato un significativo canale di espressione di una domanda politica, particolarmente sensibile ai temi delle libertà civili, che stentava a trovare spazio altrove.