Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
dom 10 nov. 2024
[ cerca in archivio ] ARCHIVIO STORICO RADICALE
Archivio Partito radicale
Onida Valerio - 1 marzo 1978
REFERENDUM ORDINE PUBBLICO COSTITUZIONE: (31) Il referendum nel rapporto tra sistema politico e società
di Valerio Onida

SOMMARIO: Due questioni vengono essenzialmente affrontati nel corso del convegno, quella dell'istituto del referendum che progetti di legge comunisti, socialdemocratici, democristiani sottopongono a revisioni più o meno decise e il disegno di legge governativo in tema di ordine pubblico. Questi due temi vengono affrontati in relazione ai principi stabiliti dalla Carta Costituzionale.

("REFERENDUM ORDINE PUBBLICO COSTITUZIONE", Rispondono i giuristi. Atti del convegno giuridico organizzato dal gruppo parlamentare radicale - A cura di Ernesto Bettinelli e Luca Boneschi - Tascabili Bompiani, marzo 1978)

I problemi sui quali mi pare sia opportuna una puntualizzazione, in rapporto agli interventi che hanno contrassegnato il dibattito, sono i seguenti. "Prima", la questione del raccordo fra referendum, disciplina del referendum e attività legislativa del Parlamento. Su questo tema, effettivamente, c'è una scelta da fare: o si ritiene che questo raccordo sia utile, e quindi sia da promuovere e da disciplinare o si pensa invece che sia da escludere. Io la mia opzione l'avevo espressa, credo chiaramente, nella relazione: ritengo che debba esserci un raccordo. E in questo sono d'accordo con Pizzorusso. Però, per quanto attiene agli strumenti, non sono d'accordo con lui perché, a mio avviso, gli strumenti del raccordo, nella misura in cui essi sono compatibili con la logica del referendum, ci sono già. Il raccordo consiste essenzialmente nel fatto che il Parlamento ha il tempo e il modo di intervenire sulla legislazione sottoposta a referendum abrogativo anche per cassarla completamente o modificarla come ritenga

opportuno. Sostanzialmente, quindi, lo strumento di raccordo - sotto il profilo giuridico - è l'art. 39, non dovendosi aderire all'interpretazione estremista secondo cui la richiesta del referendum bloccherebbe l'attività del Parlamento. L'art. 39 consente dunque al Parlamento di intervenire. Su questo punto Taruffo ha fatto delle affermazioni, a mio avviso molto intelligenti, che mi inducono a formulare una precisazione, e, se vogliamo, una correzione di atteggiamento su quanto avevo sostenuto nella relazione. A me pare infatti che il problema effettivamente richiede di essere risolto in modo chiaro, e che l'attuale art. 39 e tanto meno il futuro art. 39 del progetto comunista, invece, non consentono una soluzione chiara e netta. Tali enunciati danno luogo a incertezze interpretative: che cosa è l'abrogazione implicita, cosa è la modifica sostanziale, non sostanziale?

Quindi a me sembra che l'unica soluzione corretta sia quella di stabilire espressamente che il referendum viene meno, solo in presenza di una abrogazione espressa. Il che, come diceva Taruffo, non significa affatto che il Parlamento non possa, anche il giorno dopo, contestualmente legiferare sulla stessa materia, introducendo norme in parte uguali a quelle precedenti; naturalmente con la riserva che si sposta tutta la problematica del controllo su questa attività parlamentare a livello di Corte costituzionale (controllo sulla legittimità sostanziale e anche in rapporto a un eventuale eccesso di potere su tale nuova legge, controllo di eventuali nuove richieste di referendum e così via). Tale soluzione troncherebbe ogni possibilità di equivoco. Con l'abrogazione espressa ci sarebbe un solo onere per il Parlamento che vuole intervenire sulla legislazione sottoposta a richiesta di referendum: intervenire, anziché con una legge formalmente modificativa, con una legge formalmente abrogativa e accompagnata dall'in

troduzione di nuove norme, sulla legittimità delle quali la Corte costituzionale potrà esprimersi sotto tutti i profili, compreso quello della eventuale violazione del diritto dei cittadini a che il referendum si tenga.

Altri strumenti, come quello della ``disponibilità'' del referendum da parte dei promotori, a me sembrano pericolosissimi, perché significherebbe inserire il gruppo dei promotori dei referendum nel sistema della logica partitica e quindi della ``logica della trattativa'' tra i partiti che è quella rispetto a cui il referendum deve costituire non già un'alternativa, ma uno strumento nettamente differenziato, che non consenta equivoci. Fare dei promotori il decimo partito che tratta a un tavolo di vertice con i partiti parlamentari i problemi del farsi o non farsi il referendum e del contenuto della nuova legislazione, significa semplicemente ricondurre l'istituto referendario alla logica rispetto alla quale esso vuole rappresentare un correttivo.

Il "secondo" problema è quindi quello della concezione che si ha del referendum. Esistono due possibilità: una che è quella che potrebbe essere sorretta teoricamente dall'argomento storico prospettato da Pizzorusso, secondo cui il referendum gioca sempre a destra. E'un argomento, come è noto, già molte volte espresso in dottrina. Per l'Italia, come ha rilevato Pannella, la verifica è in altra direzione. Comunque si tratta di una tesi seria e come tale va discussa e approfondita. Io credo però che le differenze fra la Repubblica di Weimar degli anni '20 e l'Italia degli anni '70 siano tali e tante (e anche la differenza della disciplina dell'istituto referendario nella Costituzione di Weimar e nella Costituzione italiana di oggi), da giustificare quantomeno una notevole perplessità sulla possibilità di estrapolare dalle negative esperienze di Weimar una conclusione come quella secondo cui l'istituto referendario gioca sempre a destra. Comunque è chiaro che, se si fosse convinti che l'istituto referendario gi

oca sempre a destra, bisognerebbe essere assolutamente contro ogni ipotesi di referendum e di ammissione al referendum. Bisognerebbe quindi chiedere l'abrogazione della norma costituzionale dell'art. 75 insomma. Io però non sono convinto di questo, come non sono convinto dell'altro fatto che emergeva un pochino nell'intervento di Pizzorusso, secondo cui il referendum sarebbe negativo, almeno nella misura in cui si presenta come referendum di ``rottura'', secondo la classificazione che ha proposto (ma non mi pare possibile a priori codificare i tipi di referendum e le motivazioni della richiesta di referendum), dal momento che si rischierebbero delle convergenze equivoche magari fra destra e sinistra, come quella verificatasi tra comunisti e nazisti nella Germania di Weimar. Io non sono convinto dunque né che oggi "storicamente" sia possibile affermare che il referendum per l'Italia gioca sempre a destra (e, appunto l'esperienza italiana, sia nel '74, ma anche nel '46 dimostra il contrario; perché nel '46 il

referendum ha consolidato la Repubblica come nessun voto di elezione per l'Assemblea Costituente avrebbe fatto, e in questo Basso, che, isolato tra i socialisti, sostenne il referendum istituzionale, fu antiveggente). Non sono convinto dell'altra affermazione, secondo la quale il referendum consentirebbe delle pericolosissime convergenze e dei pericolosissimi inquinamenti, perché ritengo che nella situazione storica dell'Italia di oggi, nel sistema politico costituzionale italiano nel quale viviamo, vi siano degli anticorpi, nei confronti di questo rischio, decisivi e troppo forti. Esiste un sistema partitico solido, che è la nostra fortuna e non la nostra disgrazia. C'è un senso netto della discriminazione tra fascismo e antifascismo, che renderebbe non improbabile, ma impossibile un referendum attorno al quale convergessero una qualsiasi formazione della sinistra e i fascisti.

Sulla concezione generale del referendum, mi preme essere ancora una volta molto chiaro: io non sono d'accordo con chi concepisce il referendum come una sorta di alternativa globale al sistema rappresentativo e quindi con chi sottolinea molto fortemente (e, da questo punto di vista, mi discosto dall'impostazione che dava Fois stamattina) il carattere ``antagonistico'' dei referendum, nei confronti del sistema rappresentativo, come tale. Mi chiedo: che cosa è il popolo, che qui si invoca come attore di questa vicenda referendaria? Il popolo non è un'astrazione, il popolo sono gli elettori comunisti, gli elettori missini, quelli radicali, demoproletari. Che cosa è il Parlamento? Il Parlamento non è un'astrazione, ma sono i parlamentari comunisti, liberali, ecc. E dietro ai parlamentari ci sono i partiti. Allora mi pare pericoloso e astratto parlare in termini di contrapposizione fra "un" popolo ed "un" Parlamento, fra rappresentati e rappresentanti. L'ho già affermato nella relazione: il problema vero, a mio a

vviso, del referendum è quello del rapporto tra sistema partitico e società civile nelle sue varie articolazioni. Se si concepiscono i partiti parlamentari come unico strumento della partecipazione politica, non c'è dubbio che per il referendum non c'è posto; se si concepiscono i partiti come strumento sì fondamentale e non solo ineliminabile, principale ma non esclusivo della partecipazione politica, per il referendum, il posto allora c'è.

Evidentemente il problema delle mediazioni sussiste e lo conosciamo molto bene. Appunto per questo le mediazioni che avvengono sul terreno istituzionale rischiano di essere tanto più negative, inquinanti, compromissorie, quanto meno esistono possibilità per le varie articolazioni della società di far valere le loro istanze, anche con strumenti ``ordinari''.

A me infatti non interessa sostenere che il referendum è uno strumento ``eccezionale'' o ``ordinario'': sono queste affermazioni solo verbali.

Sul punto delle mediazioni, mi pare che il discorso sul referendum porti ad un ampliamento del tema. A me sembra che nessuno debba e possa essere, a priori, contro le mediazioni; si sa che la politica è fatta anche di mediazioni. Il problema è il terreno sul quale le mediazioni avvengono. Ritenere che tutta la vita politica si deve svolgere sotto il rigido controllo del sistema partitico, così come opera attraverso le istituzioni rappresentative, significa in sostanza, ammettere che le mediazioni avvengono esclusivamente a quel livello e sono limitate a quelle istituzioni partitiche. Ciò vuol dire aprire la discussione su un rischio grave che, a mio avviso, è oggi presente: quello cioè che le mediazioni avvengano non già sul merito dei problemi e degli interessi in gioco, diversi, differenziati e contrapposti, ma sulla base delle reciproche concessioni fatte agli interessi dei partiti che trattano fra di loro. Interessi di rappresentanti, non interessi di rappresentati.

Si può proporre un esempio, in tema di ordine pubblico che potrebbe da questo punto di vista, rappresentare un "test" interessante. Il pericolo può essere che si facciano concessioni sull'ordine pubblico alla Democrazia cristiana, non perché vi sia un problema di essere oggi più liberali di ieri (o meno liberali di ieri), sulla base di nuovi fatti sociali, ma perché questo serve alla Democrazia cristiana per soddisfare gli interessi di questo partito.

Ultimissima precisazione. Credo che la conclusione di ordine generale che dovrebbe nascere dai discorsi che abbiamo fatto in questi giorni sia quella di un rifiuto di un uso troppo congiunturale delle istituzioni: proprio quello di cui aveva parlato, esordendo, Stefano Rodotà. A mio avviso il convegno ha verificato questa affermazione iniziale proprio per quanto riguarda il referendum. Risulta infatti: "primo", che è pericolosissimo pensare alla disciplina dell'istituto in funzione congiunturale (cioè in vista di questo o quel referendum chiesto e del quale si teme lo svolgimento). "Secondo": è assai pericolosa un'applicazione delle norme vigenti concepita, ancora una volta, in chiave esclusivamente congiunturale. A questo proposito è piuttosto significativo l'esempio dell'art. 34 e della sua interpretazione data nel 1972 e, successivamente, in occasione del referendum sull'aborto. Ma sarebbero probanti anche altri esempi. In materia di ammissibilità dei referendum proposti dai radicali, vorrei replicare a P

izzorusso che la sua impostazione mi pare troppo "congiunturale", quando sostiene l'inammissibilità del referendum sulla legge del finanziamento pubblico dei partiti. Se esiste un referendum inammissibile, questo è, se mai, quello sul Concordato. Ma di tali questioni sarà utile discuterne nelle sedi accademiche opportune.

 
Argomenti correlati:
referendum
costituzione
parlamento
pr
criminalita'
stampa questo documento invia questa pagina per mail