Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
ven 22 nov. 2024
[ cerca in archivio ] ARCHIVIO STORICO RADICALE
Archivio Partito radicale
Taschera Aligi - 7 aprile 1978
L'ANTAGONISTA RADICALE: (10) Personale e politico
di Aligi Taschera

SOMMARIO: Gli atti del convegno sullo statuto e sull'esperienza del Parito radicale che si è svolto a Roma all'Hotel Parco dei Principi nei giorni 5, 6 e 7 aprile 1978.

("L'ANTAGONISTA RADICALE" - La teoria e la prassi del partito nuovo, socialista e libertario; e lo statuto e l'esperienza del PR nella società e nelle istituzioni - Convegno del consiglio federativo del Partito Radicale - Roma, aprile 1978)

Aligi Taschera

PERSONALE E POLITICO *

Parlando di personale e politico ritengo opportuno chiarire di che cosa si va parlando. L'accoppiamento è di modi; i due termini vengono spesso scritti col trattino (il personale-politico); tuttavia, anche se si tratta di un'emissione verbale molto frequente in questi ultimi due anni, non sembra che, anche e soprattutto fra i radicali ci sia molta chiarezza su questo problema, su che significhino questi termini, sul dove, come e perché sia nato il problema.

Vale dunque la pena di spendere due parole per inquadrarlo. Come tutti sanno, chi ha avuto il grosso merito di far diventare di moda questo tema e di farne parlare sono state le femministe; però, senza togliere loro alcun merito, devo far notare che il problema è più antico, ed è nato prima delle femministe odierne.

Per ciò che riguarda il periodo che viviamo, il problema si è chiarito e formulato, come al solito, negli anni '60, anche se i germi della problematica, per lo meno in Francia e in America, erano già stati posti nel decennio precedente. In Italia il problema viene posto per la prima volta in tutta la sua violenza nel 66-67 dal movimento beat e provo. Sembrerà che io faccia della specie di patriottismo subculturale, nostalgico, dato che io provengo da quel movimento, e che, non a caso, proprio quel movimento mi fece conoscere il PR. Ma non credo che sia così; per quanto mi sforzi non sono riuscito a scoprire da nessun'altra parte la presenza di questa tematica in Italia prima del 1968. Citare i beat e il capellonismo organizzato è solo un'opera di giustizia storica, dato che eravamo perseguitati, derisi, sbeffeggiati e censurati a tal punto che di quel movimento si è riusciti a far perdere anche la memoria storica.

Questo movimento aveva due fonti di ispirazione: il movement americano e i provos olandesi. Il movement americano aveva scoperto il problema della liberazione personale come punto di partenza dell'azione sociale, sulla scia di due influssi. Il primo partiva dalle esperienze e dalla ricerca della letteratura beat, attraverso A. Ginsberg da una parte e Timothy Leary dall'altra, arrivava all'esperienza psichedelica come momento fondamentale di liberazione e di presa di coscienza personale (il messaggio è: allargate l'area della coscienza), punto di partenza per un'alternativa sociale. L'altro influsso era probabilmente quello della psicologia in generale, che in America aveva ed ha uno sviluppo unico al mondo, e in particolare della psicanalisi, che H. Marcuse aveva usato e continuava ad usare per dimostrare come fosse necessario che la rivoluzione venisse portata avanti parallelamente a un profondo decondizionamento e a un profondo mutamento della personalità individuale. E anche Skinner, uno psicologo di indi

rizzo ben diverso da quello psicoanalitico, ancor prima di Marcuse era arrivato a configurare la società come un'enorme sistema di controllo del comportamento individuale (1948-1953).

I provos olandesi avevano subito lo stesso influsso del movement americano, ad esso se ne era aggiunto un altro: quello dei situazionisti francesi. Questi ultimi avevano fatto una accuratissima analisi della vita quotidiana e dei rapporti umani e avevano sostenuto che ``tutto parte dalla soggettività e nulla vi si arresta. La lotta del soggettivo e di ciò che lo corrompe estende ormai i limiti della vecchia lotta di classe. Il partito preso della vita è un partito preso politico... L'esigenza di una luce più viva emana sempre dalla vita quotidiana''.

Questo clima culturale pre e post-sessantottesco, maggioritario in Francia, minoritario in Italia, aveva cioè individuato nella vita personale, nei rapporti umani di tutti i giorni e nei ruoli che li regolano il punto nodale della lotta contro il sistema politico: proprio attraverso la vita quotidiana, i ruoli che l'individuo viene a recitare, le modalità e le regole dei rapporti umani, il sistema sociopolitico perpetua sé stesso.

Per questo è la vita quotidiana personale il punto di partenza della liberazione sociopolitica: la liberazione del desiderio di vivere, inconciliabile con tutte le costrizioni alle quali si è costretti da una vita quotidiana umiliante, dalla separazione dagli altri, dal non comunicare e dal vivere rapporti tra ruoli o tra merci invece che tra persone, è la prima molla del cambiamento sociale, e in quanto tale, il momento più personale e privato è anche il più politico.

E' l'inadattabilità personale al mondo che fa da molla per il cambiamento. E d'altra parte è la vita personale il campo d'azione fondamentale dell'azione politica e sociale: dato che i valori del mondo sociale sono introiettati nella personalità, che lo stesso sistema istintuale (nel senso psicoanalitico del termine) è forgiato in funzione della perpetuazione del sistema, che ognuno finisce per vivere un ruolo prestabilito estraneo alle sue esigenze e che lo gestisce, che i rapporti tra persone sono rapporti tra ruoli, tra dirigenti ed esecutori, sottomessori e sottomessi, o rapporti tra merci, la trasformazione della vita quotidiana ``personale'' è fatto primariamente politico. In altre parole, il conflitto di classe si è sbriciolato, e si è spostato ai confini di ciascuno con tutti gli altri, al momento della comunicazione interumana, dato che è nella comunicazione (alienata) con gli altri che ognuno riproduce, ri-agisce, le regole del sistema politico-sociale perpetuandolo.

Certo che questo ``personale'' e questo ``desiderio'' che non si adatta alle mutilazioni della vita personale vanno ridefiniti, e sono proprio il politico e il sociale a definirli, e al di là il biologico. Se i valori del sistema sono introiettati fino nella struttura istintuale, non è il desiderio personale qualunque ad essere realmente personale, né è la soddisfazione del desiderio indiscriminato ad essere fatto politico: per fare un esempio ovvio, la liberazione del desiderio di consumo non porterebbe a nessun cambiamento.

L'azione sul personale, per essere tale, deve dunque essere illuminata dalla conoscenza del sistema politico-sociale e da ciò che esso impone alla vita privata di ciascuno. La modificazione della vita personale è possibile solo alla luce di un progetto di vita migliore; è il concetto utopico di vita non alienata che può fornire la direzione verso la quale modificare la propria vita personale, e i propri rapporti umani; e questo concetto può nascere solo dalla conoscenza dei meccanismi alienativi e distruttivi del sistema sociopolitico e della coscienza di come essi agiscono sulla vita personale e sui rapporti umani, oltre che dalla conoscenza delle esigenze biologiche fondamentali ed inalienabili della specie umana.

E la stessa soggettività può venir liberata solo a patto di venir conquistata: ma essa deve venir ricostruita, non è data: se il comportamento e la stessa struttura di personalità sono prodotti dal sistema sociale, anche la cosiddetta soggettività è alienata, ed essa può esistere solo quando si conoscano i meccanismi del sistema sociale, la loro azione sulla personalità e si sia iniziato a decondizionarsi.

Ancora una volta è il progetto utopico, che si fonda sulla negazione del dato e sul biologico ad illuminare la via verso la soggettività. Una soggettività reale è tutta da conquistare. Perciò il ``personale'' viene definito dal ``sociale'' e dal ``politico''; o, al di là di questo, dal biologico.

Parallelamente però, anche la politica va ridefinita, e venne effettivamente ridefinita da quei movimenti parasessantotteschi. La politica viene appunto ridefinita dal personale inteso come sopra: la politica è attività pubblica e collettiva di liberazione del personale e di riappropriazione del la vita.

Nel momento in cui la liberazione della soggettività e la modifica della vita personale e quotidiana non sono e non possono essere un fenomeno vissuto nell'interiorità della coscienza, ma consistono nella modifica concreta dei comportamenti, dei rapporti interumani, e dunque delle condizioni materiali della vita che li determinano, questa liberazione e questa modificazione non possono che essere una attività collettiva e pubblica, e dunque ``politica''.

Questa viene dunque ad essere la politica, ed è il cammino verso la felicità personale e collettiva che essa permette, a definirla. Solo a queste condizioni allora, il politico ed il personale si identificano, così come si identificano vita pubblica e vita privata. Ma a queste condizioni la politica non ha nulla a che fare con i problemi della gestione delle istituzioni, dello Stato e del potere. La Politica in senso tradizionale, con la P maiuscola, che si occupa del sistema dello Stato, degli equilibri di potere, degli interessi parziali e contingenti, così come, nonostante tutti i mutamenti e le rivoluzioni, continua a venir vista dai più, spesso anche all'interno del Partito Radicale, non c'entra col personale. Non che le cose si escludano. La politica vera, quella che si identifica col personale, che è ricerca e creazione di maggiore felicità per tutti, nella quale il pubblico e il

privato tendono a fondersi, può anche servirsi della Politica quando è utile per realizzare i suoi fini, e se riesce a non essere in contraddizione con la Politica e a non farsene stritolare; ma non può comunque identificarsi con essa. Infatti la Politica non è guidata dal problema della felicità personale e della liberazione, come criterio fondante, ma dall'opportunità e dal successo contingente; essa cioè, qualora venga assunta non come strumento momentaneo, ma come universo di riferimento; impone l'adeguarsi a regole e modi che sono altri dalle esigenze reali della vita: essa è, cioè, in quanto tale, ideologica.

La Politica in senso stretto, in quanto sistema di azioni dettate dalle regole della Politica stessa, e non direttamente collegate alla vita personale e ai desideri di ciascuno, è ideologica. E anche la politica dei rivoluzionari, che è spesso una mascheratura delle frustrazioni reali. La politica del personale dunque è antiideologica, nel senso visto. Essa deve fare uso di una teoria, che è strumento di modificazione del mondo e della vita in funzione dei desideri della vita stessa; la teoria, in quanto strumento per la conoscenza del mondo e di trasformazione della vita e del mondo per la realizzazione dei desideri comuni è strumento di comunicazione e di unificazione, che avviene proprio nell'azione di trasformazione della vita nel movimento comune verso la disalienazione e la realizzazione del desiderio. Il grande movimento dei giovani nato attorno al '68, è stato recuperato proprio dall'ideologia e dalla mancanza di teoria. In Italia la grande maggioranza del movimento, che non era partita dal personale

né aveva contestato l'ideologia coscientemente, ma che tuttavia nella sua azione di fatto nel '68 aveva posto sul tappeto le speranze e i desideri personali in un movimento pubblico e politico, è stato recuperato dall'ideologia: il personale è rimasto personale e il politico è diventato ideologico, dando a caste di burocratini il sacro strumento per riproporre e santificare il loro squallido dominio di minidirigenti su turbe di rivoluzionarini ideologicamente separati tra loro e dalla loro stessa vita.

La minoranza di capelloni vari che era partita dal personale è stata ridotta all'impotenza dalla sua carenza teorica: la mancanza di teoria, di strumenti conoscitivi ha comportato la mancanza di tecniche di trasformazione materiale della vita, l'incapacità di formulare progetti e di trovare uno sbocco politico che potesse realizzare almeno in parte il cambiamento della vita quotidiana e personale di cui andava parlando, ha condotto il loro movimento alla morte. Morte per suicidio, per eroina o per reintegrazione rassegnata o per pazzia, dovuta all'assenza di punti di riferimento per l'identificazione del personale e per la ricostruzione della soggettività.

In questo contesto, che cosa ha saputo fare il Partito Radicale?

Sembra che il Partito Radicale sia riuscito a crescere proprio perché era immune dall'ideologia, ed ha saputo superare il problema dell'impotenza trovando sbocchi politici a esigenze che nascevano nella sfera del personale. Pare che il Partito Radicale sia riuscito a dare forma organizzativa ed efficacia politico-istituzionale all'identità di personale e politico, cosa unica in Italia negli ultimi 7 o 8 anni, e non solo in Italia... Esso, non avendo un'ideologia mutilante, hai reso possibile che ognuno entrasse nel Partito con le sue esigenze personali più profonde e se voleva, le riversasse nel Partito. Ma c'è di più.

Ha avuto l'intelligenza di capire l'inconciliabilità concreta delle esigenze che partono dal soggettivo con il concreto assetto politico istituzionale, riuscendo a capire che il cemento di questo sistema sta proprio nella ideologia e nel sistema di regole che sussistono proprio in quanto negazione delle esigenze partenti della soggettività. E' dunque riuscito ad organizzare in forma istituzionale alcune esigenze partenti della soggettività personale, rivolgendole così in modo dirompente contro l'assetto politico istituzionale dato.

Di qui la battaglia per i diritti civili, di cui la tappe più riuscite e famose sono state il divorzio e l'aborto. Certo non si è trattato di una liberazione globale del personale o dell'inadattabilità a questo mondo, ma di cose molto parziali. Ma si è trattato pur sempre di un inizio nella direzione giusta, di una sperimentazione concreta nel campo istituzionale di parti, di un'ipotesi di liberazione. D'altra parte il Partito sapeva dar corpo, attraverso i movimenti federati, ad aggregazioni che rappresentavano aspetti parziali dell'esigenza di liberazione personale: questa esigenza, manifestata globalmente da alcune minoranze attorno al '68, sopravviveva in spezzoni separati nei movimenti federati; è vero che così separata in spezzoni questa esigenza era anche mutilata e priva di uno sbocco chiaro.

Tuttavia esiste un unico filo che lega liberazione della donna, liberazione sessuale e omosessuale, obiezione di coscienza, liberazione delle droghe psichedeliche e abolizione dei manicomi, e il fatto che questi movimenti, pur essendo parziali, fossero aggregati ad un'unica organizzazione, da una parte li faceva vivere, dall'altra creava le premesse per la riscoperta del filo comune, l'integrazione delle esigenze parziali per la riproposizione del progetto globale di liberazione già posto dal movimento presessantottesco a un livello più articolato, più consapevole, più efficace sul piano politico.

E ancora, il Partito Radicale, sostenendo che il fine non giustifica i mezzi, ma l'omogeneità di mezzi e fini, e dunque la prefigurazione nel presente dei fini futuri, caratteristica della nonviolenza, poneva le premesse perché si ponesse il problema dei rapporti umani all'interno del Partito come problema fondamentale, in quanto in questi rapporti è contenuto il progetto che il Partito porta avanti. Il PR è stato dunque il partito dell'identità di personale e politico; il Partito che ha sperimentato la possibilità di tradurre in politica istituzionale vincente i dati partenti dal personale e dalla quotidianità.

Ha mantenuto le sue promesse? Come è andata questa sperimentazione? L'ipotesi che fosse possibile questa traduzione istituzionale dei dati personali della quotidianità è verificata?

Per ora si direbbe di no. Prima di tutto va ribadita la constatazione ovvia che il Partito è in crisi. L'ipotesi della traducibilità istituzionale dell'identità di personale e politico, per essere verificata, aveva bisogno di due condizioni: a) che avvenisse effettivamente questa traduzione, b) che la traduzione fosse efficace.

Ora invece l'ipotesi radicale è momentaneamente sconfitta. Il potere istituzionale resta ben saldo, fottendosene di noi e delle sue regole formali. Contrariamente all'ipotesi, non siamo riusciti a rompere e nemmeno a scalfire gli equilibri del potere: la liberazione del ``personale'' non appare più vicina di quanto non lo fosse 6 anni fa; anzi, appare più lontana. L'efficacia della traduzione dunque, non sussiste. Si può dire che è ovvio, data la nostra inferiorità numerica, ma che comunque abbiamo verificato la condizione a); abbiamo cioè verificato la possibilità di una traduzione politica del personale, creando un gruppo che vive l'identità del personale e del politico, e che ha anche appreso dei metodi politico-istituzionali efficaci per darsi degli sbocchi, senza ricadere nell'impotenza dei beat-capellon-situazionisti.

Ne siamo sicuri? Io credo di no. Una formazione di tal genere, dopo una sconfitta di tal fatta, frustrata nella realizzazione dei suoi desideri personali, si muoverebbe. Non dico che farebbe grandi cose pubbliche o istituzionali, ché, dopo la fottitura di 4 referendum (più 4) è un po' difficile improvvisare una nuova politica; ma per dio incomincerebbe a cercare, nei letti, nelle case, e nelle sedi; incomincerebbe a riproporre desideri e speranze personali, a comunicarsele, a chiedersi quale progetto può dar corpo a questi desideri personali, come avanzare di un altro millimetro, quale realizzazione pubblica o addirittura istituzionale dare di nuovo ai nostri sogni, ci dovrebbe essere tutto un ribollire di comunicazioni personali, magari anche di pianti, di sbronze tristi, di fumate contorte, e perché no? di trip difficili e magari inconcludenti... e invece no. Niente di tutto questo. Possibile? Che i radicali non abbiano un ``personale''? Che la vita personale dei radicali sia felice, ben adattata, senza pr

oblemi? Ma come mai facevano politica, allora? E poi, se il personale non c'era, o non era motivante, come diavolo faceva ad esserci identità tra personale e politico?

Ma allora una spiegazione c'è: abbiamo preso un abbaglio. Il personale è rimasto personale, e il politico è rimasto Politico. La situazione dei movimenti federati può essere una spia: si erano formati per esigenze personali e che ne è? Si è trovato il filo comune di cui parlavo? No. Lo MLD sta per rompere la federazione, la LOC si è già sfederata e vivacchia, il FUORI, unico superstite, vivacchia anche lui senza convinzione. C'è chi, in un Consiglio Federativo, li ha chiamati crisalidi morte. Ma queste crisalidi morte sono una spia che ci deve far rendere conto della situazione del Partito, e svegliarci fuori. Ci siamo spesso cullati nella fiducia e nella presunzione di essere il Partito del personale-politico, perché con noi c'erano le femministe, i froci, i ``diversi''; perché la nostra politica era centrata sui diritti civili, sulla liberazione di esigenze che nascono nel personale e nella quotidianità, e dunque sull'identità di personale e politico. Ma di fatto i rapporti umani che siamo andati costruend

o, che abbiamo vissuto, la politica stessa che abbiamo fatto sono tali da assicurare questa identità? Dicevo che avevamo posto le premesse perché si ponesse il problema dei rapporti umani all'interno del Partito; ma le premesse sono rimaste premesse, e i rapporti sono rimasti inautentici (non tutti, è vero), mentre la fiducia e la presunzione di cui parlavo hanno fatto sì che non ci si ponesse il problema.

Si è riproposta coscientemente la separazione tra pensiero e azione, tra idee e vita, tra intellettuali e tavolari: questo convegno ne è la riprova. E quali ``intellettuali'' si fanno parlare? I Galli, i Rodotà, i Ciafaloni, ecc. Non che io abbia niente contro di loro, ma è che significa far girare una particolare ideologia, l'ideologia politologica. Significa riproporre la Politica, come insieme di regole e di azioni e di modelli d'azione che vivono di vita propria, secondo delle loro proprie regole e delle loro proprie cause, che impongono alla vita il da farsi; significa riproporre l'ideologia della separazione, e la separazione dell'ideologia.

Non che non ci si debba occupare dei meccanismi dei sistemi Politici; ma questo ha senso solo qualora si abbia una teoria e una metodologia della liberazione personale, delle esigenze dell'uomo in quanto specie, una teoria della vita che fornisca alcune direzioni generali, date le quali, si può vedere che direzioni Politiche prendere.

Avevo detto all'inizio che l'identità di personale e politico presuppone una riformulazione del politico. Ma questa riformulazione, la cui esigenza è girata nell'aria è rimasta implicita e sottintesa, non è mai stata chiaramente esplicitata.

E' urgente farlo. Altrimenti, se non si fa questo, se non si coglie la specificità del politico personale e si identifica il politico con la Politica che si svolge nelle e sulle istituzioni, si rischia di ottenere non una liberazione del personale e del politico, ma una strumentalizzazione del personale dalla Politica, e con questo la fine del personale e anche della politica.

Avevo detto che l'identità di personale e politico presuppone una ridefinizione del personale che deve essere definito dal politico: un politico inteso come metodologia della liberazione del personale, della realizzazione del desiderio della riappropriazione della vita, come ricerca di un equilibrio biologico della specie umana, oggi rotto, identificato con la soddisfazione individuale.

Che dobbiamo fare, secondo questa analisi?

Ricerca teorica? Anche, sicuramente, ma non basta. Bisogna, liberare l'immaginazione. Ma la teoria è tale quando non è separata dalle esigenze e dai desideri della soggettività, e si può incominciare a produrre teoria solo quando si abbia la coscienza dei desideri personali e inadattabili al modello di sopravvivenza che ci viene imposto, e la capacità di tradurli in linguaggio e in ipotesi, a cui dare risposte teoriche.

E allora, psicoterapia di gruppo? Prendere tutti lo LSD? Anche, ma la presa di coscienza, la costruzione della comunicazione diviene reale quando avviene nella realtà. Perché non si arresti bisogna produrre le condizioni reali per la liberazione e la comunicazione. C'è molta più comunicazione nella paziente costruzione comune di una vita quotidiana degna di essere vissuta che in tutte le psicoterapie; c'è più comunicazione nel guardarsi negli occhi ansanti e grondanti di sangue dopo le botte della polizia, che in tanti discorsi.

E allora? Dobbiamo vivere assieme, e farci prendere a botte dalla polizia, e magari farci sparare, vista la situazione di oggi? Anche, purtroppo. Ma non perché siamo masochisti. E' che la teoria e il progetto utopico ce l'abbiamo già: è la non-violenza. Ma dobbiamo prendere coscienza del suo significato fino in fondo, renderci conto che è metodo e teoria rivoluzionaria e inadattabilità a questo vivere e a questo mondo. Che fare della non-violenza implica tutto quel che ho detto e anche qualcosa di più.

Ma mi pongo un problema. Il Partito Radicale, quale è oggi, può acquisire realmente questa coscienza? Scusatemi, ma io non ci credo. Questo non vuol dire che io me ne vada e non mi impegni più. Continuerò a fare quello che posso per realizzare quello in cui credo, con gli amici che sono d'accordo, in cui credo, e che credono in me. Ma se il Partito mi dirà che queste sono fughe in avanti e preferirà scegliere la fuga indietro nella nevrosi della Politica, allora le nostre strade si separeranno.

 
Argomenti correlati:
pr
convegno
parco dei principi
stampa questo documento invia questa pagina per mail