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Chiaberge Riccardo - 7 aprile 1978
L'ANTAGONISTA RADICALE: (15) Uno spazio per l'opposizione
di Riccardo Chiaberge

SOMMARIO: Gli atti del convegno sullo statuto e sull'esperienza del Parito radicale che si è svolto a Roma all'Hotel Parco dei Principi nei giorni 5, 6 e 7 aprile 1978.

("L'ANTAGONISTA RADICALE" - La teoria e la prassi del partito nuovo, socialista e libertario; e lo statuto e l'esperienza del PR nella società e nelle istituzioni - Convegno del consiglio federativo del Partito Radicale - Roma, aprile 1978)

Riccardo Chiaberge

UNO SPAZIO PER L'OPPOSIZIONE

C'è ancora spazio, in Italia, per un'opposizione non-violenta? Secondo me, bisognerebbe chiedersi più semplicemente se c'è spazio per un'"opposizione". Perché quell'aggettivo "non-violenta" sembra presupporre che possa esistere anche un' opposizione "violenta", che il partito armato, dalle BR a quelli della ``P-38'', sia anch'esso una forma di opposizione, per quanto faccia uso di mezzi diversi - e inaccettabili - per combattere ``il regime''. A me pare che questo equivoco vada assolutamente evitato. Occorre avere ben chiaro che l'unica opposizione è quella non-violenta, e che la violenza - al di là delle sue giustificazioni o mascherature ideologiche - ha sempre e comunque un segno di regime. Ma c'è di più. Io credo che il terrorismo - ma anche il partito dell'autonomia, sia pure in misura diversa - operi "coscientemente, deliberatamente", per favorire una chiusura autoritaria delle istituzioni, per far approvare leggi sempre più repressive, per coinvolgere progressivamente il PCI in una gestione ``violenta

'' dello Stato, in modo da ``smascherarlo'' di fronte ai suoi elettori e militanti, e conquistare cosi nuovi proseliti alla lotta armata.

In questo senso, non sono d'accordo con chi afferma che il fine delle Brigate Rosse sarebbe la ``destabilizzazione'' del sistema politico, la rottura dell'accordo di governo, il ritorno del PCI all'opposizione. Questo è effettivamente il fine "dichiarato" delle loro imprese, quello che viene teorizzato nei documenti che essi diffondono dalla clandestinità. Ma un conto sono i fini, un conto i risultati pratici, che stanno davanti ai nostri occhi. Al di là delle polemiche pro o contro la trattativa per la liberazione di Moro, dopo il 16 marzo è avvenuto se mai proprio il contrario: una brusca accelerazione delle spinte consociative del sistema politico, la fine dell'opposizione, l'ingresso ufficiale del PCI nell'area di governo. Per rispondere alla sfida dei terroristi, per dimostrare la funzionalità delle istituzioni, si sono varati in fretta e furia provvedimenti forcaioli per l'ordine pubblico, si è approvata una legge-truffa per l'aborto, si è ``riformata'' in peggio la legge Reale. Il polverone sollevato

dalle BR ha consentito di presentare tutto ciò come una grande prova di maturità democratica.

E chiunque osi muovere critiche a questo andazzo o anche solo esprimere punti di vista non allineati con quelli del PCI e della DC, viene subito attaccato come destabilizzatore, se non addirittura come aperto fiancheggiatore dei terroristi. Per non parlare dei radicali, che con l'ostruzionismo in Parlamento si sono meritati la tessera ad honorem delle Brigate Rosse.

Una lettura istruttiva, in questo senso, può essere per esempio quanto scriveva Pietro Barcellona sull'Unità di alcuni giorni fa: ``L'attacco (dei brigatisti) è diretto al modo di fare politica che si è sviluppato in questi anni e ai soggetti principali di questo processo: i partiti di massa intesi come organizzatori permanenti e capillari della partecipazione alla vita politica''. Perciò, chiunque metta in discussione gli equilibri politici esistenti, i contenuti delle intese raggiunte fra le segreterie di partito, chiunque sottolinei episodi di corruzione o chieda che sia fatta luce sugli scandali, chiunque voglia restituire ai cittadini, agli elettori, il diritto di decidere e di scegliere, al di fuori dei compromessi fra gli apparati, costui fa il gioco dei terroristi, è un loro alleato potenziale. Ciò che va difeso, non è la costituzione, ma il ``sistema dei partiti'', perché la reale garanzia dello sviluppo democratico starebbe nella ``presenza di soggetti collettivi, politici e sociali diversi, ma sor

retti da un'ispirazione unitaria''.

Di fronte a questo fideismo roussoviano, che vede nella maggioranza la depositaria della verità e del bene comune, e in ogni forma di dissenso e di contrapposizione ideale, un pericoloso attentato alla saldezza delle istituzioni, il mestiere di oppositore non-violenti, o anche semplicemente di cittadini liberi, diventa ogni giorno più difficile.

Questo non dev'essere evidentemente, un motivo per arrendersi o per irreggimentarsi: lo stesso convegno di oggi testimonia la volontà di andare avanti comunque, di tentare nuove vie per salvare la costituzione. Ma bisogna rendersi conto che queste vie sono diventate, nelle attuali condizioni, strettissime e pericolose, e che dobbiamo percorrerle con estrema prudenza, se si vuole evitare di restare schiacciati. Basta la minima mossa falsa per trovarsi criminalizzati ed emarginati. Io temo purtroppo che nel breve periodo non si possa fare molto di più di una serie di battaglie difensive, contro l'affossamento dei referendum, contro le misure limitative dei diritti civili, eccetera. Certo non è più tempo di grandi avanzate.

Credo anche che l'escalation del terrorismo imponga una revisione di certi schemi interpretativi, di certi slogan che hanno contraddistinto fin qui il discorso radicale. Dopo la svolta (quasi un golpe, ha detto qualcuno) del 16 marzo, non mi sembra più sufficiente la spiegazione (al limite giustificazionista) che la strage di istituzioni produce la strage di uomini, come se da una parte ci fosse un ``regime'' di tipo quasi fascista, e dall'altra un pugno di disperati che sparano ed ammazzano per protesta.

E' ora di dire invece con estrema chiarezza che questi killer (quali che siano le loro intenzioni dichiarate ed i loro eventuali mandanti, nazionali od internazionali) vogliono colpire a morte la costituzione, l'opposizione radicale e non-violenta, le speranze di alternativa e di libertà. E bisogna anche dire che questo Stato, malgrado trent'anni di occupazione democristiana, non è tutto da buttare, che va riformato profondamente, per realizzare il disegno costituzionale (e i referendum servono appunto a questo), ma va anche difeso contro chi punta alla sua degenerazione in senso tedesco o argentino (da Curcio a La Malfa).

Un altro errore da evitare, a mio avviso, è quello di accentuare il proprio isolamento, cedendo a quella logica settaria dei ``duri e puri'' che tante volte, in passato, i radicali hanno rimproverato ai gruppi della sinistra rivoluzionaria. Un errore in cui si rischia di cadere se per esempio si imposta il referendum per l'abrogazione del finanziamento pubblico, anziché sul rifiuto di "questa" legge, su una specie di crociata qualunquistica contro i partiti nel loro insieme. A me pare che all'interno delle forze di sinistra, sindacali e politiche, PCI compreso, ci siano ancora grosse aree di dissenso e di critica rispetto alla prospettiva del compromesso storico, e con queste aree non bisogna perdere i collegamenti e le possibilità di dialogo. Pensiamo, per esempio, alla posizione dell'UDI sulla legge per l'aborto, alle riserve di una parte dei socialisti sulle carceri speciali ai giudizi negativi dei magistrati democratici e del sindacato di polizia sulle misure per l'ordine pubblico.

Il regime DC-PCI non è ancora una realtà consolidata: per quanto le tendenze in questo senso siano molto forti, sono altrettanto forti le contraddizioni che emergono nello schieramento dell'emergenza. Del resto, nessuna alleanza è irreversibile: non dimentichiamo che storicamente, le larghe coalizioni sono state in molti casi l'anticamera dell'alternativa, sono servite a dare legittimazione alle sinistre per governare da sole.

Per concludere, mi sembra sbagliato e pericoloso fasciarsi la testa prima di averla rotta: comportarsi come se il regime del compromesso storico fosse già una realtà consolidata o addirittura irreversibile, significa dare una mano a chi vuole sterminare ogni germe di opposizione nel nostro paese, significa farsi sparare addosso anche da quelle forze che potrebbero essere alleate dei radicali nella lotta per la piena attuazione della costituzione.

Lo spazio per un'opposizione non-violenta, in Italia, non è ancora bruciato del tutto. Bisogna cercarlo pazientemente, nei punti di frizione tra i partiti storici, in certi settori del sindacato, nel movimento degli studenti, delle donne, fra le minoranze linguistiche, religiose e sessuali. L'importante è non avere complessi di persecuzione o di primogenitura, non credere mai di essere gli unici depositari della verità rivoluzionaria, perché così si va solo all'isolamento e alla sconfitta.

 
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