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Ferrari Vincenzo - 7 aprile 1978
L'ANTAGONISTA RADICALE: (25) Guardare all'alternativa in Europa
di Vincenzo Ferrari

SOMMARIO: Gli atti del convegno sullo statuto e sull'esperienza del Parito radicale che si è svolto a Roma all'Hotel Parco dei Principi nei giorni 5, 6 e 7 aprile 1978.

("L'ANTAGONISTA RADICALE" - La teoria e la prassi del partito nuovo, socialista e libertario; e lo statuto e l'esperienza del PR nella società e nelle istituzioni - Convegno del consiglio federativo del Partito Radicale - Roma, aprile 1978)

Vincenzo Ferrari

GUARDARE ALL'ALTERNATIVA IN EUROPA *

La ragione per la quale sono voluto intervenire in questo convegno, al quale porto l'adesione di tutto il nostro gruppo di Critica Liberale, e del Movimento Liberaldemocratico, è per riallacciarmi al tema della possibilità di una opposizione non-violenta, una opposizione pacifica, una opposizione libertaria al regime. Vorrei estendere lo sguardo al di fuori della posizione italiana, all'Europa. Direi che non soltanto l'Italia ma tutti i Paesi capitalisti dell'Europa occidentale, sono oggi percorsi da una sorta di spirale, totalitarismo-terrorismo-terrorismo armato, che è la manifestazione di una crisi che era latente già in passato in quanto affonda la sue radici nell'assetto economico e politico che è uscito dalla guerra mondiale per volontà delle due potenze. Questo assetto ha significato che l'Europa occidentale nei singoli Stati nazionali, e anche come realizzazione unitaria, è nata secondo un modello che era di diretta e immediata importazione americana; un progetto cioè sostanzialmente funzionale agli

interessi americani e che contemplava l'asservimento delle economie europee ad interessi che non erano certamente ritagliati sulle popolazioni europee ma erano gli interessi sostanzialmente illiberali, sostanzialmente antidemocratici delle multinazionali americane.

Ora gli anni del benessere economico nell'Occidente, dovuto soprattutto all'ampia disponibilità di materie prime hanno occultato fondamentalmente le ragioni e le contraddizioni di questa crisi. Quando nel 1968 il primo vero dissenso ha investito i rapporti di potere e le istituzioni europee esso ha avuto un segno soprattutto libertario, con un disegno che era figlio della società occidentale, anche se esaltava la fantasia sulla razionalità e quindi si distaccava un po' dai modelli occidentali, un dissenso, sostanzialmente di natura borghese.

Nel 73-74, quando la crisi economica ha messo a nudo le contraddizioni sulle quali si reggeva l'assetto economico e politico delle società capitalistiche dell'occidente europeo, questo dissenso ha cambiato letteralmente i connotati: da dissenso di tipo libertario si è trasformato in lotta contro un assetto economico e politico; da dissenso contro le istituzioni è diventato lotta contro gli assetti di potere, contro un certo assetto dei rapporti di produzione e le sue caratteristiche le sue connotazioni, da fondamentalmente borghesi sono diventate a mano a mano sempre più proletarie. Allora le istituzioni europee e le istituzioni dei singoli Stati nazionali hanno accentuato le loro difese, sotto l'impulso della paura, e non hanno in fin dei conti difeso se stesse come istituzioni democratiche. Anzi, hanno rinnegato se stesse come istituzioni democratiche e hanno finito per dare luogo a una difesa che non era difesa delle istituzioni, ma sostanzialmente difesa dell'élite di potere, che quelle istituzioni in qu

el momento storico gestivano. Allora tutti gli stati europei, quale più quale meno perché i margini della tolleranza democratica sono evidentemente diversi nei singoli paesi, si sono comportati così. Tutte le istituzioni europee hanno finito per ripercorrere una strada verso il totalitarismo non solamente in Italia dando così ragione ad un secolo di analisi marxiste secondo cui gli stati occidentali si sarebbero trovati un giorno o l'altro a dover percorrere la strada dell'antidemocrazia per salvare il dominio della classe borghese.

Sono partito da questo discorso perché credo che si debba constatare, e credo che lo debba constatare anche il Partito Radicale, la primarietà o per lo meno la grande importanza del quadro politico europeo e questo non solo perché abbiamo di fronte una realtà dalla quale non si torna indietro: l'Europa della Comunità Europea. L'Europa ha raggiunto un punto di non ritorno, non solo perché abbiamo davanti una scadenza elettorale che è la scadenza delle elezioni del Parlamento europeo ma perché la strategia del totalitarismo, la strategia dell'anti-democrazia, la strategia della degenerazione della società democratica e della sua trasformazione in senso autoritario, così come la strategia del terrorismo non sono più nazionali ma chiaramente e necessariamente internazionali. Allora credo che dobbiamo riproporci ancora una volta il quesito classico: su quale Europa si sta costruendo e come noi vogliamo inserirci in questo processo perché il problema è diventato di drammatica urgenza. Fino ad alcuni mesi fa, solev

o dire che le forze politiche europee avevano elaborato due progetti di Europa, che mi parevano non contrapposti ma sostanzialmente diversi: cioè da un lato il progresso tecnocratico, (il progetto che trova il suo simbolo nel presidente francese, Giscard d'Estaing, e nel presidente del Consiglio Belga Tindemans), in sostanza il progetto delle multinazionali riproposto in Europa in stretto accordo con le multinazionali americane, e dall'altro il progetto burocratico, il progetto eurocomunista, il progetto carilliano, il progetto berlingueriano. Certo c'erano delle posizioni intermedie tra l'una e l'altra di queste linee c'era la posizione mitterrandiana, c'erano altre posizioni di questa fatta, però in linea di massima il dibattito mi pareva coinvolgere queste due possibilità abbastanza diversificate, e constatavo già allora l'assenza sostanziale delle forze laiche cioè delle forze liberali progressiste e radicali libertarie. Non era che io lamentassi che queste forze, in particolare libertarie e radicali, fo

ssero carenti nella produzione di un progetto politico perché per definizione si tratta di forze che non vogliono produrre progetti politici e diffidano delle formule astratte e dei progetti astratti e omnicomprensivi, ma semplicemente constatavo la loro assenza dal dibattito, cioè constatavo che mancava una presenza a livello politico della costruzione dell'Europa. Oggi, devo constatare una situazione ancora più preoccupante: quella cioè che la strategia tecnocratica e la strategia burocratica da un lato, e la strategia degli eurocomunisti dall'altro, saramo diverse ma in realtà sono strettamente e reciprocamente funzionali. In realtà, se mai c'è stato dibattito e contrapposizione tra queste due formule d'Europa, esse si sono risolte, drammaticamente in una velocissima affrettata, immediata e anticipata vittoria del modello tecnocratico. In altre parole l'Europa che andiamo a costruire, ci piaccia o non ci piaccia, è l'Europa che vogliono le multinazionali americane e le loro derivazione europee, è l'Europa

che punta ad una colonizzazione, a una sudamericanizzazione delle zone depresse dell'Europa medesima, in quanto sappiamo benissimo che questa qualifica richiede come presupposto la miseria delle popolazioni e la loro impossibilità di intervenire nel processo economico. Scopro e vedo che da parte eurocomunista, cioè da parte dei compagni, come noi ci ostiniamo a chiamarli, comunisti di tutta Europa, vi è stata fondamentalmente una adesione a questo modello. Perché questa affrettata adesione ad un modello che era in discussione? Perché anche nel mondo liberale al quale io ho appartenuto non si è fatto altro per anni che produrre documenti contro le multinazionali. Perché questa vittoria affrettata? Anche ciò credo è stato forse il simbolo e il frutto della paura di fronte alla situazione politica che degenerava e che tendeva ad accorpare le forze politiche dissimulando le loro diversità, soprattutto quelle insensibili ai problemi delle libertà individuali e quelle di segno e di ispirazione e di tendenza essen

zialmente totalitaria.

Ora vorrei porre dei quesiti a questo convengo. L'aggregazione di forze sotto un'etichetta per una strategia repressiva che coinvolge le élites politiche di tutti i Paesi europei apre degli spazi ancora ampi ad un'opposizione libertaria e non-violenta; e infatti non a caso in tutti i paesi europei il nemico pubblico numero uno, al di là dei terroristi, e forse oltre i terroristi sono diventati i radicali. Giacché anche questo non è un caso soltanto italiano: in Italia il Partito Radicale si è presentato più che altrove come l'oppositore non-violento di un regime di potere e lo fa da vent'anni. Ma anche altrove, dovunque i radicali sono presenti sotto diverse etichette da quella della sinistra liberale inglese a quella radicale olandese, sono diventati il pericolo pubblico numero uno da battere, da criminalizzare, da emarginare, da togliere di mezzo da qualunque parte si vede la situazione politica. Dobbiamo allora ripartire da un'analisi delle forze su cui si può fare conto per lanciare a livello europeo una

strategia libertaria e non-violenta, e constatiamo che bisogna partire quasi da zero, perché, in Olanda il Partito Radicale è pressoché dissolto, in Danimarca il Partito Radicale è praticamente ridotto a zero senza nessuna possibilità di rappresentatività nel parlamento europeo, in Italia il Partito Radicale forse è più forte che altrove però indubbiamente non attraversa un momento felice dal momento che lo si criminalizza, lo si fa tacerei lo si soffoca. In Francia i radicali di sinistra si sono dissolti di fronte all'alternativa, di fronte alla crisi della politica di alternativa, e via dicendo. Dobbiamo quindi partire da questa drammatica constatazione, che le nostre forze sono in Europa oggi estremamente modeste. Io credo che i radicali oggi possano scoprire fino in fondo il significato profondo e veramente rivoluzionario della politica federalista nella sua versione regionalista. Se c'è una possibilità remota di contrastare il disegno delle multinazionali che mira a sudamericanizzare l'Europa, essa è s

trettamente legata alla formazione di gruppi di pressione di potere di opposizione e di dissenso di tipo locale. E' impensabile sfruttare o utilizzare le strutture dello Stato nazionale sempre più caduche, sempre più inutili, per questo tipo di battaglia. Credo quindi che i radicali debbano sposare a fondo la tesi del federalismo che d'altronde è la loro tesi storica e la tesi correlativa del regionalismo in senso economico e questo può essere innanzitutto una etichetta molto precisa sulla quale andare a compiere la nostra battaglia elettorale, se ce la faremo a fare per l'anno venturo le elezioni al parlamento europeo. Sulle elezioni al parlamento europeo credo che ci attenda effettivamente una grossa battaglia, perché è vero che ci sono delle tendenze a far si che la legge elettorale italiana sia tale da consentire la rappresentanza anche delle piccole forze, però mi consta che le opposizioni a questa tendenza sono talmente grosse soprattutto nella Democrazia Cristiana che c'è veramente da temere il contra

rio.

Nessuna possibilità di evitare quel risultato a cui il regime in questo momento precisamente mira, cioè di portare 81 deputati al parlamento europeo di cui 47 saranno della DC, 37 saranno del PCI e ce ne saranno due del Partito Socialista e sarà con questo finito tutto.

 
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