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Spadaccia Gianfranco - 28 luglio 1978
Nuovi problemi, nuovi compiti
Verso il XX Congresso del partito

di Gianfranco Spadaccia

SOMMARIO: Gianfranco Spadaccia, Presidente del Consiglio federativo del Partito radicale, inquadra le condizioni nelle quali è maturata la relazione del Consiglio federativo in vista del XX Congresso del Pr: sospese le attività nazionali del partito. C'è una preoccupazione di fondo che non va vissuta come una frustrazione personale: all'interno del partito, il meccanismo collaudato di formazione della volontà politica e la sua efficace traduzione operativa e militante sembra essere entrato in crisi, la politica dei "cento fiori radicali" che devono sostituire l'unica rosa del tronco nazionale rischia di produrre nuovi centralismi (peggiori perché non responsabili) e senza una reale unità. Risposte e soluzioni possono essere solo collettive, ed è responsabilità del Presidente porre questo problema lealmente e criticamente, come già ebbe a fare in precedenza denunciando il sorgere di una mentalità di clan, di uno spirito competitivo che creava spinte centrifughe invece che alimentare e rafforzare l'organizzaz

ione libertaria e federativa del partito. Denunciare per tempo i pericoli contribuisce a scongiurarli, e per questo è sperabile che anche in questa occasione, possa essere trovata una soluzione giusta, laicamente e nel dialogo.

(NOTIZIE RADICALI N. 120, 28 luglio 1978)

Il documento che segue è stato il frutto di un serio e approfondito dibattito in consiglio federativo, che si è riunito ben tre volte dopo le scadenze elettorali dell'11 e del 25 giugno, conclusesi con due successi per il partito. Il C.F. ha ritenuto di pubblicarlo perché: costituisce una prima base anche del dibattito precongressuale delle associazioni e dei partiti regionali.

Come spesso mi è capitato in questi anni, più che il prodotto di idee individuali, e di una visione esclusivamente personale, esso raccoglie e tiene conto dell'esperienza politica del partito, del contributo di quanti hanno concorso a determinarla e vi hanno riflettuto, del dibattito che si è svolto ed anche dei dubbi, delle contraddizioni, delle incertezze che ha rivelato.

Su alcuni problemi (politica elettorale, finanziamento pubblico), con i quali mi sono trovato personalmente alle prese, le proposte sono senza dubbio mie, ma per il resto (e questo è stato, al di là delle apparenze, molto spesso il mio ruolo all'interno del partito: un ruolo beninteso che nessuno mi ha imposto ma che ho liberamente scelto e accettato), mi sono ancora una volta trovato a dar voce (e scritto) al prodotto di una esperienza collettiva.

Dico questo perché, essendo stato protagonista, prima come segretario e poi come presidente del c.f., di una fase della vita del partito e della sua organizzazione che richiedeva una forte centralizzazione operativa, sono semmai interprete meno adatto, da un certo punto di vista, di questa nuova fase che il partito sta vivendo e delle sue nuove esigenze. Il che non significa che di esse non sia convinto. Dico soltanto che riflessi e abitudini possono essere più resistenti delle convinzioni. E questo può spiegare perché da alcuni compagni mi sia rivolto il rimprovero di aver avuto in questi mesi comportamenti o di aver autorizzato attese, che erano contraddittori rispetto alla svolta impressa da Adelaide con la sospensione delle attività nazionali, e da altri di aver fornito alibi a decisioni sbagliate.

Qualcuno, esprimendo una critica benevola a questo documento, che io ritengo letterariamente assai poco felice (che stia sorgendo il radicalese?) e politicamente molto noioso, ha detto che esso pecca di eccessiva linearità e di poca problematicità. Ho riflettuto su questa critica, ma la ritengo - almeno per quanto riguarda la linearità - ingiusta. Vi si delinea in realtà un problema e vi si abbozza, nel tentativo di trovare una soluzione, in maniera molto approssimativa un disegno che deve essere tutto riempito.

E per quanto riguarda la problematicità, basta riflettere al problema delle competenze degli organi nazionali, e ai problemi del finanziamento pubblico, per rendersi conto che non ne difetta.

Tenendo conto di questa critica, vorrei, tuttavia esprimere una mia preoccupazione, che ritengo una preoccupazione reale. Laicamente quindi la comunico ai compagni, anziché viverla come una mia frustrazione personale, perché insieme la si possa risolvere se è tale, o insieme escluderla o fugarla se non avesse alcun fondamento. Dal 1974, dopo un anno di crisi, il partito ha sempre saputo darsi una direzione politica. Può essere stata manchevole, è stata oggetto di critiche, alcune giuste altre ingiuste, alcune legittime altre meno, ma nessuno può negare che ci sia stata, che abbia costituito un preciso punto di riferimento e saputo assicurare al partito una conduzione e una linea di sviluppo unitarie. E' grazie a questo che i rapporti interni al partito fra coloro che avevano compiti gravosi di segreteria e di tesoreria, i rapporti fra questi organi e le associazioni, i rapporti con Pannella nel periodo in cui le sue iniziative di "non iscritto" rifornivano dall'esterno il partito, i rapporti poi con il grupp

o quando per la prima volta abbiamo avuto una rappresentanza parlamentare, non hanno mai subito gravi incrinature. Questi rapporti, altrimenti difficili in un partito come il nostro, potevano essere condotti ad unità dinamica perché erano fondati sulla fiducia (di tutti verso tutti), perché la fiducia non era in bianco ma a sua volta si fondava sul dialogo, e perché di questo dialogo esistevano gli interlocutori e si trovavano le sedi che consentivano di realizzare una unità che era un patrimonio di tutto il partito.

In questa situazione le incomprensioni, i dissensi, i conflitti che sono naturali in ogni rapporto interpersonale e in ogni comunità organizzata, erano questioni di un momento facilmente superate e dissolte negli impegni di lotta e nelle scadenze collettive. Anche i momenti più traumatici (come quelli di Bologna dello scorso anno) hanno potuto per questo essere superati e riassorbiti (tanto che oggi appaiono distanti anni luce dalla tematica attuale che dobbiamo affrontare).

Ora questo meccanismo collaudato di formazione della volontà politica e di efficace traduzione operativa e militante della volontà politica ho l'impressione che sia entrato in crisi, senza che ad esso abbiamo ancora trovato nulla da sostituire. Mai come ora, che dobbiamo dar vita a iniziative diversificate e anche a diversi comportamenti a seconda delle situazioni, questa garanzia di unità, pur più difficile, è essenziale. Altrimenti la politica dei cento fiori radicali che devono sostituire l'unica rosa del tronco nazionale rischiano di produrre nuovi centralismi (magari peggiori perché non responsabili) e senza reale unità.

Vorrei che fosse chiaro che non sto parlando di problemi formali, ma di quella sostanza e di quella metodologia senza la quale le forme diventano formalismo e i luoghi della sovranità luoghi dove si consumano solo i gesti (e le velleità) della sovranità senza la forza e la convinzione collettiva che sole possono consentire di esercitarla. Non sto neppure parlando dei cosiddetti rapporti partito-gruppo o del ruolo del cosiddetto "carisma" di Marco, che sono i nodi caricaturali con i quali non si affrontano ma si eludono i problemi reali. Se questi sono tali ci riguardano tutti (anche il gruppo e anche Marco, certamente ma non in maniera caricaturale). Non sto infine rivendicando meriti personali per il passato, e tanto meno adottando anch'io la fantapolitica dei sospetti e dei processi alle intenzioni, di cui abbiamo letto qualche pregevole saggio letterario anche su pubblicazioni radicali. Personalmente ritengo che ogni scelta in questo campo sia legittima, purché chiara e dichiarata.

Poiché sento questo problema, come un problema critico, e non ho risposte e soluzioni personali perché le risposte e le soluzioni possono essere solo collettive, lo pongo sul tavolo esplicitamente e lealmente, con la stessa chiarezza, o se preferite la stessa enfasi, con cui lo scorso anno denunciai il crescere di una mentalità di clan, e di uno spirito competitivo che creava spinte centrifughe e disgreganti anziché alimentare il rafforzamento delle lotte radicali e dell'organizzazione libertaria e federativa del partito. Ho la presunzione che l'averlo allora denunciato (e combattuto) in tempo abbia contribuito a scongiurare un pericolo che si è dimostrato reale. Alla stessa maniera ho la speranza che posto con anticipo e con chiarezza, anche di questo problema sapremo trovare, laicamente e nel dialogo, la soluzione giusta."

 
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