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Corleone Franco, Panebianco Angelo, Strik Lievers Lorenzo, Teodori Massimo - 1 ottobre 1978
RADICALI O QUALUNQUISTI?: (2) Introduzione
di F. Corleone, A. Panebianco, L. Strik Lievers, M. Teodori

SOMMARIO: Un saggio sulla natura e le radici storiche del nuovo radicalismo e un confronto sulla questione radicale con interventi di: Baget-Bozzo, Galli, Ciafaloni, Tarizzo, Galli della Loggia, Lalonde, Alfassio Grimaldi, Are, Asor Rosa, Corvisieri, Orfei, Cotta, Stame, Ungari, Amato, Mussi, Savelli.

(SAVELLI editore, ottobre 1978)

Indice:

Parte prima

I Politica e società (1376)

II Radicali sotto accusa (1377)

III Il Pr come partito bifronte (1378)

IV Radicalismo e socialismo (1379)

V Radicalismo o marxismo, convivialità o tecnofascismo (1380)

Parte seconda

Un confronto sulla questione radicale (1381 - 1397)

"La mia fede nel socialismo (di ciò, oso dire, testimonia tutta la mia condotta successiva) è rimasta in me più che mai viva. Nel suo nucleo essenziale essa è tornata a essere quella ch'era quando dapprima mi rivoltai contro il vecchio ordine sociale: una negazione della tradizione e del destino, anche sotto lo pseudonimo di Storia; un'estensione dell'esigenza etica dalla ristretta sfera individuale e familiare a tutto il dominio dell'attività umana; un bisogno di effettiva fraternità; un'affermazione della superiorità della persona umana su tutti i meccanismi economici e sociali che l'opprimono. Col passare degli anni vi si è aggiunto un reverente sentimento verso ciò che nell'uomo incessantemente tende a sorpassarsi ed è alla radice della sua inappagabile inquietudine. Ma non credo di professare in questo modo un socialismo mio particolare. Le »verità pazze ora ricordate sono più antiche del marxismo. Verso la seconda metà del secolo scorso esse si rifugiarono nel movimento operaio partorito dal capitalis

mo industriale, e continuano a restarvi una delle sue più tenaci fonti d'ispirazione. Ogni sincero socialista, magari senza rendersene conto, le porta in sé. Ho già ripetute volte espresso il mio parere sui rapporti, nient'affatto rigidi e immutabili, tra il movimento socialista e le teorie del socialismo. Sono gli stessi rapporti che corrono tra le scuole filosofiche e i grandi movimenti storici. Col progredire degli studi le teorie possono deperire ed essere ripudiate, ma il movimento continua. Sarebbe tuttavia errato, con riguardo al vecchio contrasto fra dottrinari ed empirici dell'organizzazione operaia, annoverarmi tra questi ultimi. Non concepisco la politica socialista indissolubilmente legata ad una determinata teoria, però a una fede, sì. Quanto più le »teorie socialiste pretendono di essere »scientifiche , tanto più esse sono transitorie; ma i »valori socialisti sono permanenti. La distinzione fra teorie e valori non è ancora abbastanza chiara nelle menti di quelli che riflettono a questi proble

mi, eppure è fondamentale. Sopra un insieme di teorie si può costituire una scuola e una propaganda; sopra un insieme di valori si può fondare una cultura, una civiltà, un nuovo tipo di convivenza tra gli uomini.

(Ignazio Silone, "Uscita di sicurezza")

INTRODUZIONE

»Il radicalismo è un fenomeno nuovo della politica italiana forse il fenomeno nuovo per eccellenza. E' strano che sia così poco notato . (Gianni Baget-Bozzo, »Argomenti Radicali );

»La questione del radicalismo torna oggi ad occupare un posto importante (...) perché, nella società e nelle idee, posizioni radicali, di nuovo e di vecchio tipo, sono venute diffondendosi . Fabio Mussi, »Rinascita );

»Mentre da varie parti ormai si indica l'egemonia del radicalismo (...), il termine ``radicale'' o ``radicalsocialista'' viene usato come un'impostazione se non proprio un accusa infamante da diverse parti . (Ruggero Orfei, »Il mensile ).

E' uno dei caratteri nuovi del dibattito politico italiano: si scopre che esiste, è sempre esistito, a torto e pericolosamente sottovalutato, un »filone radicale , un fenomeno specifico e importante nella realtà culturale e politica del nostro paese.

Tentando un rapido recupero, ci si interroga sul "radicalismo" e sul "nuovo radicalismo". Su che cosa esso rappresenti come corrente profonda della società italiana, a quali esigenze risponda, perché sia sorto o risorto, dove possa portare. Accanto alla »questione comunista , all'ordine del giorno da quando il Pci ha fatto dal 1975 un balzo in avanti nei risultati elettorali; accanto alla »questione socialista , tornata alla ribalta per la ripresa di aggressività della nuova leadership craxiana e per quello che essa vuole rappresentare; accanto alla »questione cattolica , da sempre al centro della scena politica italiana, c'è oggi anche una »questione radicale , più che mai aperta e, implicitamente ed esplicitamente, nel fuoco dell'attenzione della politica e della cultura politica italiana.

Il fatto è che nel primo quinquennio degli anni Settanta le forze politiche »ufficiali si sono trovate più volte prese di contropiede e sconfitte o costrette a vincere di controvoglia da questa realtà - il Partito radicale - da loro sempre misconosciuta, ignorata, disprezzata, ritenuta irrilevante e inconsistente (il »cosiddetto partito radicale scriveva »L'Unità ). Di volta in volta i partiti »veri si sono trovati a scoprire che i radicali avevano visto giusto, interpretando gli stati d'animo dell'opinione pubblica. E si accorgevano con disagio che, anche attraverso le battaglie di libertà rimosse dalle altre forze della sinistra e del mondo laico, e imposte invece dai radicali, l'opinione pubblica stessa rilevava o assumeva via via orientamenti inequivocabilmente radicali. In quegli anni si era avuta dapprima l'approvazione del divorzio in parlamento nel 1970 e poi il referendum del 1974, entrambi successi del gruppo radicale che aveva imposto e condotto quella campagna insieme a una serie di altre azio

ni per l'affermazione dei diritti civili.

I radicali come forza politica, seppure di minoranza, e relegati a battaglie ritenute dalle altre forze politiche settoriali, erano ormai divenuti una realtà.

Con il 1976 e l'entrata a Montecitorio di una pattuglia di parlamentari della »rosa nel pugno e la successiva riuscita nella raccolta di alcuni milioni di firme su un articolato progetto di applicazione costituzionale per via referendaria, benché arrivato alla prova popolare dell'11 giugno 1978 solo con due referendum, si allargava e generalizzava la consapevolezza dell'efficace e significativa presenza radicale.

La questione dei "nuovi radicali", che erano riusciti a conseguire vittorie grazie a una presenza politica dinamica, si è così trasformata negli anni e nei mesi più recenti nella questione del "nuovo radicalismo", messa ancor più in evidenza dai sorprendenti (per la classe politica) risultati dei due referendum del '78 in cui le posizioni sostenute dai radicali raccoglievano il consenso, rispettivamente, di un terzo circa (legge »Reale ) e di quasi la metà (finanziamento dei partiti) dell'elettorato italiano.

Il primitivo disinteresse verso i radicali e il nuovo radicalismo era stato in parte rotto dalla cronaca politica tra il 1974 e il 1976. In un paese come il nostro in cui si è soliti dedicare grande attenzione ai più piccoli e passeggeri fenomeni politici, è stata soprattutto la forza dei risultati conseguiti all'inizio degli anni Settanta a costringere a prendere atto di questa scomoda presenza. In un primo tempo l'attenzione si è rivolta più alle forme dell'azione radicale, cogliendone le presunte caratteristiche »folcloristiche o la clamorosità, che non al contenuto politico che i singoli atti, campagne e azioni comportavano. Dei radicali si diceva, salvo eccezioni, che usavano metodi »eccessivi , magari per fini giusti, oppure che la loro azione era meritoria purché rimanesse confinata a problemi »sovrastrutturali , ciò che secondo il gergo marxista significa marginale. Mentre la Politica - quella importante e che conta - riguarda altre cose e non può passare per veicoli che non rispondono alle caratter

istiche riconosciute »corrette e omologate dalle forze egemoni nel sistema politico.

Così, imposta dalle cose, in quegli anni si è avviata una discussione sul fenomeno radicale che però, cogliendone solo un aspetto, finiva per farsi sfuggire gran parte dei suoi caratteri e risultare nel suo insieme sostanzialmente distorcente. Ciò nasceva in gran parte dall'inadeguatezza delle culture politiche dominanti (in primo luogo di quella marxista) a intendere con strumenti idonei questo fenomeno nuovo.

La vicenda radicale, oltre a riallacciarsi alle antiche radici che si rifanno alla tradizione democratica italiana, è segnata anche dall'essere il prodotto del cambiamento della nuova società industriale avanzata e, segnatamente, di quella particolare fisionomia che essa ha assunto in Italia.

I tentativi di interpretazione e di definizione del fenomeno radicale hanno fatto ricorso, quando sono andati al di là degli specifici momenti di lotta, a categorie come quelle di »minoranza borghese , a etichettature come quelle di forza »intellettuale o »illuministica , evocando caratteristiche che solo la profonda ignoranza dei dati di fatto possono aver fatto risuscitare da un logoro passato. Si sono messe in un unico contenitore, da una parte, le radici dei nuovi radicali con quelle dei vecchi radicali degli anni Cinquanta oppure, dall'altra, secondo un'ottica opposta, si è assimilato genericamente il nuovo radicalismo con il ribellismo contestatore dei movimenti giovanili sessantotteschi e postsessantotteschi ignorando, ad esempio, la profonda attenzione istituzionale e per i meccanismi concreti di riforma che hanno mosso costantemente lungo questi ultimi quindici anni l'ipotesi radicale.

Tutto ciò e altro ancora, è il frutto di pigrizia politica e intellettuale - o peggio ancora di volontà superficialmente liquidatoria - di tanti che hanno l'abitudine di argomentare saccheggiando l'arsenale delle "idées reçues" e degli schermi buoni per tutti gli usi, soprattutto allorché si tratta di contribuire ad affossare posizioni e iniziative politiche che sono scomode e con le quali non si vogliono fare i conti. Così si trova ad esempio chi sostiene che i nuovi radicali sono una specie di qualunquisti che hanno fatto il '68 (Mussi, vedi parte seconda); mentre altri prende per buoni i punti di riferimento del radicalismo ottocentesco di Cavallotti per capire il nuovo radicalismo pur con l'uso di una articolata cultura politica marxista, dando prova di scarsa o nulla conoscenza dei dati empirici (Asor Rosa, vedi parte seconda). E non serve certo a cambiare questo quadro generalizzabile la brillante eccezione di Baget-Bozzo (non per nulla proveniente da una formazione politicamente non tradizionale) che

ha tentato, da suo punto di vista non laico, di intendere le intenzioni e le azioni del radicalismo politico d'oggi quali una risposta all'emergere di una »società radicale contraddistinta da spinte collettive profondamente mutate rispetto a quelle predominanti nei passati decenni.

Se tale era la situazione ancora qualche tempo fa, ormai tuttavia si è aperto un dibattito di interpretazione che va al di là della pura contingenza. Si sono avuti in questo senso contributi e interventi sia da parte radicale sia da altri versanti.

Alla scarsa elaborazione teorica scritta che ha contraddistinto la vita del gruppo nel suo operare, per iniziativa radicale hanno cominciato a manifestarsi tentativi di rendere espliciti i dati fondanti della sua politica, cosa che aiuta anche l'osservatore, l'interlocutore o il contraddittore più disattento a uscire dalla genericità. Da quasi due anni viene pubblicato il bimestrale »Argomenti radicali ; nel 1977 con il volume "I nuovi radicali", opera di alcuni di noi che oggi presentiamo queste note, si è tentato di offrire il primo contributo sistematico di analisi storica e sociologica del Partito radicale e del suo ruolo nella vita politica italiana dell'ultimo ventennio. Nel maggio 1978 si è tenuto un convegno di studio, il primo ufficialmente dedicato dal partito alla riflessione sul suo modo di essere.

Va inoltre apparendo più di un segno di un dibattito - anche se animato nella maggior parte dei casi da intenzioni polemiche - che deve fare i conti con la natura della politica radicale e delle basi su cui essa poggia. »L'Unità e »Rinascita , »L'Avanti e »Mondoperaio , solo per restare agli organi ufficiale della sinistra tradizionale, non hanno potuto fare a meno negli ultimi tempi di interrogarsi sul nuovo radicalismo confrontandosi non solo con le azioni radicali ma anche con ciò che esse più in generale significano e comportano. A Berlinguer, che a più riprese ufficialmente si è espresso (nel congresso del 1976 e in successivi comitati centrali) contro le »spinte libertarie »esasperate e »disgregatrici da battere nella sinistra, quest'anno ha fatto eco Craxi che, nella replica dell'ultimo congresso del Psi, ha sostenuto che i socialisti devono far propri i movimenti e le lotte per i diritti civili: »i compagni del Partito radicale non possono pensare che per molto tempo ancora noi accetteremo una s

orta di loro rivendicazione monopolistica delle grandi battaglie che portano la firma dei parlamentari socialisti in materia di aborto e di diritti civili. Noi riprenderemo con forza la nostra azione nel campo dei diritti civili, delle buone cause in difesa dei diritti dell'uomo e dell'ambiente (...) : un ottimo proposito, anche se tutto da verificare, che tuttavia rivela il peso che hanno le idee-forza incarnate dai radicali nella sinistra non leninista e non centralista.

E non sono solo gli interventi dei politici e le loro legittime polemiche che danno corpo al dibattito in corso, ma anche le tendenze di fondo nella società e le loro espressioni politiche: la riluttanza di una parte sempre più larga del paese ad accettare la mediazione partitica totalizzante espressa dai partiti tradizionali, rivelatasi dapprima nelle ultime elezioni amministrative parziali e poi nei referendum dell'11 giugno e nelle elezioni delle regioni di frontiera; i crescenti segni di malessere nei confronti dell'attuarsi di forme di democrazia »consociata (come definita da alcuni intellettuali socialisti) o »organizzata (secondo la definizione dei comunisti); e l'apparente distacco dalla politica che ha dato lo spunto al dibattito sul qualunquismo.

Dunque, la questione del "nuovo radicalismo" è sul tappeto. Al di là dei radicali, al di là della leadership rappresentata in gran parte da Marco Pannella, al di là di questo o quell'episodio di lotta politica, i partiti, le tradizioni politiche, le analisi delle tendenze della società e le risposte dei gruppi dirigenti cominciano a dover fare i conti - e probabilmente dovranno sempre più farli - con una diversa cultura politica. Apparso sulla scena del paese con forme »vissute o »simboliche , ben diverse da quelle attraverso cui si riconoscono e si legittimano i dibattiti di cultura politica, il nuovo radicalismo comincia oggi a essere riconosciuto come una delle importanti tendenze del nostro tempo.

Questo libro si compone di due sezioni: un nostro saggio sulla natura e le radici storiche del nuovo radicalismo, e una raccolta di interventi di non radicali da cui il saggio prende le mosse. La seconda sezione in cui sono raccolti gli scritti di Gianni Baget-Bozzo, Giorgio Galli, Francesco Ciafaloni, Domenico Tarizzo, Ernesto Galli della Loggia, Brice Lalonde, Ugoberto Alfassio Grimaldi, Giuseppe Are, Alberto Asor Rosa, Silverio Corvisieri, Ruggero Orfei, Sergio Cotta, Federico Stame, Paolo Ungari, Giuliano Amato, Fabio Mussi e Giulio Savelli, non costituisce appendice ma parte integrante del libro-intervento giacché sono proprio gli scritti dei nostri interlocutori, scelti a campione del più vasto dibattito, ad averci fornito la base della lunga discussione idealmente intrecciata tra noi e gli intellettuali e i politici che si sono espressi sulla questione radicale.

Gran parte degli interventi sono stati pubblica in »Argomenti radicali dall'aprile 1977 in poi nella sezione »la pagina polemica appositamente approntata per alimentare il dialogo da noi ritenuto necessario nell'interesse della sinistra e della chiarezza delle sue varie, se pur contrastanti, posizioni. Gli scritti di Corvisieri, Orfei, Amato, Mussi e Savelli, sono ripresi da altre pubblicazioni in cui sono apparsi in seguito a qualche spunto della cronaca politica, segno appunto di quell'attualità della questione che abbiamo messo in risalto.

Con il nostro saggio e il dialogo che esso intrattiene, attraverso gli interlocutori della seconda parte, con il mondo politico e culturale, intendiamo offrire un intervento di parte radicale che si confronti direttamente con il dibattito in corso. Esso è il frutto di una discussione tra i quattro autori che, impegnati direttamente se pur in gradi diversi nell'esperienza politica radicale, sono anche ingaggiati nel tentativo di rendere esplicite le ragioni profonde e la direzione di marcia dell'esperienza stessa.

Come ogni lavoro a più mani, è superfluo sottolineare che non tutto il saggio - con le sue analisi, le valutazioni e le indicazioni - è fin nei dettagli totalmente condiviso dai quattro autori i quali, ovviamente, sono congiuntamente responsabili delle linee generali di impostazione. Del resto le stesse formazioni culturali e scientifiche, che per alcuni si affiancano alla comune milizia politica, avrebbero dato luogo a modi diversi di trattazione se il libro fosse stato un prodotto singolo e non collettivo.

Pertanto le note che seguono vogliono essere un primo tentativo di riflessione organica e di interpretazione del nuovo radicalismo italiano (dopo la riflessione storica e sociologica del volume "I nuovi radicali") in occasione dell'intensificarsi, insieme ai segni di interesse, dei tentativi di classificazione liquidatoria all'insegna di un preteso nuovo qualunquismo.

Di qui il titolo del volume "Radicali o qualunquisti?" che deliberatamente accetta la sfida la quale, già positivamente affrontata da parte radicale sul terreno dei risultati concreti, viene ora da noi rilanciata sul terreno della cultura politica.

 
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