di Domenico TarizzoSOMMARIO: Un saggio sulla natura e le radici storiche del nuovo radicalismo e un confronto sulla questione radicale con interventi di: Baget-Bozzo, Galli, Ciafaloni, Tarizzo, Galli della Loggia, Lalonde, Alfassio Grimaldi, Are, Asor Rosa, Corvisieri, Orfei, Cotta, Stame, Ungari, Amato, Mussi, Savelli.
(SAVELLI editore, ottobre 1978)
Indice:
Parte prima
I Politica e società (1376)
II Radicali sotto accusa (1377)
III Il Pr come partito bifronte (1378)
IV Radicalismo e socialismo (1379)
V Radicalismo o marxismo, convivialità o tecnofascismo (1380)
Parte seconda
Un confronto sulla questione radicale (1381 - 1397)
Un partito della vita quotidiana
di Domenico Tarizzo
(»Argomenti radicali , n. 2, giugno-luglio 1977)
La richiesta, da parte di Ar, di un intervento sulla "questione radicale", m'induce a pensare al quadro politico della nuova sinistra e della sinistra in generale in questo delicato momento.
Ha scritto Baget Bozzo, in una acuta e tendenziosa lettura del fenomeno radicale pubblicata in questa stessa rubrica, che »il radicalismo come sentimento collettivo è la volontà di affermare l'individuo nella doppia fatiscenza dei valori comuni e del tessuto sociale. Il fenomeno più barbaro di questa riscoperta dell'individuo è la tendenza dell'individuo a fare giustizia da sé . Personalmente ho la sensazione che il cambio di codice recentemente intervenuto - dall'afasia al linguaggio delle rivoltelle - sia il riempimento di un vuoto antico. Si potrebbe discuterne a lungo, ma se è vero che ogni trasgressione e trasferimento di codice vanno visti all'interno di un contesto socialmente determinato, l'analisi del presente non può prescindere dalle origini della crisi e dal modo in cui la sinistra vecchia e nuova la vive.
Tra il 1975 e il 1977 (senza andare a rivangare qui, come pure si dovrebbe, la »svolta di Salerno e i congressi dell'Internazionale) il marxismo ufficiale ha rimesso in questione tutte le sue carte, mostrando, sotto l'incalzare di domande imbarazzanti, di voler rinunciare a gran parte del suo patrimonio dottrinario. Sull'altro versante, la sinistra giovanile conferma, almeno in Italia, la sua sterilità settaria. I gruppi extraparlamentari, neo-consiliari, neo-anarchci, neo-marxisti, neo-maoisti, per non parlare dei residui stalinisti ed emme-elle, si presentano divisi e in realtà sfiduciati alla più grande occasione che la storia di questo dopoguerra ha riservato finora ai contestatori »da sinistra del Pci. L'adesione comunista senza quasi più riserve all'impostazione democristiana dell'equilibrio è evidente, ormai anche per le masse più disinformate. Si fa strada nel contempo nel Partito socialista e in quello comunista la convinzione che »se vogliamo passare dal pluralismo liberale al pluralismo socialis
ta, è imperativo mantenere il principio del pluralismo economico. (...) Il mercato deve essere preservato non solo per precise ragioni tecnico-economiche (efficienza, produttività, ecc.) ma anche per assicurare il pluralismo politico e culturale (Bettino Craxi, lettera all'Espresso, 13 febbraio 1977).
Mentre il Pci rinuncia al concetto di dittatura del proletariato e financo a quello di egemonia sotto l'incalzare dell'ironico professor Bobbio, erompe in superficie, dopo anni di incubazione, un ribellismo afasico e destabilizzante, generato dalla crisi e alleato più o meno inconsapevole dei pianificatori dello stato d'assedio. Non c'è posto per tutti nella prima società - quella che ha un lavoro e che ragiona - e la seconda società pare assumere inquietanti valenze regressive oltre che oltranziste.
Se le cose stanno così, una nuova metodologia che intrecci »da subito tattica e strategia deve essere trovata dalla sinistra per dare un presente socialista, libertario, laico a quello che Freud chiamò il »futuro di un'illusione . Duecento anni (come minimo) di lotte, di speranze, di tensione utopica e di realizzazioni alternative si sono ridotte a patrimonio libresco, a feticcio della avanguardia. Trasferendosi nei paesi arretrati, »anelli deboli del sistema , negli strati più emarginati, »anelli deboli della società , la Rivoluzione rischia di ritrovare il medioevo del bigottismo e dell'intolleranza para-religiosa (leggi stalinismi restaurativi di vario tipo) e non d'imboccare la strada della liberazione.
Intere generazioni scegliendo il socialismo del "Logos" venivano costrette, volenti o nolenti, a investire per un futuro sempre più incerto e lontano: noi non vedremo la rivoluzione, si diceva, ma i nostri figli sì. Oggi è questo investimento a fondo perso che la gente comincia a rifiutare, quando si riappropria dell'invito di Fourier a »godere ora . Il vuoto di una parola che non serviva a designare tutti i bisogni si riempie così, da una parte, di spari suicidi, e dall'altra di richieste di più vita, più eros, più diritti civili. Ma poche secche cifre sulla crisi hanno sbaragliato la sinistra vecchia e nuova nei suoi propositi di alternativa esistenziale: i voti di rinnovamento del '74 e '75 si raffermano nel voto d'ordine del '76 che vede il consolidamento democristiano. Le "union sacrée", le alleanze ibride che il potere sempre mette in piedi in tempi di emergenza, lasciano spazio alla scomposta vendetta delle periferie emarginate, prodotto della violenza, della brutalità e dell'odio di questo nostro mod
o di produrre e della nostra società. Alla sacra unione della democrazia minacciata (prima società) la seconda oppone il sacro egoismo giovanilistico, il rifiuto dei sacrifici.
Per la sua doppia natura di partito dei ceti medi emergenti e degli emarginati, anche il Partito radicale si trova nella logica del sacro egoismo già individuata da Baget Bozzo (»una risposta individuale... non ha altra affermazione che la propria autoaffermazione, nella forma della propria autotutela. (...) Se comprendiamo bene le intenzioni del radicalismo politico, esse sono rivolte verso il tentativo di sbarbarizzare il radicalismo latente nella società, e di socializzare, in qualche modo, l'individualismo emergente. Il radicalismo politico ha dunque la forma di una mediazione, che si adatta alle realtà più diverse: le esigenze degli agenti di custodia e quelle dei carcerati, possono ugualmente situarvisi . Baget Bozzo enumera, come qualificanti la società radicale, anche l'esigenza della sicurezza dei commercianti, il femminismo e la libertà degli omosessuali. Siamo cioè a quell'insieme di esigenze che la sinistra ortodossa considera interclassiste, e che in realtà attraversano tutta la società italiana
degli anni settanta quale risultante del boon sbilanciato, della crescita civile, della crisi manovrata. Definito sbrigativamente, da parte della sinistra classica, »un nuovo partito della borghesia , il Partito radicale si conferma in questa doppia anima: espressione del movimento (non esclude suggestioni del '68, di tipo »creativo ) e della tradizione di disobbedienza civile non violenta (di radici non italiane ma di paesi a capitalismo avanzato con società maggiorenni e forti gruppi di pressione: e con questo non intendo sminuire l'influenza di "galantuomini diversi" come Salvemini ed Ernesto Rossi, sempre stranieri in patria anche se a loro modo imprescindenti da situazioni tipicamente italiane).
Dottrine e prassi ottocentesche alimentano sogni angosciosi, vere e proprie perdite di tempo (si vedano le bambocciate regressive delle sofisticate avanguardie sado-pop) quando lo sterminio atomico, la morte ecologica, la terrificante espansione demografica sono già una realtà concreta. Prive di autentico amore dell'altro, le avanguardie politiche decadono rapidamente a leadership (avanguardie degli omosessuali, delle femministe, degli emarginati, dei giovani ecc.) che riaffermano la morale del branco e degli omonimi.
La storia del movimento operaio insegna che anche la lotta di classe rischia questa sterilità (il populismo, come cultura dell'uguale-uguale, è ciò che assimila il fascismo di sinistra e il socialismo nazionale; non a caso, in Argentina, paese cui qualcuno guarda come modello delle »contraddizioni che esplodono , il populismo, sotto veste del giustizialismo peronista, è molto più forte e radicato del marxismo). Ma, come scoprì Gobetti, nella sua lotta »per la rivoluzione , il movimento operaio in realtà ha liberato e reso più civile la società. E' possibile oggi un riformismo rivoluzionario? Questo è in fondo il problema che ci sta dinnanzi: ogni tematica corporale che non voglia ridursi a escapismo individuale, deve confrontarsi con la società. In un contesto socio-economico degradato fioriscono le consolazioni mistiche, ripiegamento in un ambito che sa di contento e di ghetto. In assenza di una risposta più ampia da parte dei partiti della sinistra storica ai bisogni emergenti, si profila così un duplice p
ericolo. La protesta si spoglia della parola (considerata integrazione nel sistema logico dominante) e sceglie il gesto. La manifestazione di piazza è ormai avventura dei ragazzini e dei devianti, che si vedono come epicizzanti e separati. Nel contempo si approfondisce il fossato tra vertice e base, tra "Logos" e gesto. Muore la parola ma non è l'Eros a sostituirla. Si conferma ciò che Camus aveva visto come lascito teologico nelle società totalitarie: alla base lo scigalievismo, cioè quel sentimento religioso d'impegno e d'obbedienza, che fiorì, soprattutto nella Russia prerivoluzionaria; ai capi il realismo politico.
Ricordo ancora la sensazione che ebbi in una calda notte di maggio, in piazza del Duomo a Milano, al comizio radicale di chiusura della campagna elettorale del '76. Per la prima volta dopo tanti anni assistevo a uno stare insieme di uomini e donne, di giovani e di anziani, senza slogan epicizzanti e demenziali.
La sensazione era piacevole e abbastanza nuova. Non c'era, là sul palco, un capo maggiorenne che dava la linea a gruppi giovanili acefali. Il rapporto sembrava più paritario.
Per merito di Pannella e di Adele Faccio la corporeità in Italia ha ricevuto uno statuto libertario. Questo mi sembra uno dei meriti più grandi della presenza radicale. Dopo i timidi accenni del '68, in quel comizio del '76 le tematiche della felicità corporale entravano in un comizio maggiore, seguito dalla folla con partecipazione e assenso. Se ben ricordo è stata per prima Adele Faccio a parlare dalla tribuna di piazza del Duomo del diritto al piacere sessuale come rivendicazione femminista.
Dopo quella campagna elettorale, i gruppi di derivazione marxista, vittime anche della loro aridità dottrinale, sono stati distanziati e svillaneggiati dalla vita quotidiana; e su tutta la società incombe la tutela golpista che prospera in mancanza di una vera opposizione. La presenza del compromesso storico tocca da vicino anche la proposta radicale. Immaginata come un momento di riflessione civile, »diversa , in una fase di riflusso del movimento post-sessantottesco, dopo l'affermazione relativa del '76 essa ha visto rapidamente restringersi i propri margini di leggibilità. Baget Bozzo ne ipotizza la sopravvivenza in un impuro rapporto simbiotico di necessità con la Democrazia cristiana. Di qui la sua conclusione: il Pr deve »stare con la Dc perché »è il tipo di guida politica che la Dc ha dato al Paese che ha reso possibile sia il formarsi della società radicale che quella del Pr , la cui mediazione sarebbe meno agevole con un »partito ideologico .
Anche qui, come sempre, le parole contengono un'ambivalenza. Una certa espansione radicale è stata resa possibile dall'arretratezza legislativa e pratica in cui la Dc come potere post-fascista ha tenuto il paese reale, in parte più avanzato dei suoi governanti; ma per Baget Bozzo »società radicale significa soprattutto emergenza dell'individuale, del barbaro, del violento. La scommessa radicale, a mio avviso, sta invece nella verifica della tenuta dei valori laici e libertari in questa società di massa, degradata ed eterodiretta. Il compromesso storico accorda ai radicali un certo margine di manovra finché è ipotesi e finalità intermedia non raggiunta: ma il compromesso storico, che si sta rivelando non premessa di rinnovamento - produttivo e culturale - ma una sistemazione degli equilibri, rischia di far marcire ogni sistema alternativo dei bisogni.
Per scongiurare la spaccatura definitiva della società, quello che occorre oggi è un compromesso tra disoccupati e occupati, tra movimento e paese reale, tra avanguardie e masse. La mediazione radicale, in questo ha ancora una volta ragione Baget Bozzo, si è in fondo accontentata di poco (»il tipo di rivendicazione che il Pr ha sinora protetto è anche un certo limite e freno alla sua espansione ). Non mi sembra che si possa invece condividere l'altra sua affermazione: »la Dc, in quanto non collaborante, oltre un certo livello, con il Pci, non solo assicura la possibilità politica di un partito come il Pr, ma rappresenta un certo livello di omogeneità politica effettiva con esso . Entrambi partiti di »mediazione , secondo la formula di Baget Bozzo, Dc e Pr si differenziano nel Paese che si sceglie in loro.
Da una parte il potere, l'ignoranza la verginità cattolica, dall'altra la pratica laica dei diritti civili e della corporeità. Inoltre Baget Bozzo prevede la staticità, ma la Dc che oltre un certo livello non collabora col Pci in realtà si appresta alla soluzione cilena, quindi a una dinamicità che distruggerebbe tolleranza e sviluppo, quadro socio-economico (ma anche psico-politico) in cui soltanto, fuori da tentazioni avventuriste, una gracile proposta libertaria può irrobustirsi ed espandersi.