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Archivio Partito radicale
Savelli Giulio, Corleone Franco, Panebianco Angelo, Strik Lievers Lorenzo, Teodori Massimo - 1 ottobre 1978
RADICALI O QUALUNQUISTI?: (24) La politica di Pannella
di Giulio Savelli

SOMMARIO: Un saggio sulla natura e le radici storiche del nuovo radicalismo e un confronto sulla questione radicale con interventi di: Baget-Bozzo, Galli, Ciafaloni, Tarizzo, Galli della Loggia, Lalonde, Alfassio Grimaldi, Are, Asor Rosa, Corvisieri, Orfei, Cotta, Stame, Ungari, Amato, Mussi, Savelli.

(SAVELLI editore, ottobre 1978)

Indice:

Parte prima

I Politica e società (1376)

II Radicali sotto accusa (1377)

III Il Pr come partito bifronte (1378)

IV Radicalismo e socialismo (1379)

V Radicalismo o marxismo, convivialità o tecnofascismo (1380)

Parte seconda

Un confronto sulla questione radicale (1381 - 1397)

La politica di Pannella

di Giulio Savelli

(»Agenzia democratica , 27 giugno 1978)

Qualche anno fa i radicali ebbero, a nostro parere, un ruolo positivo nella vicenda politica italiana. In Italia la lotta politica è caratterizzata - e lo era ancor più negli anni trascorsi - da una particolare distorsione?: quella per cui essa avviene quasi del tutto sulle formule di governo e quasi per niente sui contenuti politici. Allora, il problema sembrava essere se mantenere in vita il centro-sinistra o se considerarlo superato e quindi da sostituire con una nuova formula di governo, di ritorno al centrismo per alcuni, di allargamento verso i comunisti per altri; ma quali concreti provvedimenti legislativi i governi nati rispettivamente dall'uno o dall'altro schieramento avrebbero dovuto varare, quale politica economica, fiscale, finanziaria, estera, sociale, civile sarebbe conseguita da prevalere di questo o quell'altro schieramento, questo sembrava non interessare nessuno.

In una situazione di questo tipo, l'importanza del contributo della sparuta pattuglia radicale fu di impostare, condurre, infine far trionfare una sola, specifica, singola battaglia, quella del divorzio: e di farlo, forse per la prima volta, cercando di cogliere e far emergere esigenze di fondo della popolazione, indipendentemente dai sottili equilibri e giochi di partito, che sfuggono - com'è naturale che sia - ai più.

Il successo della battaglia dei radicali a proposito del divorzio è tanto più stupefacente, se si tiene conto che essa fu iniziata, come abbiamo detto, da un gruppo, raccolto attorno a Marco Pannella, molto ristretto numericamente e, se non contro l'ostilità, certamente nell'indifferenza e nella sfiducia dei partiti laici, poco convinti che, in un paese a maggioranza cattolica, i temi dei diritti civili liberali avrebbero potuto avere udienza.

Il Partito radicale ebbe invece l'intuizione che anche nella mentalità degli italiani, a seguito delle grandi modificazioni sociali degli anni cinquanta e sessanta, qualche cosa doveva pur essere mutato; raccolse quindi, nella Lega italiana per il divorzio, anzitutto le persone direttamente colpite dalla mancanza di un'adeguata e moderna legislazione in materia matrimoniale (i cosiddetti »fuorilegge del matrimonio ); poi coloro che, anche non coinvolti personalmente, avevano compreso però il valore di civiltà che quella battaglia aveva, in un'Italia che si era avviata all'integrazione con l'Europa e che però ne rimaneva (e ancora ne rimane) molto al di sotto sul piano dei costumi e della mentalità; infine, quasi di controvoglia, i partiti dovettero muoversi ottenendo, con qualche difficoltà, è vero, un successo però insperato e confermato dal successivo referendum, inopinatamente promosso da forze retrive che male avevano valutato il grado di maturità civile del Paese.

Da quella battaglia ci auguravamo che i radicali avrebbero tratto l'insegnamento di proseguire sui temi dei diritti civili e col metodo del privilegiare i contenuti anziché gli schieramenti. E, apparentemente, alcune successive indicazioni che provenivano dal Partito radicale sembravano confortarci in quella speranza. Dopo il referendum sul divorzio, che dai radicali non era stato promosso, essi sembrarono comprendere, prima e meglio di altre forze politiche - anzi spesso contro l'esplicita ostilità di partiti non fra i minori - l'importanza di quell'istituto costituzionale che il parlamento aveva per 25 anni impedito avesse la sua doverosa attuazione. Se non ricordiamo male, subito dopo la vittoria nel referendum sul divorzio, i radicali furono i primi a sollevare la questione dell'aborto, in parlamento grazie alla collaborazione del deputato socialista Loris Fortuna, che già era stato il padre legislativo della legge che istituiva il divorzio, poi attraverso il proposito di un'iniziativa di referendum, per

la quale offrì il proprio decisivo contributo anche un settimanale di grande tiratura come »L'espresso . Su due grandi temi di civiltà, il divorzio e l'aborto, i radicali sembravano, giustamente, per l'uno non temere, per l'altro sollecitare la diretta consultazione popolare, rompendo così una prassi politica che è certo lecita nelle democrazie parlamentai, e soprattutto in quelle in cui vige il sistema elettorale proporzionale, ma che non può tradursi nella sovrana trascuranza di profonde aspirazioni popolari.

Successivamente però - e paradossalmente proprio attraverso l'abuso del ricorso al referendum - anche i radicali abbandonarono quella loro originale impostazione politica, tornando a privilegiare, sui contenuti, gli schieramenti. Come può infatti diversamente essere interpretata la decisione di chiamare i cittadini a esprimersi su ben otto referendum, ai quali era da aggiungere quello già previsto per l'aborto? Già la concomitanza di due referendum, alla quale non siamo per principio contrari, ha però indiscutibilmente avuto l'effetto di far pesare l'uno sull'altro, di far sì che la risposta all'una questione condizionasse quella sull'altra, come abbiamo cercato di dimostrare (»AD n. 18, 15 giugno); quale sarebbe stato l'effetto di un contemporaneo pronunciamento su nove referendum?

Quale fosse il significato dell'iniziativa referendaria dei radicali era ben chiaro ai radicali stessi; esplicitamente essi, infatti, invitarono a firmare affinché fossero indetti »otto referendum "contro il regime" ; tra i referendum sui quali gli italiani avrebbero dovuto pronunciarsi ve ne erano alcuni assolutamente irriducibili a un unico argomento, come, per esempio quello col quale avrebbero dovuto essere abrogati alcune decine di articoli del codice penale, diretti a reprimere reati di natura tutt'affatto diversa; si proponeva di abrogare la legge manicomiale, la quale, pur avendo anche rilevanza sociale, riguarda i malati mentali per i quali è ragionevole presumere che una normativa non possa prescindere dal parere tecnico dei medici; si proponeva l'abrogazione del codice militare, con l'effetto che, dal momento che alcuni reati specificatamente militari sarebbero improponibili per i civili, la limitazione agli aspetti civili della legislazione penale farebbe dei militari dei civili in divisa e quind

i equivarrebbe all'abrogazione dell'esercito; ecc.

La battaglia non era quindi più di contenuti, ma di schieramenti. E i radicali avevano scelto lo schieramento degli oppositori del »regime , con ciò dovendosi intendere, nonostante l'apparente mantenimento di una tematica »costituzionale , il regime democratico-parlamentare così come è previsto dalla nostra Costituzione. Ques'ultima nostra affermazione può sembrare eccessiva e soprattutto non provata, può dare l'impressione che da parte nostra si voglia fare quasi un processo alle intenzioni dei radicali. Tutt'altro. Escludiamo proprio, dalla nostra analisi, le loro "intenzioni", che, anzi, non abbiamo nessuna difficoltà a presumere diverse dagli effetti probabili di un successo delle loro battaglie. Ma, indipendentemente dalle intenzioni, una linea politica come quella promossa dai radicali tende a rendere impotente lo Stato italiano, al quale già non può certo riconoscersi il difetto di essere iper-efficiente.

Di questo scopo destabilizzante dell'iniziativa radicale non tardarono ad accorgersi esponenti e militanti delle ali estreme dello schieramento politico che, pieni di riserve e di vera e propria ostilità nei confronti dei radicali quando essi apparivano come l'ala più sensibile e decisa di uno schieramento liberal-democratico, improvvisamente si convertirono nei più accesi sostenitori della linea radicale.

Né i radicali, a dire il vero, hanno fatto alcunché per distinguersi da questi alleati recenti, dai quali, se effettivamente avessero preoccupazioni democratiche e costituzionali, avrebbero tutto l'interesse a tenersi alla larga. Tutt'altro. Estremisti dell'una e dell'altra parte sono invece equamente blanditi e lusingati. Unico nello schieramento politico italiano, Pannella è disposto a considerare Almirante un valido interlocutore politico e perfino a dargli patenti di democraticità (cfr. »AD n. 7, 2 giugno); ambigue posizioni sulle Brigate rosse e sugli »autonomi hanno lo scopo di accattivargli le simpatie degli estremisti di sinistra; plateali manifestazioni di estraneità al »regime , dall'abuso dell'ostruzionismo, ai digiuni ingiustificati, agli imbavagliamenti televisivi, al tono violento e aggressivo nei confronti di tutti i partiti dello schieramento politico servono a Pannella per raccogliere consensi, indifferentemente a destra e sinistra, tra tutti coloro che sono contro non il governo o la magg

ioranza, ma il sistema, il sistema democratico naturalmente.

In conclusione, il Partito radicale che era apparso sulla scena politica italiana quasi come il più fermo sostenitore della liberal-democrazia di tipo anglosassone e l'oppositore delle distorsioni nostrane del corretto funzionamento istituzionale, si è improvvisamente convertito a una linea politica estremistica, per non dire eversiva. Come questo sia potuto accadere, crediamo sia possibile spiegare: tutti i gruppi numericamente ristretti rischiano di risentire eccessivamente della personalità dei loro dirigenti: i radicali hanno risentito della presenza, alla loro testa, di un personaggio estroso e imprevedibile come Marco Pannella. Crediamo però che questo processo di rovesciamento di una linea politica non possa essere stato del tutto indolore e che, tra i radicali del tempo del divorzio, un buon numero dovrebbe, almeno istintivamente, aver maturato notevoli riserve nei confronti della linea attuale di Pannella e del gruppo dirigente radicale.

 
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