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Parachini Rolando - 1 gennaio 1979
(4) STORIA DELLA "SINISTRA RADICALE" dal 1952 al 1962 - CAPITOLO IV - VERSO LA SCISSIONE
di Rolando Parachini

SOMMARIO: Chi sono i "nuovi radicali"? Esistono legami tra l'odierno partito e quello degli anni '50? Possiamo trovare oggi linee politiche comuni o addirittura personaggi di allora? L'autore sostiene la tesi della continuità politica ripercorrendo la storia dei radicali dall'Ugi alla costituzione della "Sinistra radicale".

(UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI ROMA - FACOLTA' DI LETTERE E FILOSOFIA

TESI DI LAUREA: Relatore Prof. Renzo De Felice - ANNO ACCADEMICO 1978 - 1979)

CAPITOLO IV - VERSO LA SCISSIONE

Per quanto si tentasse di minimizzare le polemiche interne al partito radicale, l'ora della resa dei conti si lasciava prevedere vicina. Tanto più che iniziava nel '59 da parte de "Il Mondo", un avvicinamento alla DC; si cominciava a sostenere la prospettiva di un governo di centro-sinistra, che vedesse alleati democrazia cristiana e partito socialista. La linea "ufficiale" del partito radicale risultava sempre più anticomunista. Abbiamo visto, a proposito dell'intervento di Pannella su "Il Paese", come dalle colonne de "Il Mondo" si commentasse che il giovane radicale"ripeteva "per caso" su un giornale comunista le tesi che il PCI cerca di diffondere da anni". (1) Le distanze tra le due componenti radicali si approfondivano di giorno in giorno, nonostante la volontà della classe dirigente del partito di minimizzarne la portata e nonostante la poca chiarezza emersa nella mozione finale del congresso.

Intanto, il 6 novembre 1960, sotto il III· governo Fanfani, succeduto al ben noto governo Tambroni, si tenevano le elezioni amministrative per il rinnovo dei consigli comunali. Socialisti e Radicali raggiunsero un accordo per cui candidati del PR furono presenti in gran parte delle liste del PSI. Da parte radicale questo rientrava nello spirito della mozione congressuale, laddove essa affermava la necessità di "una grande alleanza di sinistra democratica, che stringa insieme tutte le forze di democrazia laica e socialista". (2) Ma con motivazioni ben diverse da quelle ufficiali avevano accettato l'alleanza con il PSI anche i componenti della sinistra radicale. Il giornale diretto da Mario Pannunzio, per parte sua, insisteva molto più sulle diversità tra socialisti e radicali che non sulle ragioni dell'accordo elettorale. "Il partito radicale, si sa, - scriveva "Il Mondo" - (3) non è un partito di ispirazione socialista, non è un partito di massa, non è un partito classista, né tanto meno marxista. E' un movi

mento d'opinione, è un partito che trova le sue origini nella grande tradizione liberale e progressista che accompagnò il paese, si può dire, dalla lotta per l'unità d'Italia all'insurrezione antifascista e alla Liberazione". Nello stesso articolo si legge che se i radicali si sono alleati con i socialisti, ciò significa "che essi giudicano la situazione politica matura per una nuova vigorosa iniziativa di rottura e di trasformazione". Motivazioni di carattere generale e comunque radicalmente diverse da quelle espresse dalla sinistra. In un "Progetto di Risoluzione sulla politica radicale" (4) proposto al Consiglio Nazionale del partito, Marco Pannella e Giuliano Rendi, entrambi rappresentanti della sinistra, esposero una loro dichiarazione sul significato dell'alleanza del P.R. con il P.S.I. Essi affermarono che l'accordo radical-socialista non poteva sancire l'incontro dei ceti intellettuali e borghesi con le forze popolari e democratiche, come si era inteso dire in ambienti vicini al "Il Mondo". Il P.R. -

sostenevano - Pannella e Rendi - faceva parte integrante proprio delle forze popolari e democratiche: "ne condivide la sorte, le volontà, i problemi; ne interpreta gli ideali e, autonomamente, ne elabora gli obiettivi politici in termini di religione della libertà, di rispetto del dialogo, di aspirazione democratica, di volontà rivoluzionaria". (5) Per la sinistra radicale questa alleanza doveva rappresentare, come nelle formule politiche dell'UGI, l'espressione di una politica unitaria delle forze di sinistra.

Il PSI ottenne il 14,4% dei voti in queste elezioni, con l'apporto radicale. L'aumento, rispetto alle provinciali del 1956, era dello 0,5%. Ai candidati radicali andarono una cinquantina di seggi di consiglieri comunali e provinciali, di cui tre consiglieri comunali a Roma e tre a Milano. Ma ormai "Il Mondo" continuava la sua battaglia per il centro-sinistra. Questa formula governativa cominciò ad essere ritenuta come l'unica in grado di risolvere i problemi del paese.

All'interno del partito, intanto, la sinistra portava ufficialmente le sue tesi al consiglio nazionale del novembre 1960, tramite il documento di Pannella e Rendi, di cui già abbiamo parlato. L'intero progetto di "risoluzione sulla politica del Partiti Radicale" si articolava in quattro sezioni, ognuna delle quali affrontava quelle che apparivano le questioni cruciali su cui qualificare una politica radicale. Della dichiarazione sull'alleanza PR-PSI, abbiamo detto sopra.

Un'altra parte, sui "rapporti con il mondo cattolico e per l'abolizione dell'art. 7", affermava che "nel 1960, la tesi dell'incontro tra masse cattoliche e quelle progressiste e moderne non può essere più ritenuta sufficiente, adeguata e rispondente agli interessi obiettivi del nostro paese, né conseguente con gli avvenimenti degli ultimi anni". Era ora di finirla di pensare che comunque fossero le forze cattoliche a dover dirigere qualsiasi processo di radicale mutamento della situazione. Intorno al mondo cattolico si coagulavano non solo gli interessi della Chiesa, ma della classe capitalista e reazionaria. Il centro-sinistra andava pertanto respinto e si proponeva un'iniziativa rivolta unitariamente a tutta la sinistra per la "costituzione di un comitato nazionale di difesa dello Stato e per l'abolizione dell'articolo 7 della Costituzione".

Nella terza sezione il documento ricordava l'insurrezione ungherese, proprio nel momento in cui si postulava l'apertura di una discussione con i comunisti in vista di una possibile e necessaria alleanza. Pannella era già stato altrettanto rigido nei confronti degli "errori dei comunisti" fin dal suo articolo su "Il Paese". Si ricordava "ai democratici di ogni paese e di ogni dottrina il compito di cercare e imporre quelle soluzioni ai problemi del nostro tempo, che si mostrino capaci di risolvere in concrete conquiste liberali e rivoluzionarie le aspirazioni e i gesti di libertà degli individui e dei popoli".

La quarta proposta di dichiarazione era dedicata alla "politica estera, al disarmo atomico e convenzionale, alla politica per la pace". Quanto aveva affermato Ernesto Rossi in questo campo durante il congresso venne portato alle sue logiche conseguenze: prendendo le distanze dalla tradizionale politica estera occidentale delle sinistre democratiche, si polemizzava con coloro che non erano sufficientemente attenti "ai movimenti e classi dirigenti, idee e partiti che hanno una profonda vocazione autoritaria e bellicista". Lo stesso Ernesto Rossi dimostrerà in seguito di condividere tale linea in politica estera, sebbene essa risulti davvero lontana dal mondo delle forze di ispirazione liberale. "Il mondo occidentale, - insisteva il documento - in una errata preoccupazione di efficacia nella competizione che lo confronta al mondo orientale e afro-asiatico, sempre più cerca di difendersi attraverso una politica di potenza che si esprime con il colpevole sostegno a regimi e classi dirigenti fascisti, clericali e

reazionari". Seguiva l'indicazione di una serie di obiettivi da perseguire: "la federazione europea da perseguirsi immediatamente attraverso elezioni dirette; il disarmo atomico e convenzionale dell'intera area continentale europea con la conseguente abolizione degli eserciti nei paesi di quest'area; la pace separata e congiunta con le due Germanie; la conseguente denuncia del patto militare NATO e dell'UEO; la proclamazione del diritto all'insuboridnazione e alla disubbidienza civile...; la federazione o comunque la comune organizzazione di tutti i movimenti socialisti, popolari e rivoluzionari... nell'Europa occidentale". Le distanze dalla linea politica "moderata" della direzione radicale, non potevano arrivare più lontano. Con questo documento la sinistra dichiarava esplicitamente di fare una scelta politica di candidatura delle sinistre socialiste e comuniste al governo, pur di non aver più nulla a che fare con la DC, ormai definitivamente respinta come conservatrice e asservita al potere clericale.

Nei giorni 26, 27 e 28 maggio del 1961 si tenne a Rma, in Palazzo Brancaccio, il secondo congresso del Partito Radicale. (6) I lavori si aprirono sul tema: "I radicali per la difesa dello stato laico e il progresso sociale del paese". Erano presenti delegazioni del PSI, PRI, PSDI, DC, PCI e UIL.

A Giancarlo Pajetta, che nel suo saluto ai congressisti auspicava l'unità dei partiti di sinistra, comunisti compresi, Arrigo Olivetti rispondeva con l'opposizione radicale ad ogni ipotesi frontista, come ad ogni ipotesi centrista. La sinistra radicale si presentò invece avendo approfondito e sviluppato nel dibattito precongressuale le proprie tesi. Alle reiterate preclusioni di un Olivetti nei confronti del PCI rispondeva ancora Pannella criticando aspramente la direzione del partito. Già prima del congresso la sinistra aveva ribadito la propria distanza dagli organi dirigenti del partito: "quel che ci divide non sono solo le diversità di metodo, ma anche diverse valutazioni sulla sostanza della battaglia politica che conduciamo e sulla funzione della nostra autonomia nell'ambito della lotta della sinistra italiana contro il clericalismo, i nazionalismi di vario tipo, i padroni del vapore e la manomissione classista dello Stato". (7)

Da parte sua Carandini ribatteva le posizioni "ufficiali" del partito avvertendo che "Pannella ha parlato di affetto per i comunisti. L'affetto si sviluppa nell'intimità della famiglia e nell'amicizia. E dei comunisti noi non siamo né amici né parenti". (8)

Silvio Pergameno, anch'egli esponente della sinistra del partito, indicava due direttive di politica immediata per i radicali: "Primo, iniziare la battaglia per la federazione europea con l'unione dei partiti di centro-sinistra in Europa; secondo, tentare di realizzare in Italia un governo PSDI, PRI, PSI e Radicali con appoggio esterno dei comunisti". (9) La sinistra del partito sostenne, nella sua mozione minoritaria, che comunisti e radicali potevano collaborare nel sostenere quelle istanze laiche, quali l'abolizione del Concordato, l'introduzione del divorzio, e il controllo delle nascite, delle quali il PR deve essere inflessibile difensore.

La stampa italiana dal congresso fino alla scissione che seguirà il "caso Piccardi", non si occupò altro che marginalmente di queste divergenze che contrapponevano due distinte linee politiche nel P.R. Ben maggiore risalto venne dato, appunto, al cosiddetto "Caso Piccardi". Esso prendeva il via il 2 gennaio 1962 da una recensione di Paolo Serini al libro di Renzo De Felice "Storia degli italiani sotto il fascismo" (10), edito da Einaudi. In esso era stata rivelata la partecipazione di Piccardi (11) a due convegni giuridici italo-tedeschi, di tono razzistico,

"tenutisi a Roma e a Vienna, rispettivamente nel 1938 e nel 1939.

Piccardi si dimise dal partito. In seguito, grazie alla solidarietà venutagli da Ernesto Rossi e da Ferruccio Parri, ritirò le dimissioni. Molti ricordavano tra l'altro che una commissione di epurazione, cui Piccardi si era volontariamente sottoposto ne non aveva avuto nulla da eccepire sul suo comportamento durante il fascismo. (12)

Ma la presenza di Piccardi fu oggetto di condanna da parte di un gruppo, del quale faceva parte anche Pannunzio, che si trovò cosi polemicamente contro Ernesto Rossi. Si arrivò presto alle dimissioni dal P.R. dello stesso Pannunzio e a quelle del direttore de "L'Espresso", Arrigo Benedetti. Mario Melloni annotava un'interpretazione che, quanto meno, voleva apparire spregiudicata: lo scandalo Piccardi era stato deliberatamente e freddamente montato da nemici interni dell'ex-segretario radicale, non tanto per i fatti attribuitigli, e comunque riscattati da una lunga milizia democratica, ma per condurre a termine un'operazione politica. "Il punto della questione è qui, esclusivamente qui: non era il "razzista" Piccardi che dava fastidio ai signori del Mondo ma (...) il Piccardi che non ha mai rifiutato i dibattiti con i comunisti sui vari argomenti dell'attualità politica, il Piccardi che ha sempre lottato contro la concezione pecorona e cieca dell'atlantismo tradizionale, il Piccardi, infine, che per suo merit

o esclusivo, ha fatto del movimento radicale un partito radicale, suscettibile di alleanze nuove, di posizioni sempre più progressive, capace di marciare, con la realtà del paese". (13)

La stampa, come dicevo, dava risalto in questo periodo al "caso Piccardi" e alle sottili distinzioni esistenti nell'ambito del partito. Esisteva certamente una destra ancora favorevole ad un'alleanza con i repubblicani; esisteva anche un gruppo, facente capo a Scalfari e Piccardi, che propugnava una fusione con i socialisti; ed infine c'era una buona parte di radicali che era favorevole ad un'unità d'azione della sinistra democratica, continuando ad escludere i comunisti. Ma proprio quest'ultima questione, con in più l'apparire all'orizzonte della formula di centro-sinistra, metteva definitivamente in crisi il partito di Carandini e di Pannunzio. Bisognava tener conto di quali funzioni

e di quali influenze avrebbero avuto i partiti democratici minori nel centro-sinistra. Intanto si poteva subito notare che il partito radicale era il primo a rimettersi in discussione su questa formula.

Una tesi in merito veniva esposta sulla rivista "Critica d'oggi" da Marco Cesarini Sforza. Egli sostenne (14) che il "caso Piccardi" fosse solo un casus belli, dietro il quale si agitava la più profonda crisi di una debole organizzazione, situabile nell'area del centro-sinistra, ma dalla quale partivano gli attacchi più duri alla formula stessa. Chi sostenne questa ipotesi vedeva il decorso del P.R. da una posizione definita del "miglior conservatorismo inglese" (filo-atlantica, intelligentemente anticomunista, europeista), ad una posizione di "frontismo", vicina ai "carristi" del PSI, con adesione alle occasioni "unitarie" indette dal PCI, ed incarnate nella guida di Scalfari e Piccardi. Ad un partito che non è un gruppo di potere, la nascita del centro-sinistra imponeva una riflessione attenta sulle novità che la formula avrebbe recato al paese, ed era questo a determinare la crisi del PR. Chi scriveva era un assiduo sostenitore del centro-sinistra e non sorprende veder taciuta completamente l'esistenza, t

ra i radicali, di una componente che richiede a chiare lettere l'immediata messa all'opposizione della DC e la candidatura responsabile di tutta la sinistra, PCI compreso, al governo del paese. Cesarini Sforza preferisce dilungarsi nella descrizione delle correnti che agitano il P.R., a seconda di chi vuole alleanze più forti con il PSI, chi vuol mantenere la chiusura nei confronti del PCI, chi vuole ritornare alle alleanze con il PRI e chi infine richiede il ritorno del PSI ad una posizione di lotta di classe. Evidentemente per la stampa italiana in genere le proposte di alternativa erano molto meno interessanti e costruttive delle dotte disquisizioni sui cento modi di cucinare un centro-sinistra.

Il seguito della storia di questo "primo" partito radicale vede un accavallarsi di polemiche, dimissioni e spaccature. Ernesto Rossi si dimette da "Il Mondo" nel marzo del 1962, inviando la seguente lettera (15): "Caro Pannunzio, nel momento in cui, con mio grande dispiacere, devo cessare la collaborazione a "Il Mondo", ci tengo a ringraziarti per la libertà che per dodici anni mi hai dato di scrivere tutto quello che desideravo sul settimanale da te diretto. Saluti cordiali". Il 23 marzo è la volta delle dimissioni dal partito di Eugenio Scalfari. Al termine di un consiglio nazionale tenutosi nei giorni seguenti si dimettono anche Cattani, Carandini e buona parte del gruppo degli "Amici del Mondo". Il settimanale pubblica allora una loro dura dichiarazione con la quale si tenta di liquidare definitivamente il partito per non consentirne la sopravvivenza nelle mani della "sinistra". (16) Si accusavano alcuni settori del partito di essersi distaccati da quelli che erano i presupposti ideali e la stessa ragion

e di esistere del Partito Radicale. Da questa constatazione si decretava "la impossibilità di convivenza tra forze che non hanno più nulla in comune tra loro". Seguiva l'annuncio delle dimissioni dei dirigenti radicali, i quali si impegnavano "sin da ora a proseguire solidalmente la loro azione politica con la stessa coerenza e intransigenza che li hanno sempre guidati e che si ricollegano, senza soluzione di continuità, alla tradizione de "Il Mondo". "Così un piccolo ma nobile partito, ridotto ormai ad un'etichetta, scompare di fatto dalla scena politica italiana; e i suoi superstiti iscritti, avviati sulla strada del nichilismo morale, del realismo elettoralistico e del disprezzo verso i "gruppi intellettuali", non avranno che da cercare altrove più fruttiferi impegni". (17)

Questi attacchi erano rivolti essenzialmente alla corrente filo-socialista di Piccardi. Quest'ultimo si dimette comunque dal partito, insieme ad un'altra frangia di cui fanno parte Ernesto Rossi e Bruno Villabruna. Essi nell'allontanarsi chiesero lo scioglimento del partito stesso e il prosieguo del suo impegno nelle file del PSI.

A questo punto la segreteria nazionale veniva assunta dalla "sinistra radicale", che vi nominava provvisoriamente Luca Boneschi, Vincenzo Luppi e Marco Pannella. Nonostante lo avesse lasciato, Ernesto Rossi continuò a sostenere il partito e le battaglie radicali. Egli morì nel 1967; la sua vedova, signora Ada, si iscriverà al P.R. nel 1971.

NOTE AL CAPITOLO IV

1) "Il Mondo", 7 aprile 1959, cit. "L'alleanza dei cretini"

2) Morabito, "La Sfida Radicale", cit., pag. 93

3) "Il Mondo", 1 novembre 1960

4) "Progetto di risoluzione sulla politica radicale, presentato dai consiglieri nazionali Marco Pannella e Giuliano Rendi", Roma, 19-20 novembre 1960, ciclostilato. Allegato n. 5

5) Ibid.

6) Per il II· congresso nazionale del partiti radicale, (Roma, 1961) sono stati consultati i seguenti quotidiani e settimanali: "Il Messaggero", "Il Corriere della Sera", "La Giustizia", "La Voce Repubblicana", l'"Avanti!", "Il Mondo".

7) Marco Pannella: "Soluzione unitaria", in "Tribuna Radicale" a cura dell'ufficio stampa del P.R., Roma 1961

8) "Il Messaggero", 29 maggio 1961, pag. 2

9) "Silvio Pergameno: "Le due direttive", in"Tribuna Radicale", a cura dell'ufficio stampa del P.R., Roma, febbraio 1961

10) "Il Mondo" 2 gennaio 1962: "Gli Ebrei e il fascismo", di Paolo Serini

11) Per il "caso Piccardi", si veda il settimanale "Vita", n. 156 del 12 aprile 1962.

12) In Morabito "La Sfida Radicale", cit., pag. 102

13) Mario Melloni: "Polemiche sulla scissione dei radicali", in "Il Paese", 22 gennaio 1962

14) Marco Cesarini Sforza: "La diaspora radicale", in "Critica d'oggi", febbraio 1962

15) "Il Mondo", 6 marzo 1962

16) "Taccuino: i Radicali", in "Il Mondo", 3 aprile 1962

17) Ibid.

 
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