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Mellini Mauro - 12 maggio 1979
IL GRUPPO PARLAMENTARE RADICALE NELLA VII LEGISLATURA
di Mauro Mellini

SOMMARIO: La relazione sull'attività del Gruppo parlamentare radicale nella VII legislatura.

(LIBERE FRONTIERE n. 7, 12 maggio 1979)

Quattro deputati radicali su seicentotrenta. Il più piccolo gruppo parlamentare. L'unico gruppo, nella storia della Repubblica, che sia stato costituito interamente da nuovi eletti, senza precedenti esperienze parlamentari.

Nella Camera eletta il 20 giugno 1976 sedevano 263 democristiani, 220 comunisti, 57 socialisti, 34 missini, divisi poi in 17 missini e 17 demonazionali, 15 socialdemocratici, 14 repubblicani, 6 demoproletari, cinque liberali, 4 radicali, oltre a 12 del gruppo misto (indipendenti di sinistra eletti col P.C.I., Volkspartei, ex missino Saccucci ed ora ex demoproletario Corvisieri).

Su quattordici commissioni permanenti, i radicali sono stati rappresentati in solo quattro (Interni, Giustizia, Istruzione, Lavoro, poi Interi, Giustizia, Affari Costituzionali, Industria) non potendo un deputato essere assegnato a più di una commissione permanente, salvo che per sostituire membri del Governo.

Con una interpretazione di comodo del regolamento, che stabilisce invece all'art. 5 che "nello ufficio di presidenza debbono essere rappresentati tutti i gruppi parlamentari", i Radicali sono stati esclusi dall'Ufficio di Presidenza della Camera. Così pure sono stati esclusi dalla giunta delle autorizzazione a procedere, da quella delle elezioni, dalla commissione inquirente e da tutte le commissioni parlamentari d'inchiesta.

Queste cifre e questi dati di fatto consentivano, al momento in cui la VII legislatura "prendeva il via", di formulare la ragionevole previsione che i Radicali sarebbero stati in Parlamento (è noto che essi non erano affatto rappresentati in Senato) una entità politica del tutto trascurabile e che la loro presenza avrebbe consentito, al più, qualche occasione di testimonianze e di rituali prese di posizione, senza modificare minimamente gli equilibri politici generali e neanche l'andamento di una qualsiasi giornata della vita parlamentare.

Non è frutto di presunzione dei Radicali affermare che questa previsione è stata capovolta.

I più decisi avversari dei Radicali, i critici più malevoli, quelli che si erano proposti di ignorarli, che avevano ostentato nei loro confronti solo sufficienza, non hanno forse modificato la loro sostanziale intolleranza verso di essi, ma ammettono senz'altro che la loro presenza in Parlamento non è stata un fatto trascurabile che non abbia lasciato traccia, che non abbia provocato conseguenze di rilievo. E sempre più spesso nel corso della legislatura si è inteso parlare magari di "provocazione" radicale in Parlamento di "colpi di mano" radicali, di "Radicali che bloccano il Parlamento", e, naturalmente di radicali "folcloristici", "buffoni", e, mano mano "provocatori", "destabilizzanti", "spregiudicati", "pericolosi", ecc. ecc.

I regolamenti parlamentari sono stati ritenuti "inadeguati" a fronteggiare l'ostruzionismo radicale, troppo "tolleranti" nei confronti delle minoranze, visto l'"abuso" che i radicali hanno dimostrato che se ne possa fare. Interpretazioni aberranti del regolamento sono state inventate per "scongiurare" le "manovre" dei radicali. All'ostruzionismo dei radicali sono stati attribuiti, ed a ragione, il fallimento di alcune iniziative legislative della maggioranza, quale la "Reale bis", ma anche, ed a torto, quella di altre iniziative, visto che si presta volentieri a chi gode di buon credito.

Ed intanto qualcuno ha cominciato ad ammettere, proprio nel momento in cui gli entusiasmi per "l'unità nazionale" o "ammucchiata" che dir si voglia, cominciavano a sbollire, che a fare l'opposizione, ed a saperla fare, c'erano solo i radicali, che, in quattro, essi avevano finito con svolgere un ruolo che sarebbe stato difficile anche per forze assai più rilevanti.

Certo è che alle proporzioni numeriche sopra ricordate, si deve aggiungere il fatto che l'opposizione radicale è stata condotta contro la più massiccia maggioranza della storia parlamentare del nostro paese. Se in altre epoche forze minuscole hanno fatto, ma, più spesso, hanno preteso di fare, da ago della bilancia tra gli schieramenti contrapposti, questo i radicali non solo non hanno mai pensato di farlo, ma non avrebbero in alcun caso potuto farlo o soltanto proporselo, visto che questa legislatura è vissuta sotto il segno dell'unanimità o quasi e si è chiusa appena si è cominciato a capire che sarebbe stato assai difficile, alla sua normale scadenza, ottenere dal corpo elettorale un voto che consentisse di continuare per quella strada, che rappresenta pur sempre l'obiettivo preferito delle maggiori forze politiche.

Siamo tuttavia convinti che quanto è stato fatto dai radicali in Parlamento sia più e, soprattutto, diverso da quanto una informazione carente, distorta, o, quanto meno, avara e saltuaria hanno consentito di conoscere, o di credere di conoscere, alla grandissima maggioranza dei cittadini ed alla maggiore parte degli stessi militanti, elettori e simpatizzanti radicali, naturalmente più attenti e capaci di cogliere i segni del comportamento della loro rappresentanza parlamentare.

Cerchiamo qui con le cifre con i dati risultanti dagli atti parlamentari e con alcune considerazioni che da essi emergono, di fare una sintesi del lavoro compiuto e del ruolo svolto dai deputati radicali, di meglio capirlo e, allo stesso tempo, di meglio capire e valutare l'atteggiamento delle altre forze politiche, il ruolo di esse nelle istituzioni parlamentari, la crisi di queste, oggi quasi generalmente ammessa.

Nello scorso autunno, dopo anni di censure e di silenzi sulle denunzie radicali dello scadimento del ruolo del Parlamento e dei Parlamentari, è esplosa la polemica sul cosiddetto "assenteismo" di Deputati e Senatori, polemica in buona parte distorta ed ingiusta, perché fondata sulla confusione tra le cause e gli effetti. Comunque, con essa si è cominciato ad ammettere che qualcosa delle Istituzioni parlamentari non funziona e che il trionfalismo di Ingrao sulla "centralità del Parlamento" è almeno eccessivo ed ottimistico. E' strano però, anzi, non lo è affatto, che, a fronte di una crisi, che si vorrebbe circoscrivere ed identificare nel fenomeno dell'assenteismo, ci si preoccupi esclusivamente o quasi, con progetti di modifiche del regolamento parlamentare ed ora, magari, anche della legge elettorale se non della costituzione, di "scongiurare" l'azione "destabilizzante" dei parlamentari radicali che, invece che assenteisti e sonnolenti, sono stati, come è facilmente dimostrabile con i dati che pubblichiamo

, e che già sono pubblici attraverso gli atti ufficiali della Camera, e come tutti riconoscono, i più assidui nelle discussioni, quelli che più sono stati presenti, che più hanno parlato ma che hanno anche più ascoltato gli altri; che sono stati, semmai, accusati di tutto ciò che è l'esatto opposto dell'assenteismo.

A questo punto sembrerebbe logico trarne la conseguenza che "scongiurare", "abrogare", "neutralizzare" i radicali sia un proposito o una tentazione che nasce non già dal fatto che essi hanno determinato crisi, la inefficienza, l'emarginazione del Parlamento, ma dal fatto che l'hanno denunciate, turbando la quiete, la rassegnazione o, peggio, i precisi disegni altrui. Ma forse bisogna andare oltre: i Radicali hanno dimostrato e dimostrano che c'è un modo diverso ed alternativo di stare in Parlamento e che la loro azione non è solo di denunzia della crisi, ma è diretta a superarla; che la rabbia, l'indignazione della gente per la degenerazione del Parlamento, che essi sono accusati di non sopire, placare, ignorare, ma invece di fomentare e "sfruttare in modo qualunquistico" ed, al solito "destabilizzante", può e deve diventare una spinta positiva, una forza per ridare al Parlamento un ruolo reale e dignitoso, per cambiare. Questo è ciò che preoccupa di più i veri responsabili della degenerazione, della decaden

za del Parlamento. Ed a ragione.

L'avvicendamento dei Radicali in Parlamento

Se i deputati radicali sono riusciti a far fronte ad un impegno così difficile, ottenendo risultati che gli stessi avversari riconoscono essere al di là delle previsioni, ciò è stato possibile anche perché il gruppo da essi costituito si è dato un assetto particolare, che ha consentito di raddoppiare e di sfruttare al massimo le energie di cui esso disponeva.

E' noto che dopo il 20 giugno i deputati radicali hanno deciso di dimettersi a metà legislatura per far subentrare i primi dei non eletti, che nel frattempo avrebbero lavorato insieme ad essi nel Gruppo, costituendo una sorta di "collettivo parlamentare".

La creazione della figura del "deputato supplente" non ha mancato di suscitare ironie, scandalo, scetticismo, ed in fondo, preoccupazione negli ambienti parlamentari. Infatti l'aspetto più sconcertante di tale scelta era rappresentato, per certi cultori del "titolo" di "onorevole", dal rifiuto della concezione del mandato parlamentare come una sorta di appannaggio acquisito una volta per sempre, un "grado" nella "gerarchia" dei "politici" e non invece come un servizio, un atto di militanza compiuto in piena indipendenza ed autonomia proprio perché non inquadrabile in una "carriera".

In secondo luogo l'avvicendamento aveva lo scopo di creare un nucleo più consistente di radicali con esperienze istituzionali e parlamentari, da mettere a disposizione dei compagni, delle lotte condotte nelle varie sedi.

Ma soprattutto la collaborazione degli eletti con i primi dei non eletti, e poi dei subentrati con i dimissionari, consentiva di raccogliere maggiori energie, di sorreggere l'impegno dei deputati in carica con la collaborazione, al più alto livello di responsabilità, di altri elementi. Se si considera che il Parlamento non ha, anche quando appartiene ad un grosso partito, strutture di lavoro che gli consentano di essere almeno pienamente informato dei lavori della Camera di "conoscere per deliberare", e se non si dimentica che i Radicali, in quanto appartenenti al più piccolo gruppo, erano i più esposti a subire le conseguenze di un tipo di lavoro nel quale anche gruppi più numerosi insistono per dover lasciare scoperto questo o quel settore, questo o quel momento dell'attività parlamentare, questo obiettivi della scelta di effettuare la rotazione appare il più importante e può dirsi che, anche se la legislatura non è arrivata al termine e se non si è potuta avere la disponibilità di tutti e quattro i primi

dei non eletti, sia stato quello meglio realizzato.

Come è noto in dicembre i deputati radicali hanno cominciato la "rotazione". Al momento dello scioglimento delle Camere rimaneva dei primi eletti in carica solo Mellini, che non aveva ancora potuto essere sostituito per l'indisponibilità di Pezzana che non aveva ritenuto di potersi impegnare a Roma nel Gruppo.

Le battaglie Radicali alla Camera

All'inizio della legislatura i deputati radicali hanno subito presentato alcuni progetti di legge relativo a materie oggetto di battaglie che da tempo il Partito Radicale stava portando avanti nel Paese. Così il primo dei progetti sull'aborto della legislatura porta le firme dei radicali. Ed ancora sull'immunità parlamentare, sullo spostamento dei processi da parte della Cassazione (caso Valpreda) sono stati presentati progetti radicali. Altri progetti sono stati presentati in seguito sulla tutela delle minoranze linguistiche, sulla riforma e smilitarizzazione del corpo degli agenti di custodia, sulla riforma e la smilitarizzazione dei corpi di polizia, sull'adeguamento dell'età per il voto per il Senato e dell'elettorato passivo al nuovo limite per la maggiore età, sul quorum necessario per l'incriminazione dei ministri da parte del Parlamento in seduta comune, sul sorteggio delle liste per l'ordine di inserimento nella scheda elettorale, sui principi della disciplina militare e sulla riforma dei Tribunali

militari e del codice penale militare, sulla costituzione di una commissione di indagine per il caso Moro, ed altri ancora.

Tuttavia l'esperienza dei meccanismi parlamentari ha consentito ai deputati radicali di valutare l'attività di iniziative legislative come assai meno produttiva e positiva per una forza di minoranza che non altre. Infatti la maggioranza, e le Presidenze delle commissioni e della Camera da esse espresse, hanno la possibilità di escludere da ogni effettiva possibilità di discussione le proposte delle minoranze. D'altro canto molti parlamentari di maggioranza ricorrono alla presentazione di "leggine" nell'interesse di determinate categorie a scopo puramente elettoralistico e di tutela corporativa, leggine che, anch'esse, sono destinate a rimanere nei cassetti: un metodo che non può certamente essere condiviso dai radicali. Pertanto l'attività di presentazione di progetti è stata notevolmente rallentata dai radicali ed è stata invece privilegiata l'attività di "sindacato ispettivo" cioè la presentazione di interrogazioni e di interpellanze, quella di "indirizzo", cioè le mozioni, ed inoltre gli interventi nelle

discussioni sui progetti di legge. Con tutto ciò i deputati radicali hanno presentato progetti di legge superando la media, per numero e per spessore di materie, a quelli dei deputati di altri gruppi.

Ma l'aspetto più rilevante ed originale della presenza radicale in Parlamento è stata senza dubbio rappresentata dalla difesa puntuale, quotidiana, testarda, se si vuole, della costituzione e del regolamento, contro le interpretazioni di comodo, contro l'acquiescenza alla prevaricazione della maggioranza sulle minoranze.

L'uso di tutti gli strumenti regolamentari, considerato "scandaloso", "inelegante", "esibizionistico", "inconcludente" ecc. ecc., ma tuttavia con convinzione e sufficienza decrescenti da un po' tutte le altre forze, è stato il mezzo con il quale l'opposizione radicale si è differenziata da tutte le altre opposizioni più o meno di comodo, sostanzialmente disponibili per l'inconcludente giuoco delle parti che ha sostituito per tanti anni la dialettica democratica nel nostro Paese.

Fuori del Parlamento, di questa attività ciò che si è conosciuto cono stati i casi di ostruzionismo, cui i radicali sono dovuti ricorrere per bloccare o cercar di bloccare leggi incostituzionali o comunque varate per frustrare le norme costituzionali (come le leggi antireferendum). Ma sta di fatto che la battaglia per l'osservanza del regolamento è stata soprattutto una battaglia conto l'ostruzionismo della maggioranza, cioè contro quell'atteggiamento con il quale le maggioranze, e non solo quelle "governative" secondo le scelte del momento, hanno sempre usato il rinvio, la lentocrazia, il non decidere, come strumento di sopravvivenza e come garanzia della propria coesione, come espediente per evitare di confrontarsi con le minoranze, ma, soprattutto, con le aspettative del Paese.

Questo sistema è stato proprio di tutte le maggioranze che, attorno alla DC si sono costituite nella storia repubblicana; ma la maggioranza del "compromesso storico" di questa Legislatura ha probabilmente battuto ogni record al riguardo. Vi sono leggi la cui discussione è stata messa all'ordine del giorno dell'Aula e che, ad un certo punto sono scomparse (ed esempio la legge Branca sulle questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte dei Conti). Vi sono disegni di legge fermi da mesi ed anni in Commissione perché i partiti della maggioranza non si decidono a mettersi d'accordo su qualche punto, come la legge sulla riforma della P.S.

Per fare tutto ciò non si è andati per il sottile con il regolamento, interpretato, contro ogni logica giuridica, in modo da consentire sempre alla maggioranza di mandare in porto questo suo disegno, che è poi spesso quello di non mandare in porto un bel niente.

Sono stati i Radicali a mettere da parte ogni rassegnazione rispetto a questo modo di procedere (o di non procedere), usando il regolamento, costringendo il Presidente e la Maggioranza ad uscire allo scoperto con violazioni regolamentari patenti, portando anche fuori dall'Aula e del Parlamento il problema delle regole del giuoco parlamentare (convegno sui regolamenti parlamentari promosso dal Gruppo Radicale il 10, 11, 12 ottobre 1978). Gli atti parlamentari fanno fede di questa opera di puntiglioso tallonamento della presidenza e della maggioranza, registrando circa centosessanta interventi in aula per richiamo al regolamento dei deputati radicali, cui si debbono aggiungere i richiami al regolamento effettuati in commissione.

In difesa della Costituzione

Con i regolamenti parlamentari i Radicali hanno dovuto difendere quotidianamente, puntigliosamente, la Costituzione, mai così sfacciatamente bistratta come in questa legislatura.

La battaglia che i Radicali hanno dovuto combattere contro l'abuso dei decreti legge da parte dei due Governi Andreotti della legislatura che, pur disponendo della più larga maggioranza parlamentare sono ricorsi alla decretazione d'urgenza oltre ogni limite immaginabile, arrivando "ad emanare ben centocinquanta decreti legge nel corso di meno di tre anni", non ha sortito l'effetto di porre un argine al diluvio di decreti, ma almeno ha fatto sì che il fatto non passasse inosservato, che non divenisse "normale" indiscusso il ricorso a questo strumento che la Costituzione prevede possa essere usato solo in "casi straordinari di necessità ed urgenza". I radicali hanno presentato decine di pregiudiziali di incostituzionalità per violazione dell'art. 77 della Costituzione consumata con l'emanazione dei decreti portati alla conversione in legge, pregiudiziali che la Camera ha sempre puntualmente respinto. Malgrado, poi, tutti, a cominciare dal Presidente Ingrao che si è espresso pubblicamente in tal senso, fossero

convinti che la violazione della Costituzione sussistesse e malgrado il voto favorevole ai documenti radicali di molti deputati di altri gruppi, in contrasto con la disciplina di partito.

Così pure i Radicali hanno presentato eccezioni di incostituzionalità per violazione di altre norme della Costituzione, disinvoltamente ignorate con l'emanazione delle leggi in discussione. Così per la violazione dell'art. 81, relativo all'obbligo della copertura finanziaria, per la violazione dell'art. 117, sulla competenza delle Regioni, per la violazione delle norme costituzionali sui diritti della difesa, della libertà personale ecc., operata con le varie leggi speciali in materia penale e di procedura giudiziaria.

Solo per questi interventi i deputati radicali avrebbero potuto considerarsi dei primatisti del lavoro parlamentare, anche senza considerare gli interventi sul merito delle leggi e le interrogazioni, le interpellanze, gli interventi sulle comunicazione del Governo ecc., facendo sì che nei loro confronti potesse di tutto parlarsi fuorché di "assenteismo".

I Radicali infatti sono stati i deputati più assidui nel lavoro parlamentare, quelli che sono intervenuti con maggiore frequenza ed ampiezza e sono anche quelli che hanno ascoltato di più, in un Parlamento in cui ascoltare l'antagonista è considerato inutile, ingenuo ed anche un po' pericoloso, viste le conseguenze cui andrebbe incontro chi si lasciasse convincere. Ma con queste considerazioni siamo giunti a trattare la questione della crisi delle istituzioni parlamentari.

Parlamento in crisi

Abbiamo già detto che la questione dell'assenteismo dei Parlamentari è in buona sostanza una distorsione del problema vero, che è quello della crisi del Parlamento.

Se gli italiani potessero seguire "in diretta" attraverso la TV le sedute della Camera e del Senato, certamente non sarebbero troppo confortati dallo spettacolo delle aule deserte, mentre un solitario oratore (si fa per dire) legge rassegnato fogli su fogli di un discorso che assomiglia alle preghiere biascicate di un prete di campagna. E più ancora sarebbero sconfortati vedendo ad un certo punto entrare in massa nell'aula gli altri deputati o senatori per votare secondo il segno fatto col pollice dal galoppino del gruppo (pollice in alto: sì; pollice in basso: no) senza aver inteso una parola della discussione.

Ma forse se le telecamere fossero sempre in aula le discussioni non sarebbero così sciatte e scontate. Quello del difetto di informazione (per non parlare delle vere e proprie censure e delle intenzionali e perfide distorsioni) è infatti uno dei nodi della crisi. Per questo quando i deputati radicali facevano cenno nei loro discorsi all'aula deserta (magari enunciando i loro discorsi: Signor Presidente, Signori stenografi!) i soliti parlamentari "seri" arricciavano il naso: era infatti considerato disdicevole che dell'"assenteismo" rimanesse traccia nel resoconto stenografico.

Ma, in fondo, il deputato medio non è assenteista. Va a Roma, va alla Camera, vota secondo le prescrizioni del partito. Rarissimamente, quando così dispone il segretario del gruppo, riesce anche a prendere la parola. Ed allora deve scriversi o farsi scrivere un bel discorsetto, badando soprattutto a non discostarsi dalla "linea del partito" sull'argomento. Fa quello che gli si chiede e quello che può. Del resto non serve molto di più. Quello che conta è il suo voto e lui vota. Non ascolta, in genere, quello che dicono gli altri, salvo che non si tratti di qualche esponente importante del suo partito. Non è assenteista: è l'espressione umana di una istituzione in crisi, sostanzialmente emarginata dalle effettive scelte politiche, che sempre più marcatamente vengono compiute in sedi extraistituzionali, di una istituzione al cui interno la dialettica è bandita, che affoga nella sua "centralità" che è semplicemente confusione di funzioni con gli altri organi dello Stato e mancanza di ogni contrapposizione e conf

ronto con tali organi.

Il Parlamento non determina più con il suo voto, con i suoi umori la vita del Governo. Le crisi si decretano nei vertici dei partiti, i governi si formano nello stesso modo. Quando Pertini ha invitato Andreotti, che gli aveva prospettato le sue dimissioni, a presentarsi avanti alle Camere per un dibattito, tutto si è concluso in un modo ancor più incostituzionale, con le dimissioni prima del voto, dopo un dibattito i cui partiti avevano ripetuto posizioni più che note, così che dichiarazioni del Governo e discorsi degli esponenti dei partiti sono stati null'altro che una specie di prolungata conferenza stampa per la presentazione delle dimissioni già deliberate e nemmeno sanzionate dal Parlamento.

Anche le leggi vengono approntate negli uffici studi dei partiti, e ne è decisa l'approvazione nei vertici dei partiti. Quando poi si discutono nelle Camere, qualsiasi problema tecnico si presenti è considerato solo come un "incidente" che rischia di far saltare l'accordo politico raggiunto, ed è quindi accantonato, oppure è risolto solo in funzione della conservazione dell'equilibrio già raggiunto altrove; cioè non è risolto, con il solito risultato delle leggi indecifrabili, piene di incongruenze, che rendono necessarie nuove leggine interpretative, di aggiustamento ecc.

Così la "giungla legislativa" cresce è si infittisce. Il Parlamento sforna leggi su leggi. Lo stakanovismo parlamentare il rovescio della medaglia dell'emarginazione e del difetto di funzionalità del Parlamento. Intanto le Regioni, che secondo la Costituzione dovrebbero essere organismi che legiferano, non riescono a decollare, restando, al più, dei semplici organi amministrativi, mentre il Parlamento continua a sconfinare nella sfera legislativa di loro competenza, aggravando così la confusione e rinunziando a valersi di una salutare discarica di lavoro legislativo. D'altro canto, quando le sedi extraistituzionali delle decisioni politiche, cioè i partiti, hanno una struttura accentrata, è illusorio pensare che le Regioni possano godere di effettiva autonomia e funzionare secondo il disegno che ne ha fatto la Costituzione.

Una manifestazione di questa situazione di crisi del Parlamento è l'abuso dei decreti-legge, di cui si è già detto. Si sono fatti decreti legge nelle materie più strane, per le quale parlare di interventi provvisori in casi straordinari di necessità ed urgenza è assurdo.

Si è proceduto con decreto-legge all'interpretazione autentica della disciplina giuridica dell'assunzione dei calciatori, al rinvio delle elezioni amministrative, alla creazione di nuovi ruoli di dipendenti statali. Si è stabilito con decreto che il Parlamento dovrà fare nuove leggi in certe materie ecc., ecc. Ma il bello è che talvolta sono state le forze della maggioranza in Parlamento, che non riuscivano a mettersi d'accordo, ad invocare che il Governo adottasse decreti legge. Insomma, il decreto legge è divenuto un espediente per imporre alle Camere o perché le Camere impongano a se stesse, di decidere nel termine di sessanta giorni, quanti ne sono previsti per la conversione in legge.

Deputati e senatori dunque, specie quelli dei partiti maggiori, si adattano a questa logica di emarginazione del Parlamento. E bisogna riconoscere che la vita del deputato-tipo, di truppa, dei "peones", come si dice a Montecitorio, è piuttosto frustrante.

L'onorevole Tacito Silenzi è il modello di molti di essi.

Il deputato che non ha mai, neppure una sola volta preso la parola in aula non è una eccezione. Dagli atti parlamentari risulta che in questa poco esaltante posizione si sono trovati, in questa legislatura, moltissimi rappresentanti del popolo, che erano stati mandati a Montecitorio per portarvi, mando a dirlo, la voce del proletariato, dei cattolici, dei coltivatori diretti, dei ceti medi, della maggioranza silenziosa, degli artigiani, ecc., ecc., ecc.

Le voci del silenzio

Gli onorevoli silenziosi di questa legislatura sono, salvo errore, 79, di cui 35 della DC, 30 del PCI, 9 del PSI, 1 di Democrazia Nazionale, 2 del P.S.D.I. e 2 del Gruppo Misto:

Eccone l'elenco, diviso per appartenenza ai vari gruppi parlamentari:

"D.C.": Allegri (Brescia), Antoniozzi (Catanzaro), Bodrato (Torino), Bonomi (Roma), Caruso Ignazio (Napoli), De Carolis (Milano), De Leonardis (Bari), Drago (Catania), Felici (Roma), Fiori (Firenze), Fornasari (siena), Galli Luigi Michele (Como), Gioia (Palermo), Grassi Bertazzi (Catania), La Forgia (Bari), La Morte (Potenza), La Penna (Campobasso), Lattanzio (Bari), Leccisi (Lecce), Lo Bianco (Napoli), Maggioni (Milano), Malvestio (Venezia), Mantella (Catanzaro), Martinelli (Como), Matta (Palermo), Merolli (Roma), Micheli (Perugia), Nucci (Cosenza), Pisanu (Cagliari), Pompei (Roma), Postal (Trento), Prandini (Brescia), Rumor (Verona), Sangalli (Milano), Zucconi (Parma).

"P.C.I.": Amendola (Napoli), Angelini (Lecce), Balbo di Vinadio (Milano), Bernini Bruno (Pisa), Bernini Lavezzo Ivana (Verona), Cacciari (Venezia), Carrà (Milano), Cerra (Catania), Colurcio (Catanzaro), Conti (Perugia), Corghi (Como), Cravedi (Parma), Da Prato (Pisa), De Caro (Bari), Gualandi (Bologna), Libertini (Torino), Leonardi (Milano), Longo Luigi (Milano), Matrone (Napoli), Milani Armelino (Milano), Pucciarini (Como), Sandri (Mantova), Tamini (Torino), Tesi (Firenze), Tessari Alessandro (Venezia), Trezzini (Roma), Vaccaro Melucco (Roma), Venegoni (Milano), Zavagni (Verona).

"P.S.I.": Canepa (Genova), De Martino (Napoli), Lauricella (Palermo), Lezzi (Napoli), Monsellato (Lecce), Mosca (Milano), Quaranta (Benevento), Zagari (Roma), Zuccalà (Como).

"Democrazia Nazionale": Lauro Achille (Napoli).

"P.S.D.I.": Amadei Giuseppe (Parma), Tanassi (Roma).

"Gruppo Misto": Saccucci, Guadagno.

Ad onor del vero occorre aggiungere che di questi silenziosi in aula, alcuni hanno certamente preso la parola almeno in commissione, e difatti figurano nell'elenco anche presidenti di commissioni come Libertini ecc. Qualcuno è certamente giustificato, come l'ex missino Saccucci, che essendo perseguito con mandato di cattura per omicidio, con tanto di autorizzazione a procedere anche all'arresto, era effettivamente impedito di prendere la parola in aula. In qualche modo giustificato è pure l'on. avv. Massimo De Carolis, che rappresenta la "Maggioranza silenziosa" milanese e che evidentemente ha scelto di comportarsi come i suoi rappresentati, piuttosto che come un rappresentante in Parlamento.

Non del tutto silenziosi, ma neppure molto loquaci sono stati parecchi altri deputati. Venti deputati della DC sono intervenuti in aula una sola volta: Amabile (Benevento), Ambrosini (Napoli) Bova (Catanzaro), Bressani (Udine), Danesi (Pisa), D'Arezzo (Benevento), Gaspari (L'Aquila), Lima (Palermo), Marton (Venezia), Mazzotta (Milano), Orione (Cuneo), Pucci (Catanzaro), Rosati (Napoli), Russo Carlo (Genova), Russo Ferdinando (Palermo), Russo Vincenzo (Bari), Sedati (Campobasso), Sposetti (Ancona), Urso (Lecce), Vincenzi (Mantova).

Pure una sola volta sono intervenuti quaranta deputati del P.C.I.: Abbiati (Brescia), Alborghetti (Como), Allegra (Torino), Ambrogio (Catanzaro), Baldassi, Barbarossa Vozza (Bari), Bertani (Parma), Bianchi Beretta (Milano), Bini (Genova), Bolognari (Catania), Cantelmi (L'Aquila), Carloni Andreucci (Ancona), Carmeno (Bari), Ceravolo (Genova), Chiarante (Brescia), Cocco (Cagliari), De Gregorio (Roma), Esposito (L'Aquila), Facchini (Pisa), Faenzi (Siena), Fanti (Bologna), Forte (Benevento), Galluzzi (Firenze), Garbi (Torino), Ianni (Ancona), Lodolini (Como), Martino (Cuneo), Marzano (Nanpoli), Milano De Paoli (Udine), Occhetto (Palermo), Ottaviano (Roma), Pani (Cagliari), Pellegatta (Como), Pellicani (Venezia), Rossino (Catania), Rubbi Antonio (Bologna), Scaramucci Guaiatini (Perugia), Sicolo (Bari), Vetere (Roma).

Cinque sono i deputati del P.S.I. che hanno parlato una sola volta nell'aula di Montecitorio: Bertoldi (Verona), Giovanardi (Bologna), Querci (Roma), Mondino (Torino), Seppia (Siena).

Pure con un solo intervento in aula figurano i socialdemocratici Lupis (Catania) e Matteotti (Verona) ed il valdaostano Millet del Gruppo Misto.

Trentadue comunisti sono intervenuti in aula due sole volte e così pure ventisette democristiani e sette socialisti.

Un esame statistico più particolareggiato consentirebbe di rilevare che la maggior parte di questi solitari interventi sono stati svolti per interrogazioni o per emendamenti.

Scorrendo i nomi degli onorevoli più taciturni si possono fare alcune considerazioni interessanti sull'andamento delle cose nel nostro Parlamento.

In primo luogo appare chiaro che a tacere o a parlare pochissimo sono soprattutto i partiti maggiori, nei quali il fenomeno dei deputati "peones) è più diffuso.

Ma a parlare pochissimo, o a non parlare affatto, non ci sono solo i "peones". Leaders prestigiosi, i cui nomi appaiono sulle prime pagine dei giornali e i cui volti sono d'obbligo sul video di stato, hanno osservato alla Camera il più rigoroso silenzio.

Non ha mai preso la parola in aula (e probabilmente anche in commissione) durante tutta la legislatura l'on. Francesco De Martino ex segretario e tuttora esponente di rilievo del P.S.I. Non ha mai parlato Giorgio Amendola del PCI. Enrico Berlinguer ha preso la parola una sola volta su di un progetto di legge e tre volte sulle comunicazioni del Governo o su interpellanze. Bettino Craxi ha parlato anche lui una sola volta su di un progetto di legge, due volte sulle comunicazioni del Governo, tenendosi così alla pari con Zaccagnini, che pure è intervenuto rispettivamente una e due volte.

Il totale silenzio di Luigi Longo può essere giustificato dalle sue cattive condizioni di salute, e così quello di Paolo Bonomi, ancora prestigioso, ed una volta supervotato, presidente della Coldiretti. Silenziosi sono stati alcuni capicorrente, assai loquaci, invece con dichiarazioni e comunicati alla stampa, quali Enrico Manca, del P.S.I., intervenuto una sola volta sulla relazione della commissione di vigilanza della RAI, l'ex ministro Lauricella, pure del PSI, che non ha parlato mai; l'ex ministro Lattanzio, pure perfettamente taciturno, e con lui l'ex ministro DC Gioia. Bertoldi, del P.S.I., è intervenuto una sola volta su di un progetto di legge; Riccardo Lombardi, tre volte su progetti di legge ed una volta su interpellanze.

Non hanno mai parlato in aula in questa legislatura il DC Bodrato, l'ex presidente del consiglio Rumor, l'ex sottosegretario e vice-segretario della DC Antoniozzi. Neppure Tullio Vecchietti, già segretario del PSIUP ed ora deputato del PCI ha mai preso la parola. Così pure ha sempre taciuto Massimo Cacciari, filosofo, del PCI. Pajetta, in passato loquacissimo, ha parlato solo due volte. La sorte ha voluto che anche il deputato DC Zucconi, direttore del settimanale "La Discussione" non abbia mai discusso niente, figurando nell'elenco dei perfetti taciturni. Ha pure sempre taciuto il socialista Mario Zagari, ex ministro della giustizia. De Michelis, esponente "in ascesa" del PSI ha parlato solo due volte, una su di un progetto di legge ed una su di un'interpellanza.

Le "voci" Radicali

Il fatto che anche esponenti di rilievo dei maggiori partiti politici figurino tra i deputati che più raramente hanno preso la parola, ha un significato particolare, ben diverso da quello dei silenzi dei "peones": il Parlamento non è più la sede per notificare al paese le prese di posizione, i programmi, le scelte di maggior rilievo. Il Parlamento non è più neppure una cassa di risonanza per i partiti ed i loro Leaders. Questi preferiscono le conferenze stampa, i comitati centrali ecc., ecc. come occasione per i loro interventi e le loro dichiarazioni. Insomma, i "big" della politica italiana snobbano il Parlamento. Basterebbe questa sola considerazione a giustificare la tesi sostenuta dai Radicali, ed espressa anche in un progetto di legge, che ha come prima firmataria "Adelaide Aglietta" che l'ha presentato prima di dimettersi subito dopo eletta in sostituzione di Pannella, secondo cui le massime cariche nazionali dei partiti debbono essere incompatibili con il mandato parlamentare.

Tra i silenziosi e gli assenteisti non possono certamente essere inclusi i deputati radicali. Sia nelle commissioni, sia in aula, dovendo spesso fare i conti con la contemporaneità dei lavori parlamentari nelle varie sedi, essi hanno assiduamente partecipato alle discussioni sulle principali proposte di legge ed anche di molte altre meno importanti, hanno presentato e discusso interrogazioni, interpellanze e mozioni, sono intervenuti sulle dichiarazioni del Governo, sulle autorizzazioni a procedere, sulle questioni regolamentari. Per moltissimi disegni di legge la loro partecipazione alle discussioni si è articolata con interventi ampi e ripetuti, per pregiudiziali, nella discussione generale, sugli articoli, sugli emendamenti, per dichiarazioni di voto. I deputati radicali, "tutti i deputati radicali", possono a buon diritto considerarsi l'esatto opposto dell'assenteista, del Tacito Silenzi. Gli avversari possono anche aver fatto della facile ironia sulla loquela dei radicali, sulla loro pervicacia nel prop

orre eccezioni destinate ad essere respinte dalla maggioranza, nel presentare numerosi emendamenti; ma in realtà questo è stato uno dei modi in cui i radicali si sono rifiutati al giuoco delle parti e si sono accollati il ruolo dell'opposizione contro una maggioranza elefantiaca. Un esame spassionato, del resto, degli atti parlamentari, consentirebbe di constatare che anche dal punto di vista qualitativo e tecnico, la presenza dei radicali è stata all'altezza del ruolo che si sono assunti, malgrado l'esiguità del loro numero e l'enorme mole degli impegni.

Ecco in un prospetto, il numero degli interventi dei deputati radicali in aula:

Bonino (dimissionaria il 20-XII-78)

Discussioni leggi 39

Comunicazioni, interr., interp. 40

Richiami al regolamento e varie 20

Faccio (dimissionaria il 13-XII-78)

Discussioni leggi 44

Comunicazioni, interr., interp. 28

Richiami al regolamento e varie 6

Mellini

Discussioni leggi 84

Comunicazioni, interr., interp. 87

Richiami al regolamento e varie 40

Pannella (dimissionario 17-I-79)

Discussioni leggi 65

Comunicazioni, interr., interp. 77

Richiami al regolamento e varie 87

Galli

Discussioni leggi 9

Comunicazioni, interr., interp. 2

Richiami al regolamento e varie 1

De Cataldo

Discussioni leggi 5

Comunicazioni, interr., interp. 3

Richiami al regolamento e varie 8

Cicciomessere

Discussioni leggi 5

Comunicazioni, interr., interp.

Richiami al regolamento e varie 3

E' da notare che gli interventi per disegni di legge sono calcolati nel prospetto in ragione di non più di uno per seduta di discussione del progetto stesso, mentre spessissimo i deputati radicali hanno dovuto intervenire più volte a vario titolo nella stessa seduta e per la stessa legge. Così, ad esempio, per ciascuno dei quattro deputati radicali sono calcolati cinque interventi per la discussione della legge sull'aborto in cinque sedute, mentre essi, facendo l'ostruzionismo su tale legge, fecero diecine e diecine di interventi per ciascuno.

Si può anche notare che i deputati radicali subentrati, rimasti in parlamento per pochi giorni prima della crisi di governo e dello scioglimento delle camere, hanno totalizzato un numero di interventi in aula superiore alla media dei deputati democristiani, comunisti e socialisti (sempre senza tener conto la ripetizione degli interventi per la stessa legge, del tutto inconsueta per i deputati dei gruppi maggiori).

Ecco infatti un prospetto di tutti gli interventi in aula di tutti i deputati di ciascun gruppo, con la media per deputato dei diversi gruppi. Agli effetti del raffronto, occorre sempre tener presente il fatto che per i gruppi maggiori i vari interventi in ciascuna seduta per uno stesso progetto di legge sono in genere svolti da diversi deputati e calcolati separatamente, mentre per i radicali essi sono calcolati, in quanto fatti dallo stesso deputato e nella stessa seduta, per un solo intervento:

Gruppo DC

Numero Deputati 263

Interventi 1.367

Media per deputato 5

Gruppo PCI

Numero Deputati 220

Interventi 90

Media per deputato 4

Gruppo PSI

Numero Deputati 57

Interventi 468

Media per deputato 8

Gruppo Demonaz.

Numero Deputati 17

Interventi 373

Media per deputato 22

Gruppo MSI

Numero Deputati 17

Interventi 721

Media per deputato 42

Gruppo PSDI

Numero Deputati 15

Interventi 247

Media per deputato 16

Gruppo PRI

Numero Deputati 14

Interventi 232

Media per deputato 16

Gruppo PDUP-DP

Numero Deputati 6

Interventi 312

Media per deputato 52

Gruppo PLI

Numero Deputati 5

Interventi 251

Media per deputato 50

Gruppo MISTO

Numero Deputati 12

Interventi 78

Media per deputato 6

Gruppo RADICALI

Numero Deputati 4

Interventi 648

Media per deputato 162

A questi interventi in aula occorrerebbe aggiungere quelli in commissione, che pure sono stati numerosissimi, sia in sede referente che in sede legislativa. Basti pensare all'ostruzionismo contro la legge Reale bis, per il quale sono stati effettuati centinaia di interventi, presentati, ed in parte illustrati, migliaia di emendamenti per un totale di alcune diecine di ore.

"Nel corso della legislatura i deputati radicali hanno presentato 19 mozioni, 73 interpellanze, 356 interrogazioni a risposta orale in aula, 22 a risposta scritta, 20 a risposta in commissione, ottenendo la discussione in aula di 8 mozioni, 60 interpellanze, 134 interrogazioni. Essi inoltre hanno presentato 15 ordini del giorno e 9 risoluzioni in assemblea, oltre quelle in commissione".

La presentazione di interrogazioni è, per la maggior parte dei deputati, un mezzo per "coltivare il collegio", attraverso la dimostrazione di un interessamento per problemi locali, di categoria, di clientela. Per questo è generalmente prevalente l'uso della interrogazione a risposta scritta, che non consente la replica dell'interrogante e pertanto non lo obbliga a presenziare ad una seduta.

I Radicali hanno sempre seguito il criterio opposto, presentando interrogazioni ed interpellanze per questioni di interesse generale che, anche se riferibili a casi di singoli cittadini, a situazioni locali, fossero tali da implicare questioni di principio o comunque fossero indicative di situazioni più generali. Di conseguenza hanno anche scelto quasi sempre la forma dell'interrogazione a risposta orale ed hanno quindi portato in Aula i problemi che ne erano oggetto replicando alle risposte dei ministri.

I settori nei quali sono intervenuti i Radicali con le loro interrogazioni ed interpellanze sono stati i più vari. Se vi è stata una prevalenza di interventi nei settori di competenza dei ministeri della Giustizia e degli Interni, si può dire che nessun altro settore sia stato trascurato, da quello dell'Industria a quello dell'Istruzione, da quello della Difesa a quello delle Finanze, da quello dei Lavori Pubblici a quello dei Trasporti.

Ma soprattutto i Radicali si sono battuti per pretendere l'osservanza dei regolamenti parlamentari in ordine alla risposta alle interpellanze ed alle interrogazioni, in modo da sconvolgere l'abitudine oramai invalsa di considerare l'interrogazione e l'interpellanza semplicemente un alibi per chi lo pone e di considerare la risposta una specie di favore da parte del Governo. L'applicazione dell'art. 137 secondo comma del regolamento sul termine per la discussione delle interpellanze, caduto pressoché in desuetudine, è stato oggetto di continui richiami da parte dei radicali e l'andazzo precedente è stato così almeno in parte corretto.

La costante presenza Radicale alle Camere

Secondo i canoni "normali" e scontati dei discorsi politici del nostro paese, l'esposizione che abbiamo fatto fin qui dell'attività, della presenza radicale in Parlamento non avrebbe raggiunto ancora il punto centrale in quanto non avrebbe dato risposta alla domanda relativa alla "linea politica" tenuta nella varie fasi di questa breve e tormentata legislatura.

Siamo convinti, invece che la risposta sia già stata data e che quando abbiamo scritto e documentato sul "modo in cui i radicali" sono stati in Parlamento sia la vera risposta ed il dato essenziale della presenza radicale nelle istituzioni parlamentari.

Al di fuori di questa diversità nel concepire il servizio del mandato parlamentare, il rapporto con il potere, il significato ed il valore delle regole del giuoco, a cominciare da quelle contenute nella Costituzione, c'è, nell'apparente contrasto delle linee, delle analisi, dei rapporti come le varie forze, dei giochi delle alleanze ecc., ecc., soltanto il grigiore, l'acquiescenza scontata al giuoco delle parti, il rito vuoto e rassegnato cui fa giustamente riscontro da parte del Paese l'indifferenza ed il rancore crescente che oggi si rivela nei confronti di un po' tutte le forze politiche.

Se dunque i radicali sono riusciti a realizzare, come era nelle loro intenzione e nella promessa fatta agli elettori nel 1976, un modo diverso di stare in Parlamento, essi hanno anche tracciato una vera, chiara linea politica e ad essa sono stati coerenti. L'opposizione al regime, e non soltanto ai governi delle astensioni e dell'unità nazionale, di cui si sono assunti il ruolo è stata realizzata anzitutto così.

Ma se si deve passare all'esame delle prese di interventi e dei risultati, la presenza radicale alla Camera non può considerarsi non meno significativa. Semmai la considerazione di questa attività, dei suoi contenuti e dei suoi risultati non può che confermare che il modo diverso è stato anche il modo buono ed il più efficace di fare l'opposizione.

Sin dalla loro apparizione nell'aula di Montecitorio i Radicali, con la discussione del programma del ministero Andreotti, quello che doveva passare alla storia come il governo della "non sfiducia" o "delle astensioni", denunciavano il carattere degenerativo della tendenza oramai evidente alle soluzioni unanimistiche in nome dell'emergenza, promettendo al governo una opposizione ferma e puntuale.

La discussione del bilancio, quella sui decreti fiscali, sull'una tantum, sul Friuli, sul trattato di Osimo, sulle spese per l'Aeronautica, e poi le varie leggi che possono essere definite di riflusso delle garanzie processuali, la legge sui principi della disciplina militare, la legge sull'aborto (prima discussione), i decreti sul rinvio delle elezioni amministrative, la legge sui servizi di sicurezza, la legge sulle aree edificabili, la legge sull'ordinamento della scuola secondaria, quella sulla riforma sanitaria, e poi ancora la legge sull'aborto e le varie leggi varate allo scopo di "scongiurare" i referendum, hanno visto i radicali impegnati con ripetuti interventi, con pregiudiziali, con emendamenti. Ed ancora la discussione sul secondo Governo Andreotti della legislatura, nella drammatica atmosfera creata dal rapimento di Moro e dallo sterminio della sua scorta, non ha trovato i Radicali disposti ad accettare un rito di consensi e di rinunzia alla discussione nel segno della retorica dell'"unione sac

ra". La battaglia compiuta quasi quotidianamente nei giorni seguenti per ottenere che fosse il Parlamento ad assumersi le responsabilità delle decisioni, dalle quali avrebbe dovuto dipendere la possibilità di salvare la vita di Moro, si è dimostrata, dopo il tragico epilogo, una battaglia non inutile e doverosa, quando è risultato che, come al solito nelle sedi extraparlamentari, in modo confuso e spesso irresponsabile opinioni diverse erano state espresse e diverse posizioni si erano scontrate. Anche se, quelli che hanno rivendicato l'una o l'altra posizione, si erano trovati d'accordo per defilarsi davanti alla richiesta radicale di non emarginare il Parlamento in un così drammatico momento di scelte gravide di conseguenze.

Con il secondo Governo Andreotti della legislatura lo scontro per la difesa dei referendum è entrato nella fase più acuta. Se la maggioranza è riuscita a varare la legge per "scippare" i referendum sulla legge manicomiale (ricorrendo all'assegnazione in sede legislativa in Commissione Sanità in cui i radicali non erano rappresentati e varando una legge sconclusionata e carente), sull'Inquirente e sull'aborto, superando l'ostruzionismo radicale, il tentativo di impedire il referendum sulla Legge Reale attraverso il varo di una nuova legge che, sostituendo quella sottoposta a referendum, anziché abrogarla ne aggravasse i contenuti, è fallito avanti all'ostruzionismo condotto a fondo con la presentazione di migliaia di emendamenti, con decine di ore di interventi in Commissione Giustizia, cui la legge era stata assegnata in sede legislativa, e ciò malgrado le più smaccate violazioni del regolamento, dopo interminabili sedute fiume, veglie, interruzioni solo per mancanza del numero legale, votazioni a centinaia

e centinaia. Quando a maggio è stato chiaro che la legge non sarebbe stata votata prima del referendum, la maggioranza dichiarò, con incredibile sprezzo dell'imminente voto popolare, che la legge sarebbe stata votata "comunque" dopo il referendum indipendentemente dall'esito di esso. I radicali dichiararono allora che "comunque" avrebbero continuato l'ostruzionismo fino alla fine della legislatura.

Allo scioglimento delle Camere la legge era ancora bloccata. E' stata così evitata l'approvazione di una legge inaudita per il contenuto repressivo, per le balordaggini giuridiche, sintattiche e grammaticali, e, soprattutto, è stata battuta l'arroganza dei partiti della ammucchiata.

L'esito delle elezioni di Trieste e del Trentino campanello d'allarme per i partiti dell'ammucchiata

Dopo l'esito del referendum, che ha segnato una cocente sconfitta per i partiti della maggioranza della quasi unanimità, si sono cominciati a manifestare i segni dell'avvio ad una fine anticipata della legislatura, resisi più manifesti dopo l'esito delle elezioni di Trieste e del Trentino, quando è stato chiaro che, giungendo al termine naturale della legislatura, più pesante sarebbe stata la punizione del corpo elettorale ai partiti dell'ammucchiata, per l'estendersi ed il consolidamento del dissenso. Ma, come al solito, in Parlamento non si è manifestato alcun segno rilevante della crisi che altrove maturava, ed i Radicali hanno dovuto continuare a combattere le loro battaglie contro la solita massiccia maggioranza. Venivano intanto in discussione la legge sulla minoranza Ladina del Trentino, la legge sull'equo canone, quella sull'amnistia, quella sulle elezioni europee, quella sulle grandi imprese in dissesto ecc. ecc. ed ancora la solita piaggia di decreti, tra i quali il famoso "decreto Pedini", uno dei

più incredibili pasticci legislativi, esempio di analfabetismo non soltanto giuridico e costituzionale, contro il quale i radicali effettuarono, in appoggio a quello dei deputati Gorla e Pinto, che non potevano contare sull'appoggio del gruppo del PDUP-DP, l'ostruzionismo che ha portato alla caduta del decreto.

Questo dell'analfabetismo legislativo è certamente una delle manifestazioni della crisi del Parlamento e se ne è già fatto cenno più sopra. Qui vale la pena ricordare che i Radicali hanno condotto una battaglia dura e testarda contro questo modo di legiferare che prescinde completamente dalle conseguenze sul piano interpretativo, che usa un linguaggio approssimativo, che stravolge continuamente schemi sistematici e principi generali dell'ordinamento politico del provvedimento, sia pur vagamente concepito ma confusamente espresso, di determinare conseguenze normative impreviste, di richiedere successive norme di aggiustamento, che spesso provocano fenomeni analoghi, lasciando all'interprete un enorme potere che è il rovescio del compito ingrato e difficile di raccapezzarsi nella giungla legislativa e nelle stravaganze lessicali, grammaticali, sintattiche e sistematiche delle singole leggi.

I radicali non soltanto hanno compito, sia in Commissione che in Aula, un'opera di denunzia e di correzione di tali storture, ma hanno spesso sollevato, unici nel Parlamento, il problema generale e politico dello scadimento dei metodi e delle tecniche legislative, sostenendo che il primo diritto civile è quello alla certezza del diritto e che l'omogeneità del linguaggio legislativo è base della stessa normativa costituzionale e della garanzia che essa rappresenta. Anche in sede di discussione del bilancio interno della Camera, la questione è stata denunziata, prospettando anche alcuni aspetti di essa ricollegabili all'organizzazione dei lavori e degli uffici del Parlamento.

Questa opera dei deputati radicali, questa loro presenza attiva nel lavoro legislativo, ha turbato prassi, abitudini, quieto vivere di molti deputati, suscitando, ovviamente, risentimenti, insofferenze, proteste, Il deputato standard, preoccupato essenzialmente di far presto il giovedì sera a votare per precipitarsi di corsa giù per i gradini dell'aula per prendere l'aereo o il treno, ha spesso visto nei radicali una autentica sciagura anche per la sua vita privata. Ma riconoscimenti e consensi non sono mancati, così come è stato anche avvertito da molti "peones" che i radicali combattevano una battaglia per rivalutare la funzione del singolo deputato e quindi della Istituzione parlamentare, contro la massificazione e l'onnipotenza degli apparati dei grandi partiti.

Il silenzio e le responsabilità della stampa

La stampa non ha mai informato la pubblica opinione di un fatto che ha certamente un significato non trascurabile.

Esiste un certo numero di "franchi tiratori" che nelle votazioni a scrutinio segreto votano puntualmente per le pregiudiziali, per le emendamenti, per le proposte dei radicali. Talvolta il numero di questi deputati che si sottraggono alla disciplina di partito ha raggiunto i quaranta, cinquanta ed anche di più. Sui giornali la notizia di alcune votazioni è passata con l'affermazione che a votare con i radicali sarebbero stati i missini. Dagli atti parlamentari risulta invece che a quelle votazioni non avevano partecipato che due o tre missini. A votare con i radicali erano invece deputati che avevano rotto la disciplina di partito: socialisti, comunisti, forse anche democristiani. Contando voti, assenze, presenze, esaminando le varie questioni su cui si è votato, se ne potrebbero trarre interessanti conclusioni.

Un'altra notizia che i giornali si sono ben guardati dal diffondere è quella che per la prima volta nella storia parlamentare il bilancio interno della Camera non è stato votato all'unanimità, con il voto contrario dichiarato dei radicali, ai quali si sono aggiunti avendo essi chiesto lo scrutinio segreto, altri cinquantasei deputati.

La presenza radicale, infatti, ha avuto modo di marcare anche questi momenti della vita parlamentare che tradizionalmente erano destinati al rito delle unanimità.

Del resto anche altri momenti, che la tradizione e la logica parlamentare vorrebbe invece caratterizzati dal dibattito e dal confronto, non sono scaduti anch'essi nel rito dell'unanimismo solo grazie agli interventi dei radicali.

Il dibattito sulle comunicazioni del Governo relative alla trattativa per la cosiddetta revisione del Concordato con la Santa Sede, se non è passato per l'aula di Montecitorio semplicemente per ottenere l'orpello di un consenso parlamentare purchessia ad una trattativa portata avanti con metodi non diversi da quelli di Mussolini del 1929, ciò è avvenuto perché i radicali hanno imposto tempi e modi di discussione diversi, con interventi appassionati e puntuali che hanno messo a nudo il carattere puramente illusorio ed anzi sostanzialmente involutivo delle decantate innovazioni, oltre che il valore negativo della scelta concordataria rinnovata e confermata dalla Repubblica.

Così il dibattito sulle comunicazioni del Governo sulla politica nucleare e sulle scelte energetiche ha trovato negli interventi dei deputati radicali l'unico punto di confronto per le sfuggenti e confuse posizioni del Governo e della maggioranza. Le tesi radicali hanno trovato anche in tale occasione echi e consensi che la disciplina di partito non ha del tutto sopito e cancellato.

A questo punto dovremmo anche sottolineare che l'immagine corrente dei radicali come soggetti politici sensibili solo ai problemi relativi ai diritti civili ma lontani dalle questioni economiche e finanziarie, è pienamente smentita dalla storia parlamentare di questa Legislatura. Basterebbe, appunto, il ruolo da essi svolto sul tema nucleare ed energetico per convincersene. Ma dovrebbe aggiungersi anche la loro presenza nei dibattiti sui bilanci, sui provvedimenti fiscali, sulla legge di riconversione industriale, sulla legge sulle grandi imprese in crisi, sull'equo canone, sul Sistema Monetario Europeo, ecc., ecc.

Se altri argomenti hanno impegnato di più e più a fondo i parlamentari radicali, è certo però che essi hanno svolto un lavoro anche in ordine a questioni economiche, finanziarie e sociali di gran lunga più intenso di quello del deputato medio di altri partiti.

Se provassimo a riscrivere questa storia a rovescio, cercando, documentando e sottolineando ciò che i deputati radicali non hanno fatto e che invece avrebbero dovuto fare, che sarebbe stato necessario facessero in Parlamento, questa esposizione sarebbe assai più lunga e scriverla sarebbe lo stesso che fare un programma di governo, un progetto per far uscire le istituzioni dalla crisi.

Ma sarebbe anche un lavoro inconcludente, perché dobbiamo dire e valutare ciò che essi hanno potuto fare. "A dire ciò che dovranno fare in futuro, secondo la prova che hanno dato, a dire ciò che potranno fare, saranno gli elettori del 3 giugno.

 
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