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Spadaccia Gianfranco - 11 gennaio 1980
Ora tocca al cittadino difendersi. Con la nonviolenza
Gianfranco Spadaccia

SOMMARIO: Contrapporre la forza della nonviolenza alla cieca determinazione delle Brigate Rosse e alla violenta ottusità dello Stato. La fame, il disarmo, l'alternativa energetica, la lotta al terrorismo e alle leggi speciali e tutte le altre battaglie radicali non sono che un unico fronte che ci deve vedere uniti in una grande e ultima offensiva.

(Notizie Radicali n.11 dell'11 gennaio 1980)

Il Terrorismo alza il tiro e aumenta e rende più odiosi e terribili i suoi attentati. Il governo si presenta con nuove leggi eccezionali e con il consolidamento e con il perfezionamento del fermo di polizia, che già aveva fatto la sua ricomparsa nel nostro ordinamento con il decreto anti-terrorismo del 1977. La magistratura va avanti con i suoi processi contro i maggiori leaders di "Autonomia", e - appoggiata dal PCI - rafforza la sua ipotesi di un unico partito armato, di un unico denominatore comune di tutta la violenza rivoluzionaria, di un'unica direzione strategica di un fenomeno che dovrebbe comprendere le Brigate Rosse senza distinguersi da esse, se non per ragioni tattiche e militari, di clandestinità.

Mentre la crisi istituzionale paralizza e stravolge lo Stato, il regime rafforza i suoi istituti di potere, discrezionali, coercitivi, repressivi. Le BR, sempre più accerchiate e isolate, alzano il tiro. Spara nel mucchio il regime, facendo il processo al dopo-sessantotto. Sparano nel mucchio le Br. Contro il primo come contro le seconde noi dobbiamo contrapporre la nostra nonviolenza, la nostra alternativa di civiltà giuridica. E questa alternativa - difficile, contestata, apparentemente impossibile - deve diventare invece, dobbiamo farla diventare invece risposta nonviolenta di massa, con la lotta politica, con i referendum.

Dobbiamo contrapporre alla politica della morte, delle stragi, dell'annullamento del diritto, della disperazione, le ragioni del diritto, della vita, della speranza.

La coincidenza e l'urgenza, sotto questo segno, di tutte le nostre lotte e di tutti i nostri fronti di lotta, è sempre più evidente. Sotto questo segno si unificano la lotta contro lo sterminio per fame e quella per il disarmo e contro i missili, quella contro l'invasione dell'Afghanistan e quella per l'alternativa energetica e contro le centrali nucleari, quella contro le leggi speciali e quella contro la violenza delle BR e del partito armato.

In questo - e probabilmente solo in questo - aveva ragione Pietro Nenni: "Il tempo nn lavora per noi, ma può lavorare contro di noi, e contro la sinistra". La coincidenza e l'unità delle nostre lotte non può però tenere soltanto una operazione concettuale, una razionalizzazione. Dobbiamo unificarle nella nostra coscienza di nonviolenti sotto il segno della necessità, dell'urgenza, della drammatica assenza di alternativa. E se è così, il tempo politicamente utile che abbiamo davanti non è indeterminato, è preciso e stringente: è quello di questo inverno e di questa primavera. Se saremo vincenti, con i referendum, come nel 1977, avremo dato nuove possibilità di sviluppo, e di speranza, alla nostra lotta alternativa e quindi al rinnovamento della sinistra e al paese. Se saremo sconfitti, come nel 1974, ciò che avremo perso, e che così avrà perso il paese, sarà irreparabile, irrecuperabile.

Io mi auguro, e lo dico con apprensione che mi viene probabilmente dall'isolamento e dalla lontananza in cui mi costringe il compito di occupare quest'altro piccolo avamposto radicale all'interno delle istituzioni - al Senato - che nel partito ci sia la percezione precisa di questo e che da questo non ci allontanino i residui di scontri o di incompatibilità che, se potevano avere giustificazioni al congresso, non potrebbero averle oggi, o le suggestioni di altri appuntamenti come quello elettorale che non possono essere per noi gli appuntamenti principali o esclusivi e se lo divenissero sarebbero perdenti.

Crollano intorno a noi le altre alternative. Crollano definitivamente le illusioni sulla violenza rivoluzionaria, quella praticata e quella semplicemente teorizzata. Perché anche la violenza semplicemente teorizzata è stata, insieme all'opportunismo di tanta parte della sinistra durato anni, e ideologicamente applicato al proprio passato (vedi via Rasella, vedi la guerra di Spagna) persistente anche oggi, è stata o complice o passiva testimone della violenza praticata.

Alla lettera di Negri replica da sé la testimonianza di Fioroni. Abbiamo sempre avvertito - la storia tragica di oltre mezzo secolo ce lo aveva insegnato - che quando si sceglie la politica dell'assassinio, si comincia con ammazzare gli avversari divenendo simili ad essi e si finisce per ammazzare i compagni. Seronio era un compagno. Campanile era un compagno.

Crolla, o meglio affoga in qualche barile di petrolio, l'illusione di rilancio di un partito socialista pendolare, incapace di fare la scelta dell'alternativa socialista libertaria al regime.

Rimangono, a sinistra, sempre più chiaramente a confronto due sole ipotesi, due sole strategie, due sole politiche: quella comunista del compromesso istituzionale e dell'unità "nazionale" e quella radicale ell'alternativa nonviolenta, socialista, libertaria, internazionalista e pacifista, umanistica.

In Parlamento la nostra lotta, in questa solitudine, che è isolamento dal potere e contrapposizione intransigente ai chierici della violenza, ma non è isolamento dal paese e dalla gente, la nostra lotta si è fatta e si farà più difficile e dura.

Ma - ripeto - dobbiamo avere la capacità di dare, fuori del Parlamento, nel paese, una risposta di massa.

Con i referendum.

 
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