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Bessone Mario - 21 marzo 1980
Problemi e questioni del diritto alla identità personale.
di Mario Bessone

"IL DIRITTO ALLA IDENTITA' PERSONALE", seminario promosso dal "Centro di iniziativa giuridica Piero Calamandrei", Genova, Palazzo Doria, 21, 22 marzo 1980

SOMMARIO: Dopo aver ricordato la sentenza del Pretore di Roma che si riferiva al diritto a vedersi attribuita la paternità delle cose che si dicono, che si fanno e si pensano e anche il diritto a non vedersi attribuire intenzioni o non vedersi attribuiti comportamenti diversi da quelli che si hanno, si chiede, escludendolo, se i diritti della personalità sono un numero chiuso oppure no; se vi sono norme che di per sé consentono di accogliere la nuova figura del diritto alla identità personale; quali debbano essere gli strumenti tecnici per tutelare questo nuovo diritto; se bisogna fare una distinzione fra uomo "pubblico" e privato.

(IL DIRITTO ALLA IDENTITA' PERSONALE, CEDAM, PADOVA 1981)

Essendo questo un seminario di studi, non mi riferirò allo scenario sociologico di fondo, ai fenomeni di "perdita di identità" dei singoli nella società di oggi, fenomeni in qualche modo affini al tema dei diritti civili: uno scenario così composito e per molti aspetti così drammatico. Mi limiterò a indicare una serie di punti che la discussione a mio modo di vedere dovrebbe considerare.

Intanto una considerazione da fare. Esistono sentenze che non formano ancora un orientamento giurisprudenziale (Marchesiello giustamente diceva che è da vedere se lo saranno) ma sono certamente sentenze indicative di un possibile modello di tutela del diritto alla identità personale: sempre che un diritto di questo genere esista. Valutazione da discutere senza le semplificazioni che sono consentite in sedi diverse da quella scientifica. Vi è comunque una sentenza del pretore di Roma del 1974 che si riferiva al diritto a vedersi attribuita la paternità delle cose che si dicono, che si fanno e si pensano e anche il diritto a non vedersi attribuire intenzioni o non vedersi attribuiti comportamenti diversi da quelli che si hanno, e una decisione della quale dobbiamo pure discutere (relativa ad un'importante personalità del mondo politico) che dovremo qui considerare come un caso clinico per il lavoro degli studiosi, con l'avvertenza che non è semplicemente un fenomeno italiano quello di cui si discorre, perchè n

on soltanto qui si registra una caduta verticale dei valori della persona. E' esperienza generale, e l'esperienza francese offre molte indicazioni utili nella direzione di lavoro che ci siamo assegnata. Dunque, casi clinici, termini chiarissimi del problema dal punto di vista logico e immediatamente politico, questioni più complesse da un punto di vista tecnico-scientifico. Intanto, si pongono le stesse questioni che come giuristi abbiamo sperimentato quando abbiamo discusso i diritti della personalità: dopotutto oggi è acquisita l'esistenza del diritto alla riservatezza, ma molti dei presenti, anche per aver contribuito in modo decisivo a costruire la categoria concettuale del diritto alla riservatezza, ricordano come ci sia stato un ampio terreno di dibattito. I diritti della personalità sono un numero chiuso oppure no? ci si domandava; e se sono un numero chiuso lo sono perchè occorre che un interesse sia giuridicamente configurabile come diritto soggettivo per essere oggetto di tutela? Ma se il problema

fosse solo questo, sappiamo già dall'inizio che sarebbe un falso problema, date le infinite possibilità di manipolazione della categoria concettuale che diritto soggettivo e la estrema ambiguità del concetto. Dunque il non essere concetto codificato è sempre un dato di particolare importanza.

Numero chiuso potrebbe anche significare (ma io tenderei ad escluderlo) che i diritti della personalità e quindi le forme di garanzia della persona sono quelle che corrispondono o a una norma del codice civile o una norma di un alto codice o ad una norma di una qualche legge ancora diversa. Se si dovesse sostenere questo si dovrebbe anche pensare a quali manipolazioni politiche sono possibili per l'utilizzazione del principio del numero chiuso. Ricordiamo che l'idea di numero chiuso in questa fase storica su una scala più generale sembra funzionare poco: si pensi al numero chiuso dei diritti reali, che oggi è tale soltanto per chi non conosce a fondo i diritti reali oppure perchè si privilegia un atteggiamento metodologico di una natura affatto particolare. Sono infiniti i casi di figure che la realtà prospetta e che certamente costituiscono in qualche modo diritto reale.

Il parallelo forse ha un senso, perchè in tutti i settori accanto agli aspetti giuridici si corrispondono anche gli aspetti politici.

Un altro punto di riflessione: vi sono norme che di per sè consentono di accogliere nel sistema una nuova figura quale il diritto alla identità personale? Vale a dire, è sufficiente lavorare sugli artt. 5 ss. del codice civile, sulle norme penali in materia di diffamazione, sul principio costituzionale dell'art. 2, oppure occorre prendere atto che la maturazione del diritto alla identità personale passa invece semplicemente per la via della elaborazione interpretativa da parte del giudice? Se così fosse, sarebbe consigliabile fare quello che non si fa mai nella cultura giuridica italiana e cioè, per l'appunto prendere atto di qualcosa che accade per opera della giurisprudenza. Per chi ha presente l'esperienza francese del diritto alla riservatezza, che al di là delle apparenze (molto sottili) ha contribuito in grandissima parte alle elaborazioni della giurisprudenza può esser chiaro che sulla base di un riferimento molto esile quale è quello offerta dalle norme di responsabilità civile si è radicata la conc

ezione attuale della riservatezza, ben presto superata da un intervento organico del legislatore.

Un ulteriore ordine di problemi è il seguente: posto che vi sia spazio nelle norme o nell'ambito della elaborazione giurisprudenziale per la nuova figura di diritto della personalità, come potrà tecnicamente costruirsi? Un punto importante, presente negli interventi introduttivi, è dato dall'esigenza di costruire un equilibrio razionale tra il militare politicamente per la tutela dei diritti della personalità e il trovare strumenti tecnici che consentano di azionarli. Trovare strumenti tecnici vuol dire, prima di tutto sapere come pensare questo nuovo diritto. Una osservazione di Guido Alpa mi sembra utile a questo riguardo. Studiando la privacy, nel diritto anglo-americano, Alpa rilevava quanto fosse forte la tendenza a configurare quel diritto come un oggetto che ha gli stessi caratteri della proprietà o comunque dei diritti sulle cose. Posto che questa tendenza si è registrata, in modo netto, nella elaborazione francese dei diritti della personalità ed è stata una tendenza "perdente" (nel senso che nessun

diritto della responsabilità o pochissimi e marginali riusciva davvero a rientrare nello schema del diritto reale) la domanda è: sarà producente utilizzare questi modelli concettuali per configurare un diritto di identità personale? Oppure, se non fosse producente, quale altra categoria si dovrebbe adoperare? Su questo punto, non fosse altro per la presenza del prof.Rescigno, sarà mia cura non aggiungere una parola di più su questo tema per lasciare spazio agli interventi di chi davvero domina, in senso letterale, la materia.

Altro ordine di problemi: il rapporto tra la sfera dell'"individuale" e la sfera del "pubblico". Su questo tema credo che occorrano davvero approfondimenti. Io proporrei che si partisse convenzionalmente dall'assunto che l'uomo "pubblico" è oggetto affatto diverso dall'uomo privato e del tutto assoggettabile ad un trattamento differenziato per quanto riguarda l'identità personale. E' un assunto che si dà per acquisto me si deve ancora discutere. Vorrei che questa osservazione fosse colta per la concezione (che implica) uomo pubblico. Voglio dire in modo provocatorio che certamente corrisponde poco alla realtà, la distinzione tra uomo pubblico e uomo privato; anche i giuristi hanno consentito che avesse credito questo assunto, del tutto da verificare, non fosse altro perchè non parliamo più solo dell'uomo pubblico in parlamento: v'è una infinita serie di settori, di presenze che sono tutte qualcosa da definire ma certamente non ascrivibili allo schema classico che rigidamente separa ciò che è privato e da ciò

che è pubblico. Sul terreno molto semplificato ma meritevole di attenzione, credo che valga la pena di discutere del rapporto identità personale /stampa/ uomo pubblico. Vale a dire, per chi preferisce parlare in questi termini, dei problemi relativi al punto di equilibrio tra il diritto di cronaca e di diritti della persona.

Non ho dubbi che in un convegno come questo nessuno starà a discutere sul fatto di quanto è importante il diritto di cronaca, e di quanto è importante il diritto della persona perchè si dovrebbe cercare - mi permetto di esprimermi così perchè questo è un seminario - di cominciare un passo più in là dei luoghi comuni in questa materia.

Infine, ancora tre angoli di osservazione che accenno semplicemente. Il rapporto tra il diritto alla identità personale e la problematica dello status, in un'epoca storica dove, copio da Pietro Rescigno, gli status sembrano rivivere o nascere in forme nuove nella misura in cui il bisogno di sicurezza prevale sulla tensione alla libertà. Ecco, con questa espressione Rescigno, con quella sua maniera pacata di dire cose sostanzialmente terribili, insiste sul riemergere dello status. Inteso come tale il fatto che per esempio l'alienato di mente, il militare, il lavoratore (per fare esempi ovviamente diversissimi tra di loro) vengono ripensati in quanto portatori di uno stato giuridico particolare. Che incidenza vi è nella problematica dello status sul tema che stiamo trattando. Infine la strumentazione del diritto, dei mezzi di tutela, vale a dire l'azione inibitoria, l'azione di risarcimento del sanno, la liquidazione del danno. Forse c'è qualche cosa di più nel senso che ancora in una esperienza neanche molto

marginale qual'è l'esperienza francese, si sono elaborati, inventati, qui non è questione di parole, mezzi di tutela diversa sia dall'azione inibitoria e dal risarcimento del danno, che non hanno l'estremo decoro delle costruzioni concettuali alle quali siamo abituati ma mi pare che in pratica tendano a funzionare. Varrà la pena di lavorare anche in questa direzione.

Infine il quesito relativo alla possibilità di estendere ai gruppi le medesime forme di protezione che si assicurano ai singoli. Nella impostazione che si dava al problema si considera il gruppo concepito non come "armata" o come "chiesa", piuttosto come famiglia (si intende dire i "membri" della famiglia) come associazione (o partito politico) come di lavoro. Mi sembra chiaro che anche per il gruppo esiste il problema di combattere i fenomeni che all'inizio mi sembrava di potere vedere come fenomeni di disgregazione della identità personale: sono appunto questi i temi che mi sembra potrebbero essere in una prima fase di discussione approfonditi.

 
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