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Pannella Marco - 21 marzo 1980
Diritto, diritti, cronaca: una riflessione sull'identità personale.
di Marco Pannella

"IL DIRITTO ALLA IDENTITA' PERSONALE", seminario promosso dal "Centro di iniziativa giuridica Piero Calamandrei", Genova, Palazzo Doria, 21, 22 marzo 1980

SOMMARIO: Marco Pannella intervenendo nel dibattito afferma che "il problema è il bene del diritto di ciascuno a conoscere la vera identità degli altri, la vera storia degli altri" e quindi "il diritto della società a non essere acciecata dalla falsità che si racconta sulla identità altrui". Su questa questione sono messi in gioco due beni, la vita di un politico, di un artista ma molto spesso di un cittadino qualsiasi che può essere presentato dai mass media come colpevole di una infamia senza poter esercitare alcuna difesa efficace della sua identità e dall'altra l'editore che rischia, da un processo per diffamazione, al massimo qualche milione. Ma la stessa possibilità di organizzazione democratica è minacciata dalla mancata tutela delle singole identità, dalla impossibilità di conoscere e riconoscere le singole identità che si contrappongono dialogicamente nel confronto politico: le cose che non si sentono si crede che non ci siano. La gente è sorda senza sapere di essere sorda, perché ha l'impressione,

magari, di ricevere informazioni. Rischia quindi di affermarsi un ordine legato esclusivamente al principio della verità non dialogica, della verità assoluta di cui è tutore il clero dello Stato.

(IL DIRITTO ALLA IDENTITA' PERSONALE, CEDAM, PADOVA 1981)

Non sono estraneo a questi problemi; nel senso che le vicende politiche e personali, ormai da venti anni, mi hanno portato ad essere sotto vari aspetti un frequentatore di Palazzo di Giustizia; per vicende giudiziarie varie, sia come imputato sia come parte civile; anzi - debbo dire - sempre più come parte civile. In tema di diffamazione mai in proprio, in quanto imputato, ma solo per quelle direzioni di giornali che assumevo pur non essendo d'accordo col contenuto, in difesa dell'art. 21 della Costituzione; quando dichiaravo di assumere la direzione - che so io - di "Lotta Continua" per protestare contro una legge che ritenevamo fascista, o comunque tale da impedire l'esercizio dei diritti fondamentali a un giornale, a un gruppo di giornalisti, o a un gruppo politico.

Al di là di questo dato di cronaca io comunque, intellettualmente e concettualmente, questo tema l'ho trovato - da radicale, da liberale o chiamatelo come volete - sempre al centro della mia e dell'altrui esistenza, nella presa d'atto e di coscienza della società democratica non-violenta, fondata sul dialogo, tanto più mi interessa il bene della verità storica, e il bene della verità della "natura" delle storie e delle identità di ciascuno. Il bene dell'informazione leale e corretta del cittadino, perché egli possa conoscere e scegliere con cognizione di causa in tema - appunto - di identità degli altri individui e degli individui politici (non solo, ma anche dei produttori, anche dei soggetti economici, soggetti non solo del potere politico e via dicendo), tutto questo ordine di problemi mi pare sia fondamentale proprio per la crisi della società dialogica, dei non-violenti, dove il diritto e i diritti costituiscano veramente - il rispetto delle regole del gioco! - l'alternativa alle diverse società, disper

atamente violente, che abbiamo dinanzi a noi; disperatamente violente, tutte (...).

Devo dire infatti che il problema è il bene del diritto di ciascuno a conoscere la vera identità degli altri, la vera storia degli altri. Questo è il dato centrale; non solo quindi - come ho udito dire fino ad adesso - tutta la selva dei motivi che vengono fuori dal tradizionale diritto all'immagine, al diritto dell'identità personale vista come diritto e direi come necessità vitale per l'individuo di fronte al nuovo Leviatano. C'è quest'altro aspetto: il diritto della società a non essere acciecata dalla falsità che si racconta sulla identità altrui: che può essere l'identità del politico o l'identità dell'industriale, che ora viene presentato come un feroce assassino o, magari altrettanto indebitamente, come un benefattore attraverso la ricerca del profitto della sua società; con la necessità quindi da una parte e dall'altra di falsare la storia reale di quell'industriale, di quelle vicende economiche.

Se potessi esprimere un auspicio è che il rilancio della ricerca, della dottrina e della giurisprudenza, della riflessione, della teoria giuridica - quanto più "pure" e rispondenti deontologicamente ai propri interrogativi - che già viene testimoniato da questo e da alcuni convegni precedenti, possa trovare una accelerazione; per la consapevolezza di ogni cittadino, di ogni politico, della estrema importanza a che vengo messo sempre più in azione anche questo settore del diritto, non a caso - a mio avviso - non sollecitato e particolarmente aiutato da nessun grande potere, né di Stato né privato.

Esistono infatti - non dobbiamo farci illusioni esistono settori del diritto, della riflessione, della dottrina e magari della giurisprudenza che sono attivati dall'impulso, dall'interesse - spesso anche legittimo - di grandi forze economiche, ideologiche. E non è a caso che su certi temi si sono avute grandi lotte di pressione, si sono mossi grandi interessi, come per esempio sul diritto del lavoro, per i quali c'è stata una grossa sollecitazione alla produzione scientifica, o anche dibattimentale e ideologica; mentre invece su questo tema, che riguarda la comunicazione, l'identità, ecco, mi pare che non ci si muova. Chi lavora e riflette su questo tema si trova, proprio in termini di deontologia professionale, giuridica e anche universitaria, scarsamente sollecitato dalla attenzione degli organizzatori di cultura, oltreché dagli organizzatori - magari - della cultura universitaria.

Quindi il rispetto delle identità, della immagine fisica e ideale (ciascuno di noi, a seconda della sua origine, dirà spirituale, morale, ideale, civile, sociale, ecc.) il rispetto - ecco - di questa verità storica è necessità della società: nella società di oggi, non solo e ancora più che dell'individuo.

O, se volete, sono ancor più interessato a questo, perché nel momento in cui la speranza democratica (che si fonda sul fatto che la via meno peggiore di formazione della volontà sociale - e dell'ordine - è quello della lentocrazia democratica, rispetto all'efficientismo delle varie soluzioni di Stato autoritario) ha il presupposto che questa utopia democratica, che alcuni dicono fallita, invece albeggia appena - la democrazia politica vera nella nostra storia è fatto reale da un secolo, un secolo e mezzo, cioè un nulla, o ben poco - allora io sono portato a difendere la necessità della soggettività, l'appassionata soggettività.

E' questa intuizione, ad esempio, (per la quale sono stato polemico nei confronti dei socialisti, polemico al massimo) che conteneva in sé quello che Benedetto Croce aveva individuato fino alla nausea; sempre, in ogni convegno e riunione dicevo, e a me stesso, che l'appassionata soggettività al servizio della verità ideologica - che contiene appunto in sé l'anticorpo rettificante la soggettività - produce imparzialità: perché chi legge l'invettiva si fa avvertito, corregge: sa della non attendibilità rispetto alla verità oggettiva. E da chi? Ma dal polemista! Invece oggi, con i mass-media, gli audiovisivi, la presentazione sotto la specie di "cronaca" (tutto è cronaca: cronaca di un pensiero, cronaca di un intervento, ecc.) delle cinquemila frasi dette in un congresso se ne scelgono - per esercitare il diritto di "cronaca" - due, tre, quattro, cinque. Vediamo subito che questa in realtà è una interpretazione soggettiva. E invece no, tutto si presenta - non a caso - come notizia oggettiva. Ecco che rischia di

trovare un campo sempre più immenso la deturpazione e della verità e dell'identità, dell'immagine dell'altro.

Teniamo poi presente altri settori di riflessione giuridica: che cosa sta accadendo della privacy dell'individuo in una società della telematica; nella quale, con una carta d'identità, si rischia di fornire allo Stato una somma di informazioni vere o false, su se stessi, delle quali non si è nemmeno al corrente e che non si può nemmeno poi leggere (in Francia questo tentativo sta per realizzarsi). Ci renderemo allora conto della disgregazione vera e propria operata dall'aggressione violenta iscritta nelle logiche di sviluppo delle strutture, anche giuridiche, che abbiamo dinanzi, che significhi la mancata difesa di questo bene: dico innanzitutto del bene sotto il suo aspetto sociale e poi anche del bene della vita, perché l'identità, l'immagine è, per tutti, vita. Pensate a quanto accade nel paesetto, dove la conoscenza che la gente ha di te ti rende felice o infelice se è distorta, se c'è il sospetto. Lì c'è, pensavamo, l'immagine reale, il "tessuto" funziona. E pensavamo che invece nella società urbana l'i

ndividuo molto spesso non è addirittura conosciuto dall'altro...

No, qui esistono meccanismi ancora più gravi. E quanto capita al cantante, all'artista (non stiamo sempre, necessariamente, sul politico). Quando "Novella 2000", o un giornale di questo tipo, per una logica da editoria pura, per tirare di più provocasse - diciamo - il suicidio di un artista o che so io; se dietro il suicidio di Tenco ci fossero per motivi commerciali dei meccanismi che avessero distorta la sua immagine, l'esistenza, ecco...

Da una parte mettiamo insomma questo bene, l'identità e la vita - d'altra parte sappiamo che la "natura" è la storia di ciascuno, le cose che uno fa - quando su questo si verifica una distorsione, dall'altra parte che cosa rischiamo di avere? Un processo per diffamazione. E quando anche lo si vincesse in sede penale, o anche in termini di danno, poi chi vince deve dichiarare che il milione, i due milioni lui li dà agli organelli. Perché è una vergogna, in fondo, chiedere un milione all'editore di miliardi che mente costantemente.

Rendiamoci conto che già questo non è un caso; che il disordine attualmente esistente o regnante in questo settore corrisponde a interessi ben precisi; e da una parte c'è, potenzialmente, in gioco non solo la vita di un politico, la vita di un artista, ma - molto di più - la vita di un cittadino qualsiasi. Basta considerare il caso di un cittadino, un innocente, che in base a una omonimia, o chissà quali altri meccanismi, grazie alla televisione o alla radio, viene dato come colpevole di un'infamia. E' come la mafia! A Marsiglia infatti la mafia, la malavita cosa fa? Naturalmente, quando c'è un delitto, consegna spesso alla polizia un innocente, un piccolo malvivente colpevole di altro, per proteggere l'autore vero del delitto.

Noi abbiamo avuto vari episodi. Il caso Arancio - facciamo un esempio preciso - condannato all'ergastolo. Arancio ha rischiato la morte, poi l'ergastolo, poi noi riuscimmo a dimostrare alcune cose. Ebbene, in questo caso davvero la persona è morta, perché probabilmente è morta la sua possibilità di vivere nel proprio ambiente. E dall'altra parte? Dall'altra c'è l'editore: il cui rischio maggiore - egli per deontologia ricerca il profitto, cioè denaro - è appunto un milione, o anche dieci milioni. E' qui il problema della vita. Io non credo che il valore della vita possa essere cifrato, nel senso che nessuna vita vale un prezzo, e non si può spegnere una vita per nessuna somma; ma la vita spenta, una vita lesa, accidenti se ha un prezzo!

Ma nella vita della democrazia il diritto di negare l'identità di un partito... e qui arriviamo: in ipotesi, cosa fanno gli stati autoritari? Una volta avevano bisogno del maresciallo dei carabinieri o del portiere pubblico ufficiale, come d'altra parte volevano fare a Torino il sindaco Novelli e il P.C.I.: lo avevamo già negli anni '30 il portiere con certe funzioni di ordine pubblico e di difesa della patria. Ma quale è la realtà dello Stato di oggi? Non abbiamo bisogno del portiere né dello spione che va di casa in casa, perché a casa abbiamo la televisione, abbiamo la telematica e tante altre cose simili che, attraverso un gioco puro e semplice di omissione di informazione e di informazione distorta, possono spegnere alla radice la possibilità che vengano scelte idee - nemmeno persone - contrarie a quelle del potere; per l'ottimo motivo che l'attore della scelta democratica non saprà, non conoscerà i termini della scelta, i reali termini della scelta (...).

La carta costituzionale è anche diritto. Consentitemi di dire anche, perché c'è da vergognarsi a dire è diritto, perché fra cose scritte, ordinatorie, perentorie e via dicendo, quando uno dice che la Costituzione è la legge viene trattato molto spesso con sufficienza, quasi fosse un ignorante o un invasato. Ma se la Costituzione è anche la legge e se questa detta la scelta di civiltà giuridica per affermare che cosa è l'ordine, la prevenzione sociale per battere chi delinque, è una scelta di civiltà giuridica. Ogni giorno, invece, mano a mano, contro il diritto e la vita dilagano queste violenze di una risposta che è dello stesso tipo e convergente con quella dei terroristi, cioè si sceglie di colpire la civiltà giuridica di Beccaria, la civiltà giuridica costituzionale. Si colpisce sempre più con norme d'eccezione, affidando alla entità della pena e non alla certezza le funzioni di prevenzione.

Così ad esempio non è stato possibile dire che l'ostruzionismo alla Camera era confronto tra due visioni giuridiche, fra due civiltà giuridiche, mentre veniva comunicato alla gente, semplicemente, che c'era altra gente lì dentro il Parlamento che era contro le leggi antiterrorismo. Non c'è stato un dibattito, nemmeno uno, alla TV, e nemmeno su un giornale italiano, in quei dieci giorni, a dire il perché di quei dodici anni, dieci e mezzo, di detenzione preventiva. Ecco, non serve il diritto. Non si dice che quella gente lì in Parlamento faceva ostruzionismo per ottenere il 3 per cento invece dello 0,65 per cento (...). Quando accade questo, scusatemi, c'è poi da meravigliarsi se si dice che il cittadino italiano vuole la pena di morte e non vuole Beccaria? Certo, lui non sa, nessuno sa quali sono veramente i termini del dibattito: così dunque si assassina la verità, la democrazia, e si creano anche i presupposti per i linciaggi morali e politici, i linciaggi della identità, nella fattispecie quella radicale

o dei venti parlamentari e dei nonviolenti che poi digiunano per i terroristi...

Chiedo scusa perché temo di essere stato non solo troppo lungo ma anche confuso: mi importava dare questa testimonianza. Alle cose di estrema importanza che abbiamo inteso e continueremo ad intendere qui, forse va riconosciuto questo valore aggiunto: che nella ricerca, non solo della tutela, ma dell'affermazione dell'identità, nella difesa della storia, e quindi della natura delle singole identità, in realtà è compresa - ancor prima e ancor più - la difesa dell'unica possibilità di organizzazione democratica, attraverso il gioco non-violento, dialogico; cioè la conoscenza delle esistenze, delle identità e dei valori contrapposti da parte dell'attore democratico, cioè del cittadino non-violento, dialogico.

Togliere la verità e l'importanza della identità, dell'immagine e a mio avviso avrete reso quel soggetto cieco, zoppo, sordo materialmente: le cose che non si sentono si crede che non ci sono. La gente è sorda senza sapere di essere sorda, perché ha l'impressione, magari, di ricevere informazioni. La gente è cieca perché fra alcune liste - alcune, perché altre le ritiene al di fuori dell'orizzonte dell'assennatezza e della difesa dell'ordine - viene avanti la vecchia via, ecco, appunto, dell'affermazione dell'ordine come legato unicamente, nella sua possibilità storica, al principio della verità non dialogica, della non pluralità (non del pluralismo) delle identità storiche e personali, per arrivare invece alla verità assoluta di cui è tutore il clero dello Stato, magari ateo (non quello laico); fatalmente poi ci si meraviglia se non si riconosce la identità altrui, non si riconosce manco più la propria: non si riconosce nemmen più in che mondo si vive.

Per questo mi auguro che da più parti venga il massimo di aiuto e di pungolo - anche il pungolo della critica - perché se non riusciamo a portare avanti questo tipo di scienza, di ricerca scientifica - con la sua relatività storica ma con la sua assolutezza di verità relativa nel momento in cui la prendiamo in considerazione e dobbiamo metterla in circolazione - io credo che davvero vivremo sempre di più in un paese in cui chi si occupa di diritto dovrà farlo nelle catacombe, perché solo l'occuparsi seriamente di diritto già rischia di essere un fatto esplosivo. (A causa di difficoltà tecniche, la trascrizione dell'intervento di Marco Pannella è, in alcune parti, incompleta).

 
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