Misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblicaSOMMARIO: Scheda sul referendum abrogativo delle norme che concedono poteri straordinari alle forze di polizia, promosso dal Partito radicale. Ordinanza della Corte di cassazione e sentenze della Corte costituzionale.
(IL REFERENDUM ABROGATIVO IN ITALIA: LE NORME, LE SENTENZE, LE PROPOSTE DI MODIFICA - CAMERA DEI DEPUTATI - QUADERNI DI DOCUMENTAZIONE DEL SERVIZIO STUDI, Roma 1981)
"26 giugno 1980": presentazione della richiesta
"2 dicembre 1980": ordinanza Ufficio centrale Cassazione che dichiara legittima la richiesta
"Decreto legge 12 dicembre 1980 n. 851" »Proroga della durata dell'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 6 del decreto legge 15 dicembre 1979 n. 625, convertito nella legge 6 febbraio 1980 n. 15
"9 febbraio 1981": sentenza n. 22 Corte costituzionale che dichiara ammissibile la richiesta ad eccezione dell'articolo 6
"13 febbraio 1981": Legge n. 18 »Conversione in legge del decreto legge n. 851
"5 marzo 1981": ordinanza Ufficio centrale Cassazione con cui si dispone che le operazioni referendarie si svolgano sul quesito relativo alla legge 15/1980 come modificato, nell'articolo 6, dal decreto legge 12 dicembre 1980 n. 851, convertito nella legge 13 febbraio 1981 n. 18
"23 marzo 1981": sentenza n. 48 Corte costituzionale che dichiara ammissibile la richiesta di "referendum" come modificata per effetto dell'ordinanza del 5 marzo
"24 marzo 1981": D.P.R. di indizione del "referendum"
"17-18 maggio 1981": svolgimento del "referendum"
voti attribuiti alla risposta affermativa (sì): 4.636.809
voti attribuiti alla risposta negativa (no): 26.524.667
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Corte di cassazione - Ufficio centrale per il referendum
Ordinanza 2 dicembre 1980
Sulla richiesta di "referendum" abrogativo del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625, convertito in legge con legge 6 febbraio 1980, n. 15 (conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625, concernente misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica).
"Ritenuto in fatto e in diritto"
- che il 14 febbraio 1980 nella cancelleria di questa Corte Suprema i diciotto cittadini italiani Mellini Mauro, Aglietta Maria Adelaide, Fortuna Loris, Rippa Giuseppe, Stanzani Ghedini Sergio Augusto, Vigevano Paolo, Cherubini Laura, Pergameno Silvio, Passeri Maria Grazia, Sappia Marco, Viviani Agostino, Bandinelli Angiolo, Ramadori Giuseppe, Bottaccioli Francesco, Berger Franca, Candido Aurelio, Casuscelli Evelina, Di Lascia Maria Teresa Giuseppina (meglio specificati in verbale) dopo aver documentato la loro qualità di elettori, dichiararono di voler promuovere, in base all'articolo 75 della Costituzione e agli articoli 7 e 27 della legge 25 maggio 1970, n. 352 e successive modificazioni, la raccolta di almeno 500.000 firme di elettori per la richiesta di "referendum" popolare sul seguente quesito: »Volete voi l'abrogazione del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625, convertito in legge con legge 6 febbraio 1980, n. 15 (conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625, c
oncernente misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica)? ;
- che l'annuncio di tale iniziativa fu pubblicato nella "Gazzetta Ufficiale" n. 45 del 15 febbraio 1980;
- che successivamente il 26 giugno 1980 i promotori Rippa Giuseppe, Cherubini Laura, Passeri Maria Grazia, Pergameno Silvio, Vigevano Paolo e Mellini Mauro, riferendosi alle dichiarazioni di cui al verbale del 14 febbraio 1980, presentarono formale richiesta del "referendum" sopra indicato, depositando ai sensi dell'articolo 28 della legge 25 maggio 1970, n. 352 e successive modificazioni n. "580" scatole - nelle quali dichiararono racchiusi fogli contenenti oltre "600.000" firme di cittadini italiani elettori per la Camera dei Deputati, nonché "37" scatole - contenenti certificazioni di iscrizione nelle liste elettorali;
- che, con analoghe modalità, il successivo giorno 27 giugno 1980 i promotori Cherubini Laura, Passeri Maria Grazia e Pergameno Silvio depositarono altre "due" scatole - nelle quali dichiararono essere contenuti fogli con "oltre 2.000" firme di elettori; nonché "1" scatola contenente certificazioni di iscrizione nelle liste elettorali;
- che il 25 settembre 1980 gli stessi tre promotori depositarono altre "4" scatole nelle quali dichiararono essere inclusi fogli contenenti "2.500" firme di elettori, nonché "4" scatole contenenti certificazioni di iscrizione nelle liste elettorali;
- che nel frattempo questo Ufficio Centrale, in vista della complessità delle operazioni per ottenere la maggior precisione possibile dei calcoli da farsi aveva, con verbale del 4 luglio 1980, richiesto al Signor Primo Presidente ai sensi dell'articolo 6 della legge 22 maggio 1978, n. 199 di essere autorizzato ad avvalersi della collaborazione del Centro Elettronico di documentazione esistente presso l'Ufficio del Massimario e del ruolo di questa Corte Suprema di Cassazione, oltre che dei magistrati appartenenti all'Ufficio suddetto, nonché di un consistente ufficio di segreteria e personale ausiliario;
- che l'autorizzazione era stata concessa con decreto 5 luglio 1980 del Primo Presidente, il quale, con altro decreto, aveva messo a disposizione dell'Ufficio Centrale i magistrati, i funzionari e l'altro personale richiesto;
- che dal 7 al 9 luglio l'Ufficio Centrale procedette all'apertura dei plichi ed all'identificazione dei fogli mediante timbratura e numerazione progressiva, fogli che furono poi ricollocati in altrettanti pacchi, debitamente numerati e sigillati;
- che le operazioni di verifica relative alle dodici proposte referendarie tra cui la presente, complessivamente depositate entro il 30 settembre 1980 si sono svolte ed esaurite nel periodo dal 22 settembre al 29 novembre 1980;
- che il "referendum" in esame, conformemente ai dati ricavati dall'elaboratore elettronico ha raggiunto e superato il numero di 500.000 sottoscrizioni regolari richiesto dalla legge;
- che quindi l'operazione può dichiararsi chiusa, non essendovi materia per gli ulteriori adempimenti di cui ai commi terzo, quarto, quinto, sesto dell'art. 32 della legge n. 352 del 1970;
- che, pertanto, si dà atto:
a) che la richiesta è stata preceduta dall'attività di promozione conforme ai requisiti di legge;
b) che essa è stata presentata da soggetti che vi erano legittimati;
c) che il deposito è avvenuto nel termine di tre mesi dalla data di vidimazione dei fogli regolari;
d) che la richiesta di abrogazione del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625, convertito in legge 6 febbraio 1980, n. 15 (conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625, concernente misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica) è stata regolarmente formulata e trascritta nella facciata contenente le firme di ciascun foglio;
e) che il numero definitivo delle sottoscrizioni regolari supera quello di 500.000 voluto dalla legge;
considerato che il compito dell'Ufficio Centrale consiste nella verifica della legittimità formale della proposta di "referendum", implicante il riscontro del rispetto dei limiti modali e temporali di questa;
- che relativamente all'oggetto del "referendum", qualora non vi sia questione di concentrazione con altri "referendum", spetta a questo Ufficio constatare esclusivamente se l'atto considerato è una legge o un atto normativo avente forza di legge e se al riguardo è intervenuta abrogazione legislativa o sentenza dichiarativa di illegittimità costituzionale;
- che nella specie è indubbio il carattere legislativo dell'atto normativo sottoposto a "referendum";
- che al momento della presente deliberazione non assume rilievo l'efficacia limitata nel tempo dell'articolo 6 della legge;
- che al riguardo non sono intervenuti atti di abrogazione, né pronunce di illegittimità costituzionale.
Per questi motivi, letti gli articoli. 75 della Costituzione 8, 9, 27 e 32 della legge 25 maggio 1970, n. 352 e successive modificazioni;
L'Ufficio Centrale per il "referendum" dichiara legittima la richiesta di "referendum" popolare sul seguente quesito: »Volete voi l'abrogazione del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625, convertito in legge con legge 6 febbraio 1980, n. 15 (conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625, concernenti misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica)? .
Dichiara cessate le operazioni di sua competenza relative a questa fase del "referendum".
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Corte costituzionale
Sentenza 9 febbraio 1981, n. 22
La Corte costituzionale ha pronunciato la seguente sentenza nel giudizio sull'ammissibilità, ai sensi dell'articolo 2, comma primo, legge cost. 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di "referendum" popolare per l'abrogazione del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625, convertito in legge con legge 6 febbraio 1980, n. 15 (conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625, concernente misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica) (n. 13 reg. ref.).
Vista l'ordinanza 2 dicembre 1980 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato legittima la suddetta richiesta;
udito, nella camera di consiglio del 14 gennaio 1981, il Giudice relatore Antonino De Stefano;
uditi l'avv. Mauro Mellini per il Comitato promotore del "referendum" e l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri.
"Ritenuto in fatto":
L'Ufficio centrale per il "referendum" costituito presso la Corte di cassazione, ha esaminato, in applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, e, successive modificazioni, la richiesta di "referendum" popolare, presentata il 26 i giugno 1980 da Rippa Giuseppe, Cherubini Laura, Passeri Maria Grazia, Pergameno Silvio, Vigevano Paolo e Mellini Mauro, sul seguente quesito »Volete voi l'abrogazione del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625, convertito in legge con legge 6 febbraio 1980, n. 15 (conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625, concernente misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica) ?
Con ordinanza del 2 dicembre 1980, depositata in pari data, l'Ufficio centrale ha dato atto che la richiesta è stata preceduta dall'attività di promozione conforme ai requisiti di legge, che è stata presentata da soggetti che vi erano legittimati, che il deposito è avvenuto nel termine di tre mesi dalla data di vidimazione dei fogli, che la richiesta di abrogazione del su indicato decreto legge n. 625 del 1979, convertito con modificazioni in legge n. 15 del 1980 e stata regolarmente formulata e trascritta nella facciata contenente le firme di ciascun foglio, che il numero definitivo delle sottoscrizioni regolari supera quello di 500.000 voluto dalla Costituzione; e considerato che è indubbio il carattere legislativo dell'atto normativo sottoposto a "referendum" che »al momento della presente deliberazione non assume rilievo l'efficacia limitata nel tempo dell'articolo 6 della legge , e che al riguardo non sono intervenuti atti di abrogazione, ne pronunce di illegittimità costituzionale, ha dichiarato legitt
ima la richiesta anzidetta.
Ricevuta la comunicazione dell'ordinanza, il Presidente di questa Corte ha fissato per la conseguente deliberazione il giorno 14 gennaio 1981 dandone a sua volta comunicazione ai presentatori della richiesta ed al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'articolo 33, comma secondo, della legge n. 352 del 1970.
In una memoria presentata il 10 gennaio 1981, il Comitato promotore pur contestando, in via di principio, la legittimità del criterio della »omogeneità del quesito (come degli altri limiti di ammissibilità del "referendum" abrogativo enunciati nella sentenza di questa Corte n. 16 del 1978) osserva che comunque, nel caso, la richiesta di "referendum" non troverebbe in quel criterio alcun ostacolo.
Il provvedimento legislativo in questione, emanato, con decreto legge, a »tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica , per fronteggiare una situazione di emergenza, ha infatti carattere di legge speciale. Non diversamente, ed anzi in modo ancor più accentuato, di quelle della legge n. 152 del 1975, c.d. legge Reale (analoga per oggetto e riguardo alla quale, con la sentenza anzidetta, la richiesta di "referendum" allora presentata fu ritenuta conforme al suddetto criterio) le sue disposizioni obbediscono tutte ad una unica ratto politica. Anche in questo caso, perciò, secondo il Comitato promotore, la richiesta di "referendum" dovrebbe essere dichiarata senz'altro ammissibile.
Anche l'Avvocatura dello Stato, per il Presidente del Consiglio dei ministri, ha presentato, in data 10 gennaio 1981, una memoria, in cui sostiene che la richiesta di "referendum" va dichiarata inammissibile. A suo avviso, infatti, una ragione di inammissibilità (diversa da quella della varietà ed eterogeneità dei contenuti normativi) è da individuarsi nel carattere transitorio dell'ultimo comma dell'articolo 6 (norma di importanza tutt'altro che secondaria), che disciplina il c.d. fermo di polizia. In virtù dell'ultimo comma dell'articolo 6 le disposizioni di quell'articolo si applicano per la durata di un anno dall'entrata in vigore del decreto legge. Perciò, anche se questo termine è stato recentemente prorogato (con decreto legge 12 dicembre 1980, n. 851) di sessanta giorni, le disposizioni stesse cesseranno di aver vigore ben prima della domenica in cui ai sensi dell'articolo 34 della legge 352 del 1970, la consultazione popolare può aver luogo. Ora, osserva l'Avvocatura, così come è da escludersi - lo
si desume sia dall'articolo 75, comma primo, della Costituzione, sia dagli articoli 37 e 39 della legge n. 352 del 1970 - che il "referendum" possa svolgersi su disposizioni di leggi abrogate, o dichiarate costituzionalmente illegittime, ugualmente deve dirsi che il "referendum" non può svolgersi su norme il cui vigore sia cessato, come nel caso, per la scadenza del termine finale stabilito nella legge stessa per il vigore delle disposizioni che essa contiene. Ad avviso dell'Avvocatura, però, in tale ipotesi, competente a rilevare questa impossibilità non può essere la Corte di cassazione, in applicazione analogica dell'articolo 39 della legge n. 352, ma la Corte costituzionale, in sede di verifica di ammissibilità della richiesta. L'articolo 39 della legge n. 352, infatti, prevede un fatto - l'abrogazione - estraneo alla legge oggetto del "referendum". Nella specie, invece, la impossibilità dello svolgimento del "referendum" deriva direttamente dal contenuto della legge che ne costituisce l'oggetto, e vizia
quindi, fin dall'origine, la relativa richiesta. Si tratta quindi di un vizio, che consiste nella illegittimità costituzionale della richiesta, che risulta rivolta ad uno scopo diverso da quello - l'abrogazione della legge - indicato dall'articolo 75, primo comma, della Costituzione e che perciò deve essere rilevato dalla Corte costituzionale a' sensi dell'articolo 33, commi terzo e quarto, della legge n. 352 del 1970.
Ad integrazione del contraddittorio espressamente previsto dall'articolo 33, comma terzo, della legge n. 352 del 1970, nella camera di consiglio del 14 gennaio 1981 sono stati uditi l'avv. Mauro Mellini, per il Comitato promotore, e l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri. Il primo ha criticato le deduzioni svolte nella memoria dell'Avvocatura dello Stato osservando in particolare che non si può pervenire alla inammissibilità della richiesta referendaria di un intero atto normativo sulla base della eventuale non vigenza di una singola disposizione e richiamate le argomentazioni contenute nella memoria del Comitato, ha insistito per l'ammissibilità. Dal suo canto, l'avvocato dello Stato Azzariti ha ribadito la estraneità del decreto legge, che proroga la vigenza dell'articolo 6, al quesito; e richiamandosi alla memoria ha insistito per la inammissibilità della intera richiesta referendaria, in conseguenza della sua inscindibilità.
"Considerato di diritto":
Oggetto della richiesta di "referendum" abrogativo, dichiarata legittima con ordinanza del 2 dicembre 1980, in applicazione dell'articolo 32 della legge 25 maggio 1970, n. 352, dall'Ufficio centrale per il "referendum", costituito presso la Corte di cassazione, è il d.l. 15 dicembre 1979, n. 625, convertito, con modificazioni, nella legge 6 febbraio 1980, n. 15.
Va innanzi tutto rilevato che di tale provvedimento l'articolo 6 (che disciplina l'istituto del c.d. »fermo di pubblica sicurezza ) recita testualmente, al suo ultimo comma: »Le disposizioni del presente articolo si applicano per la durata di un anno dall'entrata in vigore del presente decreto . Per effetto dell'articolo 15, il decreto è entrato in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella "Gazzetta Ufficiale (17 dicembre 1979). Non essendo scaduto l'anno, le disposizioni dell'articolo 6 erano tuttora applicabili »al momento della deliberazione dell'Ufficio centrale, che di ciò ha dato esplicito atto nella ricordata ordinanza del 2 dicembre 1980, precisando che a tale momento »non assume rilievo l'efficacia limitata nel tempo della norma in parola. Successivamente, per effetto dell'articolo 1 del d.l. 12 dicembre 1980, n. 851, la durata dell'applicazione delle disposizioni dell'articolo 6 è stata prorogata di sessanta giorni a decorrere dalla scadenza del termine fissato nell'ultim
o comma dell'articolo medesimo. Ne consegue che la richiesta referendaria, sulla quale deve ora pronunciarsi la Corte, comprende una norma, la cui perdurante efficacia è dovuta al combinato disposto del suo ultimo comma (sul quale l'Ufficio centrale ha già portato, come su tutte le altre disposizioni, il suo favorevole esame) e dell'articolo 1 del d.l. n. 851 del 1980 (emanato successivamente alla deliberazione dello stesso Ufficio). La nuova norma ha modificato, sotto il profilo della durata, la precedente: compete pertanto, all'Ufficio centrale - secondo quanto affermato nella sentenza di questa Corte n. 68 del 1978 - valutare se la richiesta referendaria debba estendersi alla nuova disciplina, sopravvenuta, dopo la sua ordinanza, nel corso del procedimento. In caso positivo, solo dopo la delibera in tal senso adottata dall'Ufficio centrale la Corte potrà verificare se il nuovo disposto, risultante dal concorso delle due norme, debba venir ammesso alla consultazione referendaria. Allo stato, la Corte ritie
ne di dover procedere alla verifica dell'ammissibilità del quesito, escludendo dall'esame e dalla conseguente pronuncia tanto il menzionato articolo 6, che nella sua portata originaria non sarebbe più applicabile quanto la norma di proroga che non è contemplata dal quesito, nei termini dichiarati legittimi dall'Ufficio centrale con l'ordinanza del 2 dicembre 1980.
Va poi respinta la tesi dell'Avvocatura dello Stato, secondo la quale la »transitorietà dell'articolo 6 (su cui per quanto innanzi detto la Corte non porta il suo esame) condurrebbe, non alla esclusione dal presente giudizio del solo articolo, ma alla inammissibilità dell'intera richiesta, in ragione della asserita sua inscindibilità. La esclusione di alcune disposizioni non impedisce invero che le altre, rimaste oggetto dell'unica richiesta referendaria (che, pertanto, in tale ipotesi non si scinde in più richieste), vengano unitariamente assoggettate alla consultazione popolare, a meno che, proprio per effetto dell'esclusione, non resti in concreto vulnerata la necessaria omogeneità del quesito. In tale senso, del resto, si è già proceduto in ordine alla richiesta di "referendum" per l'abrogazione della legge 22 maggio 1975, n. 152, che fu in un primo tempo, con la sentenza n. 16 del 1978, dichiarata ammissibile »ad eccezione dell'articolo 5 (sostituito dall'art. 2 della legge 8 agosto 1977, n. 533) ; ed
in un secondo tempo, a seguito di nuova ordinanza dell'Ufficio centrale, dichiarata, con sentenza n. 70 del 1978, ammissibile »anche in ordine all'articolo 5 della legge stessa, come modificato dall'articolo 2 della legge 8 agosto 1977, n. 533 .
Le altre disposizioni del d.l. n. 625 del 1979, come modificato dalla legge di conversione n. 15 del 1980, appaiono informate, pur nella varietà dei loro contenuti, ad un principio comune, che conferisce alla materia disciplinata un connotato di sostanziale unitarietà. Come si desume, infatti, dallo stesso suo titolo, l'atto legislativo investito concerne »misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica : esso, pertanto, si colloca storicamente in una fase di emergenza, che ha determinato il legislatore ad apportare modifiche all'intero sistema di prevenzione e repressione nell'ambito penale, in funzione preminente, appunto, della lotta al terrorismo ed alla delinquenza comune: »Si tratta di difendere concretamente i valori di libertà, di sicurezza e di giustizia che la Costituzione afferma , leggesi nella relazione che accompagna il disegno di legge per la conversione del decreto in parola, e le adottate misure »ambiscono a realizzare un sistema ben coordinato di norme, senza
smagliature, inteso ad elevare la capacità di risposta dell'ordinamento alla provocazione ed alla distruttività della delinquenza e della eversione . Di tale contesto si propone l'abrogazione con un quesito che - pur con la esclusione, allo stato, dell'articolo 6 - alla Corte appare omogeneo ed univoco, alla luce dei principi in proposito affermati nella sentenza n. 16 del 1978. Con la quale - va poi ricordato - fu egualmente dichiarata ammissibile la richiesta di "referendum" per l'abrogazione della legge 22 maggio 1975. n. 152 (disposizioni a tutela dell'ordine pubblico), nel riflesso che, malgrado la incontestabile varietà di contenuti normativi, doveva riconoscersi che l'iniziativa aveva per oggetto »un particolare complesso di misure legislative eccezionali , adottate »nel comune intento di fronteggiare la presente situazione di crisi dell'ordine pubblico, con particolare riguardo alla criminalità politica e parapolitica ; e che sotto tale aspetto il titolo della legge enunciava già nei suoi tratti ess
enziali la questione sulla quale il corpo elettorale era chiamato a decidere.
Né si riscontra alcun'altra ragione di inammissibilità. E Pertanto la richiesta di "referendum" va dichiarata ammissibile, ad eccezione della norma sopra indicata.
Per questi motivi la Corte costituzionale
dichiara ammissibile la richiesta di "referendum" popolare per l'abrogazione del d.l. 15 dicembre 1979, n. 625, recante »Misure urgenti per la tutela del l'ordine democratico e della sicurezza pubblica (convertito con modificazioni nella legge 6 febbraio 1980, n. 15), ad eccezione dell'articolo 6; richiesta dichiarata legittima con ordinanza del 2 dicembre 1980 dell'Ufficio centrale per il "referendum", costituito presso la Corte di cassazione.
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Corte di cassazione - Ufficio centrale per il referendum
Ordinanza del 5 marzo 1981
Sulla richiesta di "referendum" abrogativo del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625, convertito nella legge 6 febbraio 1980, n. 15 (»Conversione in legge con modificazioni, del d.l. 15 dicembre 1979, n. 625, concernente misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica ).
Vista la precedente ordinanza di questo Ufficio 2 dicembre 1980, depositata in pari data, con la quale è stata riconosciuta la legittimità della suddetta richiesta;
vista la sentenza della Corte Costituzionale 9 febbraio 1981, n. 22, che ha dichiarato ammissibile la richiesta stessa »ad eccezione dell'articolo 6 ;
visto l'articolo 39 della legge 25 maggio 1970, n. 352;
Ritenuto che, posteriormente alla emanazione della richiamata ordinanza è entrato in vigore il d.l. 12 dicembre 1980, n. 851 recante »Proroga della durata dell'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 6 del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625 convertito con modificazioni nella legge 13 febbraio 1981, n. 18 ;
che l'ultimo comma dell'articolo 6 del d.l. n 625 del 1979 cit., disciplinante l'istituto del c.d. »fermo di pubblica sicurezza , stabilisce: »le disposizioni del presente articolo si applicano per la durata di un anno dall'entrata in vigore del presente decreto (avvenuta, ai sensi dell'articolo 15, il giorno successivo a quello della pubblicazione nella "Gazzetta Ufficiale", e cioè il 18 dicembre); che la durata di tale applicazione è stata prorogata di 60 giorni dall'articolo 1 del cit. d.l. n. 851 del 1980, mentre in sede di conversione l'articolo unico della cit. legge n. 18 del 1981 ha esteso ulteriormente il termine al 31 dicembre 1981;
Considerato che, a seguito della sopravvenuta normativa, risulta modificata la durata delle disposizioni contenute nel cit. articolo 6 verificandosi un'ipotesi di abrogazione sostitutiva;
che gli effetti di tale abrogazione sostitutiva sulle operazioni referendarie debbono essere valutati da questo Ufficio ai sensi dell'articolo 39 della cit. legge n 352 del 1970 alla stregua della sentenza della Corte Costituzionale n. 68 del 1978 che ha dichiarato tale norma costituzionalmente illegittima »limitatamente alla parte in cui non prevede che se l'abrogazione degli atti o delle singole disposizioni cui si riferisce il "referendum" venga accompagnata da altra disciplina della stessa materia senza modificare né i principi ispiratori della complessiva disciplina preesistente, né i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti, il "referendum" si effettui sulle nuove disposizioni legislative ;
che occorre, pertanto, stabilire se, rispetto alle norme abrogate e sostituite, le operazioni referendarie si debbano dichiarare cessate, o debbano esser, invece, estese anche alle norme che sono venute a sostituirsi a quelle abrogate;
Considerato che la Corte Costituzionale, nella suddetta sentenza, dopo aver premesso che ogni vicenda abrogativa, comunque attuata, esclude che il "referendum" possa avere ad oggetto le disposizioni abrogate, ha precisato che quando l'abrogazione sia accompagnata da altra disciplina nella stessa materia, per stabilire i criteri di distinzione fra l'ipotesi in cui le operazioni referendarie non debbono avere più corso (in tutto o in parte) e quella in cui il "referendum" si trasferisce (o si estende) alle nuove disposizioni, occorre separare il caso della richiesta riguardante una legge (o atto equiparato) nella sua interezza, o un organico insieme di disposizioni altrimenti individuate dal legislatore, da quello della proposta diretta soltanto all'abrogazione di disposizioni specifiche;
che, alla stregua dei criteri ricavabili da tale sentenza, nel primo caso la cessazione totale delle operazioni referendarie consegue alla modificazione, comunque attuata, dei principi informatori della complessiva disciplina legislativa preesistente e la cessazione parziale alla non riconducibilità a quei principi delle singole disposizioni modificative (altrimenti il "referendum" si trasferisce, o si estende, alle nuove disposizioni) e nel secondo caso il "referendum" non deve avere più corso quando siano stati modificati i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti;
Considerato che ricorre nella specie il primo dei casi contemplati dalla Corte Costituzionale, essendo oggetto della richiesta una legge nella sua interezza, di cui è stato modificato un solo articolo;
che la operata modifica, limitata alla proroga della durata di talune delle disposizioni dettate dall'atto normativo sottoposto a "referendum" (e precisamente di quelle dell'articolo 6 riguardante il c.d. »fermo di polizia ), senza toccarne altrimenti i contenuti, è indubbiamente riconducibile ai principi ispiratori della complessiva disciplina preesistente, essendosi determinato il legislatore - come ha rilevato la Corte Costituzionale nella citata sentenza n. 22 del 1981, ai fini della ritenuta omogeneità del quesito - »ad apportare modifiche all'intero sistema di prevenzione e repressione nell'ambito penale in funzione preminente della lotta al terrorismo ed alla delinquenza comune ; e di questo complessivo disegno la norma considerata (che la Corte Costituzionale ha escluso dall'esame e dalla conseguente pronuncia di ammissibilità in quanto non più applicabile nella sua portata originaria) si presenta quale componente fondamentale e caratterizzante;
Ritenuto che la mancanza di margini di controvertibilità per l'applicazione nel caso in esame, dei principi segnati dalla sentenza n. 68 del 1978 della Corte Costituzionale nel senso di dar corso alla proposta referendaria, anche rispetto alla norma di proroga della durata del fermo di polizia, sulla linea delle finalità perseguite dai promotori, rende superflua, in concreto, l'audizione dei medesimi;
Ritenuto, conclusivamente, che, estendendosi le operazioni referendarie alla nuova disposizione, occorre modificare correlativamente l'oggetto del quesito e trasmettere la presente ordinanza alla Corte Costituzionale perché provveda alla verifica di sua competenza in ordine alla esistenza di eventuali ragioni di inammissibilità relative al combinato disposto dell'art. 6 del decreto legge n. 625 del 1979 (convertito con modificazioni nella legge n. 15 del 1980) e dell'articolo 1 della legge n. 18 del 1981 (che ha convertito in legge con modificazioni il d.l. n. 851 del 1980).
Per questi motivi l'Ufficio Centrale per il "Referendum" dispone che le operazioni relative alla richiesta di "referendum" popolare per l'abrogazione del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625, »concernente misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica convertito con modificazioni nella legge 6 febbraio 1980, n. 15 si svolgano sul seguente quesito:
»Volete voi l'abrogazione del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625 convertito nella legge 6 febbraio 1980, n. 15 (»Conversione in legge, con modificazioni del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625, concernente misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica ), come modificato, nell'articolo 6, dall'articolo unico della legge 13 febbraio 1981 n. 18 (»Conversione in legge con modificazioni, del decreto legge 12 dicembre 1980, n. 851, recante proroga della durata dell'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 6 del decreto legge 15 dicembre 1980, n. 15 )? (1).
(1) Con successiva ordinanza del 14-3-1981 l'Ufficio centrale per il "referendum" della Corte di cassazione ha corretto l'errore materiale relativo all'indicazione del decreto legge 15 dicembre 1980, n. 15 inesistente, trattandosi invece del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625, convertito nella legge 6 febbraio 1980, n. 15.
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Corte costituzionale
Sentenza del 23 marzo 1981, n. 48
Viste le ordinanze 5 e 14 marzo 1981 con le quali l'Ufficio centrale per il "referendum" presso la Corte di cassazione ha dichiarato legittima la suddetta richiesta;
udito nella camera di consiglio del 23 marzo 1981 il Giudice relatore Antonino De Stefano.
"Ritenuto in fatto"
Con sentenza 9 febbraio 1981, n. 22, la Corte costituzionale si è pronunciata sulla ammissibilità della richiesta di "referendum", presentata il 26 giugno 1980 all'Ufficio centrale per il "referendum" costituito presso la Corte di cassazione e da questo dichiarata legittima con ordinanza 2 dicembre 1980, per l'abrogazione del d.l. 15 dicembre 1979, n. 625, recante »misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica (convertito con modificazioni nella legge 6 febbraio 1980, n. 15). La richiesta veniva dichiarata dalla Corte ammissibile, ad eccezione però dell'articolo 6 del decreto legge. Come infatti si rileva nella sentenza, le disposizioni di tale articolo (concernenti il c.d. »fermo di pubblica sicurezza ), destinate ad applicarsi, come previsto all'ultimo comma, per la durata di un anno dalla entrata in vigore del decreto, trascorso l'anno, dopo il 18 dicembre 1980 erano bensì ancora applicabili, ma solo in forza dell'articolo 1 del sopravvenuto d.l. 12 dicembre 1980, n. 851
, con il quale la durata dell'applicazione delle disposizioni stesse era stata prorogata di sessanta giorni. Perciò, allo stato, la Corte riteneva di dover procedere alla verifica della ammissibilità del quesito referendario (formulato nei confronti dell'intero testo del provvedimento), escludendo dall'esame e dalla conseguente pronuncia tanto il menzionato articolo 6, che nella sua portata originaria non era più applicabile, quanto la norma di proroga, non contemplata dal quesito nei termini dichiarati legittimi dalla ordinanza dell'Ufficio centrale. Dichiarava, inoltre, la Corte che competeva all'Ufficio centrale - secondo quanto affermato nella precedente sentenza n. 68 del 1978 - valutare se la richiesta referendaria dovesse estendersi alla nuova disciplina, venuta a dare ulteriore vigore all'articolo 6 dell'originario decreto legge, dopo la sua ordinanza, nel corso del procedimento. In caso positivo, solo dopo la delibera in tal senso dell'Ufficio centrale, la Corte costituzionale avrebbe potuto verific
are se il nuovo disposto risultante dal concorso delle due norme dovesse venir ammesso alla consultazione referendaria. (articolo 6 del d.l. n. 625 del 1979 e articolo 1 del d.l. n. 851 del 1980)
In seguito alla suindicata sentenza n. 22 del 1981 e alla legge 13 febbraio 1981, n. 18, a sua volta sopravvenuta, e con la quale, convertito in legge con modificazioni, il decreto legge n. 851 del 1980, il periodo di applicabilità delle disposizioni dell'articolo 6 del d.l. 15 dicembre 1979, n. 625, è stato ulteriormente prolungato fino al 31 dicembre 1981, l'Ufficio centrale per il "referendum" ha pronunciato, in data 5 marzo 1981, una seconda ordinanza, depositata in pari data, con la quale ha disposto che le operazioni relative alla menzionata richiesta di "referendum" popolare si svolgano sul seguente quesito: »Volete voi l'abrogazione del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625, convertito nella legge 6 febbraio 1980, n. 15 (»Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625, concernente misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica ), come modificato, nell'articolo 6, dall'articolo unico della legge 13 febbraio 1981 n. 18 (»Conversione
in legge, con modificazioni, del decreto legge 12 dicembre 1980, n. 851, recante proroga della durata dell'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 6 del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625, convertito con modificazioni nella legge 6 febbraio 1980, n. 15 )? . Nel testo originario del provvedimento, invero, nell'ultima parte del quesito, risultava erroneamente scritto »decreto legge 15 dicembre 1980, n. 15 . Alla mancata trascrizione delle parole e dei numeri compresi tra »dicembre e »1980 (»1979, n. 625, convertito, con modificazioni, nella legge 6 febbraio ) si è tuttavia posto rimedio con altra ordinanza, di correzione, in data 14 marzo 1981 dello stesso Ufficio centrale.
Nel riformulare, nel modo suddetto, il quesito referendario, l'Ufficio centrale si basa essenzialmente sull'articolo 39 della legge 25 maggio 1970, n. 352, come modificato in seguito alla su citata sentenza della Corte costituzionale n. 68 del 1978, con la quale l'articolo stesso fu dichiarato illegittimo »limitatamente alla parte in cui non prevede che se l'abrogazione degli atti o delle singole disposizioni cui si riferisce il "referendum" venga accompagnata da altra disciplina della stessa materia senza modificare né i principi ispiratori della complessiva disciplina preesistente, né i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti, il "referendum" si effettui sulle nuove disposizioni legislative . Richiamati i principi enunciati in quella sentenza, l'Ufficio centrale osserva che alla stregua di essi, nel caso, la modifica operata dalle norme sopravvenute, limitata alla proroga della durata di talune delle disposizioni dettate dall'atto normativo sottoposto a "referendum" senza toccarne altrimenti i
contenuti, è indubbiamente riconducibile ai principi ispiratori della complessiva disciplina preesistente, essendosi il legislatore determinato - come già rilevato nella sentenza di questa Corte n. 22 del 1981 ai fini della ritenuta omogeneità rispetto alle parti già esaminate del decreto legge n. 625 del 1979 convertito Della legge n. 15 del 1980, del quesito referendario - »ad apportare modifiche all'intero sistema di prevenzione e repressione nell'ambito penale in funzione preminente della lotta al terrorismo ed alla delinquenza comune . E non v'ha dubbio che la norma in questione (che la Corte costituzionale - si sottolinea - ha escluso dall'esame e dalla conseguente pronuncia di ammissibilità in quanto non più applicabile nella sua portata originaria), si presenta quale componente fondamentale e caratterizzante di questo disegno del legislatore. A giudizio dell'Ufficio centrale, perciò, le operazioni referendarie vanno senz'altro estese alle nuove disposizioni.
Adempiute le formalità di rito per la trasmissione, comunicazioni e notifiche della ordinanza dell'Ufficio centrale, il Presidente della Corte costituzionale, con decreto 10 marzo 1981, ha fissato, per il conseguente giudizio di ammissibilità, la camera di consiglio del 23 marzo 1981.
"Considerato in diritto"
Con la precedente sentenza n. 22 dell'anno in corso questa Corte ha dichiarato ammissibile la richiesta di "referendum" popolare per l'abrogazione del d.l. 15 dicembre 1979, n. 625 (misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica), convertito con modificazioni nella legge 6 febbraio 1980, n. 15, escludendo, però, dall'esame e dalla conseguente pronuncia l'articolo 6 di tale provvedimento. Ha osservato, infatti, la Corte che l'applicazione del menzionato articolo (che disciplina l'istituto del c.d. »fermo di pubblica sicurezza ) era limitata, per effetto del suo ultimo comma, al periodo di un anno dell'entrata in vigore del decreto legge, e cioè con decorrenza dal 18 dicembre 1979. Non essendo ancora decorso l'anno, le disposizioni dell'articolo 6 erano tuttora applicabili allorché l'Ufficio centrale per il "referendum", costituito presso la Corte di cassazione, aveva, con ordinanza del 2 dicembre 1980, dichiarato legittima la richiesta anzidetta, relativa all'intero testo del
provvedimento. Successivamente, per effetto dell'articolo 1 del d.l. 12 dicembre 1980, n. 851, la durata dell'applicazione delle disposizioni dell'articolo 6 era stata prorogata di sessanta giorni, a decorrere dalla scadenza del termine fissato nell'ultimo comma dell'articolo medesimo. La nuova norma aveva dunque modificato, sotto il profilo della durata, la precedente. La Corte, pertanto, in base a quanto affermato nella sentenza n. 68 del 1978, ha ritenuto di spettanza dell'Ufficio centrale »valutare se la richiesta referendaria debba estendersi alla nuova disciplina, sopravvenuta, dopo la sua ordinanza, nel corso del procedimento , soggiungendo che »in caso positivo, solo dopo la delibera in tal senso adottata dall'Ufficio centrale la Corte potrà verificare se il nuovo disposto, risultante dal concorso delle due norme, debba venir ammesso alla consultazione referendaria .
Con la legge 13 febbraio 1981, n. 18, che ha convertito in legge, con modificazioni, il citato d.l. n. 851 del 1980, il periodo di applicabilità delle disposizioni dell'articolo 6 in parola, è stato ulteriormente prorogato fino al 31 dicembre 1981.
L'Ufficio centrale, con ordinanza emessa il 5 marzo 1981 (il cui dispositivo, inficiato da errore materiale, è stato corretto con successiva ordinanza del 14 marzo 1981), ha ritenuto che la modifica operata dalle norme sopravvenute, limitata, com'è, alla sola proroga della durata delle disposizioni dettate dall'articolo 6, senza toccare altrimenti i contenuti dell'atto normativo sottoposto a "referendum", »è indubbiamente riconducibile ai principi ispiratori della complessiva disciplina preesistente , della quale »la norma considerata si presenta quale componente fondamentale e caratterizzante . Ha disposto, pertanto, che le operazioni referendarie si estendano alla nuova disposizione, ed in conseguenza ha riformulato il quesito referendario nei seguenti termini: »Volete voi l'abrogazione del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625, convertito nella legge 6 febbraio 1980, n. 15 (»Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625, concernente misure urgenti per la tutela dell'
ordine democratico e della sicurezza pubblica ), come modificato, nell'articolo 6, dall'articolo unico della legge 13 febbraio 1981, n. 18 (»Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 12 dicembre 1980, n. 851, recante proroga della durata dell'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 6 del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625, convertito, con modificazioni, nella legge 6 febbraio 1980, n. 15 )? .
Compete ora a questa Corte, come già innanzi detto, verificare se sussistano eventuali ragioni di inammissibilità in ordine al quesito referendario così modificato. In proposito va ricordato che con la richiamata sentenza n. 22 del 1981 si è già affermato che »le altre disposizioni del d.l. n. 625 del 1979, come modificato dalla legge di conversione n. 15 del 1980, appaiono informate, pur nella varietà dei loro contenuti, ad un principio comune, che conferisce alla materia disciplinata un connotato di sostanziale unitarietà , e che il quesito, »pur con la esclusione, allo stato, dell'articolo 6 , risulta omogeneo ed univoco, alla luce dei principi enunciati nella sentenza n. 16 del 1978.
Le stesse conclusioni la Corte ritiene di dover confermare una volta che nel contesto normativo del quale si propone la totale abrogazione, viene reinserito, per effetto della sua prorogata applicabilità, quell'articolo 6, che appare preordinato, al pari delle altre disposizioni, al medesimo intento perseguito dal legislatore, di apportare, cioè, in una fase di emergenza, »modifiche all'intero sistema di prevenzione e repressione nell'ambito penale, in funzione preminente, appunto, della lotta al terrorismo ed alla delinquenza comune .
Persiste, pertanto, nella richiesta referendaria in esame, pur dopo l'apportata modifica, il già riscontrato requisito di omogeneità. Né si riscontra, per effetto della modifica stessa, alcun'altra ragione d'inammissibilità. La richiesta va dunque dichiarata ammissibile nei nuovi termini indicati dall'Ufficio centrale con le citate ordinanze.
Per questi motivi la Corte costituzionale
dichiara ammissibile la richiesta di "referendum" popolare, come modificata per effetto delle ordinanze del 5 e 14 marzo 1981 dell'Ufficio centrale per il "referendum", costituito presso la Corte di cassazione, per l'abrogazione del d.l. 15 dicembre 1979, n. 625, recante »Misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica (convertito con modificazioni nella legge 6 febbraio 1980, n. 15), come modificato, nell'articolo 6, dall'articolo 1 del d.l. 12 dicembre 1980, n. 851, nel testo modificato dalla legge di conversione 13 febbraio 1981, n. 18.