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Bandinelli Angiolo - 28 giugno 1980
Confermata la centralità radicale
Dopo il successo della campagna referendaria decisa all'unanimità al congresso di Genova e dopo la scelta, civile prima che politica, per l'astensione e il voto nullo, rimane

di Angiolo Bandinelli

SOMMARIO: Alle elezioni amministrative del giugno 1980, l'appello radicale all'astensione, al voto bianco e nullo: per la prima volta queste posizioni acquistano pieno significato e dignità di rappresentanza costituzionale e politica. Reietti e reprobi del voto sono promossi cittadini, un po' come quando, con le lotte per il divorzio e per l'aborto, "cornuti e donne di malaffare" furono trasformati in gente reale, con la classe politica ha poi dovuto fare i conti. La posizione rigorosa del Partito radicale, di non contaminare i grandi temi dei referendum con il piccolo cabotaggio della gestione di un pugno di consiglieri. La scelta opposta del Pci, che vuol far apparire la crisi della propria politica nazionale come responsabilità dei consiglieri regionali. Sfuma la prospettiva berlingueriana di far plebiscitare dai suffragi la sua politica d'intesa con la Dc. Come il partito radicale, nel pieno della campagna di raccolta delle firme, è giunto a questa posizione politica sulle elezioni amministrative, decide

ndo di promuovere attivamente l'astensione ed il non voto: da mera "occasione" alla presa di coscienza che l'indicazione astensionista è grande scelta morale e civile, il dibattito si sviluppa e cresce.

(NOTIZIE RADICALI N. 32, 28 giungo 1980)

"Astensione. Scheda bianca. Voto nullo". Sono, lo ricordiamo tutti, le indicazioni del partito per le elezioni dell'8 giugno. E non vi è dubbio che proprio attorno ad esse, tra timori e speranze, tra anatemi e riconoscimenti, è ruotata, molto più che attorno alle giunte rosse, l'intera campagna. Per riconoscimento generale, proprio per questo è stata una campagna eccezionale, che continuerà a far riflettere a lungo.

Scalfari di aggrappa la sarcasmo; se il PSI intasca un gruzzolo di voti che gli consente di rilassarsi soddisfatto, deve anche ringraziare per le "magnifiche rose", inviategli dal partito radicale. Ma intanto è quest'ultimo che, piaccia o no a Deaglio, può mettere il cappello sulla fioritura di voti di protesta, le fette di salame reali o metaforiche estratte con disgusto, dagli scrutatori del PCI, fuori da schede comunque rigonfie di umori e rabbie. Non è infatti un nuovo mitico "Melone", non sono le insignificanti liste "alternative" a marcare, la polemica latente nel paese; è stata una campagna politica che, prima ancora che provocarla, si è preoccupata, lucidamente, di dare senso e pulizia ad una realtà latente ed esplosiva. Una realtà che la classe politica già il tre giugno dell'anno scorso aveva mostrato di ignorare, o di snobbare, o di voler ricacciare nel buio e nel sordido: proprio come fa la brava signora che con un rapido colpo di tacco fa scivolare sotto il tappeto la briciola o il nocciolo di o

liva, perché gli ospiti non li vedano.

Con queste elezioni la scheda bianca, il voto nullo, l'astensione acquistano per la prima volta pieno significato e dignità di rappresentanza costituzionale e politica. Reietti e reprobi sono promossi cittadini; un po' come con il divorzio e l'aborto, quando la iniziativa radicale trasformò cornuti e donne di malaffare, vergogne e pratiche illecite, nascoste tra le pieghe della cronaca nera, in gente reale, in passioni e grida vere, con le quali la classe politica ha dovuto poi fare i suoi conti. Tutto il paese è stato reimmesso nel circuito civile e politico, un possibile qualunquismo è stato sgonfiato. I costituzionalisti dovranno rivedere i propri conti. Non è questa una indicazione a "sinistra", vera e autentica, se sinistra vuol dire progresso della convivenza civile, e non mero conteggio di voti, di posti, di potere? Solo per la rilevanza "laica" di questa trasformazione, le elezioni regionali dell'8 giugno meritano di essere ricordate, non come un episodio buttato lì, occasione irripetibile, ma moment

o autentico della crescita dei diritti civili nel paese.

Questa battaglia vinta, civile prima che politica (e, forse per questo, classicamente "etico-politica"), assieme alla avvenuta raccolta delle firme sui dieci referendum, riporta il partito radicale in una posizione baricentrica, conferma la centralità delle sue scelte essenziali. Le due battaglie si spiegano e si integrano a vicenda. Quale rigore avrebbero avuto i referendum, se contaminati (quanto meno nei comportamenti soggettivi) dal piccolo cabotaggio della gestione di un pugno di consiglieri? Che senso avrebbe avuto l'astensione, non incardinata sulla richiesta referendaria? Centralità radicale, dunque, che si conferma proprio dalla saldatura dei due momenti, delle due campagne.

Il contrario di quanto accade in casa PCI. Qui, sgonfiatosi lo spauracchio della crisi delle "giunte rosse", ci si accorge che le difficoltà possono essere fatte ricadere sui grattacapi dei consigli regionali del Lazio o del Piemonte; che la crisi nel voto meridionale è il segno ormai palese dell'assenza di una politica nazionale; che il fiore all'occhiello di Torino e di Novelli, o di un isolato e arrembante Nicolini, non dà profumo ad un nuovo modo di governare, perché, a cercar bene, questo proprio non esiste.

E' sfumata per il PCI, sotto la pioggia delle schede bianche, la speranza di una crescita ininterrotta di suffragi che desse lustro e peso alla scelta berlingueriana dell'intesa con la DC. Le schede bianche hanno riportato nel fitto un mucchio di gente fino a ieri emarginata; tra questa folla che schiamazza il PCI deve sgomitare, per riportarsi al centro del palcoscenico di dove si sente, per la prima volta da tempo, scacciato. Queste elezioni insomma seppelliscono una strategia. Il guaio è che la seppelliscono per l'intera sinistra, la quale ora dovrà lavorare per far sì che anche in Italia si possa governare - smentendo Berlinguer - con il 51 per cento.

Speriamo che cadano, adesso, le obiezioni di quanti hanno osteggiato il voto nullo e la astensione. Anche all'interno del partito. Questi compagni, per la verità, non sono riusciti a fare autonoma campagna sulle loro indicazioni e si sono giovati soprattutto della luce riflessa, subito proiettata su di essi da una stampa sempre ghiotta di "scazzi" radicali. Ma non è questo il problema, evidentemente. Le obiezioni di questi compagni provenivano da due diverse sponde. Vi erano coloro che si preoccupavano di mantenere il partito su un terreno di correttezza (vorremmo dire di pulizia) costituzionale e aborrivano dall'indicazione astensionista, considerata come una contaminazione con oscure tensioni, come un cedimento al vortice dell'irrazionale, non confacente con un partito che ha sposato la causa del consolidamento delle istituzioni e della legge. Tiravano dall'altra parte quanti, invece, si inorgoglivano al pensiero di poter essere chiamati al puntello di un Novelli o di un Nicolini.

Le sue indicazioni erano non omologhe, quanto meno nelle intenzioni. L'una e l'altra si sono poi dimostrate inadeguate e perdenti, in definitiva. Ancor più lo sarebbero state per il partito se questo, nel suo complesso avesse ceduto, se non avesse, con preoccupazione ma anche con convinzione, affrontato la via stretta ed autonoma che poi è stata imboccata. Ancora una volta, ricordiamo noi.

Con l'indicazione astensionista, il partito radicale ha confermato di non nutrire vocazioni subalterne, di saper scacciare da sé queste tentazioni, ogni volta che cominciano a ronzare attorno. Il partito radicale non è insomma una "corrente esterna" altrui (neppure, diciamolo subito per chi si illudesse, del PSI, come alcuni oggi malignano dietro a Scalfari). Ed è certo che, breve termine, il prezzo dell'esclusione da posti e da potere appare alto (e sicuramente il partito ne ha sofferto); ma, a lunga scadenza, il premio consiste in nulla meno che nella avvenuta conferma della sua centralità politica. Il partito radicale è oggi, riconoscibile da tutti, la forza politica che ha saputo ancora offrire al paese scelte liberatorie che lo sottraggono alla disperazione e alla morte. Nessuno ha potuto, nessuno potrà più massacrare i "diversi" e gli emarginati del rifiuto e di quella rivolta che finalmente possa trovare una espressione, pacifica e persino ironica ma attiva e non sfiduciata. E quale altro progetto pol

itico di alternativa è disponibile per i prossimi 12 mesi, a sostituire il "pacchetto" dei dieci referendum? Proprio, aggiungiamo, il "pacchetto" nella sua complessità e corposità (non interessa oggi sapere quanti ne verranno ammessi dalla Cassazione), quella espressa dal manifesto incriminato e sgradevole, il "fermali con una firma".

I compagni socialisti sanno bene che la governabilità la loro promessa al paese può reggersi solo sulle salde fondamenta di un progetto riformatore e di una speranza di liberazione. O si accetterà a cuor leggero che solo sul centrosinistra (del '64, se ricordiamo bene) qualcuno abbia potuto sollevare la bandiera dell'avamposto, con su scritto "da oggi ciascuno è più libero?". Né abbiamo più la pazienza di attendere garanzie di prospettive, comuni e vincenti, dal PCI. Lo abbiamo fatto dal '59. Lasciamo oggi il solo Scalfari a garante di un incontro contro parassitismi e rendite che è ormai solo più ipotetico e clandestino, estraneo e invecchiato rispetto alle volontà del paese. Insomma, ripetiamolo, è vero che con il pacchetto referendario, collegato idealmente e politicamente con l'astensione, abbiamo "fermato" una sinistra in difficoltà, se non in crisi, sull'orlo di una pericolosa caduta.

Tuttavia non vogliamo essere fraintesi. Riaffermando la centralità radicale, non poniamo pregiudiziali, né intendiamo respingere alcuno. Nessuna iattanza. Ci siamo accollati il problema della sinistra, ma è problema che non ci appartiene in proprietà, nello stesso senso in cui non ci appartenevano i voti dell'anno scorso. Non è mai stato nelle nostre intenzioni, o capacità, arrogarci il ruolo di gestori di patrimoni. Basti tener presente che non puntiamo ad essere "il" partito monopolista e accentratore di verità e di personale politico, ma "un" partito dell'unità e del rinnovamento della sinistra, un compito al quale sono necessari molti protagonisti.

Vorremmo, infine, concludere. Lo facciamo ricordando come l'indicazione di astensione non sia stata l'intuizione di un giorno, ma laboriosa conquista di una lunga attenzione. Proprio per questo ci pare ingiusto affermare che essa è calata improvvisa, casuale, inattesa sul partito. La mozione del congresso di marzo già sollevava quello che è uno dei temi fondamentali del partito, fin dalla sua nascita: la "intransigente difesa del modello democratico e delle regole del gioco, contro la pretesa di imporre condizioni e quindi esiti falsi alla lotta istituzionale". Il tema tornava in quel periodo ad essere pressante, di una attualità solo apparentemente rimossa e affievolita. I segnali di una accentuata chiusura negli equilibri tra i partiti, e quindi di una acutizzarsi del disagio, dell'insofferenza dell'opinione pubblica, già si moltiplicavano. Dicemmo allora che, come i referendum, anche la scheda bianca o nulla doveva essere rivalutata e riconsiderata, quale elemento positivo del dibattito politico e della d

inamica costituzionale.

Il consiglio federativo del 3 e 4 maggio confermava questo giudizio. Il partito radicale doveva assumersi la responsabilità di promuovere il "no" al voto. Promuovere attivamente l'astensione voleva dire garantire al paese, a ciascun cittadino, assieme al diritto al voto, anche un'altra "fondamentale garanzia costituzionale", con l'obiettivo di ristabilire il corretto funzionamento delle istituzioni, perché non venisse stravolto da inquinanti logiche organicistiche e umanistiche, sempre totalizzanti e totalitarie. Solo se, da oggi in poi, il diritto al non-voto, senza penalizzazioni e criminalizzazioni equilibrerà il diritto al voto, la democrazia sarà riconosciuta robusta anche nel nostro paese. Da oggi in poi, la alta affluenza alle urne dovrà essere conseguita attraverso la attiva ricerca del consenso, offrendo all'opinione pubblica stimoli reali e non fittizi, di garanzie solvibili, e non vuote promesse o, peggio, minacce e ricatti.

Da "occasione", a grande scelta morale e civile, l'indicazione astensionista ha dovuto compiere un lungo percorso anche all'interno del partito, attraverso un dibattito serio che è anche divenuto, ed è stato bene fosse così, confronto acceso. Solo in questo modo essa ha potuto acquisire lo spessore significante che tutti le hanno poi riconosciuto. Per chi voglia compiere un'analisi seria e leale dei fatti, essi stanno lì, oggi divenuti evidenti anche dell'evidenza (perché lamentarsene?) del successo.

Una voce dal fondo: "Tutto bello, tutto bene. Ma, allora, non ci sono problemi?".

Sì, ci sono molti problemi.

 
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