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Signorino Mario - 1 novembre 1980
NOI E I FASCISTI: (12) Piazza Fontana, si ricomoncia?
di M. Sig.

("Prova Radicale" 1 giugno 1976)

SOMMARIO: Una raccolta di scritti sull'antifascimo libertario dei radicali: riconoscere il fascismo vuol dire capire quello che è stato e soprattutto quello che può essere. Troppo spesso dietro l'antifascismo di facciata si copre la complicità con chi ha rappresentato la vera continuità con il fascismo, la riproposizione di leggi e di metodi propri di quel regime.

("NOI E I FASCISTI", L'antifascismo libertario dei radicali

a cura di Valter Vecellio, prefazione di Giuseppe Rippa - Edizioni di Quaderni Radicali/1, novembre 1980)

Prima che finisca l'estate, il 28 agosto, Freda e Ventura usciranno di galera. Avranno fatto quattro anni e mezzo di carcerazione preventiva: ma nessuna sentenza chiarisce se li hanno fatti perché hanno messo le bombe di piazza Fontana o per aver rubato galline. Nessuna sentenza fornisce un'indicazione plausibile sugli organizzatori ed esecutori della strage. Non c'è male come bilancio, se è vero che il nostro paese si distingue, oltre per il casino economico e un decrepito regime, per avere una sinistra eccezionalmente forte. Qualcosa è andato storto, ma che cosa?

Per certa sinistra l'unica cosa storta è che i due vengano liberati. Il settimanale "Tempo" vorrebbe che rimanessero in carcere fino al processo (anche per dieci anni, si capisce); "Repubblica" si adombra perché un avvocato complica le cose chiedendo di approfondire le indagini contro i responsabili della strage; il "Quotidiano dei Lavoratori" s'incazza. La sconfitta, è pesante, a sette anni dalla strage stringiamo poco più di un pugno di mosche.

Perché allora non dirlo chiaro e tondo? Perché non riconoscere che abbiamo vinto solo una battaglia difensiva, quella per Valpreda e perso sul reato? E' tempo di riprendere dal principio il discorso su Piazza Fontana: il rospo è duro da ingoiare ma non si può continuare a chiedere un giudizio sommario, la galera senza processo, per due imputati. Spunta qui un difetto storico della sinistra vecchia e nuova: la vocazione autoritaria, la scarsa considerazione per i problemi di libertà, rivendicata per la propria parte politica, ma negata come modo d'essere di tutta la società.

Provate a dire: tenere in galera per anni un individuo senza processarlo, si chiama sequestro. E' Pietismo - si risponde - è moralismo stronzo, spirito da boy-scout, conservatorismo. E' rivoluzionario allora far proprio l'opportunismo di un regime interamente compromesso nelle stragi, che mette in scena ora un colpevole ora un altro, scorazzando da un estremismo all'altro, e cercando solo di salvare se stesso? E' rivoluzionario negare i diritti costituzionali a cittadini di destra, senza neanche processarli?

Fa paura questa sinistra che gioca con i tribunali speciali e giudica la libertà - ancora oggi! - una stranezza borghese. Bisognerebbe riflettere seriamente sul caso tedesco, su quella legislazione repressiva varata da socialdemocratici e democristiani uniti nella negazione del dissenso e dei diritti civili. Anche perché in Italia ci sono già dei precedenti: c'è la legge Scelba rilanciata di recente nello scontro politico con motivazioni antifasciste e invocata ora, com'era prevedibile, per colpire la sinistra. E c'è la legge Reale: con quale faccia se ne chiede l'abrogazione, quando addirittura troppo mite nella fissazione dei termini di carcerazione preventiva?

Se Freda è "nazista", e Ventura "fascista", son fatti loro: il problema qui è se hanno messo o no le bombe del 12 dicembre. L'unico modo per saperlo è processarli: come ogni cittadino detenuto hanno diritto al processo oppure alla libertà. Ed è anche un nostro diritto, dovrebbe anzi essere un nostro obiettivo politico avvicinarsi un po' di più all'accertamento delle responsabilità di stato.

Ma escono, ormai. E si lasciano alle spalle la stessa nebulosa che ha preso il posto della "pista rossa" e del "mostro Valpreda". Come imputati, per tanti anni in galera senza processo, hanno subito un'intollerabile violenza; e il peggio è che a loro carico, per piazza Fontana, non esistono elementi probatori certi. Anzi, se si smette un momento di rosicchiare coscienziosamente i sicari del SID, ministero degli Interni, Democrazia Cristiana di volta in volta ci propinano; se si fa un momento il punto sulle indagini giudiziarie per la strage del 12 dicembre ci si accorgerà subito che qualcosa non quadra. La strage è diventata una truffa di stato.

Se fino a ieri si poteva considerare sufficientemente attivo un bilancio che registrava, da una parte, la liberazione di Valpreda e dall'altra l'incarcerazione di Freda e Ventura, oggi questo bilancio appare fallimentare. Continua dopo 7 anni il rinvio sistematico del processo. Restano in piedi diverse istruttorie parziali, in parte contraddittorie, e comunque con basi probatorie veramente indigenti. Di recente l'arresto lampo di Maletti e La Bruna è servito solo a dimostrare che il ruolo del SID nella strage e dopo rimane tutto da chiarire.

E ancora: l'assoluzione dei poliziotti responsabili dell'assassinio di Pinelli; il proscioglimento in istruttoria di personaggi come Elvio Catenacci, Antonio Allegra, Bonaventura Provenza; i numerosi stralci che rinviano all'infinito l'accertamento delle responsabilità politiche e organizzative della strage: Giannettini, Delle Chiaie, Rauti, Attilio Monti, Guido Paglia (poi prosciolto). Sull'organizzazione che ha attuato la strage il PM ha dovuto prospettare tre ipotesi contrastanti: 1) di ispirazione neofascista; 2) di forze rivoluzionarie di destra e di sinistra; 3) di forze rivoluzionarie di destra e di sinistra strumentalizzate da ambienti politici reazionari. Niente insomma, è definito.

Ancor meno si è raggiunto sul piano dell'attribuzione provata delle responsabilità personali. L'istruttoria prova in modo sicuro l'attività terroristica del gruppo Freda nel '69, ma è veramente carente nel sostegno probatorio delle imputazioni di Freda e Ventura per la strage del 12 dicembre. In pratica si regge sull'individuazione di una linea di sviluppo progressivo degli attentati, nelle tre fasi principali: bombe del 25 aprile '69 alla Fiera e alla stazione di Milano; bombe sui treni dell'estate '69; bombe del 12 dicembre. Ma a unire le prime due piste alla terza fase, c'è solo un nesso logico, più qualche indizio.

Contro Freda c'è un indizio molto forte: l'acquisto nel settembre '69 di 50 timers, molto probabilmente adoperati, secondo le perizie, negli attentati del 12 dicembre. E' quindi fortemente probabile che Freda abbia partecipato in qualche modo all'organizzazione della strage. Ma con quale ruolo, o con quali aiuti, con chi, in posizione subalterna o no? Di certo l'istruttoria riconosce che non ha messo le bombe; né è riuscita a ricostruire il cammino di quei timers dal settembre al dicembre '69. Che su questo punto l'istruttoria sia poco conclusiva è rivelato da un curioso particolare: Freda sostiene di aver consegnato i timers al fantomatico algerino Hamid, che li avrebbe adoperati in attentati terroristici contro Israele. La teste Maria De Partada conferma, i magistrati non le credono. Ma perché allora non l'hanno incriminata per falsa testimonianza?

L'altro indizio a carico - le borse adoperate per le bombe che sarebbero state acquistate a Padova che le aveva vendute.

Contro Ventura c'è ancora meno, quasi nulla: solo l'indizio della sua presenza a Roma il pomeriggio del 12 dicembre. Per incastrarlo, si è tentato di dimostrare la falsità delle giustificazioni date sul motivo del viaggio: metodo classico di mancanza di prove dirette.

Il minimo che si possa dire è che l'istruttoria si ferma alle soglie del 12 dicembre. Non prova nulla sui mandanti, sul ruolo dei corpi separati dello stato e degli ambienti reazionari, e neanche sugli esecutori. Contiene, quando va bene, delle mezze verità.

Sicché oggi, a Catanzaro, abbiamo un casino inaudito: 1) un procedimento contro Valpreda; 2) un procedimento contro Freda e Ventura; 3) un'istruttoria (che non va vanti), in direzione del SID. Ci sbaglieremo, ma la situazione si presta a manovre e provocazioni. C'è già qualcuno che cerca di riaprire indirettamente il discorso su Valpreda e la pista rossa.

Il "fascista Ventura" è diventato il "caso Ventura". Quest'individuo che come imputato ha avuto un trattamento veramente di sfavore, che con le sue informazione ha fatto da protagonista nell'istruttoria del 12 dicembre, si batte da tempo per ottenere la reintegrazione dei suoi diritti violati. Vediamo sinteticamente di che si tratta.

1) Ventura rivendica a sé e a Freda il diritto al processo e, nell'attesa, alla libertà provvisoria. Su questo punto non esistono dubbi.

2) Ventura accusa il giudice istruttore di Milano, D'Ambrosio, di aver travisato i dati processuali in relazione al riconoscimento corretto del termine iniziale della carcerazione preventiva sua e di Freda. I due furono arrestati il 4 dicembre '71 con l'imputazione di associazione sovversiva; il 21 marzo 1972 la sentenza di incompetenza territoriale del giudice Stiz causò il passaggio dell'istruttoria a D'Ambrosio; questi emise il mandato di cattura per l'imputazione di strage il 28 agosto successivo. Ventura contesta la decisione di D'Ambrosio che, contro il parere del PM che fissava il termine alla data del 21 marzo, sanzionò l'inizio della carcerazione preventiva per l'imputazione di strage appunto al 28 agosto. La questione è controversa; e comunque la decisione di D'Ambrosio è stata convalidata dal tribunale di Catanzaro, che il 3 maggio scorso ha respinto l'istanza di libertà provvisoria presentata dai difensori dei due imputati.

3) Ventura lamenta che il deposito della sentenza di rinvio a giudizio, il 18 marzo '74, e lo stralcio dell'istruttoria (tuttora in corso) nei confronti di Giannettini, Rauti, Biondo, Loredan e altri, hanno tolto in pratica a lui e a Freda ogni possibilità di difesa nel proseguimento dell'indagine istruttoria.

Le denunce di Ventura non si fermano qui: c'è anche l'accusa a D'Ambrosio di aver utilizzato contro di lui o contro Freda elementi d'indagine raccolti nel processo Valpreda, dove essi non avevano possibilità di controllo e di difesa. C'è la denuncia dei provvedimenti segregazionari subiti in istruttoria e della detenzione isolata, da due anni, nel carcere di Bari. C'è la contestazione del mancato interrogatorio di alcuni testimoni che secondo Ventura, potrebbero convalidare i suoi alibi per le bombe dell'agosto '69 sui treni e per il 12 dicembre; eccetera.

Non si può entrare nel merito specifico di queste denunce senza un'analisi puntuale delle carte processuali. Per ora tuttavia ci interessa discutere un altro elemento che Ventura mette al centro della sua autodifesa: egli reclama, in sostanza, che gli sia dato un riconoscimento di fede democratica. Su che cosa basa questa sua richiesta?

Di che sinistra parla Ventura?

Nelle lettere che pubblichiamo (alla fine di questo articolo) Ventura se la prende con Spadaccia perché definisce "pretesa" la sua militanza di sinistra. "E' come passarmi per millantatore", protesta. "La mia posizione processuale e politica, dice, è sempre stata quella di un antifascista". Accenna anche alla "battaglia di sinistra che "ha" sempre cercato di far avanzare la "sua" iniziativa politica nel processo". E per finire protesta "le Lealtà democratica della "sua" esperienza politica".

La nostra impressione è che a Ventura può riuscire più facile dimostrare la debolezza degli indizi a suo carico per il 12 dicembre che non la sua "lealtà democratica". Tuttavia l'accusa di superficialità che ha lanciato Spadaccia, e le violazioni gravi dei suoi diritti d'imputato, c'impongono di discutere anche questo punto. Ventura, se avrà voglia, risponderà alle nostre contestazioni.

Ci vuole però una premessa: se Ventura sostiene che "oggi" è di "idee" democratiche, padronissimo, nessuno glielo può contestare. Ma se pretende che questa qualifica venga riconosciuta a quel che ha fatto nel '69 e giù di lì, il discorso cambia: in questo caso non bastano le sue dichiarazioni, ci sono dei comportamenti, e su questi le nostre idee divergono dalle sue. Ad esempio, nessuno gli può contestare di aver fatto da motorino nella seconda inchiesta su Piazza Fontana; ma la possibilità stessa di sostenere questa parte ha bisogno di spiegazioni molto convincenti, e quelle che vengono fuori dalla carte processuali non ci sembrano tali. Si ricava al massimo l'impressione che Ventura sovrapponga due momenti diversi, utilizzando la sua posizione attuale nel processo e il suo modo di pensare di oggi per avallare un'interpretazione in chiave democratica di che ha fatto nel '69. Tant'è vero che s'incazza con Spadaccia perché perché ritiene che "basti aver avuto a che fare con alcuni servizi segreti, per rendere

pretesa una milizia di sinistra"; il mio operato di allora, dice, va giudicato in base alla parte sostenuta nell'istruttoria. E perché mai?

Non ho fatto il provocatore, dice Ventura; al contrario, ho seguito il gruppo di Freda per informare un agente del SID (Giannettini) il quale a sua volta mi passava dei rapporti informativi che utilizzavo "per i compagni". La mia attività informativa, afferma nella seconda lettera a Spadaccia, era "finalizzata ad ambiente e gruppi della sinistra e da essi avallata". Quali gruppi, quali ambienti? Insomma, di che sinistra parla Ventura?

Giannettini, io e i compagni

Vediamo. Il 1· aprile Ventura ha rilasciato un'intervista a un giornalista de "La Repubblica". L'intervista non è stata poi pubblicata; ne riportiamo la parte che riguarda questa discussione (il resto è dedicato al caso Maletti e La Bruna).

"Lei ribadisce" - chiede il giornalista de "La Repubblica" - "di essere un informatore di sinistra infiltrato nei gruppi terroristici fascisti?".

Risponde Ventura: "Durante il 1969 osservai e indagai la operatività eversiva, nel quadro di un rapporto informativo e di scambio di materiali informativi con Guido Giannettini e altri.

Conoscendo il rapporto funzionale esistente tra Giannettini e il SID, ricevevo le sue schede informative con precisa avvertenza della loro matrice, cioè come materiali che venivano comunicati alla autorità nazionale per la sicurezza e che, reciprocamente ne erano una indiretta emanazione. Soltanto su tale base poté stabilirsi l'accordo per uno scambio informativo, intervenuto tra me e Giannettini fin dal 1968. E, solo in questa prospettiva di reciprocità, Giannettini poté affidarmi tra il 1969 e il 1970, alcuni dossiers: sulle bande neofasciste (fascicolo parzialmente pubblicato in appendice al libro : "Gli attentati e lo scioglimento del Parlamento", Padova '70); sulla struttura internazionale della CIA e dei servizi segreti collegati; sulle organizzazioni di guerriglia latino-americane (e in particolare sui Tupamaros); e altro. Queste raccolte ragionate di materiali informativi prevedevo di utilizzarle per pubblicazioni su ogni particolare materia; come, in certa misura, avvenne".

"Se così è, come mai scelse di lavorare, non per un'organizzazione di sinistra, ma per il SID e cioè per un servizio che non godeva certo fama progressista?".

"Ma io non ho lavorato per nessuno: tranne che per me e per i compagni che utilizzarono le mie raccolte informative. Non è mai esistita alcuna subordinazione o relazione gregaria tra me e Giannettini, né tra me e il SID.

La mia attività informativa era autonoma; e funzionale ai rapporti che mi legavano a uomini e gruppi della sinistra, che la hanno avallata e ne hanno utilizzato i risultati.

Chi informavo? Tirana

Prima che a un uso editoriale, i materiali informativi che raccoglievo e le schede medesime che mi venivano comunicate da Giannettini erano destinate a due gruppi della sinistra extraparlamentare. Attraverso un dirigente di uno dei due gruppi predetti, tutti i materiali raccolti fino ad allora vennero trasmessi nella primavera 1969, all'ambasciata romana della Repubblica Popolare di Albania. Alla medesima sede diplomatica seguitarono a prevenire, fino alla fine del 1970, tutte le schede informativa consegnatemi da Giannettini; e tutti i dati raccolti da me e richiamati nei miei verbali processuali.

Il processo ha realizzato la prova delle relazioni politiche e delle connessioni probatorie emergenti dai fatti che ho descritto qui sopra. Dunque, se ho "lavorato" per qualcuno, ciò è avvenuto nella direzione e in favore di ambienti di sinistra".

Se queste affermazioni sono vere, rappresentano un'accusa diretta per il SID, che sarebbe venuto a conoscenza dell'attività terroristica del gruppo veneto proprio attraverso Ventura; quanto ai gruppi di sinistra, cui Ventura sostiene di aver passato le sue informazioni, si tratterebbe di emeriti coglioni, sia pure di sinistra. L'unico dato certo infatti è che né lui né questi pretesi gruppi di sinistra hanno mai fatto circolare all'esterno queste informazioni. Ventura osserva un rigoroso silenzio finché non viene arrestato e incastrato dal giudice istruttore. Come lo spiega? Perché non ha cantato quando si imprigionavano gli anarchici per le bombe del 25 aprile '69 a Milano? Perché non fece nulla per impedire gli attentati sui treni che potevano risultare sanguinosi almeno quanto le bombe di Piazza Fontana? Ancora: viene il 12 dicembre, poliziotti e magistrati inventano la pista rossa, buttano Pinelli dalla finestra, i reazionari riprendono fiato; e Ventura che fa? Informa Tirana. Cristo, va bene l'internazi

onalismo proletario, ma uno sguardo a Roma e dintorni, poteva anche darlo, no?

Comunque, cominci a dire nomi e cognomi e indirizzi di questi gruppi di sinistra: serviranno a sputtanarli. Ma non a salvare lui, Ventura, che resta un informatore che faceva capo al SID. Pochino per considerarsi "di sinistra"; pochino, anzi, per rivendicare di essere estraneo ai fatti nel '69.

Resta la sua attività editoriale e i contatti avuti a questo scopo con uomini di sinistra. Ma Ventura sa bene che questa attività può essere considerata in un modo o nell'altro a seconda della sua posizione nel gruppo Freda. Può essere considerata, cioè, una copertura dell'attività terroristica, oppure il lavoro reale di un individuo che si considera, malgrado tutto, di sinistra. Ma poiché non comprendiamo come si possa considerare "di sinistra" la sua attività nel '69, per noi resta in piedi solo la prima ipotesi. Tirana è lontana, Pechino ancor di più; e poi l'informatore o la spia hanno poco di democratico o di sinistra. Anzi, non ci piacciono affatto.

A che servono queste etichette?

Tuttavia, per quanto ci risulta, non esistono elementi che provino un'opera di provocazione di Ventura ai danni di gruppi di sinistra. E può anche darsi che non abbia messo le bombe del 12 dicembre: su questo punto l'istruttoria non è affatto convincente. Contestargli perciò la qualifica di "sinistra" non significa automaticamente dargli del "fascista". A parte il "rivoluzionario" e il " fascista", a questo mondo, c'è una scala infinita di variazioni. Si possono avere le idee confuse, si può essere qualunquisti o politicamente indefiniti; ci si può limitare a suonare il violino. Ma Ventura non s'accontenta, vuole la qualifica di sinistra o niente, e ci accusa di "ignoranza dei fatti processuali". Ma se la mette su questo piano, ha da rimproverare solo se stesso: se per capire il suo essere democratico il '69, è necessario studiarsi per mesi le carte processuali, allora significa che qualcosa non quadra.

Ma poi perché continuare con questo gioco delle etichette? Forse Ventura crede che, ad essere accettato in una parrocchia della sinistra, gli sarà più facile trovare dei difensori? Il peggio è che, forse, non si sbaglia.

"M. Sig.

 
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