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Signorino Mario - 1 novembre 1980
NOI E I FASCISTI: (15) Abbassa la testa, mostro!
di M. Sig.

("Prova Radicale", marzo 1977)

SOMMARIO: Una raccolta di scritti sull'antifascimo libertario dei radicali: riconoscere il fascismo vuol dire capire quello che è stato e soprattutto quello che può essere. Troppo spesso dietro l'antifascismo di facciata si copre la complicità con chi ha rappresentato la vera continuità con il fascismo, la riproposizione di leggi e di metodi propri di quel regime.

("NOI E I FASCISTI", L'antifascismo libertario dei radicali

a cura di Valter Vecellio, prefazione di Giuseppe Rippa - Edizioni di Quaderni Radicali/1, novembre 1980)

A Catanzaro c'è un processo. Dovrebbe essere il processo politico più importante di questi anni, giudici e avvocati impegnati a ricercare la verità, i partiti democratici attenti a non fare trascurare nessun elemento utile di conoscenza. La posta in gioco, infatti, sarebbe grossa: accertare chi, e per conto di chi, ha messo le bombe il 12 dicembre '69 a piazza Fontana. Scoprirlo significherebbe espellere finalmente dalla scena politica quel partito invisibile che da sette anni neutralizza con le stragi (e non con il golpe) la forza della sinistra.

A Catanzaro invece si svolge un altro processo. L'oggetto è sempre piazza Fontana, ma protagonisti ed obiettivi sono completamente diversi. Magistrati ed avvocati scettici e frettolosi, isolati dall'opinione pubblica; i partiti di sinistra indifferenti: tutti preoccupati soltanto di adempiere al più presto un obbligo burocratico, il cui punto d'arrivo si identifica con quello di partenza: "fare il processo". Non, sia chiaro, accertare chi ha messo le bombe, chi sono terroristi di stato, fare luce sul 12 dicembre '69 per vederci meglio anche oggi. "Fare il processo", meglio se a occhi chiusi, affidandosi a quella regia esterna che in tutti questa anni ha costruito istruttorie inconcludenti e ha chiuso tutte le strade che portano in alto. "Fare il processo" in queste condizioni significa non volerlo fare.

A Catanzaro infatti si svolge un processo di regime che si regge su un gioco delle parti prestabilito, e che può andare avanti solo per la rinuncia della sinistra a fare, su Piazza Fontana e dintorni, il processo al regime.

Ci pensano gli inviati speciali dei giornali, i "pistaioli", quelli che sette anni fa linciavano il mostro Valpreda e gli altri che con comodo hanno poi espresso dubbi sulla verità poliziesca, a sollevare un polverone d'inferno. Tutti d'accordo stavolta: i destri che continuano a fare il mestiere di velinari, e i sinistri ossequiosi della normalizzazione comunista. Si chiede la abolizione del segreto politico e militare? Ecco, dicono i pistaioli, si vuole perdere tempo. E come pensano di arrivare alla verità i Martinelli, gli Isman, i Sassano, se prima non si toglie questo segreto che copre la responsabilità di stato?.

C'è l'istruttoria, certo. Ma guardiamola bene: non siamo solo noi as affermare che non individua né esecutori né mandanti della strage; prima di noi l'ha scritto Giorgio Galli e l'ha ripetuto di recente. Non solo l'istruttoria non prova nulla sul 12 dicembre ma è inesistente sul problema decisivo: la organizzazione politica che sta dietro la strage.

Nel processo, a un certo punto "è" entrato De Cataldo; e i deputati radicali hanno presentato alla Camera una mozione per l'abolizione del segreto politico e militare. Per parare il colpo, Andreotti ha promesso che il segreto sarebbe caduto. La Corte di Catanzaro si è allora precipitata a chiedere la verifica di questo improvviso regalo, dopo sette anni di silenzi? Macché, ha respinto invece al richiesta di De Cataldo di chiedere al SID tutti i documenti su Piazza Fontana. E i giornalisti, invece di far polpette dei magistrati, hanno attaccato De Cataldo: "vuol perdere tempo".

Che fretta nel servire il regime; per evitare imprevisti vorrebbero anche che gli imputati rinunciassero a difendersi: anche la difesa infatti, da un certo punto di vista, può essere perdita di tempo. Ma dove hanno fretta di arrivare; quando sanno bene che nessun magistrato senza una pesante interferenza del governo può condannare all'ergastolo, non dico Ventura, ma neanche Freda sulla base degli elementi raccolti in istruttoria? Ora salta fuori l'obiettivo reale: chiudere questo processo prima che qualche imprevisto faccia saltare la gestione indolore voluta dal governo. Magari in cambio del proscioglimento di Valpreda: che, fino a prova contraria, rappresenta un traguardo già conquistato nei fatti della sinistra.

Così i pistaioli ritrovano l'antico gusto del linciaggio: hanno appena smesso di gridare a Valpreda "alza la testa, mostro", e già si sono buttati sui nuovi imputati (sicari, innocenti? non si sa). A farne le spese è soprattutto Freda. Freda non sorride, "ghigna"; parla in modo ricercato, cioè è "insopportabile"; si difende con sicurezza, quindi è "oltraggioso"; e si cambia anche un golf al giorno. Abbassa la testa, mostro! Nel prossimo numero, quando potremo tracciare un primo bilancio del processo, tenteremo di mettere assieme una antologia degli articoli dei nostri inviati a Catanzaro.

Il peggio è che nel gioco delle parti è caduta anche la difesa di Valpreda. E' un fatto che dispiace molto, un segno della degradazione indotta dalla normalizzazione comunista. Si poteva capire un atteggiamento di prudenza, proprio per l'interesse prevalente a ottenere la sanzione processuale dell'innocenza di Valpreda: ma non a costo di schierarsi con coloro che vogliono affossare la ricerca della verità su Piazza Fontana. Come giustificare il sostegno attivo degli avvocati di Valpreda alle tesi del pubblico ministero e del presidente? Che senso ha la loro opposizione alla battaglia di De Cataldo per togliere di mezzo il segreto politico e militare? Hanno detto che la richiesta di togliere il segreto è intempestiva. Dopo sette anni è intempestiva? Eppure poche settimane prima del processo Guido Calvi dichiarava che senza l'abolizione del segreto non poteva accertare la verità. Ora ha rinunciato ad ogni ruolo attivo nel processo, per accogliere le nuove direttive di regime che oggi non si presentano con i co

lori democristiani, ma con quelli del compromesso storico.

L'accordo generale è di fare il processo formalmente, evitando di uscire dal seminato, concedendosi al massimo qualche lamentosa allusione alla "strage di stato". Quanto alle promesse di Andreotti, è chiaro che il segreto cadrà realmente solo se ci sarà una forte iniziativa politica in questo senso. E proprio qui sta il significato della presenza di De Cataldo nel processo come difensore di Ventura.

Questo imputato, infatti ha centrato la sua difesa sulla richiesta dell'abolizione del segreto politico e militare, e oggi rappresenta il punto di maggiore contraddizione di questo processo di regime. Al contrario di Freda, connivente con il potere coerentemente con le sue convinzioni fasciste, Ventura ha rotto il fronte del silenzio, ha fatto fare passi significativi all'istruttoria tirando dentro anche il SID, è l'unico, insomma, che, defilatasi la difesa Valpreda, si batta per una "politicizzazione" del processo. E' colpevole? Stando alle risultanze dell'istruttoria, sembra di no; se poi la sua stessa battaglia per l'abolizione del segreto dovesse aggravare la sua posizione, è chiaro che cadrebbe ogni ragione della presenza di De Cataldo.

E' pur vero che la sua difesa è stata assunta da De Cataldo contro la volontà del partito e del gruppo parlamentare radicale, solo con l'appoggio di "Prova". Ci ha diviso, in quell'occasione, un giudizio di opportunità: non il giudizio politico sul processo e sulla posizione in esso di Ventura che, fino a ripensamento, restano fissati nei due articoli pubblicati sul primo numero di "Prova Radicale". Non c'è stato dissenso neanche nel ritenere inammissibile la pretesa di Ventura di avere agito, nel '69, da democratico (anche su questo vale quanto scritto sul n. 1 di "Prova").

Con il senno di poi, si può riconoscere che il partito e il gruppo parlamentare avevano ragione su un punto: non basta la presenza di un avvocato per far saltare la logica di regime che condiziona il processo. Tuttavia è possibile che l'intervento di De Cataldo serva a lasciare aperta una porta per un rovesciamento della farsa che si sta recitando a Catanzaro.

"M. Sig."

 
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