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Pannella Marco - 1 novembre 1980
NOI E I FASCISTI: (19) Punitelo. Ha parlato male di Garibaldi
("Il Settimanale" 18 aprile 1979, intervista curata da Antonio Tajani)

SOMMARIO: Una raccolta di scritti sull'antifascimo libertario dei radicali: riconoscere il fascismo vuol dire capire quello che è stato e soprattutto quello che può essere. Troppo spesso dietro l'antifascismo di facciata si copre la complicità con chi ha rappresentato la vera continuità con il fascismo, la riproposizione di leggi e di metodi propri di quel regime.

("NOI E I FASCISTI", L'antifascismo libertario dei radicali

a cura di Valter Vecellio, prefazione di Giuseppe Rippa - Edizioni di Quaderni Radicali/1, novembre 1980)

Anche stavolta non ha rinunciato al suo ruolo di provocatore-protagonista. Si è presentato al congresso del PCI intabarrato in un mantellaccio nero ("Macché mantello, era il mio loden blu"), con la solita aria di sfida. Jean Fabre, segretario del PR si è imbavagliato inalberando cartelli di protesta. E lui, Marco Pannella, ha lanciato il sasso più grosso. Sabato 31 marzo, aula magna dell'Università di Roma, congresso radicale. Pannella parla a braccio, come al solito. Attacca la DC e i comunisti, se la prende con il compromesso storico, afferma che i comunisti non hanno diritto di condannare il terrorismo. Poi sbotta: "Il PCI continua ad assumere a emblema della Resistenza l'episodio di via Rasella contro giovani tedeschi colpevoli soltanto di indossare una divisa di diverso colore".

Touché. Il PCI reagisce rabbiosamente. "E' una profanazione della Resistenza". L'"Unità" accusa il leader radicale di difendere i criminali nazisti. Pannella reagisce con una querela. E' il solito gioco della provocazione? O c'è "una ragione politica" dietro queste affermazioni?

Domanda: "Come mai questa presa di posizione?"

Risposta: "A dire il vero il mio discorso non era impostato solo su via Rasella. Era un intervento sulla violenza e sulla nonviolenza: fra chi sostiene la difesa dello stato, della classe, del paese o della religione con le regole della difesa armata e chi sostiene che il nemico deve essere ammazzato. Tant'è vero che ho posto degli altri problemi di civiltà giuridica liberale e nonviolenta. Il primo da affrontare era quello del terrorismo: io ho semplicemente sostenuto che se ci vogliono fare carico di comprendere il fenomeno è necessario superarlo. Dobbiamo, cioè, renderci conto che il terrorismo fa parte della nostra storia di sinistra e di destra. Ho parlato dei nichilisti, di Dostojevskij, del repubblicano Oberdan".

D.: "Per dirci che cosa?"

R.: "Che per noi il nemico deve essere considerato come un avversario. E in quanto tale va affrontato laicamente e in modo nonviolento. Altrimenti se si accetta la logica della guerra e lo stato di guerra come esimente per l'assassinio ci si dimentica che sotto la divisa nemica c'è sempre una persona. E noi abbiamo sempre sostenuto che il militare è uno sfruttato".

D.: "Ma la bomba di via Rasella fu un atto di guerra..."

R.: "Certo. Ma un atto di guerra terroristico".

D.: "Perché?"

R.: "Perché chi se ne rese responsabile sapeva perfettamente che se saltavano quaranta nemici, la legge di guerra, proclamata da loro, prevedeva una rappresaglia, l'uccisione di quattrocento innocenti".

D.: "Lei ha fatto il nome di Salvo D'Acquisto".

R.: "E' vero: non ho detto, però che bisogna comportarsi come lui. Però, D'Acquisto, che non aveva coscienza di classe né era politicizzato reagì in un certo modo. Evidentemente, gli artefici dell'attentato di via Rasella (che avevano strutture gerarchiche e militari) non sentirono il dovere di consegnarsi".

D.: "E il riferimento a Reder e a Hess?"

R.: "Riguardava riferimenti a una società giuridica diversa a cui bisogna aspirare. Ho sostenuto che chiudere chicchessia dentro quattro mura è un'illusione antigiuridica. E' assurdo tenere all'ergastolo, in nome dell'antifascismo, Hess: è solo un vecchio di 84 anni che sta in carcere da quaranta. Abbattere queste mura, oggi, è antifascismo".

D.: "Un'affermazione strana".

R.: "Se si liberano persino Reder e Hess significa che non esiste più ragione di mantenere la pena dell'ergastolo".

D.: "La questione che ha sollevato, non è solo storica ma soprattutto politica. E sorge un sospetto: che ci sia anche un direttivo elettorale..."

R.: "E' nostro diritto replicare al PCI. Quando dalle Botteghe Oscure giungono delle menzogne degne di Goebbels (per esempio sui referendum), dobbiamo dire che i burocrati del PCI vogliono ingannare i loro elettori. Loro appoggiano leggi fasciste, loro appoggiano la legge Reale; e poi pretendono di dichiararsi antifascisti? E' chiaro, allora, che quando ci accusano di essere contro la delegazione di massa e di essere troppo teneri con Curcio non posso non rispondere che, pur non essendo affatto d'accordo con lui, è comprensibile la sua scelta. Anche se condannabile. Ma è molto più grave la scelta di Palmiro Togliatti che, per anni, ha sostenuto le torture e gli assassini di Zinoviev, Trotsky e di tutti i compagni con i quali aveva spartito anni di lotte. A questo punto il nodo non è più via Rasella, non più il tradimento di civiltà giuridica ma quello di milioni e milioni di morti. Comunisti, operai, contadini ammazzati dagli stalinisti".

D.: "Oggi il PCI è stalinista? I comunisti sono recuperabili?"

R.: "Facciamo una premessa. Lo stalinismo va inquadrato nel periodo storico in cui è nato. In URSS si identificava, naturalmente, con Stalin. Nel mondo occidentale, per un fenomeno di destra (Togliatti che cercava l'accordo con la monarchia e la chiesa); insomma un qualcosa di duro, ma di corruttore. La verità, però, è un'altra: agli antistalinisti di regime è sempre andato bene un PCI comunista e stalinista, non hanno mai voluto un PCI socialista. Adesso il problema è questo: quanto contano i comunisti. Se dura il centralismo democratico, la base subisce e contano solo le cento persone di un vertice. Una conferma? La scomunica di Lama contro di noi è dello stesso tipo di quelle di Togliatti e degli stalinisti. I riflessi di intolleranza e di autoritarismo, sono rimasti".

D.: "E il compromesso storico, il vostro nemico numero uno?"

R.: "Siamo stati gli unici ad opporci sempre al regime della DC e non essendole subordinati abbiamo combattuto la politica (prima di Togliatti e poi di Berlinguer) di compromesso storico. Devo dire che è stato un rapporto solido, durato a lungo in cui i protagonisti monopolizzavano i ruoli di "governo" e di "opposizione". Cosa vogliamo? Semplice. Uniti con i loro subalterni (centristi, frontisti, di centrosinistra) mirano a ricostruire le strutture giuridiche e economiche dello stato corporativo e interclassista del PNF".

("Il Settimanale" 18 aprile 1979, intervista curata da Antonio Tajani)

 
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